Mi stavo incamminando da Rialto a Piazzale Roma, immerso nel ripassare e ricucire insieme gli argomenti principali della riunione che avrei avuto a Mestre di lì ad un’ora: nel corso della giornata non mi era stato possibile dedicarci molto tempo, perciò approfittavo del tragitto a piedi per riordinare un po’ le idee.
Mi aspettava una riunione importante e, in quella serata tiepida e chiara, mi infastidivo nel dover scansare i gruppi di turisti che, naso all’insù, già numerosi girovagavano per Venezia ad assorbirne le bellezze.
Ed ogni volta mi era difficile riprendere il filo delle mie elucubrazioni .
Disceso l’ultimo ponte misi piede a piazzale Roma e rimasi fulminato: una marea impressionante stava assaltando rari autobus per la terraferma.
“Ma guarda che casino! ” mi dissi;
“E come faccio, adesso? ”
Avevo una borsa di documenti, un pacco, pesante, di moduli, e dei disegni in A3 arrotolati, tenuti da un elastico e senza tubo contenitore (non avevo pensato di portarmelo appresso).
E, soprattutto, mi ero dimenticato dell’agitazione in corso dei trasporti pubblici!
Mancavano quaranta minuti all’inizio della riunione, e la possibilità di non poterci arrivare puntuale cominciava a crearmi un po’ di ansia .
Decisi di rischiare la vita: mi sistemai in modo da poter reggere gli urti ed affrontare la folla, e mi immersi nella calca che stava assaltando un autobus n. 4.
è impressionante quante persone possono entrare in un autobus se c’è una forte motivazione!
Arrancavo alle spalle di una ragazza, che se la cavava bene, a spintoni; il gomito destro era puntato sulla sua schiena a protezione del mio rotolo di disegni; il braccio sinistro lo tenevo davanti, con le dita della mano che, infilate negli spaghi che lo legavano, contemporaneamente sostenevano il pacco di moduli e sorreggevano il rotolo di disegni.
Ero concentratissimo, a protezione di quel cazzo di rotolo, e deciso a salire sull’autobus.
Non potevo ritardare all’incontro!
Spingendo ed imprecando riuscii a salire: fui depositato nel fondo dell’automezzo.
Mi appoggiai ai vetri ed appoggiai a terra, tra i piedi, il pacco di moduli.
Mi guardai la mano: le dita erano viola e segnate dagli spaghi.
La gente continuava a salire, e non potevo più muovermi: assunsi allora una nuova posizione a difesa del rotolo: la mano sinistra, quella viola, impugnava il rotolo all’altezza del petto, la destra lo proteggeva in basso; i gomiti all’infuori per bloccare qualsiasi contatto laterale.
Di fronte a me fu depositata la ragazza contro la quale avevo il gomito puntato durante l’assalto: il suo viso si trovava all’altezza della mia mano, ed eravamo così vicini che ne sentivo il respiro sul dorso.
Eravamo tutti bloccati, uno spillo non sarebbe caduto a terra.
L’autista non riusciva a chiudere le portiere perché, nonostante fosse impossibile, ancora altre persone tentavano di salire.
Il dorso della mano destra, quella in basso, toccava la gonna della ragazza davanti a me: era una gonna in tela indiana, di quelle larghe e colorate.
La ragazza non era appariscente; era, anzi, un po’ grassoccia, ma con un viso molto bello ed occhi celesti; e portava un buon profumo.
Così vicini, di tanto in tanto incrociavamo lo sguardo: io tentavo di essere sorridente, di quel sorridente vuoto, che non significa nulla; il suo sguardo era asettico, altrettanto vuoto, e pareva traguardare lontano, trapassandomi come fossi aria fresca
Eravamo pigiati come lo sono i cotton-fiocc in una scatola nuova; ma, signorilmente, facevamo finta di essere in un parco.
L’autista riuscì a chiudere le porte ; appena partì i passeggeri, per inerzia, ebbero un breve movimento verso il fondo dell’autobus: così la ragazza, per un momento, toccò il dorso della mia mano destra con il suo ventre.
Rimasi immobile, lei si ritrasse; per entrambi non era successo niente.
Ma la mano continuava a toccare la gonna, ed ora percepivo maggiormente il calore del suo corpo perché il movimento di prima l’aveva avvicinata a me.
