Era un ambiente dove l’erotismo era palpabile nell’aria. Allieve, numerose e disinibite, la maggior parte in minigonne mozzafiato, sfrecciavano nei corridoi, entravano e uscivano dalle aule, si aggruppavano in quelle di disegno del nudo dove modelle e modelli dai corpi perfetti venivano riprodotti nei loro album nelle pose più svariate. I maschi erano in minoranza, non solo numerica, nel senso che quel mondo era di fatto governato dalle donne, peraltro rappresentate anche nella direzione dell’Accademia, affidata ad una professoressa tanto terribile nel suo ruolo quanto bellissima nella figura, ben modellata ed esuberante, vestita sempre alla moda con un tocco sapiente di raffinato sex appeal, sfoggiato in gonne con spacco o corte quanto bastava a mostrare le sue splendide gambe oppure in camicette di stoffa così leggera e trasparente sotto corte giacche di tailleur che non lasciavano molto all’immaginazione, tanto erano evidenti i suoi ridottissimi reggiseni.
Era per me un piacere stare in quest’ambiente che frequentavo quando vi erano carte da firmare o decisioni da prendere con il consiglio di amministrazione. Spesso, però, vi andavo per incontrare la direttrice, per motivi di istituto, certo, ma, diciamolo pure, perché molte volte creavo io stesso l’occasione. Per la verità, dopo pochi mesi che ero presidente, mi accorsi che la direttrice sollecitava spesso gli incontri trovando motivi che a prima vista mi sembravano futili.
Ma quando lei, dopo avermi fatto accomodare sul divano prospiciente la sua scrivania, si sedeva sulla poltrona lì accanto e, con fare disinvolto, accavallava le sue splendide gambe facendo risalire la gonna ben oltre la mezza coscia, la futilità dei motivi se ne andava a carte quarantotto. Il mio sguardo passava dal suo viso, incorniciato da una cascata di riccioli biondi, alla scollatura della sua camicetta trasparente che lasciava intravedere nettissimo il suo solito reggiseno ridotto al minimo che copriva appena i capezzoli di un paio di seni che ne trasbordavano le rotondità succose come quelle di due deliziose pesche mature che non chiedevano che di essere colte con mani tremanti dall’eccitazione. Ma poi lo sguardo non poteva non fermarsi sulle magnifiche cosce che esibiva con estrema naturalezza, come se la loro visione fosse cosa connaturata con il suo comportamento verso l’ospite che le stava davanti.
Apprezzavo molto questi incontri per il godimento che essi mi davano, ma per la verità, il mio pensiero andava alle giovani allieve, piuttosto che a lei. Non per la sua età, non giovanissima (poteva avere meno di una quarant’anni e presentava una figura molto attraente), ma non si può pensare che, esperiente di compagne di giochi eccitanti come le mie allieve, indirizzassi le mie attenzioni a lei, per quanto piacente, invece che alle allieve dell’istituto che tanto diligentemente dirigeva.
Per cui, uscito eccitatissimo da quegli incontri, vagavo per i corridoi e per le aule con la scusa di controllare l’andamento dell’istituto, ma invero per guardare le cosce delle allieve tanto abbondantemente esposte in tutte le pose.
Un gruppo di loro, quando entrai in un’aula mentre si svolgeva la lezione, mi guardò di sottecchi ridacchiando. Ero molto incuriosito di sapere che si dicevano, fino a che una di esse, uno dei giorni successivi mi si accostò, si presentò come Veronica e mi chiese se le potevo dare alcune spiegazioni di fisica, materia, come le era stato detto, che insegnavo nel mio centro.
Acconsentii con piacere, specie guardando le sue cosce polpose che sbucavano prepotenti dall’orlo di una minigonna cortissima, e le diedi l’indirizzo del mio studio, dandole appuntamento per la stessa sera.
Quando, la sera, si presentò allo studio, la feci accomodare su uno sgabello davanti alla mia scrivania. Portava un maglioncino aderente che premeva su due tettine deliziose che sballonzolavano ad ogni suo movimento. La gonna, come al solito, era cortissima e scopriva le cosce nude. Il suo viso era incorniciato da un caschetto di capelli nerissimi e due occhietti verdi e maliziosi bucavano il breve spazio che ci divideva. La bocca ben disegnata e dalle labbra sensuali scopriva, mentre parlava, una fila di dentini bianchissimi tra i quali faceva spesso saettare la punta della lingua color rosa pesco.
Aprì il libro di fisica sulla scrivania e, chinandosi, mi indicò l’argomento che le era poco chiaro.
