Francesca

Francesca ha diciotto anni ed è figlia di un facoltoso industriale romano. Vive con la sua famiglia in una grande villa immersa in un favoloso parco nel comune di Rieti.
L’educazione che le danno i suoi genitori è molto rigida: niente scuole pubbliche ma insegnanti privati che le fanno lezione a casa e pochissime uscite, quasi sempre in compagnia di amiche con le sue stesse abitudini.
Nonostante la sua notevole bellezza e le sue forme da maggiorata, Francesca non ha mai avuto alcuna esperienza sessuale e le poche conoscenze in merito sono dovute ad un giornale porno passatole da un’amica; sfogliandolo, Francesca si era toccata e, inevitabilmente, bagnata e ciò le aveva procurato uno spavento tale da abbandonare la lettura, rimandando l’argomento al futuro.
Quel week end, per una serie fortuita di combinazioni, il personale di servizio della casa era in libera uscita ed i suoi genitori erano dovuti partire improvvisamente per raggiungere una vecchia zia malata.
Francesca era sola in casa nel pomeriggio di sabato e decise di andare a fare un riposino, visto che non avrebbe avuto nulla da fare e sarebbe rimasta sola fino a domenica sera.
Infilò il pigiama e si mise sotto le coperte.
Verso le tre del pomeriggio, un furgone si fermò davanti al cancello della villa: parcheggiato il mezzo ai lati del muro di cinta, ne discesero sei uomini. In un attimo narcotizzarono i cani da guardia e scavalcarono il cancello.
Procedevano veloci verso la villa, probabilmente avevano ricevuto una soffiata che la casa sarebbe rimasta vuota per tutto il week-end e si apprestavano a svaligiarla.
Forzarono la porta d’ingresso ed entrarono.
Avevano una mappa della casa ed iniziarono subito a cercare le cose di valore per cui erano venuti.
La camera di Francesca era al piano superiore e, per un pò, la ragazza non si accorse di nulla, finché un colpo più forte inferto ad una delle casseforti la fece svegliare di soprassalto.
Francesca pensò di avere lasciato una finestra aperta: si alzò, infilò le pantofole e scese le scale per andare a vedere cos’era accaduto.
L’ingresso al piano terreno era deserto, ma la porta principale era socchiusa; Francesca udì un rumore provenire dallo studio del padre: ecco, pensò, è entrato un gatto e sta mettendo tutto in disordine.
Si indirizzò veloce verso lo studio, entrò e vide due uomini che frugavano nei cassetti della scrivania del padre.
“Cosa fate?” disse con la voce un pò autoritaria propria della sua famiglia.
Gli uomini si voltarono sbalorditi e la guardarono: alta un metro e settantacinque e con indosso un pigiama che lasciava trasparire totalmente la pienezza delle sue forme, quella ragazza era stupenda; la sorpresa e la collera per aver trovato degli estranei a frugare tra le sue cose le avevano indurito i capezzoli che, in cima alle sue prosperose tette, spuntavano da sotto la maglietta del pigiama.
“Porca troia, ma non avevi detto che non c’era nessuno?” esclamò uno dei banditi.
“E adesso, che cazzo facciamo?” rispose l’altro.
“Intanto, prendila!”.
Francesca, udite quelle parole, cominciò a realizzare di essere in pericolo e con un balzo uscì dallo studio dirigendosi di corsa verso l’uscita.
Altri due banditi, richiamati dalle urla dei primi due, la afferrarono e la fecero cadere sul tappeto dell’ingresso, bloccandola a terra.
Francesca urlava di lasciarla andare e intanto tutti e sei gli uomini erano arrivati nell’ingresso e guardavano stupiti la ragazza stesa a terra.
Nella piccola colluttazione precedente la sua cattura Francesca aveva perduto le pantofole e stava a piedi nudi, la maglietta del pigiama si era un po’ sollevata e mostrava la pelle rosa della sua schiena ed i pantaloni del pigiama, morbidi e leggeri, le aderivano perfettamente al culo ed alle gambe: era decisamente eccitante e la stessa cosa pensarono gli uomini: si scambiarono una rapida occhiata e si misero a ridere ormai concordi sul piacevole diversivo che avevano trovato.
Sollevarono da terra Francesca e la portarono al piano superiore, nella camera da letto dei genitori; la ragazza tentava di divincolarsi ma le mani dei due uomini che la trascinavano erano troppo forti ed ogni tentativo di fuga risultò vano.
