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La cura

“Ho fame!!!” Amelia non si era nemmeno resa conto di aver pronunciato quell’invocazione ad alta voce. Comunque, nessuno l’aveva sentita, per cui non cambiava molto.

“Ho fame, uffa!!!” ripeté con convinzione, lamentosamente. Era arrivata con tanto entusiasmo alla Clinique Paradis, la clinica per cure dimagranti in cui si trovava, decisa a perdere parecchi di quei chili di troppo che le avevano condizionato l’esistenza. Aveva promesso a se stessa che avrebbe tenuto duro e si sarebbe attenuta scrupolosamente alla rigida dieta che le avrebbero imposto. Era ottimista, ed il suo ottimismo era pienamente motivato: si trattava della più lussuosa e costosa casa per cure dimagranti del mondo. Un periodo di cura in quel centro era assolutamente fuori dalla portata delle tasche dei comuni mortali. Ma il prezzo era giustificato. Si trattava di un luogo stupendo, una villa secentesca ristrutturata circondata da ettari di parco privato, dotata di tutte le attrezzature più moderne, con dietologi di fama mondiale e personale accuratamente selezionato. E poi c’era tutta una serie di impressionanti casi di successo, anche di personaggi illustri, a testimoniarne l’assoluta affidabilità.

“Ho fame!! Maledizione!” I soldi per Amelia non erano sicuramente un ostacolo. Era la figlia unica ed unica erede di un ricchissimo industriale della gomma. La sua situazione famigliare era il motivo principale per cui era lì. Ormai a 21 anni compiuti si avvicinava il momento del suo matrimonio. Un matrimonio combinato sin da quando era nata, con il giovane rampollo di una famiglia di fabbricanti di pneumatici. Sarebbe stato un matrimonio di interessi, senza amore, ma a quell’idea era già assuefatta. Il problema era semmai l’assoluta incompatibilità tra le dimensioni del suo promesso sposo, un mingherlino alto 1.63 e probabilmente al di sotto dei 60 kg, e quelle di Amelia, che era alta 1.75 e stazzava più del doppio in termini di tonnellaggio. Sarebbe stato ridicolo anche solo fotografarli insieme, una a fianco all’altro. Così, di comune accordo le due famiglie si erano accordate per ridurre il gap. Lui era stato inviato negli Stati Uniti, presso uno dei migliori centri di body building, per mettere un po’ di muscoli. Lei invece era in questa struttura da favola, sulle Alpi, ai confini tra Svizzera ed Italia, nella speranza di dimagrire, almeno un po’.

“Ho fame! C’è qualcuno? Infermieri!” Era il suo terzo giorno alla Clinique Paradis. Finora aveva seguito ubbidiente il programma. Pasti con portate assurdamente microscopiche ed assolutamente insapori, lunghe passeggiate nel parco, blandi esercizi ginnici, nonché tutte le iniziative ricreative e culturali con cui il personale faceva del proprio meglio per distogliere le facoltose ospiti dai morsi dell’appetito. Amelia finora aveva resistito stoicamente, ma quel pomeriggio del terzo giorno, sola nella sua accogliente camera, durante l’intervallo per il riposino, in attesa delle attività pomeridiane previste, sentiva di non farcela più. Decise di attaccarsi al campanello delle chiamate d’emergenza.

“Uffa! Viene qualcuno o no?” In pochi secondi si presentò un inappuntabile infermiere.

“Le serve qualcosa, signorina?” Aveva un accento appena straniero. Forse spagnolo.

“Ho fame. Mi porti qualcosa da mangiare.”

“Signorina” rispose lui compito,

“il suo prossimo pasto è previsto alle ore 19”

“Sì, ma io ho fame. Mi porti qualcosa…”

“Non posso.”

“Sto morenmorendo di fame! Non ce la faccio! Mi basta una fettina di pane… con del burro, magari…”

“Mi dispiace…”

“Oppure dei crackers…”

“Non si può…” L’infermiere era talmente gentile e sorridente che Amelia non se la sentiva nemmeno di sfogarsi con lui. Non trovò di meglio che ripetere disperatamente

“Ma io ho fame!!!”

“Posso praticarle un massaggio se vuole…”

“Ma che ci faccio con un massaggio?… Io ho fame! Voglio mangiare qualcosa!” Amelia stava piagnucolando.

“Si tratta di un particolare massaggio Shiatsu studiato per alleviare la sensazione di fame” spiegò paziente lui,

“le assicuro che funziona… Inoltre il massaggio stimola la circolazione epidermica facilitando lo scioglimento dei tessuti grassi…”

“Non mi interessa… lasciamo perdere… vai via…” L’infermiere stava per togliere educatamente il disturbo, quando Amelia ci ripensò. Qualsiasi cosa, si disse, pur di non rimanere sola in balia della fame che la stava torturando.