Sentii il suo profumo di violetta sul mio volto, mentre lei sporgeva il busto verso di me e mi guardava fissamente negli occhi. Un po’ imbarazzato le spiegai per bene l’argomento, tanto che, alla fine, essa parve soddisfatta. Poi chiuse il libro, girò attorno alla scrivania e, pure lei, si sedette sul bracciolo della poltrona.
Il suo busto era ora accanto al mio viso e la forma delle tettine era netta sotto il maglione. Le chiesi se non portasse reggiseno. Con una gran faccia tosta mi sfidò a verificarlo. Non mi feci scrupolo di farlo subito, così infilai le mani sotto l’indumento, lo rialzai e scoprii due tette, non grandi, ma ben fatte, rotonde e sode come mele mature, con i capezzoli puntuti ed erti per lo sfregamento che avevano fatto con la lana del maglione, pronte ad essere afferrate e carezzate. Cosa che feci, prendendo nelle mani a coppa le due piccole poppe dalla pelle nuda deliziosamente morbida come seta e cedevole come cuscini di piume. Pizzicai a lungo i capezzoli con una mano, mentre poggiavo l’altra sulla coscia più vicina che stava sotto il mio naso.
Il tocco della pelle nuda della coscia mi eccitò almeno quanto mi eccitava smaneggiare il suo seno, ma, ormai l’avrete capito, erano le cosce che desideravo, e le avevo ormai a portata di mano. Così, abbandonati i capezzoli, portai anche l’altra mano sulle cosce. L’orlo della gonnellina si era rialzato fino alla vita scoprendole fino alla loro inforcatura. La loro pienezza perfetta nella forme affusolate e la setosità della loro pelle nuda sotto il tocco delle mie mani che vi spaziavano sopra, mi riempirono di piacere. Uno slip sgambatissimo copriva appena il monte di Venere che premeva sulla stoffa leggera e tirata, rivelando chiaramente la fessura del sesso sopra la quale traspariva un striscetta di peli nerissimi, con un effetto così arrapante da darmi dolore all’inguine dove il cazzo inturgidito dai piaceri che stavo provando premeva sulla patta chiusa dei pantaloni.
Feci alzare Veronica dal bracciolo prendendola per la vita. Poi le sfilai il maglioncino dalla testa. Restò così in piedi a torso nudo con le tettine erette sul busto, mentre io, girata la poltrona verso di lei, la spingevo all’interno della mie gambe che tenevo divaricate. Le cosce scoperte dalla esigua lunghezza della gonnellina erano ora vicinissime al mio viso, che si infilò subito tra di esse mentre le prendevo all’esterno con le mani.
La sensazione di tenere le gote appoggiate all’interno delle cosce e le mani a carezzarne l’esterno era la cosa più piacevole ed eccitante che quella sera avevo fino a quel momento provato. L’eccitazione si accrebbe quando portai le mani sul culo, alto, sodo e morbido come … come … , ma che paragone può farsi per descrivere il culo di Veronica? C’è un modo popolare delle mie parti: culo imperiale.
La feci girare e le rialzai la gonna per ammirare ciò che stavo toccando. La visione del culo era, in eccitazione, almeno pari ai toccamenti che vi praticavo con grande vigore.
Due globi rotondi con un delizioso solco appena coperto dalla stoffa dello slip mi stavano ora davanti agli occhi che non si stancavano di seguire le mosse delle mani che massaggiavano la loro pelle nuda. L’impulso fu quello di accostare le labbra a quelle nudità esposte in tutta la loro grazia e perfezione. Le baciai più volte, soffermando le labbra sulla pelle calda e invitante, mentre dedicavo le mani ad altre piacevoli mosse, quali quelle di infilarsi dentro lo slip sul davanti e poggiarle sul monte di Venere a cercare la fessura del sesso frugando tra la peluria del pube.
Veronica a questa ultima mossa reagì rigirandosi verso di me, sfilando la gonna dai piedi e infine sfilando anche lo slip, restando completamente nuda davanti a me, mentre un malizioso sorriso le accendeva le labbra.
Restai, prima, a guardarla lungamente tenendo le gambe divaricate e distese in modo che il suo corpo stesse al loro interno per assaporare quella vista così eccitante. Le braccia distese lungo i fianchi, il busto eretto dal quale sporgevano le tette, il pancino che si incavava su un piccolo ombelico, i fianchi pieni e arcuati che proseguivano in basso con la parte alta delle cosce, la striscetta di pelo nero sul monte di Venere che terminava in basso sulle labbra della fessura semiaperta del sesso, le cosce che da qui si dipartivano affusolate e piene fino alle rotondità delle ginocchia, due polpacci ben delineati che scioglievano le loro curve in due caviglie sottili su due piedini scalzi. Questa era Veronica, nuda e disponibile. Tutta per me.
