Lizzy (1 di 7)

Spiava dalla finestra seminascosta dalle tendine. Sapeva che sarebbe arrivato a momenti, le aveva telefonato dall’aeroporto quasi un’ora prima.
Elisabetta attendeva l’arrivo del ragazzo, Sean, con un po’ di apprensione, alla quale non era riuscita però a dare una giustificazione razionale. Sean proveniva dall’Irlanda e si sarebbe fermato in casa sua per due mesi, mentre sua figlia, Sonia, avrebbe fatto altrettanto in casa di Sean in Irlanda. I due ragazzi avevano diciotto anni e rientravano in un programma di scambi culturali tra Italia ed Irlanda. Elisabetta, all’inizio era stata contraria al fatto che Sonia se ne andasse via da sola per due mesi, e solo in seguito alle pressanti insistenze della figlia, aveva dato la sua autorizzazione. Lei, a quel punto, insegnante di inglese, si era attivata per trovare una famiglia in Irlanda, la cui figlia desiderasse soggiornare per due mesi in Italia.
Aveva trovato la famiglia di Sean, che le parve ottima, e non si diede il minimo pensiero di dover ospitare un ragazzo. Ora stava spiando il suo arrivo.
Trascorsero ancora cinque minuti, poi un taxi si fermò sotto casa. Ne discese un ragazzo dai capelli lunghi e biondi che si guardò un attimo attorno mentre l’autista scaricava i bagagli. Elisabetta fu percorsa da un fremito e si allontanò dalla finestra.
Quando il campanello suonò si precipitò al citofono, poi aprì la porta di casa ed uscì sul pianerottolo.
– Buongiorno, Sean – disse in inglese. – Sono Elisabetta, la madre di Sonia.
Benvenuto in casa nostra.
– Ciao. Grazie dell’accoglienza – rispose lui, in un italiano quasi perfetto.
Elisabetta lo osservò un attimo. Il suo corpo, appena nascosto dalla canotta e dai calzoncini di Jeans, era muscoloso. Una rada peluria biondo scuro, che forse lui chiamava barba, gli incorniciava il viso, ed i più incredibili occhi azzurri la stavano osservando e valutando a loro volta. Era veramente un bel ragazzo.
Un po’ impacciata dal tu scanzonato di Sean, e per sfuggire alla sua valutazione, si fece da parte, e lo invitò ad entrare in casa. Gli fece visitare l’appartamento, poi lo lasciò in camera di Sonia, e considerato che ormai erano le sei del pomeriggio, passò in cucina per preparare la cena.
Elisabetta si sentiva un po’ strana. Il fatto di avere quel ragazzo per casa, aveva risvegliato in lei alcuni istinti da tempo sopiti. Aveva trentotto anni, e secondo il giudizio delle colleghe, era una bella donna. Non si era mai sposata, Sonia era il risultato di quando, giovanissima, si era lasciata andare, ad una festa. Saputo di essere incinta, quella figlia l’aveva voluta a tutti i costi, contro il parere dei suoi genitori e del padre del bambino, che si era prontamente eclissato. Da allora aveva avuto altri rapporti passeggeri, ma nessuno era stato soddisfacente. Così, a trentotto anni suonati, era ancora zitella, come si definiva con le colleghe.
I suoi pensieri furono interrotti da una presenza che percepì alle sue spalle. Si girò di scatto e si trovò davanti Sean che, appoggiato allo stipite della porta, la stava osservando con i suoi incredibili occhi azzurri. Era a torso nudo.
– Scusami – disse Sean. – Non avresti, per caso, una maglietta? Vengo da tre giorni in Francia, ed ho tutto sporco.
– Andiamo in camera tua, sicuramente Sonia ha lasciato qualcosa a casa.
In camera, Elisabetta aprì i cassetti bassi dell’armadio, ed iniziò a cercare qualcosa di adatto. Era piena estate e faceva molto caldo. Lei indossava, sopra al reggiseno, una larga camicetta che aveva lasciata abbondantemente sbottonata. Ad un tratto si sentì osservata. Alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sean che le osservava il seno senza ritegno.