“Aspetta… va bene… va bene… vada per il massaggio…” Mentre l’infermiere tornava sui suoi passi, Amelia si rese improvvisamente conto di cosa tutto ciò significava. Innanzitutto doveva spogliarsi davanti a quell’uomo. L’idea non le piaceva per nulla. Non era abituata a mostrare il proprio corpo, anzi faceva sempre il possibile per nascondere il suo flaccido ottavo di tonnellata, anche d’estate al mare. Lo stesso identico discorso valeva per la prospettiva di mani maschili su quelle carni mastodontiche e mollicce. Dio, che imbarazzo! Amelia stava per cambiare di nuovo idea. Fu l’atteggiamento sereno e professionale dell’infermiere ad incoraggiarla.

“Insomma, che diamine, ci sarà anche abituato… non sono mica l’unica grassona in questo posto, anzi…” si disse, pensando malignamente ad alcune altre ospiti che aveva intravisto. E poi c’era qualcosa in quell’uomo che… Amelia si accorse che era molto bello. Non lo aveva ancora notato. Scuro di carnagione e di capelli, con denti bianchissimi, labbra carnose e sensuali, occhi scuri con le ciglia lunghe. Non doveva essere una brutta esperienza farsi massaggiare da quel tipo. Si ritrovò così ad aspettare l’inizio di quel trattamento con una certa anticipazione. Seguendo le indicazioni dell’uomo, che galantemente si era girato di spalle, Amelia si spogliò completamente, avvolse un grosso asciugamano da doccia piegato in due intorno alla vita, e si sdraiò sul letto a pancia in sotto. Poi lo chiamò e chiuse gli occhi, per non correre il rischio di dover assistere al momento in cui gli occhi di quell’uomo si sarebbero posati per la prima volta sulle sue gambone flaccide, sulle pieghe di grasso sui suoi fianchi e sulla schiena. L’uomo non fece commenti e cominciò a massaggiarla con le mani. Sul collo, sulla schiena, sulle gambe. Ad Amelia occorse qualche minuto prima di rilassarsi completamente e abbandonarsi al massaggio. Poi cominciò a trovarlo gradevole e… stuzzicante. Le piaceva sentire quelle mani virili e decise su di sè. Non aveva mai provato nulla del genere. Il suo corpo, il suo grande nemico, la gabbia che rinchiudeva il suo vero io, per la prima volta si rivelava capace di procurarle sensazioni piacevoli. Sensazioni addirittura… erotiche? Amelia non sapeva rispondersi. Era qualcosa di diverso di quello che aveva provato nelle sue pochissime esperienze con uomini: amplessi rapidi e insipidi, in occasioni nelle quali aveva fatto di tutto per tenere il suo corpo, il suo nemico, al di fuori di ogni coinvolgimento. E neppure somigliava a quello che provava durante le sue frequenti pratiche solitarie, quando seppure la sua fantasia volava a cercare le situazioni più ardite, dal punto di vista fisico c’era solo l’agitarsi convulso delle dita tra le pieghe della propria intimità, con il rifiuto più o meno cosciente di ascoltare i segnali di tutto il resto del corpo. Eppure Amelia in quel momento sentiva distintamente che stava bagnandosi tra le cosce, e in maniera abbondante. A occhi chiusi cominciò a fantasticare, immaginando che le carezze di quell’uomo (più ci pensava e più lo trovava bellissimo… come aveva fatto a non notarlo sin dall’inizio…) non fossero una mera fredda prestazione terapeutica, ma piuttosto il tenero preliminare ad un lungo amplesso, regalato da un uomo appassionato e voglioso. Senza accorgersene cominciò ad ansimare piano, mentre percepiva le evoluzioni di quelle mani, di quelle dita, sul suo corpo ormai perfettamente sintonizzato sulla lunghezza d’onda del piacere.

Quanto gusto le dava sentirle scivolare sulla schiena, sfiorare la parte posteriore delle cosce, scorrere lungo i fianchi, accarezzare lateralmente i suoi grossi seni. Le mani dell’infermiere esitarono. Si era fermato sull’orlo dell’asciugamano, là dove le cosce finivano e cominciavano le chiappone imponenti. Sembrava quasi che l’uomo aspettasse una sua autorizzazione a proseguire. Amelia reagì rapidamente. Afferrò su un fianco il punto in cui l’asciugamano si agganciava, e lo sciolse, scoprendo e offrendo alle mani dell’uomo il suo sederone enorme e maestoso. Sapeva di non avere il delicato culetto di una modella, bensì un enorme montagna di carne grassa ed irregolare. Eppure sentì uno strano piacere ad offrirsi alla vista dell’infermiere. In un impeto di orgoglio ed incoscienza allargò leggermente le gambe, affinché anche la fica umida fosse ben visibile. L’uomo si inginocchiò sul letto alle sue spalle, costringendola ad allargare le gambe ancora un po’, e prese a strapazzarle i glutei con le dita. Lì l’effetto erogeno delle carezze era ovviamente ancora più intenso. Le secrezioni che ormai fluivano copiose dalla vagina, bagnando le cosce ed il lenzuolo, impregnavano l’aria del profumo di intimità femminile. Amelia, per qualche oscura ragione, non ne era affatto imbarazzata, pur sapendo che sicuramente anche l’uomo l’avvertiva. Al contrario, l’idea che l’infermiere stesse sentendo i suoi odori segreti la eccitava ancora di più. Lui intanto alternava il massaggio tra i glutei e l’interno delle cosce, sfiorando con le dita, di tanto in tanto, le labbra della vulva. Amelia ormai aveva smesso di reprimere i gemiti, e i suoi

“Aaahh…. Aaahh…” riempivano il silenzio della stanza. Poi successe. Le mani dell’uomo si portarono sulla sua fica.

