Ho partecipato ad un esperimento che prevedeva l’osservazione e la conseguente descrizione, da parte di quattro simpatici narratori, di un atto sessuale della sottoscritta con un altrettanto simpatico partner di colore, scelto da una giuria di esperte.
Ecco il risultato.
Il convivio interrazziale
Lo vidi entrare, maestoso nonchè nero, e sedersi sul letto coperto da lana grezza e pungente.
Mi avvicinai a lui e lo guardai, tremante.
Balbettai qualche parola e chinai il capo, ubbidiente, per aprirgli, con le mie manine di ragazza
povera ed avvezza alle inquietudini, la patta dei pantaloni di ciniglia.
Egli mi osservava con alterigia, conscio della sua posizione di maschio dominante, quasi a voler dimostrare tutto il suo potere e volere.
E mentre pensavo:
“ma potere e volere cos’hanno a che fare con dovere e solere? “, dalla cerniera aperta venne fuori un gelatinoso vergone che accarezzai con lo sguardo.
Potevo immaginare soltanto la provenienza di quell’omone, la sua patria lontana, da cui, probabilmente, s’era distaccato con dolore.
Immaginavo i suoi avi, zompettanti tra miriadi di leoni e zebre ed aerei in forma di locuste.
Egli mi ordinò di renderlo felice a mezzo di un ingoio ed io lo feci.
Non ne fui felice, date le dimensioni dell’oggetto che andavo ad ingollare e, tuttavia, tra un “unmphf! ” ed un “omgh! “, sapevo che quello che m’aspettava era di gran lunga peggiore.
Sentivo il suo afrore afro-americano misto al profumo di limone verde che le mie mani, use ai lavori di pulizia delle stoviglie, emanavano.
Ad un tratto, mentre pronunziavo un “gasp! “, egli mi impose una posizione animalesca, in tal modo da potergli offrire le mie rotondità quanto più fosse possibile.
Era il momento più temuto, ma anche il più atteso.
Ripensai, per un attimo, alla mia esistenza, condotta tra il paesino arrampicato sul colle e le piane colme di erba fresca e rugiadosa, al tiglio secolare che mi vide, bambina, scoprire i rudimenti dell’amore, tra un pisellino e l’altro.
Mia madre, con gli abiti profumati di pane fresco, che dolcemente soleva dirmi:
“Troia! Puttana! Vacca! Bestia! Ti mozzico il culo! “.
Quanti ricordi.
Li contavo senza interruzioni di sorta (nè, tampoco, di sorca), a testimoniare quanto la vita sia ingiusta, triviale e volgare.
Smisi di contarli allorquando il nerone mi penetrò col fallo, senza fallo.
Sbarrai gli occhi e aprii la bocca in un accesso di stupore e dolore.
Dolore e stupore.
Egli stantuffava con ardore e perizia, quasi a voler fare scempio dei miei visceri attanagliati dal piacere.
Nel mentre, rammentai il campanile ottocentesco e la chiesetta di periferia; il prelato soleva frustarci con la stola, allorquando non ci inginocchiavamo come dovuto.
Ora quel campanile faceva su e giù tra le mie chiesette ed io mi rallegravo al dolce suono delle campane.
E, sbatti quà, sbatti là, arrivammo all’arrivo, venimmo all’avvenimento, giungemmo al raggiungimento.
Oh, somma felicità.
Si frega, si frega, finalmente! (resoconto di Centimetro Spermetti, attore e regista hard-core)
Io mi sentivo una gran puttanona, al solo guardare quel corpo nero e lucido che mi sovrastava di alcune spanne.
Il coloured mi prese tra le sue braccia possenti e mi gettò sul letto, coperto da lenzuola di seta, nere.
Dalla mia posizione di troiona, potevo vedere il suo cazzone che si avvicinava pericolosamente alla mia boccuccia rossa.
Mi spinse il pisellone tra le labbra e io non potei far altro che accoglierlo.
Mi raggiunse la gola con un colpo ben assestato e mi affogò con forza e decisione, tanto che io non potevo respirare granchè bene.
La sua faccia esprimeva voglia rabbiosa, mentre la mia esprimeva soltanto pietà.
“Pietà! Pietà, per queste mie mascelle slogate, pietà per questo mio cuore infranto! “, questo pensai.
Ma riuscii solo a dire
“Aghlàghlà, ghlàghlà, glub! “.
Lui non se ne preoccupò più di tanto.
“Dài, dài, ciuccia, ciuccia! ” gridava il mio padrone e io davo, davo, ciucciavo, ciucciavo.
In un attimo mi ritrovai piegata alla pecorina, col mio culo offerto alle sue prepotenti voglie di maschio.
Ogni chiappa poteva stargli tutta in una mano.
Che forza! Che potenza!
Che tarello! Un colpo secco e la mia fica si squartò.
Gridai per il dolore ed il piacere, sentendomi finalmente donna, sotto le grinfie di un maschio voluttuoso e incazzato.
Ma lui non si accontentò e, facendo finta di sbagliare canale, mi sfondò anche il culo, favorito dalle secrezioni vaginali del mio corpo bagnato e, tuttavia, assetato di liquidi organici di qualunque tipo.
Alla fine mi puntò il ciucciotto di liquirizia alla faccia e mi inondò con un interminabile getto di sperma giallognolo, bollente e filamentoso, come le sottilette kraft.
