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Aiutiamoci

Cercavo collaborazione per il compito di addetto stampa che mi era stato affidato dal Centro e i miei occhi si posarono su un’allieva che pareva seguirmi come una cagnetta in calore dovunque mi vedesse, in aula, nei corridoi, nell’atrio. Non era molto brava come rendimento scolastico, ma era particolarmente carina. Piccoletta ma formosa nei suoi vestiti dalle gonne lunghe e dal corpetto stretto in vita e aderente sui fianchi pieni e arcuati che sbocciava in scollature non profonde ma bastevoli a mostrare l’inizio del solco di due seni che era facile immaginare tondi come grosse mele. Il visetto grazioso, dalle labbra ben disegnate e sensuali e dal nasino impertinente, era incorniciato da un caschetto di serici capelli biondo-castani, corti sulla nuca e ondeggianti al minimo movimento della testolina.
La mia attrazione verso di lei era dovuta, oltre che alla curiosità di sapere perché mi seguiva costantemente (forse per autoraccomadarsi per gli esami del corso), anche ad un certo fascino che suscitavano le sue mosse leggere e aggraziate quando muoveva il suo corpo fasciato da vestiti di una stoffa morbidissima che faceva ondeggiare la gonna, la cui stretta aderenza ai fianchi faceva risaltare la rotondità dei fianchi senza rivelare niente delle gambe e specialmente delle cosce che erano la mia passione costante.
Un giorno se ne stava all’ingresso dell’atrio, poggiata allo stipite della vetrata, come attendendo qualcuno. Scendendo dalle scale l’osservai attentamente e mi accorsi che, in controluce, la lunga gonna faceva trasparire due bellissime gambe e due cosce superbe. Decisi subito di assumerla.
Così, dopo averle chiesto chi aspettava e dopo che mi ebbe risposto che attendeva il padre che doveva venire a prenderla, mi fermai vicino a lei per guardarla meglio. Credo che si fosse accorta del modo col quale mi ero fermato sulla scala rivolto alla sua figurina e della mia espressione di piacere che era apparsa sul mio volto alla rivelazione delle sue forme in controluce. Chissà, forse l’aveva fatto apposta. Meglio così, pensai.
Quando suo padre giunse su una grossa Mercedes, me lo presentò. Era un commerciante di carote e mi fece tutta una esposizione delle difficoltà del mercato di quel prodotto di cui mi magnificò le qualità. Interruppi le sue chiacchiere proponendogli di affidarmi sua figlia a collaborare con me per il convegno. Aderì entusiasticamente, così ci demmo appuntamento con la ragazza per l’indomani mattina, assicurando il padre che ad accompagnarla a casa ci avrei pensato io stesso. Acconsentì e aprì lo sportello per fare accomodare la ragazza sul sedile davanti accanto a quello di guida, dove poi lui prese posto e, avviata l’auto, mi lasciò. Avevo però osservato le mosse della ragazza che, nel sedersi, aveva sollevata la gonna sulle anche dandomi una rapida visione delle sue gambe che si rivelarono più provocanti di come avevo immaginato.
L’indomani mattina la ragazza, che, a proposito, portava il nome di Giulia, si presentò nel mio studiolo tutta contenta e sorridente. Portava la solita gonna lunga fino ai polpacci, morbida e fluttuante. Si sedette davanti alla scrivania sollevandola sulle ginocchia con un gesto ampio e svolazzante che fece apparire per un istante tutte le cosce fino alla loro inforcatura dove risaltava il triangolino delle mutandine. Poi, tenendo l’orlo della gonna sulle ginocchia, accavallò le gambe in modo da farla ricadere ai lati delle anche.
Le cosce che ora mi apparivano scoperte se pur nella lieve penombra provocata dalla gonna, erano veramente belle e provocanti. Affusolate e piene, dalla pelle nuda lievemente abbronzata, che alla vista sembrava di velluto morbidissimo. Il mio sguardo le frugò con enorme godimento mentre il mio affare si alzava prepotente. Lei mi sorrise e mi chiese quali erano i suoi compiti. Le spiegai brevemente in che cosa doveva aiutarmi e poi l’invitai a seguirmi in città, dove, nel salone di un magnifico palazzo barocco, si stava svolgendo il convegno.
Scendemmo al parcheggio, presi l’auto e, apertole lo sportello dalla mia posizione di guida, la feci sedere nell’attiguo sedile. Stavolta non rialzò la gonna come aveva fatto il giorno prima entrando nell’auto del padre. Se la lisciò sotto il sedere e si accomodò sul sedile, chiudendo la sportello.
Avviai l’auto e, durante il percorso, chiacchierando del più e del meno, le misi, come inavvertitamente, una mano sulle gambe. Lei restò immobile continuando a guardare davanti a sé. Solo un leggero brivido la percorse. Ma fu solo un attimo.
Procedendo mi feci più audace e le strinsi forte prima una coscia e poi l’altra, sempre sopra la stoffa della gonna che era così morbida da far sentire pienamente la loro polposità. Prima di arrivare al convegno, però, le avevo sollevato la gonna quel tanto da scoprirle le cosce e mi ero impadronito della loro pelle nuda che carezzai a lungo, fino a che, giunti a destinazione, ci ricomponemmo ed entrammo nel salone dove il convegno era in pieno svolgimento.
