Free climbing

Marco, il mio ragazzo, è un free climber agonista.
Non si accontenta di vincere contro se stesso, ma adora soprattutto sconfiggere gli avversari (cosa peraltro inusuale nell’ambiente della montagna dove – essendo così difficile battere gli elementi – nessuno ha voglia di crearsi altri ostacoli).
Questa sua vena agonistica, lo rende abbastanza insopportabile nel giro degli alpinisti, tanto che, spesso, ai raduni ed alle gare, rimaniamo soli in furgone a mangiare, mentre gli altri si divertono come matti tutti insieme intorno al fuoco.
Sinceramente non ho mai sopportato questo atteggiamento, soprattutto perché per molto tempo non mi ha permesso di legare con nessuno, in quanto tutti hanno sempre pensato che io fossi esattamente come lui, ovvero: insopportabile.
Oggi, però, sono certa che nell’ambiente non la pensano più così.
Qualche tempo fa, infatti, ho cercato di spiegare a tutti che io sono diversa, generosa, altruista ed amante del gruppo: uomini, donne, oggetti, io non ho pregiudizi nei confronti di niente e nessuno. Questo è stato il mio messaggio.
E spero che l’abbino capito.
Ora vi spiego.
Era sabato pomeriggio ed eravamo ad Arco, in Trentino, sotto una bellissima parete dove i free climber si allenano e gareggiano.
Verso le sei, calato il sole, molti dei presenti se ne andarono e rimanemmo sul posto solo una quindicina (di cui quattro donne – me compresa – e undici uomini, contando anche Marco).
I furgoni d i camper erano parcheggiati abbastanza vicini e – come al solito – i vari gruppetti cominciarono a preparare per l’aperitivo e la cena.
Mentre anch’io mi accingevo a preparare (per me birra e patatine, per Marco gatorade e frutta… ) il telefono di Marco suonò.
Sentii la sua voce tutta eccitata e dopo qualche minuto arrivò da me raggiante dicendomi che doveva correre a Torbole, dove avrebbe dovuto presenziare ad una rassegna in cui venivano esposte alcune fotografie che lo ritraevano in azione.
Non si pose neanche il problema di chiedermi se volevo andare con lui: salì sul furgone e mi lasciò davanti al tavolino imbandito da sola sotto un albero.
Chissà a che ora sarebbe tornato.
E pensare che mi ero messa le mutande a perizoma e la crema vaginale che piacciono tanto a lui.
Era la serata ideale per sbevicchiare un po’ e, un poco inebriata dall’alcol, lasciarmi scopare come piaceva tanto a lui (ed a me): con rabbia e violenza.
Niente da fare.
Notai che i miei vicini di posto cominciarono a guardarmi, finché una ragazza dall’accento tedesco mi chiese se volevo unirmi a loro, che avrebbero mangiato e bevuto tutti insieme.
Ovviamente accettai e, dopo avere raccolto un paio di bottiglie di birra, li raggiunsi.
Entrando nel gruppo, mi resi conto che ero vestita in maniera un po’ provocante (per i motivi che ho scritto più sopra), e che tutti mi guardavano con aria un po’ meravigliata.
Immaginate, intorno a me solo pile e felpe.
Ed io con un paio di shorts di seta cortissimi ed una canottiera senza reggiseno dello stesso materiale.
Capii subito che mi stavano esaminando per verificare se ero antipatica come marco o no.
Ruppi i ghiaccio subito, proponendo un brindisi a fondo bianco (o alla goccia) passando a tutti le bottiglie di birra che erano sul tavolo.
Una risata generale creò l’atmosfera giusta e… giù, ci scolammo le bottiglie.
Chi non ci riuscì (tutte noi ragazze) dovette ripetere l’operazione fino al successo.
In pratica dopo pochi minuti, eravamo tutte e quattro ubriache a ridere come forsennate di quegli stronzetti degli alpinisti, ed in particolare di Marco.
Mi stavo proprio divertendo, e così fu anche dopo cena.
Muovendomi e ballando, con altre quattro o cinque birre in corpo, mi accorsi che toccando i corpi delle persone vicine, la canottierina mi si era spostata e i miei seni si scuotevano liberi davanti a tutti.
Che occasione per dimostrarmi libera e socievole: stavo mettendo a disposizione di tutti la vista del mio corpo che – modestia a parte – è veramente fatto bene.
E mi pareva che i presenti fossero parecchio interessati alla mia disponibilità.
In particolare la coppia con accento tedesco si rivelò particolarmente audace quando – inaspettatamente – mi circondarono con le braccia e cominciarono a strisciarsi sul mio corpo come in una lambada sensualissima.
A quel punto pensai che era venuto il momento per dimostrare a tutti che non ero come Marco.
Colsi la palla al balzo e nel momento in cui i nostri visi erano uno di fronte all’altro, baciai con violenza il ragazzo che – sudato e nervoso – non si trattenne di certo.
Ci fu un momento di imbarazzo generale.
Lo sentii sulla pelle.
Ma dopo qualche secondo, tutto diventò naturale e promiscuo.
In pochissimo tempo mi ritrovai sdraiata al centro del tavolone in legno su cui avevamo mangiato con tutto il gruppo che giocava al sacrificio indiano.
Mi correvano intorno, cantando e bevendo, ed a turno mi baciavano, sfioravano, toccavano e leccavano.
Ero eccitatissima.
Tutti questi giovani abbronzati e tonici, queste ragazze solari e libere, tutti coloro i quali non avevo mai avuto la possibilità di conoscere, mi stavano regalando un momento dei più belli della mia vita.
Decisi di accelerare i tempi e di dimostrare che – a quel punto – non mi sarei più tirata indietro.