– Cosa fai? – domandò arrossendo, e serrando con una mano i lembi della camicetta.
– Ti guardo il seno – rispose il ragazzo, senza minimamente scomporsi.
– Come ti permetti? – chiese, alzandosi ed abbottonando l’indumento fino al collo.
– Lizzy, quando si ha un seno come il tuo, non si deve nasconderlo. Tutti gli uomini hanno il diritto di vederlo, e toccarlo almeno una volta nella loro vita.
– Come mi hai chiamata?

– Lizzy. E’ un diminutivo per Elisabetta.
Elisabetta si era imporporata in viso ed era veramente arrabbiata. Come si permetteva quel ragazzo impudente di guardarle il seno, e di fare discorsi di quel genere?
– Ascolta, ragazzino. Mettiamo subito in chiaro che nessuno ti ha autorizzato a darmi del tu. Da ora in poi io per te sono la signora Elisabetta, e m darai del lei. Non permetterti mai più di fare certi apprezzamenti su di me e di chiamarmi Lizzy, Cercati una maglietta e vieni a mangiare.
Soddisfatta della sua sfuriata, girò sui tacchi e fece per uscire dalla camera. Sulla porta le giunse la voce di Sean, ma il tono di voce non era esattamente quello di un ragazzo pentito.
– Si, signora Elisabetta – disse.
Per Elisabetta, il seno molto sviluppato, era da sempre stato un problema. Fino da ragazzina, a scuola, era stata presa di mira dai commenti salaci dei compagni, e dall’invidia delle compagne. Nei luoghi affollati, c’era sempre qualcuno, in genere piuttosto anziano, che in un modo o nell’altro, non perdeva l’occasione per strusciarvicisi contro, e molte volte aveva subito rudi palpate. Tutti gli uomini restavano abbagliati dai suoi seni, e perdevano di vista lei. L’anno precedente aveva ceduto alle insistenze di un collega, professore di ginnastica, che l’aveva più volte invitata a cena. Gerardo era un bell’uomo sui quarant’anni e lei, nei suoi garbati ma insistenti inviti a cena, aveva percepito mute promesse di piacere. Era più di un anno che non faceva l’amore, e decise che Gerardo era forse l’uomo adatto per ricominciare.
La cena fu splendida e Gerardo un brillante compagno. Dopo cena venne l’inevitabile invito di lui a terminare la serata a casa sua. Elisabetta aveva già accettato prima che lui lo proponesse.
Si baciarono appena chiusa la porta di casa, e le mani di Gerardo corsero immediatamente al suo seno. Baciandola, le sbottonò febbrilmente la camicetta e quasi la strappò via. Si allontanò di un passo ed osservò il seno, ancora serrato dal reggiseno di pizzo, con occhi stupiti, quasi increduli, come se si trovasse davanti ad un miracolo. Non la guardò neppure in viso. Il suo sguardo era incollato su quella parte di lei.
– Fammele vedere, Elisabetta – disse.
Lei si era portata le mani sulla schiena per liberarsi dell’indumento, ma lui l’aveva fermata.
– Aspetta un attimo. Voglio sedermi, perché potrei anche svenire – si era seduto sul divano. – Ora, Elisabetta. Fammele vedere ora.
Il reggiseno era caduto sul pavimento, e Gerardo aveva emesso un sospiro strozzato.
– Sono meravigliose. La cosa più bella che abbia mai visto – aveva esclamato alzandosi ed avvicinandosi a lei con le braccia tese, pronto a ghermire con mani rapaci quell’esplosione di carne.
Le palpò, soppesò, impastò, strizzò, e leccò a lungo, poi la sospinse verso il divano e la fece sdraiare. Gerardo si spogliò in un attimo. Elisabetta ebbe appena il tempo di vedere il pene teso, che lui le era già sopra, a cavallo del suo busto, e la verga infilata tra i seni che teneva serrati con le mani. Un attimo, ed il suo seme le imbrattò il seno ed il volto.