Mi alzai, feci scorrere la lampo sulla patta dei pantaloni, li abbassai sulle caviglie, abbassai le mutande e misi in mostra finalmente libero un gran cazzo ritto come un’asta, turgido e duro come un cetriolo.
Veronica lo guardò e si leccò le labbra. Poi si distese su un divanetto che stava accanto alla scrivania con le cosce divaricate in un atteggiamento di fferta che mi eccitò ancora di più. Mi distesi su di lei e poggiai l’asta del cazzo sul suo monte di Venere, mentre infilavo prima due dita e poi, trovandola cedevolissima, addirittura tre, nella vagina che si apriva sempre più a quelle piacevoli introduzioni. L’interno dell’organo era sempre più cedevole e umido. Il clitoride si era rizzato come un piccolo cazzo. La caverna del sesso apriva le sue fauci assetate mentre il mio cazzo premeva e strusciava sul monte di Venere.
Veronica mi afferrò le chiappe denudate e vi affondò le dita mentre spingeva con forza il bacino sulla mia erezione, dura come ferro, che si appoggiava sul suo sesso, fino a che, diresse le mani sul mio cazzo, lo prese fermamente e lo portò dentro di lei.
Venni immediatamente sfogando finalmente l’eccitazione che sin dall’inizio della serata mi aveva preso i sensi fino a farmi stordire. Ritirai, però, subito il membro sborrando sulla sua pancia. Non sapevo infatti se lei si era premunita. Veronica non se ne dette pensiero, tanto era ormai eccitata, e mi seguì con un orgasmo che la scosse tutta.
Quando, dopo una sommaria pulizia nel piccolo bagno dello studio, ci rivestimmo, Veronica mi gratificò di un bel “bravo! ” e confessò ridendo che aveva goduto come non mai. Ma nello stesso tempo aveva vinto la scommessa che aveva fatto con le amiche. “Quello lì me lo faccio” aveva detto quando ero entrato nell’aula. Ecco cosa si dicevano mentre parlottavano!
Ci continuammo a vedere, qualche uscita insieme, un cinema, una passeggiata, una partita di pallamano, dove giocavano delle sue amiche (che si guardò bene dal presentarmi, nel dopo partita, visto come ne guardavo voglioso le cosce), la festa di fine anno della scuola.
Qui per poco non venni alle mani con uno dei professori che le faceva una corte spietata. L’aveva invitata a lavorare da lui (era un architetto) come disegnatrice ma, di fatto, la voleva in studio per guardarle le gambe. Proprio così! Me lo raccontò lei ridendo come matta. Pensate che la faceva sedere su uno sgabello davanti al tavolo da disegno, le assegnava il compito da eseguire, poi, non ci crederete, lui si sedeva per terra e se ne stava beatamente a mirarle le cosce che Veronica, con le sue gonne cortissime, esibiva con grande naturalezza. Dopo un paio di questi episodi, Veronica si era scocciata, tanto più che essa non aveva alcun interesse alla cosa, e non era andata più allo studio. Preghiere, suppliche, minacce, non poterono nulla.
Quando, poi, la vide con me a quella festa gli venne come una furia, provando a insultarci davanti a tutti. Dopo una mia istintiva reazione, presi per
un braccio Veronica e me la portai in macchina lasciando la compagnia.
Ci recammo nel mio studio, eccitati ambedue dall’episodio, ma di più io per il suo abbigliamento a dir poco provocante, con la mini ancora più corta del solito, due cosce al vento abbronzatissime e invitanti, una maglietta corta sulla vita che lasciava scoperta la pancia e aderentissima sui seni che sembravano bucarla con i capezzoli. Qui giunti, la stesi sul divanetto, le alzai quel poco di gonna che portava e le sfilai rapidamente le mutandine, mentre lei mi tirava giù la lampo dei pantaloni e tirava fuori il mio cazzo eretto come una torre. Me ne stetti in piedi davanti a lei, mentre si sfilava la maglietta e scopriva le tette, non sapendo da dove cominciare a toccarla e carezzarla. Decisi per le cosce, che, ormai è chiaro, sono la mia principale passione. Mi avvicinai e, mentre lei si impossessava del mio cazzo, sbatacchiandolo a destra e a manca, le afferrai le cosce sollevandole verso di me per prenderle dal di sotto, che, credetemi, è la parte migliore. Chinai il volto verso la loro inforcatura e lo affondai tra esse con la bocca che frugava tra la peluria del pube. Al mio gesto, lei lasciò il cazzo e con le mani mi arpionò il sedere, entrò con le dita dentro il solco delle natiche e si mise a giocare con l’orlo del mio buchetto, scendendo poi verso i testicoli e infine tornando a prendere, stavolta dal di sotto, il cazzo che vibrava ad ogni suo successivo toccamento. Un bel giro, non c’era che dire!