“Oh siii… Oh siiiiii….” mugolò Amelia nel timore che l’uomo cambiasse idea. Lui, con consumata perizia, prese a pizzicarle delicatamente il clitoride tra i polpastrelli della destra, mentre tre dita della sinistra scivolavano decise nella vagina fradicia, cominciando ad agitarsi freneticamente, provocando un distinto rumore di bagnaticcio. In meno di quindici secondi Amelia venne, urlando ed agitandosi come una pazza. Il letto su cui erano traballò pericolosamente. L’uomo rallentò i suoi movimenti fino a trasformarli in una lenta impercettibile rotazione, lasciandola a godersi gli spasmi del violento orgasmo. Amelia ansimava rumorosamente, e il vibrare gelatinoso dei glutei si accompagnava alle contrazioni del ventre, che pian piano si smorzavano, lasciandola sfinita e senza fiato. Rimase qualche minuto così, stesa ad occhi chiusi, avvolta dai fumi del piacere, in totale estasi. Ma la sua esperienza sconvolgente ancora non era finita. Quando aprì piano piano gli occhi trovò quell’uomo bellissimo inginocchiato all’altezza della sua testa. Con mossa elegante lui abbassò l’elastico dei pantaloni verde chiaro della sua divisa da infermiere, che era qualcosa a metà tra un pigiama ed una leggera tuta da ginnastica. D’incanto uno stupendo cazzo eretto si materializzò vibrando a pochi centimetri dal viso di Amelia. La ragazza spalancò gli occhi stupita, quasi ipnotizzata da quella cappella turgida e insolente, minacciosamente puntata contro di lei. Per qualche istante lei e il cazzo si fissarono. Poi, dall’alto, arrivò la voce gentile dell’infermiere. Quasi un sussurro.

“Apra la bocca, signorina…” Lei, quasi in trance, l’aprì. L’uomo, con gesto aggrazziato ma deciso, sporse avanti il bacino e penetrò nelle fauci spalancate della donna. Amelia rimase un’attimo ferma, incapace di pensare, tutta presa dalla sensazione di quel pezzo di carne dura che la costringeva innaturalmente a tenere la bocca aperta. Poi l’uomo la carezzò dolcemente sui capelli, e Amelia si sciolse. Cominciò a sfiorare e ad esplorare con la lingua la grossa cappella, ad apprezzare il piacere primitivo di quel possesso. Nelle fantasie erotiche di Amelia l’amore orale era spesso protagonista. La eccitava da pazzi l’idea della sottomissione adorante dinanzi a quella divinità pagana che è il fallo maschile. Lei immaginava sempre di essere nuda, in ginocchio, davanti ad un uomo il cui enorme fallo la sovrastava. Di solito l’uomo non aveva lineamenti ben distinti, anzi, il più delle volte scompariva del tutto e lei rimaneva da sola ad omaggiare quell’enorme scettro sospeso nel vuoto, con tutte le sue arti orali.

Allora, fantasticando, mentre con una mano si masturbava, le piaceva infilarsi in bocca tutte e cinque le dita dell’altra mano, per simulare un enorme incontenibile cappella. Il solo pensiero di ricevere nel cavo orale quantità impensabili di crema dolce e aspra era sufficiente a portarla all’orgasmo. Altre volte le piaceva immaginare di essere al centro di un circolo di uomini eccitati, sempre in ginocchio, con la testa all’altezza di quei sei, sette, dieci cazzi duri, che la incalzavano pretendendo le sue attenzioni. Immaginava di affannarsi a sollazzare con lingua e labbra un po’ l’uno e un po’ l’altro, senza aver tempo nemmeno di respirare. Di nuovo gli uomini pian piano svanivano, e rimanevano solo grossi uccelli fluttuanti intorno a lei, a contendersi l’accesso alla sua bocca generosa, a strofinarsi sul suo viso, sulle orecchie, tra i capelli, sul collo, fino a premiarla, alla fine, con torrenti di sperma caldo che la ricoprivano dappertutto. In quel momento, però, Amelia aveva felicemente a che fare con un cazzo vero. Un notevole esemplare, che per di più apparteneva ad un uomo bellissimo, un uomo che l’aveva appena fatta morire di goduria.

Decise che voleva fargli un gran pompino, affinché lui se lo godesse come sicuramente lo avrebbe goduto lei. Sfilò la bocca dalla cappella turgida e, alzando il pene verso l’alto con le dita, chinò la testa per raggiungere con la lingua i testicoli. Giocò a lungo, passando la linguetta agile ed appuntita in tutti gli interstizi. Poi risalì pian piano con la lingua lungo l’asta, lasciando la pelle lucida della propria saliva. Quindi tornò ad imboccare la cappella, dando inizio al classico movimento di su e giù, ampio e cadenzato, mentre applicava una leggera suzione. Notò con piacere che l’uomo stava perdendo il suo aplomb professionale. Dalla bocca gli sfuggivano sempre più spesso gemiti e sospiri, mentre le vene del cazzo erano sempre più gonfie e pulsanti sulla lingua e tra le labbra di lei. Con sua grossa delusione, l’uomo ad un certo punto si ritrasse, sfilando via dalla sua bocca che rimase dolorosamente vuota. L’infermiere si sistemò dietro di lei e, con qualche sforzo, la mise carponi.