Piazzale Roma era zeppo di gente stravolta, che camminava, che attraversava, che correva all’assalto, e l’autista era costretto a procedere lentamente ed a continue frenate e ripartenze.
A causa dei conseguenti scossoni, la mia mano si trovò più volte a contatto con il corpo della ragazza, che ogni volta si ritraeva ma che, ogni volta, si ritrovava sempre più vicina.
Era infatti in una trappola a cui non poteva sottrarsi, poiché le persone che le erano appiccicate ad ogni scossone guadagnavano millimetri di spazio e la sospingevano verso di me.
Continuavamo a fare gli indifferenti fino a che, superato l’ultimo passaggio pedonale della piazza, l’autista non accelerò decisamente: questo provocò un contatto più lungo dei precedenti, anche perché, finita la fase di accelerazione, la ragazza non si ritrasse.
Non ricordo, nella mia vita, un’erezione più veloce!
La guardai: lei non incrociò il mio sguardo, ma lo rivolse verso il tetto dell’autobus; poi socchiuse gli occhi, mentre io venivo inebriato dal suo buon profumo e sconvolto dal contatto clandestino con il suo corpo, che sentivo respirare, caldo ed accogliente.
Spostai leggermente la mano verso il basso, scivolando sulla gonna di tela; e lei, per la prima volta, mi guardò, e con gli occhi mi chiese:
“Che cazzo stiamo facendo? “.
Senza parlare le risposi:
“Non è colpa nostra! Non possiamo muoverci! Ed io sto proteggendo il mio rotolo di disegni! ”
Le persone intorno non ci curavano: chi guardava fuori dal finestrino, chi era assorto nelle sue cose, chi chiacchierava con il vicino; in quella ressa, schiacciati gli uni agli altri, paralizzati nei movimenti, eravamo praticamente soli.
Il dorso della mano si trovava all’altezza del monte di venere e la ragazza continuava a guardarmi, e non si ritraeva: distesi allora le dita, che andarono a premere contro il suo pube, più giù di dove poggiava il dorso della mano; le richiusi, e poi le riaprii nuovamente; e poi ancora.
Il suo sguardo divenne come implorante, pareva dicesse :
“Smettila! … è bellissimo! “; poggiò la fronte sulla mano che avevo sul petto, e chiuse gli occhi: sentii le sue labbra sfiorarmi il polso, il respiro farsi più veloce, il suo profumo di nuovo avvolgermi.
Continuai a muovere le dita, di volta in volta premendole contro il suo pube; lei ondeggiava col bacino in modo impercettibile, approfittando delle vibrazioni e dei piccoli sobbalzi dell’autobus, ed aumentando, così, la pressione.
Staccò la fronte dalla mia mano e mi guardò, con un sorriso languido; richiuse gli occhi e diede due colpi di tosse e si schiarì la voce mentre, con la mano, percepivo un irrigidimento del suo ventre.
Rare volte mi ero trovato in quella piacevolissima condizione: eccitato al limite dell’orgasmo, e con il desiderio che potesse durare per sempre.
Cancellati i pensieri sulla riunione, sulla sicurezza del maledetto rotolo di disegni; concentrato nel mantenere quel nostro stato di nirvana!
Il suono del campanello ci destò dall’ipnosi .
Eravamo giunti alla fine del ponte che collega Venezia alla terraferma e da lì a poco ci sarebbe stata la prima fermata: la ragazza mi guardò sorridente e disse:
“Io scendo qui”; le risposi:
“Io devo andare in centro”.
Dopo qualche centinaio di metri l’autobus si fermò ed i passeggeri cominciarono a scendere.
Appena si fece un po’ di spazio attorno a noi la ragazza, sorridendomi, mi accarezzò il dorso della mano con la punta delle dita e si avviò per scendere;
“Ciao” sussurrò,
“Ciao! ” la salutai impacciato.
Durante le cinque o sei fermate che mi mancavano, mi chiesi per cento volte quanto fossi stato coglione: potevo, almeno, chiederle il nome, il numero di telefono; avrei potuto scendere con lei e mandare a puttane la riunione!
Giusto, la riunione!
Arrivai in perfetto orario: saluti, sorrisi, strette di mano. I disegni un po’ stropicciati, ma lo sciopero mi giustificava.
Cominciammo.
Distratto dal ricordo di un profumo feci, naturalmente, una relazione di merda! FINE