Non mi dilungo oltre. Facemmo l’amore, stavolta completamente perché lei mi aveva detto che si era premunita.
Veronica, dopo il diploma, se ne partì per frequentare la Facoltà di Architettura in una città del Nord.
Sempre in quella scuola avevo conosciuto Gloria , ne avevo notate le forme piuttosto pienotte, specie nelle cosce che sbucavano dalla mini che era considerata come una divisa da parte di tutte le allieve. Non ricordo come la convinsi facilmente a passare insieme una mattinata al mare di Taormina.
L’andai a prendere alla pensione che l’ospitava restando a prima vista un po’ deluso dal suo abbigliamento. Portava, infatti, un paio di jeans e una maglietta. Quando si sedette accanto a me in macchina, però, dovetti ricredermi non poco perché i jeans aderivano talmente alle sue gambe da sembrare vere e proprie calze, tanto che le cosce mostravano per intero la loro pienezza fino alla inforcatura, dove la stoffa tesa sul monte di Venere si infossava deliziosamente mostrando con estrema evidenza la fessura del sesso. Quasi quasi, pensai erano meglio di una mini che, in fondo, non mostrava tutto come quei jeans.
Passai gioiosamente le mani sulla stoffa dei jeans assaporando la pienezza di quelle cosce e mi soffermai sul pube. Quando sentii l’eccitazione crescere oltre misura, rimisi le mani sul volante e partimmo.
Appena si esce dallo svincolo autostradale sulla statale, un rettifilo costeggia la spiaggia di Spisone, dove altre volte mi ero recato in buona compagnia a fare il bagno. Era d’abitudine spogliarsi in macchina. Lo facevano tutti senza alcun fastidio e lo feci anche in quella occasione invitando Gloria a farlo anche lei. Mi sfilai pantaloni e mutande rimanendo un attimo con l’inguine nudo. La ragazza, che aveva cominciato la stessa operazione, sfilandosi i jeans e rimanendo in mutandine, si fermò e guardò di sottecchi quel mio bel cazzo già tutto allungato per lo stimolo latente che avevo provato durante il viaggio quando ogni tanto poggiavo una mano sulle sue eccitanti forme, che non si fermavano alle cosce.
Anche il seno, infatti, non era disprezzabile, specie se costretto da una maglietta come quella che portava e che non lasciava nulla alla immaginazione, tanto era reale e corposo. Completava il tutto un visetto grazioso e piacente, con due occhi vispi e una boccuccia che non chiedeva altro che di essere baciata.
Dopo questo piacevole intermezzo, mi infilai il costume, mentre lei faceva lo stesso dopo essersi sfilate le mutandine, facendo apparire, per molto più di un attimo, un delizioso cespuglietto di peli tra le cosce nude.
Messi in un borsone i nostri vestiti, ci avviammo sulla spiaggia poco affollata. La feci passare avanti per mirarla meglio vestita solo del costume da bagno, intero ma scosciato e molto ridotto. Il culetto restava così ampiamente scoperto e le chiappe ballavano una eccitante danza mentre essa si muoveva per raggiungere la riva. Qui si fermò, stese un telo di spugna e vi si adagiò mollemente a pancia in su. Ritto davanti a lei potei così fissare con comodo due poppe grandiose che la profonda scollatura del costume lasciava quasi del tutto scoperte, nascondendo alla vista appena i capezzoli, che, però, apparivano evidenti premendo sulla leggera stoffa dell’indumento.
Il mio organo cominciò a fare le bizze, per cui, per calmarlo un poco, entrai in acqua, invitando la ragazza a fare lo stesso. Lei non si fece pregare e mi seguì. La presi per mano e ci inoltrammo nel mare fino a che ci sentimmo galleggiare nell’acqua. Prendemmo a nuotare verso il largo rincorrendoci con lunghe bracciate, fino a che, ad una buona distanza dalla riva, ci fermammo.
Mi avvicinai a lei e l’allacciai per la vita, mentre spingevo il bacino verso il suo inguine. Lei rispose mettendomi le mani sul culo e porgendo le labbra a un bacio frenetico.