“Prego signorina…” le sussurrò, forzandosi a mantenere un minimo di deferenza professionale. Poi con durezza l’afferrò per i fianchi morbidi e con un solo colpo si impalò fino alla radice nella sua figa bagnata. Amelia emise un grido, ma più per il piacere che per il dolore. Senza esitare, l’uomo cominciò a cavalcarla da dietro, facendo traballare quelle enormi chiappe gelatinose che si estendevano, da una parte e dall’altra, ben al di là dei glutei sodi e muscolosi dell’infermiere. Amelia sentì il piacere tornare a montare, con una sensazione di calore che si irradiava dal basso ventre e che permeava tutto il suo essere, fino, le pareva, alla punta dei capelli. Cominciò a rispondere ai colpi dell’uomo, spingendosi verso di lui, nel tentativo istintivo di forzare un ritmo più veloce. Per un paio di volte i due persero sintonia, e Amelia sentì l’orgasmo riallontanarsi impietosamente.

Poi finalmente imbeccarono la cadenza giusta, un ritmo forsennato che li costringeva ad ansimare, mentre il cazzo sfregava selvaggiamente le sue pareti interne e i testicoli, dondolando, colpivano deliziosamente il clitoride. Amelia perse il controllo. Addentò il cuscino sotto di lei, per attutire l’urlo, afferrò convulsamente il lenzuolo tra le unghie, e si perse in un orgasmo devastante. L’uomo non le diede tregua. Continuò imperterrito a sbattersela contro di sé, allungando l’orgasmo della donna fino allo sfinimento. Poi si arrese anche lui. Agilmente si sfilò dalla vagina incandescente, avvicinò il cazzo gonfio violaceo e lucido di umori alla bocca di lei e senza complimenti lo schiaffò profondo tra le sue labbra. Amelia si rese conto di non avere più neanche la forza di succhiare, ma proprio in quel momento, con un rantolo, l’uomo cominciò a sussultare e ad inondare di schizzi densi ed abbondanti la bocca di lei. Mentre deglutiva estatica le goccie di quel nettare, Amelia curiosamente pensò che non c’era più traccia in lei della fame che la opprimeva appena qualche decina di minuti prima. L’uomo lasciò che Amelia si industriasse con la lingua a ripulirgli il cazzo da ogni traccia di sperma. Un’operazione che la donna eseguì con un’adorazione che ormai andava ben oltre il piano erotico. Ogni tanto alzava gli occhi per contemplare il viso dell’infermiere. Dio quant’era bello! Forse l’uomo più bello che avesse mai visto, si diceva, e poi tornava a leccargli la cappella con cura ancora più amorevole. Il cuore le batteva, mentre la mente si riempiva di pensieri assurdi, come quello di rapire con se quell’uomo e scappare nell’angolo più remoto del mondo. E intanto leccava con gusto. Con molta delicatezza, dopo qualche minuto, l’uomo si tirò indietro e si ricompose. Amelia era allegra e sorridente e la sua voce sembrava quella di una bimba che ha appena ricevuto in dono la bambola dei suoi sogni.

“E’ stato un… massaggio… meraviglioso!” disse con entusiasmo.

“Sono contento che le sia piaciuto” rispose lui compito. Amelia cercò i suoi occhi, sperando di trovare un po’ di… come dire?… di complicità, di intimità…

“Se dovessi aver bisogno di un altro massaggio, in questi giorni… tornerai a farmelo?” chiese speranzosa. Ma l’uomo non espresse altro che il freddo e impeccabile sorriso del maitre di un hotel di lusso.

“Con piacere, signorina. E se non ci sarò io… ci sarà uno dei miei colleghi.” e, salutando educatamente, se ne andò.

Quella sera, dopo una leggerissima cena, Amelia tornò a suonare il campanello. Era curiosa di vedere cosa sarebbe successo. Ma è vero anche che un certo languorino alimentare era tornato a morderla. Entrò un altro infermiere. Stavolta Amelia ne soppesò immediatamente l’aspetto. Era più giovane, più snello e più alto. Quasi ossuto. Era biondo e portava i capelli lunghi raccolti in una specie di coda di cavallo. Il viso aveva i tratti forti: zigomi sporgenti, naso aquilino, e un sorriso che per quanto si sforzasse di sembrare affabile assomigliava sinistramente ad un ghigno satanico. Un tipo molto affascinante, pensò subito Amelia con un brivido e un immediato principio di bagnaticcio tra le gambe. Istintivamente lo sguardo scese all’altezza della patta, ma gli infermieri portavano degli ampi camici lunghi fino alle cosce, che impedivano di soppesare visivamente la loro dotazione. Con ostentata indifferenza, Amelia suggerì:

“Mi sta venendo una gran fame… potrei avere un massaggio?” Il sorriso dell’uomo sembrò ancora più diabolico mentre rispose, con leggero accento francese “Con piacere, signorina!” Per un attimo, di fronte allo sguardo di quegli occhi dal taglio obliquo, Amelia si sentì come un passerotto davanti ad un falco. Poi si scosse e recuperando contegno chiese “Mi spoglio?” Senza attendere risposta cominciò a denudarsi di fronte all’uomo che silenzioso la osservava in piedi a braccia conserte, senza nessun accenno alla possibilità di girarsi e non guardare per delicatezza, come aveva fatto il collega del pomeriggio. Anche Amelia pensò bene di evitare la pantomima dell’asciugamano intorno alla vita , e rimase subito del tutto nuda. Stava per mettersi nella stessa posizione del pomeriggio, a pancia sotto, ma lui la fermò con un gesto, alzando una mano come un capo indiano.

“Si stenda sulla schiena…” Lei ubbidì. Si stese supina e chiuse gli occhi, un po’ tesa. Dopo qualche lunghissimo secondo sentì i passi dell’uomo che lentamente si avvicinavano. Poi le sue mani si posarono su di lei. Corsero rudemente un po’ su tutto il suo corpo, e subito si concentrarono sulle tette, le grosse tette di Amelia, smanacciando gustosamente quella “sesta misura” in un massaggio che aveva ben poco di orientale. Amelia era molto sensibile dalle parti del seno, e i suoi capezzoli, che l’infermiere si divertiva a stuzzicare, si erano subito irrigiditi. Ben presto l’uomo passò ad occuparsi della vulva di Amelia, carezzandola con grande sapienza con la punta delle dita, con la delicatezza di un arpista, strappando dalle corde della donna gemiti di piacere. Ormai ogni possibile residuo di dubbio era svanito. Anche quel massaggio sarebbe stato un servizio di tipo erotico. Per cui Amelia non si sorprese molto quando, con un paio di gesti rapidi, il biondo si liberò della propria divisa, rivelando un fisico asciutto e nervoso, e un cazzo lungo, sfinato, molto arcuato, con una grossa cappella fungiforme. Dopo averla fatta scivolare di un mezzo metro in avanti, l’uomo agilmente si portò sul letto, fino a ritrovarsi con le ginocchia poggiate sul lenzuolo ai lati della testa di lei, rivolto verso i piedi. Amelia si ritrovò davanti agli occhi tutta la zona tra le gambe dell’uomo, dal buco del culo scuro, ai testicoli gonfi e pelosi, al cazzo che da quella prospettiva sembrava ancora più lungo. Lo spettacolo la affascinava, ed era anche inebriata dall’afrore selvatico di pelle maschile che le invadeva le nari. Lui intanto si piegò in avanti, e cominciò a leccarla sul ventre molle, slinguazzando tutta la zona tra l’ombelico e i peli pubici di Amelia. Chinato in quel modo, il culo e l’attaccatura delle palle erano ancora più oscenamente esposte agli occhi di Amelia, mentre la punta del pene andava a sfiorare ripetutamente la pelle chiara delle grosse tette. Ma Amelia era concentrata soprattutto sulle evoluzioni della sua lingua, sempre più vicina alla figa che vibrava per l’anticipazione di ricevere l’omaggio orale. Quell’attesa era per Amelia un supplizio ed una delizia contemporaneamente. Dopo una lunga e snervante marcia d’avvicinamento, d’un tratto l’uomo scattò in avanti ed affondo’ la testa tra le cosce spalancate di lei, spazzolandola voracemente con la lingua sulla figa e stuzzicandola anche con sapienti affondi della punta del naso. Amelia si irrigidì. Sentiva l’orgasmo montare e non voleva cedervi subito. Voleva godersi almeno per qualche minuto quel succulento servizio di lingua, un piatto raffinato che aveva gustato pochissime volte in tutta la sua vita.

L’uomo diede prova di grande esperienza e si accorse subito che Amelia stava cercando di tenere indietro l’orgasmo. Alleggerì quindi la pressione delle sue carezze di lingua, sostituendole, per qualche decina di secondi, da piccoli baci in punta di labbra. Poi, appena l’orgasmo di Amelia sembrò retrocedere, tornò ad usare la lingua con grande morbidezza, attento a prolungare il piacere di lei. Amelia si accorse delle delicate attenzioni dell’infermiere, e non appena sentì l’orgasmo non troppo pericolosamente vicino, ubbidì all’impulso di premiarlo prendendogli il pene in bocca. Con qualche difficoltà infilò una mano sotto al ventre di lui e forzò il cazzo rigido versa la propria bocca aperta. L’uomo di nuovo capì il senso dei suoi movimenti e la facilitò spostando adeguatamente il busto. Il pene si allineò subito alla bocca di Amelia e vi penetrò a fondo. Non potendo muovere la testa, lei si limitò a succhiare ritmicamente, ma ancora una volta fu l’uomo a venirle incontro, ondeggiando lentamente il bacino e provocando così il movimento di avanti e dietro del proprio cazzo tra le labbra di lei. La sensazione congiunta della lingua che la solazzava e del cazzo che la scopava nella bocca, portò di nuovo rapidamente Amelia alle soglie dell’orgasmo. Tornò ad irrigidirsi per ricacciarlo indietro. Fece scivolare il cazzo fuori dalla bocca e strinse convulsamente i denti, emettendo un mugolio lamentoso. Anche l’uomo bloccò il movimento della sua lingua. Passarono qualche secondo così, assolutamente immobili. Amelia era in una specie di equilibrio instabile.