Che scopata, ragazzi!
Nero è bello (resoconto di Scolastica Pizzaballa, maestra di danza e votata al sublime)
L’eburneo omaccione si stagliava minaccioso in su le mie terga gentili.
Fummo entrambi sul talamo coverto da chiffon bleu, ove risaltava la perlacea bianchezza della mia epidermide sitibonda di carezze.
“Dolcissimo ben mio”, mi apostrofò,
“angelico sembiante, prendi, come inaridito tronco, lo mio augello e sii lo foco che lo incende”.
A quelle dolci rime non potei altro che slappare, con ardimento, fierezza e noncuranza, lo dolce ramo d’amor che lui m’offriva.
Oh, laceri vestigi le mie labbra allorchè li muscoli orbicolari furon testati all’impazzata da cotanta nobile possanza.
Qual piuma al vento elli m’abbrancò e mi pose in guisa d’agnellino.
E furon canti e controcanti, cazzi e controcazzi, infino al disiato tormento ch’amor non deggia mai negarci. Deh!
Qual portento fu quel pezzo d’uomo.
Schizz schizz cò ‘sto cazz (resoconto di Johnny Esposito, barbiere in Napoli e avanguardista convinto)
“AAAAAAAAAARRRRGGGGGGHHHHHH! Ammazza che mazza! ” dissi guatando l’ominide neroide cilindroide che mi si parava davanti ai denti.
Il grilletto sgrillettava lucente luccicante bagnato e dolorante e pregava si chiavasse in fretta causa mirabile notabile dimensione uccello uccellagione sono contraria alla caccia alla beccaccia al pitone e al godzillone.
Sul lettone furon coperte di velluto.
Magara ci fosse stato l’alcantara pensai pensando alla lancia thema che non trema se vi ci scopi si ci vi.
Come fiera con la preda sotto il dente e sopra il vestito niente l’improvvisa improvvisata di corpi cavernosi e cavernicoli colanti pencolanti brancolanti nel buio di palato sopraffino fino in gola me l’hai messo eccheccazzo stai più attento.
L’oscuro figuro mi squadrò a muso duro e usò perizia allorchè intonsa mi tonsillò tonsille già recise per fortuna.
Mi portò fin sulla luna poi mi disse
“Ciao, che ne dici di ‘sta sequoia? “.
“Preferisco il baobab”.
A quelle criptiche parole Ali Baobab mi schizzò nella cripta 30 centimetri di criptoblastoma in perizoma.
“Ahia! Facci piano la prego! ”
“E io la frego se consente! ”
“Le consento ma dissento”
“E io la scopo senza scopo”.
Detto questo mi pose in posa di ovino bennutrito culo all’aria e aria al culo
“Che puuuuuuuuuzza! ” affermò.
Confermai. Mi penetrò.
Lo avvolsi. Cantai: cielo a pecorinaaaaa pioggia di collinaaaa.
“Ti piace Baglioni? ”
“Ma nun me rompe li cojoni” gridò in un accesso d’ira l’omaccione in liquirizia.
“Non è ora di mestizia! ” disse giochicchiando col mio corpo a mò di bambola gonfiabile gonfiata enfiata
“e ‘n fiato nun mò potevi dà? ” risposi faccia a terra e chiappe al cielo.
“Mo te sfonno e t’aritonno! ” replicò aulico e stràufico mentre il pennuto sfrigolava in strafica raggiante e cazzeggiante.
Fumavo oppio dalle tube di Falloppio.
Che sballo che viaggio!
Ciullo d’Alcamo fanciullo fanciullava ciulava e sfanculava sua sponte rosa fresca aulentissima in forma di tricchebballacche isterico e budinoso. !
La sgnacchera gongolava a piacimento e a bolontate ma pria che venga state vieni tu che mi piace di più.
“Bubù, sèttete! Mèttete a riposo che te spruzzo ‘n po’ de robba” disse in stile romanico col manico nel rosone sprizzando gioia dal dotto spermatico ieratico e poco pratico se lo annodi attorno al pipillo.
L’epididimo disse e dicette
“Fammi schizzare sulle tette! “.
“Sulle tette proprio no! Porco Giuda, non ci sto! “.
Ma lui ansante replicò
“Nacqui e ti conocqui, ma tu mai mi si concessi”.
Che parole!
Che poesia!
Che prosa mentr’ero a prosa!
Fui fritta in olio di semi d’inseminazione.
Con mossa felina ferina mi portò nella cucina ove soffriggemmo ulteriormente patatina tagliata a grandi e piccole labbra.
Uggiolando come cagnetta in calore o vuoto d’aria in calorifero apritti il frigofichero e gli offritti soffritti e marmellata.
Che mi venga un coccolone se non era un pisellone.
E pisellone fu somigliante a putipù.
In realtà le cose sono andate diversamente.
Sono ancora viva e mi sono anche divertita.
è questo quello che conta. OK. Fine.
Nota (auto)critica: per la parte relativa al resoconto del regista hard-core ho dovuto ispirarmi a cose che ho letto girovagando per il web.
Chiedo scusa se non è proprio calzante.
Ah, quasi dimenticavo.
Se qualcuno si eccita leggendo questa roba, allora è il caso che consulti uno psichiatra… (lo dico alla fine, così non ci si può preparare ad evitare la figuraccia; tremenda, anche se si è soli soletti in casa propria). FINE