Mi strappai da sola di dosso i vestiti e le mutandine e mi misi a quattro zampe sul tavolo cercando di raggiungere con la bocca le bocche dei miei compagni.
Sudati e sporchi di vino a turno tutti mi passarono davanti leccandomi la faccia e versandomi la loro saliva in bocca.
Ad un certo punto la danza si fermò.
Un ragazzo decise di essere il gran sacerdote e dichiarò che le ragazze del gruppo dovevano occuparsi dei miei capezzoli procurandomi piacere e dolore con costante alternanza.
Non se lo fecero dire due volte.
Si sistemarono ai miei fianchi e con grande maestria cominciarono a leccarmi,
mordermi, accarezzarmi, pizzicarmi, schiaffeggiarmi, graffiarmi i capezzoli facendomi tremare le gambe dalla goduria.
Logicamente le tre troiette, durante tutto questo, si baciavano e toccavano a vicenda, prendendo anche qualche stantuffata da dietro dai ragazzi che – a quel punto – erano tori insaziabili.
Il gran sacerdote fece fare ordine, lasciando le ragazze a torturarmi di piacere e dolore, e ordinò a due ragazzi di occuparsi del mio ano.
Parlò di dilatazione massima, ma io non pensavo che dicesse così sul serio come poi scoprii.
I due ragazzi infatti, si misero dietro il mio culo (ricordo che ero alla pecorina) e con grande calma e lentezza cominciarono a spargermi il buco con dell’ottimo e profumato burro di montagna.
Il freddo del burro preso dalla ghiacciaia del camper contrastava con il bruciore che provavo ai capezzoli martoriati da quelle tre cagne che ci si attaccavano come per essere nutrite.
Che denti affilati! Ma che lingue soffici.
Dopo essere stata cosparsa di burro, notai che tutti si avvicinarono di più, smettendo di scoparsi, masturbarsi, leccarsi e baciarsi.
Capii perché, i miei carnefici anali, stavano cominciando a penetrarmi con le mani e non avevano intenzione di fermarsi a qualche dito.
Doveva essere uno spettacolo fantastico; ; il mio culo aperto prima da tre o quattro dita, poi, lentamente dilatato fino ad accogliere due mani di uomo che, ad ogni movimento, trasmettevano una sorta di scossa elettrica al mio cervello.
Pensavo di morire!
Il piacere era tale che dalla mia figa continuavo a spruzzare come una fontana.
Non so quanti orgasmi ho provato, non ricordo.
Anche perché mi pare che sia stato un orgasmo continuo e senza interruzione.
Quando cercarono di sollevarmi dal buco del culo, per poco non svenni. Urlai e chiesi di fermarsi.
Era troppo anche per una vacca in calore come me in quel momento.
Mi fecero sdraiare, mi cosparsero di ottimo yogurt e mi leccarono il buco del culo (slabbrato – come rimase per diversi giorni) e i capezzoli (gonfi e sanguinanti) per farmi rilassare definitivamente.
Mentre alcuni procedevano a questa pratica distensiva, per terra, intorno a noi, due ragazzi si leccavano i rispettivi cazzi in un 69 perfetto e una ragazza e altri due ragazzi chiavavano lentamente e dolcemente.
Era il mare dopo la tempesta: calmo e piacevole.
Ed io ero alla deriva in un oceano di piacere (e di sperma).
In questo momento di pace, due fari tagliarono il buio.
Era Marco che tornava!
Senza scomporsi, tutti rimasero occupati come se niente fosse ed io… anche.
Non ce la facevo a sottrarmi al piacere che mi stavano dando quei quattro animaletti (due donne e due uomini).
Il furgone si fermò a pochi metri da noi, e Marco scese scioccato: ‘Ma Lina cosa fai? ‘
Nessuno rispose.
I due uomini che si stavano leccando lo avvicinarono con i cazzi ancora duri e lo presero per le braccia.
Dopodiché lo avvicinarono a me e gli fecero vedere da vicino in che stato ero ridotta.
Mi chiese immediatamente se stavo bene, ma lo vedevo impotente di fronte a tale scena e scempio sulla sua ragazza.
Finalmente capì che era un niente di fronte agli eventi.
A quel punto mi alzai, lo feci sedere sul tavolo e cominciai a spogliarlo lentamente.
Lui dopo un primo imbarazzo, ancora sotto shock, si lasciò andare e si mise nella posizione in cui lo spingevo: alla pecorina.
A quel punto presi il burro ancora solido, lo diedi ai miei carnefici di poco prima e li pregai di fare godere il mio uomo come poco prima avevano fatto con me.
Marco aveva già preso le mie dita nel culo e – una volta – anche un portasigari di suo padre, ma non sapevo cosa sarebbe successo adesso!
Pregai intanto tutti di avvicinarsi e di fare a Marco tutto quanto avevano intenzione e desiderio di fare.
Mentre i carnefici cominciarono la loro lenta e inesorabile penetrazione, gli altri mi presero e mi misero davanti alla sua faccia.
Una volta certi che lui non potesse non vedermi, cominciarono a fottermi e incularmi, mentre a turno mi spappolavano i capezzoli a morsi.
Lo vidi piangere, Lo vidi urlare.
Ma durò poco: dopo qualche minuto urlava di piacere e si dimenava per sentire meglio quei pugni chiusi dentro il suo culo pregando tutti i ragazzi presenti di sborrarmi in faccia.
Era il suo modo di chiedere scusa. FINE

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Luce bassa, notte fonda, qualche rumore in strada, sono davanti al pc pronto a scrivere il mio racconto erotico. L'immaginazione parte e così anche le dita sulla tastiera. Digita, digita e così viene fuori il racconto, erotico, sexy e colorato dalla tua mente.

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