Sentiva che tutti i suoi sensi erano improvvisamente acuiti, e che qualsiasi contatto, qualsiasi sensazione, poteva scatenare l’orgasmo da un momento all’altro. Tutto il suo corpo era percorso da un violento tremito. Guardò ancora lo spettacolo di bellezza maschile che aveva davanti agli occhi. I glutei muscolosi… il solco delle chiappe… i peli biondastri… il buco scuro… le palle pelose e oscillanti… Spinse i fianchi dell’uomo verso di lei e avvicinò l’inguine di lui alla bocca. Si ritrovo con le labbra poggiate nella zona tra le palle e l’ano, che, sotto la pelle, aveva la stessa durezza del cazzo, di cui era il naturale prolungamento interno. L’odore dell’uomo era fortissimo, quasi stordente. Timidamente aprì le labbra e appoggiò la lingua bagnata su quella pelle ruvida. Contemporaneamente l’uomo fece altrettanto, poggiando leggerissimamente la propria lingua rasposa sul clitoride. Poi lei la mosse timidamente, e l’uomo fece lo stesso. Amelia capì subito il gioco. Muovendo la propria lingua sull’inguine profumato dell’infermiere, riusciva a comandare le leccate con cui lo stesso la stava deliziando. Ma non resse a lungo. Ormai l’orgasmo era inarrestabile. Bastarono pochi esperi! menti di slinguate e contro slinguate e subito l’orgasmo esplose dal suo ventre. L’uomo smontò da lei, lasciandola libera di godersi il nirvana del post orgasmo. Poi tornò pervicacemente alla carica. La voltò, la mise carponi, e con molta decisione si infilò nel suo ano vergine. Amelia emise uno squittio di protesta per quella invasione inattesa.

Ma la zona era abbondantemente lubrificata dalle secrezioni vaginali e dalla saliva, le sue carni erano morbide ed elastiche, e presto il doloroso fastidio lasciò il posto alla voluttuosa sensazione della cappella gonfia e dura dell’uomo che le rimestava le viscere. L’idea di essere presa così, con quella brutale indifferenza fu un’ulteriore motivo di eccitazione per Amelia e il persistente disagio che continuava ad avvertire all’imbocco del forellino innaturalmente dilatato si era trasformato in una sensazione voluttuosa e piccante. L’uomo la sodomizzò a lungo, pompandola senza sosta nel culo a ritmo cadenzato, dando l’idea di sfruttare quell’orifizio solo per sollazzarsi il cazzo, e tuttavia portandola ad un altro bollente orgasmo, prima di scaricare il suo succo profondamente dentro di lei. Poi si rivestì e, salutando con impeccabile cortesia, se ne andò e la lasciò ad un sonno rilassato e sereno.

La mattina successiva Amelia riconsiderò freddamente gli episodi del giorno prima. Un dubbio cominciò a ronzarle nel cervello e ad accompagnarla nelle attività mattutine. Camminando per i corridoi della clinica, continuava ad incrociare infermieri, sempre giovani, belli e prestanti, cui le altre signore presenti si rivolgevano con smielata confidenza. Durante la colazione (mezza pera tagliata a dadini, succo centrifugato di carota e sedano, e un amarissimo infuso caldo di tarassaco e genziana) Amelia si soffermò ad osservare lo sguardo sognante perso nel vuoto di grassone attempate, del tutto indifferenti al rigore di quel pasto, evidentemente prese da ben altri piacevoli pensieri. Due loquaci balene, ad un paio di tavoli di distanza, cinguettavano ridacchiando allegre l’una con l’altra, raccontando a turno e suscitando l’una gli

“Oh la la!” compiaciuti dell’altra, mentre con le mani davanti al petto indicavano le dimensioni di chissà cosa… Amelia ormai non aveva più dubbi. Gli episodi del giorno prima non erano una fortunata coincidenza. Erano perfettamente previsti: facevano parte della cura. Questo era dunque il segreto della Clinique Paradis. Questa era il metodo con cui quelle ciccione bulimiche erano distratte dalle tentazioni della gola e indotte ad accettare un regime alimentare così severo. Amelia era stupefatta, non riusciva a crederci, anche se le sue esperienze del giorno prima parlavano estremamente chiaro. Ma subito un altro pensiero la colpì. Aveva ancora tre mesi di cura davanti a se… Gli occhi le brillarono, mentre un sorriso compiaciuto illuminò il suo viso paffuto.