La gettarono sul letto matrimoniale e si misero tutt’intorno: gli uomini la guardavano e ridevano e Francesca non capiva cosa potessero volere da lei.
“Lasciatemi stare, prendete quello che volete e andatevene, ma non fatemi del male”, li supplicò.
Quello che doveva essere il capo dei banditi esplose in una risata ancora più fragorosa:
“Andarcene ora? Ma manco per il cazzo, troietta! Se non te ne sei accorta, siamo già tutti in tiro e tra poco vedrai quello che ti facciamo, a te alla tua fighetta e a quel bel culetto che me lo voglio ripassare fino in fondo!”.
Francesca non capiva il senso di quelle parole: poco abituata al sesso, non riuscì subito a comprendere cosa le sarebbe accaduto.
Due uomini la afferrarono per le braccia e la immobilizzarono: un altro salì sul letto dalla parte dei piedi e le si avvicinò; Francesca, con le braccia bloccate, tentava di difendersi agitando le gambe e di colpire con i piedi quell’uomo che le stava davanti: così facendo, il pigiama aveva cominciato a scivolare verso il basso e si vedeva l’orlo delle mutandine nere della ragazza sbucare da sotto i pantaloni leggermente abbassati.
L’eccitazione dei banditi era sempre più forte: l’uomo che le stava di fronte le afferrò i piedi e li bloccò sul letto, mentre un quarto bandito le prese l’orlo del pigiama: tirò verso il basso e glielo tolse.
Lo spettacolo agli occhi degli uomini era veramente eccitante: la gambe lunghe ed affusolate della ragazza erano nude e le mutandine nere esaltavano la forma generosa dei fianchi ed il pube.
Francesca urlava, ma non poteva muovere un dito: era bloccata e completamente in potere di quegli uomini.
Le sfilarono anche la maglietta scoprendo il suo prosperoso seno da quarta misura ormai protetto solo da un reggiseno nero di pizzo.
La ragazza era quasi nuda: l’uomo che la spogliava e stava sopra di lei, cavalcandola all’altezza del bacino, le tolse anche le mutandine ed il reggiseno, lasciandola completamente nuda.
Francesca era disperata, temeva che volessero torturarla per farle confessare qualche nascondiglio segreto dei beni di famiglia, sebbene l’espressione di tutti quegli uomini che le stavano addosso non fosse di odio ma piuttosto di grande desiderio, come se avessero scoperto un tesoro e stessero per impadronirsene.
Quattro uomini stavano sopra di lei e cominciarono a toccarla in tutto il corpo: le palpavano i seni stringendoli con le mani forti, accarezzavano senza fine quelle lunghe e meravigliose gambe, infilando poi le dita in mezzo ad esse per toccare la morbida peluria della sua passerina;
Francesca cominciava a capire cosa effettivamente volessero farle: rivide le immagini del giornale pornografico datole dall’amica tempo prima ed inorridì al pensiero delle fotografie in esso contenute e delle cose che gli uomini facevano alle donne.
Le spalancarono le gambe, allargarono la sua fighetta e cominciarono a massaggiarle la clitoride: Francesca era in preda ad una specie di delirio: l’orrore e la paura si mescolavano ad un piacere fortissimo, profondo, che le toglieva il respiro e le dava quasi un senso di nausea.
In breve si bagnò: l’uomo che la stava masturbando se ne accorse e lo comunicò agli altri, con una risata:
“E’ bagnata, sta godendo”.
Francesca provava una grande vergogna, ma il suo corpo mostrava fin troppo evidentemente di gradire quella profanazione.
Gli altri uomini si erano nel frattempo spogliati ed ora stavano tutti intorno al letto: non ridevano più come prima, ma guardavano fissi quel corpo stupendo e nei loro occhi si leggeva chiaro il desiderio di possedere la ragazza.
Francesca li guardava terrorizzata: era la prima volta che vedeva dal vivo il corpo nudo di un uomo: i cazzi duri e lunghi con la cappella scoperta emanavano un odore acre che arrivava fino a lei ed alcuni degli uomini si massaggiavano quell’arnese dall’alto in basso, il che lo faceva diventare ancora più lungo.
Il capo dei banditi volle essere il primo a violarla: ordinò ad altri due di tenerla ben ferma e le montò addosso: il cuore di Francesca batteva forte, sentì il corpo dell’uomo sopra di sè, le sue mani accarezzarla con desiderio e poi …
Quella cosa lunga, dura e calda, tanto diversa dal pisellino di suo cugino che aveva visto tempo addietro mentre erano al mare, si appoggiò sul suo pube; poi, l’uomo s postò il cazzo verso il basso e la cappella si appoggiò alle labbra della fica di Francesca: un attimo e Francesca si sentì penetrare.
