Avevamo costeggiato il canale per un paio di chilometri, poi avevamo tagliato per un sentiero in terra battuta che si inoltrava tra i campi di erba medica.
Era stato bello per tutta la mattina, ma da mezzogiorno il cielo aveva cominciato a coprirsi e adesso le nuvole nere erano arrivate, trascinate da un vento fortissimo che costringeva Novella a tenersi il cappello di paglia con la mano mentre camminava al mio fianco.
Rivedere la compagna di giochi della mie estati in campagna mi aveva scombussolato, in un anno i capelli le erano cresciuti e aveva cominciato a portarli tenuti legati da un elastico, ma non erano i capelli la prima cosa che avevo notato.
Teneva i primi bottoni della camicetta aperta e sotto potevo vederle un reggiseno bianco che copriva la curva dei seni, la novità assoluta di quella estate. Portava una gonna corta a fiori e delle scarpe da ginnastica e prima ancora che cominciassimo la nostra passeggiata la elessi a mia ragazza delle vacanze. Il lampo squarciò il cielo fragorosamente, doveva essere caduto lì vicino, e in meno di un secondo goccioloni obliqui di acqua tiepida ci investirono costringendoci a correre verso il vecchio capanno di mio zio.
Ci trovammo dentro bagnati fradici e ansimanti per la gran corsa. Salimmo la scala a pioli e ci abbandonammo sui mucchi di fieno secco. Fuori si scatenò un nubifragio. Da una piccola finestrella guardavamo il cielo scurissimo come se fosse notte e i chicchi di grandine rimbalzavano sulle assi del tetto. Ridendo scacciammo la paura e Novella mi spinse nel fieno, era passato quasi un anno dal nostro ultimo combattimento e questa volta non gliela avrei data vinta tanto facilmente.
Ci avvinghiammo e ci rotolammo nel fieno e io sentivo addosso il corpo di Novella, e lo scoprii più morbido e leggero, e mi accorsi di un calore che non avevo mai sentito prima, e ebbi voglia di toccarla, e con la scusa della lotta le misi una mano sul seno, per spingerla via. Ero diventato più forte e potevo controllare bene le sue mosse, ma era divertente fingere di subire e mi trovai steso di schiena, con lei a cavalcioni che mi teneva giù la testa.
Con le mani le presi le gambe e risalii fino alle cosce, lei continuava a ridere e io non avevo nessuna intenzione di finirla lì, e risalii ancora fino a che dovetti giustificare in qualche modo quello che stavo facendo, allora le mollai un vigoroso pizzicotto sul sedere. Lei gridò e si ritrasse.
“Così non vale”. Disse.
“Tutto vale, non ricordi”. Dissi io.
“Mi hai fatto male, guarda”.
Sollevò la gonna fino ai glutei e scoprì le mutandine bianche e una macchia rossa che le avevo procurato. Lentamente avvicinai la mano e la toccai sul punto arrossato sfiorandola col palmo. Poi delicatamente la massaggiai. E mentre lo facevo sentii salire una vampata di calore e immaginai di essere rosso in viso e mi vergognai per i segni di eccitazione che non potevo nascondere sotto i pantaloncini.
“Scusa, ho esagerato”. Dissi.
“Non importa”. Disse lei con una voce strana, smorzata, che non le avevo mai udito prima. Non disse più niente e io mi sentii autorizzato a tenere lì la mano e a proseguire nel massaggio. Istintivamente, con l’altra mano, risalii tutto il corso della sua gamba, dal polpaccio all’interno del ginocchio, sull’interno della coscia fino all’attaccatura delle mutandine e la sfiorai, e sentii qualche cosa di caldo, e scesi un attimo e risalii ancora, e la toccai con più decisione e sentii che era umida, e non capivo nulla di ciò che stava succedendo e un calore enorme aveva invaso ogni parte di me, e deglutivo e lei non diceva niente e teneva gli occhi semichiusi e ormai non c’era più una ragione per stare lì a toccarla. E tolsi le mani.
“Va meglio adesso? “. Dissi.
Lei non disse niente, mi sorrise e si lasciò cadere nel fieno, stesa al mio fianco. Il temporale era passato, veloce come era arrivato. Dalla finestrella i nuvoloni neri correvano impazziti verso il mare scoprendo altre nuvole bianche, molto più in alto. FINE