Inquietudine giovanile

Lasciò ricadere il giornale: ripensò alla storia di cui aveva parlato tutto il paese e che addirittura una “penna” malevola e pettegola aveva trovato il modo di riproporre attraverso le colonne del giornale locale, camuffandola in terza pagina con le vesti di una vicenda romanzata , riflettente un classico spaccato di vita di provincia.
Il tema- volendo – poteva considerarsi anche “classico” e , quindi, tanto sfruttato da essere “banale”: la professoressa a metà degli anni quaranta che s’innamora pazzamente dell’alunno e si lascia travolgere dalla sconvolgente passione che l’attraversa.
Eppure il fatto era lì, poteva ben dire, a pochi metri da casa sua e “le voci”, quali di falsa comprensione, quali decisamente crude e riprovevoli, quali ipocritamente scandalizzate, quali addirittura fantasiose , quali accortamente pudiche.. ma solo per riferire di fatti ed episodi pepati……. , avevano attraversato con maggiore intensità il vicinato per poi disperdersi lungo tutte le vie della città, raggiungendo la periferia senza perdersi di forza ma trasformandosi ciascuna per quanto le veniva aggiunto da ciascuna bocca.
Era stanca e vagamente annoiata, quasi indispettita di essersi lasciata trascinare dalla curiosità di leggere sul giornale la vicenda di “Rita” , così si chiamava la professoressa, presentata come una “storia” fantasiosa di uno scrittore di belle speranze .
Si sentì annoiata ed indispettita, non tanto offesa da quanto aveva letto ma indignata per quanto di banale e di volgare era stato offerto allusivamente in pasto alla gente ed ancora quasi denudata e violentata, tradita soprattutto nel suo intimo ed in quello che aveva vissuto, appena qualche anno prima.
In realtà sentì come se la sua stessa storia , così inspiegabile anche a se stessa, era stata presentata come una volgare passione di una donna vogliosa di virile vigoria giovanile e di un giovane travolto dalle sue “magiche arti amorose”.
Nulla che potesse far comprendere quello che realmente era accaduto da quel giorno in cui un maledetto temporale le aveva fatto incontrare Lualdo, bagnato come un pulcino ed infreddolito, sotto l’atrio del palazzo ove abitava.
Lo conosceva da tempo, fin da quando ragazzino frequentava casa sua ove si accompagnava a Marcello, il figlio della sua dirimpettaia che aveva visto , come suol dirsi, crescere e che spesso aveva frequentato , proprio con Lualdo, casa sua ora, quando piccolini, alla ricerca del fatidico biscottino, poi anche per farsi spiegare qualche regola di aritmetica o di geometria.
Aveva invitato Lualdo a seguirla in casa, offrendogli quanto meno di asciugarsi un po’ e di sottrarsi all’azione incalzante di un vento gelido e tagliante che spirava a folate intermittenti ed improvvise.
Tutto le ritornò alla mente come se si ripetesse di nuovo : il tremore del giovane, i suoi occhi vivi e lucidi, i capelli appiattiti dall’acqua e ripiegati sulla fronte, i pantaloni incollati alle cosce ed il maglioncino che aderiva ad una camicia a sua volta interamente bagnata.
Lualdo telefonò a casa perché qualcuno lo andasse a prendere ma non ottenne risposta.
Fu allora che , non avendo abiti maschili da offrirgli, lo invitò a recarsi nel bagno per liberarsi degli abiti bagnati ed asciugarsi offrendogli di sostituirli con un accappatoio.
Lualdo oppose un diniego di cortesia ma resosi conto che non poteva ulteriormente sostenere quella condizione di disagio , sia pure con imbarazzo ed incertezza malcelati, accettò.
E tutto avvenne nel modo più banale e semplice possibile.
Erano sul divano, ben distanti l’uno dall’altro ad attendere che qualcuno della famiglia di Lualdo rispondesse al telefono, ed ingannavano il tempo parlando delle problematiche giovanili e delle attese spesso deluse vuoi dei genitori che degli stessi giovani, dell’evoluzione che aveva portato gli uomini e le donne ad essere molto più vicini ad una reale possibilità di vivere un rapporto solo amichevole e privo di equivoci quando…. improvvisamente le luci si spensero e dopo un attimo un boato tremendo fece quasi tremare le cristalleria di casa mentre i lividi bagliori della luce di un fulmine illuminò l’ambiente e loro stessi trasformando tutto in immagini al negativo.