Un dolore forte la fece sussultare: mentre la sverginava, l’uomo aveva cominciato a godere ed ora montava Francesca con foga, preso dall’orgasmo; Francesca aveva superato il dolore ed ora, con incredulità, si accorse che stava godendo, che quella cosa orribile che le stavano facendo le piaceva.
Dopo qualche minuto l’uomo raggiunse l’orgasmo: Francesca lo sentì sospirare forte ed un fiotto caldo scaricarsi nel suo ventre.
L’uomo che l’aveva sverginata estrasse il pene dalla sua vagina e scese dal letto: un altro prese il suo posto.
Francesca comincò ad urlare: non voleva un altro rapporto, gridò
“Porci, basta, smettetela”; per tutta risposta, anche il secondo uomo le infilò il pene nella vagina e la violentò.
Ormai gli uomoni erano eccitatissimi: prima la vista del corpo della ragazza, poi il palpeggio e lo spettacolo delle due scopate li avevano mandati in estasi: uno dopo l’altro, gli altri quattro la violentarono, incuranti delle sue urla disperate.
Lo stupro di Francesca durò per circa mezz’ora: alla fine, gli uomini erano esausti e stavano chi sdraiati sul letto chi appoggiati sulle poltrone; ma i loro cazzi, dapprima mosci, cominciavano a ritornare duri, non appena i banditi guardavano la splendida ragazza lì, sul letto, completamente in loro potere.
Francesca stava in silenzio, su un fianco, con le bellissime gambe rannicchiate, le lacrime agli occhi e le mani premute in mezzo alle cosce, sulla passerina, quasi a volerla proteggere dalle voglie turpi di quei banditi.
Come prima, fu il capo a dare l’inizio al nuovo assalto: disse a Francesca “Alzati e vieni qui, troia”.
Francesca non rispose; uno schiaffo la convinse ad obbedire.
L’uomo stava seduto su una delle poltrone e Francesca gli stava in piedi di fronte, nuda e tremante per la paura.
“Inginocchiati”, le disse e Francesca obbedì.
Il bellissimo viso della ragazza stava a pochi centimetri di distanza dal cazzo eretto dell’uomo: Francesca vedeva in ogni minimo particolare la cappella scoperta e ne sentiva forte l’odore .
La afferrò per i capelli e le premette le labbra contro l’uccello: Francesca teneva la bocca chiusa, quel coso duro le faceva schifo, ma l’uomo la costrinse ad aprire le labbra ed a prendere in bocca il suo cazzo; le ordinò cosa doveva fare: passare la lingua sulla cappella e poi ingoiare il cazzo fino in fondo, su e giù.
Francesca afferrò con la mano il cazzo dell’uomo: era duro e caldo e, d’istinto, le venne voglia di stringerlo.
Poi leccò la cappella come le era stato ordinato, passando la lingua alla base del glande e titillando la punta del pene, infine lo prese in bocca, serrando le sue belle labbra intorno al membro dell’uomo.
Il pompino durò circa dieci minuti, interminabili, fino a che un fiotto di sborra inondò la bocca della ragazza che si staccò subito dal cazzo dell’uomo cercando di sputare ciò che quel bastardo le aveva scaricato in gola.
La stesero a pancia in giù sul bordo del letto, in ginocchio, con il viso sulle coperte ed uno degli uomini che le bloccava le braccia tese in avanti; un altro stava tornando dalla cucina con in mano un pezzo di burro.
Francesca sentì le dita dell’uomo spalmarle qualcosa intorno al buco del culetto, poi le sue mani che le accarezzavano le natiche e la schiena, stringendole le chiappe.
Quando il cazzo dell’uomo la inculò, Francesca aprì la bocca ma non riuscì ad urlare; la sorpresa di sentire il membro che le penetrava nel culo ed il dolore del nuovo sverginamento la rendevano incapace di gridare.
L’uomo la cavalcava come fosse uno stallone in groppa ad una puledra, tenendola saldamente per i fianchi; Francesca non provava nulla, lo stupore era stato tale da annullare ogni altra reazione.