Amelia prese la sua cura molto sul serio. In ogni occasione possibile lei suonava quel campanello diabolico e si intratteneva in sessioni di sesso sfrenato, con un infermiere sempre diverso e sempre bellissimo. Probabilmente, si disse, tenevano una tabella aggiornata per ruotare tutti i diversi infermieri dello staff con ogni paziente. Ogni infermiere aveva un approccio diverso, dal tenero, al rude, all’acrobatico, ma ogni volta Amelia era del tutto soddisfatta e felice di aver sperimentato nuove varianti e nuove posizioni. Non saltò nemmeno i giorni in cui era fisiologicamente indisponibile, dedicandoli a lunghi e appassionati bocchini che anche gli infermieri, notava con un pizzico di orgoglio, sembravano gradire molto. Tra una scopata e un’inculata, tra un pompino e una leccata di fica, Amelia cominciò quasi senza accorgersene a perdere velocemente peso. Non che sia da sorprendersi. La dieta era sempre estremamente rigida, e il consumo di energia veniva esaltato dalla sua fitta attività sessuale. Il suo corpo enorme si sgonfiava a poco a poco, mentre lei migliorava nell’aspetto e, come un vortice, il suo appetito sessuale aumentava. All’altezza del secondo mese di cura gli infermieri cominciarono a venire a trovarla saltuariamente a due o anche a tre per volta, moltiplicando così il numero di giochi e posizioni disponibili. Amelia non si tirò mai indietro. Provò tutto, fece tutto, si fece fare tutto, con grandissimo gusto.

Con sua sorpresa, per tre volte, le mandarono addirittura infermiere donne, anche loro molto avvenenti, con le quali passò momenti piacevolmente stuzzicanti e sensualmente intensi, scoprendo con sorpresa quante varianti sono possibili anche negli incontri saffici. Si accorse che non era assolutamente male la sensazione di una lingua femminile che esplorava ogni anfratto del suo corpo, soffermandosi sulle parti più sensibili e reattive. Anche lei non disprezzava di affondare la testa tra le cosce sinuose di qualche bella infermiera, e passare le mezze ore a giocare con la lingua tra quei lembi di pelle morbida, assaporandone la dolcezza e donando piacere. Ma, se voleva essere sincera, era ben lieta, ogni volta, di tornare a gustare il sapore maschile del cazzo. L’ultimo giorno di cura fu festeggiato con una selvaggia gangbang, che durò l’intero pomeriggio, e nel corso della quale almeno una dozzina di infermieri (cominciava da qualche giorno a rivedersi qualche faccia conosciuta) abusarono di lei in ogni buco disponibile. Amelia resse quell’assalto con consumata perizia, offrendo tutto il piacere possibile, e ottenendone, da quei cazzi. L’unico rimpianto fu quello di non aver avuto altre festicciole del genere durante i mesi passati lì. La mattina del giorno dopo partì. Aveva perso oltre trenta chili e ora stazzava intorno ai novanta. Questo non ne faceva certo una candidata a sfilare per qualche stilista, ma la differenza rispetto alla donna che era entrata tre mesi prima era clamorosamente evidente. Non si trattava solo dei trenta chili in meno. Non erano solo i lineamenti del viso, ora sicuramente più fini ed attraenti, o il suo corpo che ora presentava qualche traccia di curve sinuose all’altezza del punto vita, dove prima era una massa para, uniforme e adiposa. Amelia era cambiata dentro, e i cambiamenti interiori si riflettevano sul suo modo di comportarsi. Era più sicura, più dolce, più facilmente portata al sorriso, più disinvolta. Soprattutto con gli uomini. In fondo in quei tre mesi ne aveva conosciuti intimamente una quantità che una donna media non osa nemmeno sognare (per non parlare della qualità!!!). Aveva acquisito una grande dimestichezza nel confrontarsi con i corpi maschili. Sapeva di essere perfettamente in grado di far smaniare dal piacere qualsiasi uomo le si parasse davanti e questo era un pensiero che le dava una grande sicurezza nei rapporti con l’altro sesso. Gli uomini, a loro volta, non mancavano di apprezzare quella luce invitante che aveva negli occhi, piena di tacite promesse e di complice disponibilità.

“Ooh! …Ooh! …Ooh! …Ooh!” Lo sguardo di Amelia, si posò distrattamente sulla foto del suo matrimonio che faceva bella mostra di se nella cornice d’argento sul tavolino del salotto. Non erano poi così ridicoli, lei e suo marito, in quella foto. Lei era sempre piuttosto imponente rispetto all’uomo, ma più per l’altezza che per la larghezza, mentre lui, senza essere diventato un mister muscolo, sfoggiava sotto il vestito da sposo due spalle ben messe ed un portamento virile che compensavano ampiamente la sua statura non eccelsa.

“Ooh! …Ooh! …Ooh! …Ooh!” Amelia pensò che la vita a volte è veramente strana. Anche la cura del marito aveva avuto profonde conseguenze sul piano delle sue abitudini sessuali. Infatti, mentre soggiornava nella celebre palestra degli Stati Uniti, era entrato in contatto con un gruppo di muscolosissimi gay che lo avevano iniziato ai piaceri dell’omosessualità. Piaceri ai quali egli si era affezionato in modo ormai irreversibile.

“Ooh! …Ooh! …Ooh! …Ooh!” In questo momento, pensò Amelia, probabilmente si sta facendo inculare anche lui. Proprio come me.

“Ooh! …Ooh! …Ooh! …Ooh!” Carponi sul divano del proprio salotto, Amelia intuì che il giovane che la stava montando era prossimo all’orgasmo.