Serpeggiò una strana atmosfera di paura, sembrava di respirarla nell’aria , di toccarla ogni qualvolta allo squarcio improvviso di quella luce blu ghiaccio, degradante verso uno strano grigio acciaio, seguiva un fragore assordante che investiva le mura della casa, gli arredi ed i loro stessi corpi .
Non furono tante neanche le parole.
“Hai paura? ” chiese a Lualdo, che, dopo qualche attimo di silenzio, con una voce che appena nascondeva lo sforzo per superare la vergogna, le rispose “Si, ho paura e ne ho avuta sempre durante i temporali , a tal punto che….. ” e s’interruppe.
“Che … cosa? Dillo… ” insistette lei
“Che – riprese Lualdo- se sono a casa mi rifugio tra le braccia… di mia madre”
Non seppe resistere, ancora oggi non sapeva spiegarlo, gli si avvicinò e senza dire una parola lo cinse con un braccio e, vincendone una lieve riottosità, gli accostò il capo nell’incavo del suo collo, carezzandogli una guancia e parte dei capelli ancora umidi.
Non ebbe immediatamente la percezione del suo corpo se non dopo averne avvertito il calore.
Un nuovo bagliore la fece istintivamente serrare ancora di più al giovane il cui sospiro nervoso ed inquieto fu ricoperto dal rotolio di un boato lontano .
“Passerà presto – disse con una voce che non le parve la sua- non temere…. si sta allontanando”
Gli occhi si erano abituati all’oscurità, la luce tenue che dall’esterno ancora penetrava disegnando per grandi linee i profili dei mobili e delle loro figure le consentiva d’individuare le cosce del ragazzo non ricoperte dall’accappatoio, scivolato di fianco ed il bianco dello slip, che le apparve piuttosto rigonfio.
Sentì una profonda tenerezza pervaderla tutta, il corpo del giovane , per quella parte che le aderiva, le trasmetteva un senso benefico di quiete e di tepore: le venne istintivo di baciarlo sulla fronte e…. senza pensarci lo fece.
Fu allora che sentì la coscia di lui spingere contro la sua ed una mano poggiarsi su di un ginocchio e le dita giocherellare con l’orlo della gonna e l’inizio del suo interno. Lo ribaciò nuovamente, ma questa volta poggiò le labbra dietro l’orecchio e vi stette a lungo mentre la mano di lui iniziò a risalire lungo la coscia trasmettendole un brivido di piacere che, quasi in risonanza, si trasferì al basso ventre come uno spasmo incontrollabile.
Strinse le cosce, avvertì il dorso della mano del ragazzo, che l’inarcò irrigidendola, quasi a volerle impedire di serrarla e di fermarla.
Decise di lasciarsi andare e con le labbra gli cercò la bocca ove insinuò la sua lingua che s’incrociò con quella di lui, che sembrava non aspettare altro.
Non una parola. Non un tentativo. E , poi, per dire cosa? Sembrava che nessuno dei due fosse meravigliato, sembrava che per nessuno dei due fosse il loro primo incontro.
Decise di sentirlo e lasciò scivolare la mano sullo slip, ne avvertì l’erezione e gli spasmi leggeri che seguivano alle sue carezze al di sopra dell’indumento.
La mano di lui, intanto, era tra le sue cosce, all’inguine, segnava il solco della sua intimità premendo sul collant che costituiva una barriera al tempo stesso stimolante.
Sentiva alcune dita del ragazzo premere per penetrarla e confessò a se stessa che le piaceva terribilmente, che avrebbe voluto che le strappasse le calze di dosso, che le scostasse gli slip e la penetrasse con forza.
A questo pensiero spinse il busto in avanti, tentando di aiutare i movimenti del giovane, ed avvertì che parte delle sue dita erano già nella fica e la carezzavano sia pure attraverso il velo del collant sempre più umido del suo crescente piacere.