Abbassai le mani sul suo culo, palpeggiandolo con vigore. Poi le presi le cosce dal di sotto e gliele alzai fino alla mia vita. Infilai quindi le mani sotto il costume per prenderle la fighetta, in un insieme di movimenti che, fatti nell’acqua erano rallentati, ma non per questo meno graditi ed eccitanti.
Sentii il suo sesso immerso nell’acqua aperto e disponibile. Vi infilai un dito e lo feci scorrere avanti e indietro. Lei si inarcò vibrando di piacere e riprese a baciarmi saettando la lingua dentro la mia bocca.
A questo punto, le abbassai le spalline del costume e con la mano libera dal titillamento del sesso mi impadronii, a uno a uno, dei suoi seni, mentre lei infilò le mani sotto il mio costume e, dopo avermelo abbassato sulle anche, si impossessò del cazzo in totale elevazione stirandolo e torcendolo fino a farmi male.
Nessuno dalla spiaggia, peraltro lontana, poteva immaginare quello che stavamo combinando. Ma se pure lo avesse immaginato? Fatto sta che, ormai eccitatissimi ambedue, avremmo voluto unirci là nell’acqua. La cosa era possibile, con una buona dose di equilibrismo. Ma il fatto era che volevamo solo un comodo letto. Così decidemmo, intanto, di tornare a riva, dove con poche vigoroso bracciate arrivammo non so se più esausti per il nuoto o per i giochi erotici che avevamo intrattenuto.
Ci stendemmo sulla rena per asciugarsi al sole sotto gli occhi di una coppia vicina che non ci toglieva gli occhi di dosso. Lui, un ragazzo molto aitante, fissava con evidente compiacimento le forme di Gloria che risaltavano come se fossero nude, per l’aderenza al corpo del leggero costume ancora bagnato. Lei, una biondina niente male, con un prendisole dalla gonnellina molto corta, attirava la mia già eccitata attenzione sulle cosce ben fatte.
Quando sentimmo che i nostri costumi si erano asciugati, riprendemmo il borsone con i vestiti e ci avviammo alla strada infilandoci subito nella macchina. Qui ci rivestimmo rapidamente e prendemmo velocemente la via di casa.
Gloria, appena in autostrada, tirò giù la lampo dei suoi jeans, ne aprì la patta e li abbassò sulle ginocchia. Mi accorsi allora che non si era rimesse le mutandine, cosicché apparve il suo inguine nudo con un incantevole ciuffo di peluria. Distolsi subito una mano del volante, rallentando l’andatura, per poggiarla su di esso e sentire nel frattempo la freschezza e la rotondità delle sue cosce.
Giungemmo finalmente in città, dove in una rosticceria comprai un pollo arrosto, dirigendoci quindi alla sua pensione. Seguii Gloria, che intanto si era ricomposta, ed entrai nella sua cameretta. Ci spogliammo dei nostri vestiti e nudi e in libertà ci sedemmo sul letto a gustare, assieme al pollo e ad una fresca bottiglia di vino, le nostre nudità esposte per il nostro piacere.
Il mio cazzo turgido e ritto per l’eccitazione faceva mostra di sé durante il pasto e attirava l’attenzione della mia compagna molto più del pollo che stava mangiando. Così, ad un certo punto, lei posò sul tavolo quello che restava ancora e si distese supina sul letto a gambe divaricate con un gesto di offerta che mi estasiò.
Lasciai perdere il cibo e, allargatole le cosce, dopo che lei mi aveva assicurato che potevo andare tranquillo, la possedetti sfogando nel suo sesso
tutta l’eccitazione che per tutto quel giorno aveva pervaso i miei sensi. Essa non tardò a venire tra ansiti gioiosi di piacere.
Anche Gloria scomparve subito perché eravamo alla fine dell’anno e, preso il suo diploma, non la vidi più.
La Scuola d’arte non era solo vetrina di belle ed eccitanti allieve, era anche campo di gioco di non meno avvenenti ed esperte giovani docenti. Due assistenti, in particolare, attiravano la mia attenzione. Una, dai lunghi capelli castani che le ricadevano sulle spalle, quasi sempre nude per le particolari scollature che portava, mi intrigava per la formosità del corpo accentuata dagli abbigliamenti che mettevano in mostra due splendide cosce da infarto. L’altra, più sottile e aggraziata ma sensuale nel portamento, gareggiava con la prima nel mostrare alla minima occasione un paio di cosce tonde e affusolate che facevano strabiliare i pochi uomini, allievi e docenti, che vi posavano gli occhi. FINE
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