Sistemai Giulia al tavolo della stampa ed entrai nel salone dove il convegno si stava svolgendo. Avvicinai i relatori per avere copia dei loro interventi che riportai al tavolo della stampa dove li consegnai a Giulia. Continuai così per tutta la mattina, fino a che, giunti al break per il pranzo, portai Giulia con me al buffet dove assieme ai convegnisti facemmo le nostre consumazioni.
Siccome avevo già raccolto anche le copie degli interventi pomeridiani, ritenni che era inutile fermarsi ancora lì.
L’abbondanza dei cibi e i bicchieri di vino che avevamo bevuto avevano, man mano, prodotto in ambedue una eccitazione latente ma consapevole. In quanto alla mia, essa si manifestava nel trovare ogni minima occasione, durante il buffet, di toccare il corpo della ragazza, ora un braccio, ora un fianco, ora il collo, ora le spalle. Mi arrischiai, ad un certo momento, dopo essermi assicurato che nessuno ci osservasse, a lisciarle il culo che sentii sodo e morbido. Lei, che aveva bevuto parecchio ed era un po’ brilla, si vedeva che era non meno eccitata di me accompagnando i miei toccamenti appoggiando sulle mie mani la parte del corpo che io andavo toccando. Quando fu la volta del culo, lo spinse verso la mia mano e lo mosse leggermente. Fu a quel punto che le feci la proposta di andarsene via di lì per passare insieme il pomeriggio.
Essa aderì subito con entusiasmo. Così lasciato il salone del convegno, riprendemmo l’auto e ci avviammo. Le strade, a quell’ora meridiana e assolata, erano vuote. La città sembrava sonnecchiare mentre l’auto procedeva senza una meta precisa.
Giulia, appena salita in auto, aveva sollevato la gonna fino a scoprire tutto il culetto e l’aveva fatta risalire sulle gambe scoprendo gran parte delle cosce. Vagai lentamente per la città tenendo una mano sul volante e l’altra infilata tra le cosce di lei, assaporando la loro morbidezza, e facendola scendere lungo la loro inforcatura per sentire la base delle natiche, passandola, nel frattempo, lungo la leggera stoffa delle mutandine dove mi fermai sulla prominenza del pube. Essa muoveva il bacino assecondando le mie mosse e si faceva toccare senza dire una parola, ma con un piacere evidente che mostrava in un diffuso rossore sulle gote.
Dopo tutta questa serie di palpeggiamenti, ritenni fosse giunto il momento di continuare in un luogo più comodo. Così le proposi di andare al mio studio professionale. Essa non mosse ciglio, accennando solo con la testolina ad un silenzioso quanto gradito assenso.
A tutto gas mi avviai allo studio, dove, giunti, la invitai a sedersi sulla scrivania. Le sollevai la gonna e, dopo averle allargate le gambe, infilai il volto tra esse poggiando le gote sulla parte interna delle cosce. Lei poggiò le mani sulla mia testa e la spinse verso la loro inforcatura fino a che sentì la pressione della bocca sul suo pube. Le mie mani, intanto, si erano spinte fino a toccarle il culo, finché la invitai a voltarsi per mostrarmi le terga. Non si fece pregare, si girò e, con la gonna rialzata fino alla vita, dopo essersi sfilate le mutandine, mi offrì il suo culetto nudo.
Ai miei occhi estasiati apparvero i due globi delle natiche, rotondi come mappamondi, con il solco che li divideva in maniera perfetta. Vi affondai prima le mani e poi vi posai le labbra leccando la loro pelle morbida come un velluto prezioso.
A questo punto fu lei che prese l’iniziativa, chiedendomi di spogliarla tutta. Trafficai con la cerniera lampo che le stringeva la vita, fino a che la liberai dal vestito, accorgendomi che non portava reggiseno di modo che le sue tette troneggiarono sul busto eretto appena essa se ne stette seduta davanti a me sul piano della scrivania e offrì al mio sguardo un folto triangolo di peli, all’inforcatura delle cosce, il cui colore, simile a quello dei capelli, risaltava sull’abbronzatura del bacino nudo.
Restai prima a godere di quella splendida nudità percorrendone tutto il corpo con le mani vogliose e tremanti dal piacere. Poi lei si chinò verso di me facendo penzolare i seni davanti ai miei occhi, con un gesto evidente di offerta. Glieli presi tra le mani massaggiandoli lungamente e pizzicandone i capezzoli. La ragazza, ora, era come partita. Spingeva il suo corpo verso le mie mani chiedendo carezze sempre più pressanti.
In tutti questi frangenti la ragazza non accennò mai a spingere le sue mani verso il mio cazzo che sembrava esplodere, costretto nei pantaloni, per il piacere che provavo. Le teneva abbassate lungo i fianchi assaporando solo le mie carezze.
Non ricordo se, a un certo punto, il cazzo esplose veramente, sborrando dentro le mutande. Ricordo solo, che la cosa praticamente fini tutta lì.
Avevo goduto io e aveva goduto lei. Era tutto ciò che volevamo e avevamo ottenuto.
L’accompagnai a casa e la rividi solo per l’esame. Prese un bel trenta, perché finalmente si era decisa a studiare di più. Ma, forse, la ragione non era solo questa. FINE

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