Si fermò, si alzò ed a tentoni si portò all’interruttore della luce… ebbe paura che l’improvviso ritorno di essa avrebbe potuto rompere l’incantesimo.
Fu allora che, girandosi, vide, nell’incerta luce riflessa proveniente dall’esterno, che Lualdo sul divano aveva liberato il pene dalla stretta degli slip e dava la sensazione di carezzarlo con lenti movimenti della mano nella sua attesa.
Lo raggiunse e s’inginocchiò innanzi a lui, poggiandogli il capo sulle cosce, a pochi centimetri da quel fallo turgido ed eretto, di cui avvertiva tutto l’odore dell’eccitazione, che le trasmise un piacere sottile ma intenso e quasi antesignano di quello che pensò dovesse sentire quando lo avrebbe avuto dentro di sé.
Intanto avvertì le mani di Lualdo che dalla nuca, per quel che potevano, scesero lungo le spalle, insinuandosi al di sotto della camicetta, e si soffermarono in lente carezze, di tanto in tanto interrotte da una sorta di gioco, alla ricerca della abbottonatura del reggiseno, che chiaramente non riusciva ad aprire.
Sentì irrigidirsi i capezzoli, ne avvertì la crescita lenta sotto la spinta di quelle sensazioni molteplici e diverse che le venivano dal contatto con Lualdo, dalla vista di quel pene, dagli odori del corpo del giovane, dalla pressione stessa delle ginocchia che avvertiva prepotenti e piacevoli sulle tette.
Prese il pene di Lualdo con ambo le mani, che strinse a mò di pugni sovrapposti, ed iniziò una lenta carezza, che le consentiva di avvertirne le pulsazioni e la tensione verso un maggiore indurimento; si portò più innanzi ancora con il busto per poterglielo baciare di tanto in tanto, ora seguendolo con la lingua lungo l’esterno, risalendo verso quel glande che da rosa tendeva al violaceo dello sforzo dell’erezione, ora seguendone la circonferenza.
Sentiva che ad ogni sua carezza il movimento delle mani di Lualdo, chino sulla sua schiena, diveniva frenetico: ormai al di sotto del collant e degli slip s’inoltravano lungo il culo, lo palpavano, ne cercavano l’ingresso, tentando di divaricarle le natiche quanto più possibile, andavano ancor oltre per carezzarle con le dita il solco della fica, appena al di là della membrana che la divideva dall’ano.
Inarcò il culo il più possibile verso l’alto per facilitare il compito del giovane e contemporaneamente si calò sul suo cazzo, che avvolse con il calore della sua bocca e della sua lingua.
Fu allora che Lualdo le disse che aveva sempre desiderato che glielo prendesse in bocca e che quella era stata una delle sue prime fantasie erotiche.
“Ti sei fatto qualche sega pensando a questo? ”
“Si.. più d’una, anzi .. l’ultima proprio ieri… sempre con piacere enorme” rispose il giovane
“Attenta.. ! Me ne vengo quasi….. siiiii… quanto sei.. bona …. e… ”
“E….. ” lo stuzzicò
“E .. troiaa… aa…. ” aggiunse Lualdo, inarcando verso l’alto la schiena e quasi sospirando nell’accompagnare il primo spasmo liberatorio che indirizzò verso il seno di lei, sporcandole parte della camicetta e del reggiseno che ancora lo ricoprivano e le mani che, prontamente sostituitesi alla bocca, completavano ed accompagnavano l’orgasmo del giovane carezzandogli il cazzo.
Intervenne una strana quiete, si sentivano i rumori più lievi. Tra tutti si distingueva il ronzio del motore del frigorifero. La sua mente era in ebollizione, tentava disperatamente di respingere uno strano senso di colpa, misto anche a paura, quella del giorno dopo, tanto per capirsi, che non sapeva neanche lontanamente immaginare alla luce di quanto accaduto.
Lei, 45 anni, Lualdo diciannove o forse venti.
Sentiva che le era piaciuto, sapeva già che le sarebbe piaciuto ancora. FINE

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