A quel punto, Elisabetta aveva pensato che, essendosi sfogato, Gerardo fosse più calmo, e le sfilasse la gonna e le mutandine, per fare le cose come si doveva. Gerardo rimase invece sopra di lei, il pene tra i seni che continuava a palpare, senza minimamente pensare al resto del corpo di Elisabetta che certo non era da sottovalutare. Trascorsero alcuni minuti, il pene riprese vigore, e Gerardo ricominciò l’andirivieni nel solco fra le tette. Questa volta impiegò di più a godere, poi si abbatté sul corpo di lei, distrutto. Elisabetta lasciò passare alcuni minuti poi si scrollò di dosso il peso dell’uomo, andò in bagno dove si ripulì alla meglio, indossò la camicetta, ed uscì senza salutare.

– Signora Elisabetta – la voce di Sean. – Ho preso questa maglietta. Va bene?
-Va benissimo – rispose secca, senza guardarlo, forse temendo di incontrare il suo sguardo. – Siedi a tavola. E’ pronto.
Sean mangiò voracemente tutto quello che lei le mise davanti, Non si scambiarono una parola. Dopo cena, Elisabetta pulì la cucina, poi disse a Sean di portarle la roba da lavare. Fece partire la lavatrice quindi si sistemò davanti al televisore. Sean disse di essere stanco del viaggio ed andò a letto.
Il mattino successivo il ragazzo si alzò presto, fece colazione, ed uscì di casa
dicendo di dover frequentare un corso di letteratura italiana, e che poi avrebbe cercato una palestra. Più tardi telefonò dicendo che non sarebbe tornato né a pranzo né a cena..
Ritornò invece alle sette del pomeriggio.
Quando Sean suonò alla porta, Elisabetta indossava l’accappatoio, in quanto era appena uscita dalla doccia. Per un attimo fu tentata di non aprire, perché non voleva presentarsi a lui in quelle condizioni, poi decise che la ramanzina del giorno precedente sarebbe stata sufficiente a tenere a freno l’intraprendenza del ragazzo.
– Non ti aspettavo così presto – disse, quando l’ebbe davanti. – Hai mangiato?
– No. Avevo un appuntamento con un’amica ma è saltato.
– Siediti. Dieci minuti e la cena sarà pronta. Solo un attimo ce mi vado a cambiare
– Uscì dalla cucina seguita dallo sguardo del ragazzo.
Entrò in camera, slacciò l’accappatoio, e si mise a rovistare nel cassetto della
biancheria intima. Due mani generate dal nulla furono sui suoi seni e serrarono con forza i capezzoli tra indice e medio. Elisabetta sollevò di scatto lo sguardo e vide riflesso, nello specchio del mobile, il volto sorridente e gli occhi azzurri di Sean. Il suo primo istinto fu di girarsi e rifilargli uno schiaffo. La presa però era piacevole, rude e dolce nello stesso tempo, ed ormai era parecchio tempo che nessun uomo si prendeva cura del suo corpo. Solo un attimo, si disse, poi gli dico di smettere. Rimase immobile con gli occhi chiusi ed il capo rovesciato all’indietro, ad assaporare la carezza che si faceva sempre più profonda. Ancora un attimo e poi gli dico di smettere.
Una delle mani abbandonò il seno, scese dolcemente lungo il fianco, accarezzò di passaggio una natica soda, poi lentamente si portò sul ventre, a contatto con i primi peli dell’inguine, con i quali iniziò a giocherellare. L’altra mano continuava a stuzzicarle meravigliosamente il capezzolo. Adesso basta. Ora mi giro e gli do uno schiaffo. La mano sul ventre scendeva impercettibilmente. Le dita stavano pettinando il vello castano e si appressavano al sesso. Un dito e sfiorò la clitoride ed un altro si insinuò tra le labbra della vagina. Un sospiro di piacere.
Non posso. Non posso permetterlo. Sean ha l’età di Sonia. Uno scarto brusco. Elisabetta si divincolò dalle braccia del ragazzo e si girò di scatto chiudendo l’accappatoio.
– Perché, Lizzy? Ti piaceva.
– Non mi piaceva per niente. Per te io sono la signora Elisabetta, e non ti permettere mai più di fare una cosa del genere, altrimenti ti rispedisco in Irlanda. FINE

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