Dopo l’ennesima sborrata, l’uomo estrasse il pene dal culo della ragazza, e si alzò, subito sostituito da un secondo, poi dal terzo è così via: tutti e sei vollero profanare quel culo rotondo e sodo, che sovrastava due gambe da favola e che al solo vederlo, faceva venir voglia di scopare.
La ragazza era sconvolta: dopo il secondo uomo, gli altri l’avevano fatta godere ed aveva raggiunto più volte l’orgasmo; sperava che non se ne fossero accorti, ma l’umore che colava dalla sua fica era una prova inequivocabile.
Quando gli uomini se ne avvidero, si misero a ridere: in quattro saltarono sul letto e, tutti addosso a Francesca, presero a toccarla e baciarla dovunque; non ci fu centimetro della sua pelle, un punto intimo o segreto del suo corpo che non fosse toccato, accarezzato, violato e leccato.
Le dita degli uomini le perlustravano la bocca, la fica ed il culo, le loro mani accarezzavano le tette, le cosce ed i piedi della ragazza, divertendosi a solleticarla; il culetto di Francesca in particolare era il più palpato: pieno e sodo, bastava toccarlo per raddrizzare il cazzo di un uomo.
Francesca cercava in qualche modo di difendersi, ma nulla poteva contro quei diavoli arrapati: le sue mani tentavano di proteggere le parti più intime, ma dovevano soccombere di fronte alla forza di quattro uomini eccitati desiderosi di toccare quella carne meravigliosa; alla fine, sentendosi toccata da tutti quegli uomini, la ragazza si eccitò: i suoi capezzoli divennero duri ed un brivido di desiderio la scosse.
Ormai tutti e sei avevano riacquistato l’erezione e volevano sfogare le proprie voglie: a turno, si stesero sul letto con il cazzo dritto che spuntava verso l’alto e obbligarono Francesca a sedersi sul membro, infilarselo nella fighetta e quindi muoversi in su ed in giù, così da farli godere ancora.
Terminata quella specie di cavalcata, si riposarono di nuovo chi sul letto chi sulle poltrone, tranne due di loro che avevano ancora voglia di divertirsi con la povera ragazza.
La obbligarono ad indossare il reggiseno e le mutandine ed un paio di calze nere autoreggenti: il risultato era micidiale.
La ragazza, di per sè splendida, era diventata irresistibilmente eccitante e provocante.
Uno dei due disse altro:
“Te l’avevo detto, che così ce lo faceva tornare duro” ed in effetti entrambi erano di nuovo con il cazzo eretto.
Dissero a Francesca:
“Se scappi, sei libera”.
La ragazza, senza intuire la perversione dell’uomo che cercava solo di eccitarsi ancora di più dandole la caccia, scattò immediatamente verso le scale.
La bloccarono a pochi metri dalla porta: a terra, Francesca si difendeva disperatamente, ma i due erano troppo forti per lei: dapprima le strapparono il reggiseno, ma la ragazza riuscì a divincolarsi ed a correre verso lo studio, con le splendide tette ballonzolanti; le sue mutandine, nella concitazione della lotta, si erano infilate tra le chiappe, riducendosi ad un filo di stoffa quasi invisibile in mezzo ai glutei, di cui esaltava la rotondità e la pienezza.
I due la raggiunsero prima che riuscisse a chiudere la porta e la stesero sulla scrivania; le strapparono anche le mutandine e Francesca rimase con le sole calze nere che sottolineavano – se mai ce ne fosse il bisogno – la sua bellezza.
La scoparono subito, senza altri preamboli, talmente grande era l’eccitazione provocata dalla lotta con la ragazza e dalla sua cattura, durante la quale l’avevano palpata dappertutto.
I cazzi la penetravano con foga e dopo un pò anche Francesca venne sopraffatta dal piacere e, con stupore, si trovò a cingere con le gambe i fianchi dell’uomo che la stava stuprando, godendo insieme a lui.
Verso mezzanotte, abbandonarono la casa.
Francesca, stesa sul letto, era esausta.
Nell’arco di poche ore era stata sverginata e violentata da sei uomini, costretta a fare le cose più vergognose e nulla del suo corpo era stato risparmiato, ma ogni parte violata e fatta oggetto del piacere dei bruti.
Ma, soprattutto, in mezzo all’orrore ed alla paura, Francesca aveva anche goduto e non una ma tante volte e di ciò non sapeva darsi spiegazione; si passò una mano sulla fichetta, ancora bagnata di sborra e di umore e poi si portò la mano alla bocca, per assaggiare ancora una volta e sentire l’odore forte dell’uomo. FINE

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