“Ooh! …Ooh! …Sì tesoro… vieni… sborrami nel culo… siiiiii… siiiiiii!” Il giovane bofonchiò qualcosa…. poi tremò tutto e il viso si contorse in una smorfia di esausto piacere.

“Sììì… tieni troia… prendi zoccola… ti schizzo nelle budella….”

“Sììì, ti prego… vieni… vieni… ooooohhhhh!” Il giovane si tirò indietro e crollò seduto sul divano.

“Basta, cazzo… non ce la faccio più…” dichiarò a mezza voce. Amelia invece si recò allegramente verso l’altro divano, dove altri due giovani stavano riprendendo fiato, nudi. All’avvicinarsi di Amelia il primo si coprì i genitali con una mano.

“No… ti prego… basta!” Il secondo, invece, stava sonnecchiando e non fece in tempo a proteggersi dalla mano birichina di Amelia che rapidamente lo afferrò per il pene. Si svegliò di sovrassalto e cercò di protestare, ma Amelia era riuscita, con le sue abili manipolazioni, a portare immediatamente quel pene in condizioni di semi erezione e lo zittì subito:

“Non fare capricci, su… qui ancora c’è qualcosa…” e senza aggiungere altro si inginocchiò tra le gambe del ragazzo e prese a succhiargli il cazzo con gran piacere. Il ragazzo voltò gli occhi al cielo e sospirò, ma le magie di quella bocca esperta in un paio di minuti lo portarono in stato di piena e dolorosa erezione.

“Niente niente male!” Commentò Amelia guardando soddisfatta il risultato dei suoi sforzi orali.

“Ce la fai a scoparmi ancora?” Lui strabuzzò gli occhi spaventato, in modo addirittura comico. Ma Amelia non si diede per vinta.

“Non c’è problema… ti scopo io… tu non muoverti… penso a tutto io…”. Senza molti complimenti si arrampicò in ginocchio sul ragazzo e con una mano guidò la giovane virilità nella sua caverna vogliosa. Poi cominciò un movimento leggero di va e vieni su quel cazzo durissimo, accompagnandolo a sapienti contrazioni dei suoi muscoli vaginali. Il ragazzo sentì subito il piacere crescere a quelle sensazioni, ma temeva veramente per quello che avrebbe provato al momento dell’apice, quando l’orgasmo avrebbe impietosamente spremuto gocce impossibili dai testicoli ormai vuoti.

“Amelia, cazzo, sei proprio insaziabile…”

“Insaziabile e…?”

“Troia… insaziabile troia… puttana affamata di cazzo senza uguali…” il ragazzo recitava gli epiteti stancamente, senza molta convinzione, quasi come una formula imparata a memoria. Amelia amava, nei momenti intimi, l’uso di un frasario volgare nei suoi confronti, e i ragazzi ovviamente lo sapevano. Anche quella volta, nonostante l’interpretazione poco convincente, quelle parole le provocarono una vampata di libidine…

“Sì… sì… e dimmi, ti piace la mia figa… ti piace rovistarmi dentro con il cazzo, vero?”

“Hai una fica meravigliosa, Amelia.” Il ragazzo si sforzava di stare al gioco, nella speranza di accelerare i tempi. Amelia gemette e, sentendo crescere il piacere dentro di lei, incrementò il ritmo della sua cavalcata. Nel giovane, per un attimo, comparve un espressione di spavento. Novanta chili che ti si agitano sopra sono sempre novanta chili. Presto si accorse che Amelia era vicinissima all’orgasmo. Cercò di aiutarla.

“Vieni troia… vieni porcona…”

“No…” rispose lei,

“…voglio venire insieme a te…” Lui abbandonò sospirando la speranza di evitare l’ennesimo orgasmo. Tra l’altro si accorse che non mancava nemmeno molto. Diabolicamente Amelia si avvicinò con il viso al suo e cominciò a slinguazzargli sapientemente l’orecchio, infilando la punta della lingua in ogni piega. Il ragazzo diede segni di cedimento e Amelia tornò a sbattersi sul suo cazzo con maggiore intensità. Vennero insieme. Amelia come al solito fu molto rumorosa nel manifestare il proprio intenso piacere, mentre il ragazzo si limitò a un “Aaahh!” lamentoso e sofferente.

I tre ragazzi apparivano stremati e barcollanti, mentre, dopo essersi rivestiti, ricevevano da Amelia il compenso per la propria prestazione: duecentomila a testa. Amelia indossava solo una vestaglietta leggera, e li guardava con un pizzico di ironia.

“Ragazzi, ultimamente mi sembrate un po’ debolini… dovreste mangiare di più e non fare tardi tutte le sere, sapete?” I tre non risposero, se non con qualche risentito borbottio.

“…e venerdì prossimo? quanti sarete?” “In quattro” rispose uno con accento meridionale.

“Io torno a Catanzaro dai miei, ma ci saranno anche Sandro e Massimo”.

“Hanno dato l’esame? Come sono andati?” si interessò Amelia.

“24 Sandro e 26 Massimo…”

“Così poco? E dire che sono stati un mese senza venirmi a trovare per studiare… Vabbè! Ragazzi, FINE

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