Lizzy (3 di 7)

Imboccò il viale che portava in centro città e cominciò a camminare pigramente, senza una meta precisa. Era arrivata davanti al portone di Cecilia, la sua migliore amica, l’unica persona con cui desiderava palare in quel momento.
Suonò il campanello e salì le scale del vecchio palazzo. Cecilia, come sempre, l’accolse con calore. Preparò il tè e lo versò nelle tazze. Si accese un piccolo sigaretto scuro e si accomodò sul divano, aspettando che Elisabetta le dicesse il motivo per cui era venuta. Si erano conosciute a scuola quando lei era una giovane insegnante e Cecilia già una veterana.
Era nata subito un’amicizia. Cecilia ispirava le confidenze poiché sapeva ascoltare e non dava giudizi. Si limitava a raccontarle episodi della sua vita molto movimentata, per divertirla e tirarle su il morale. Era stata una ragazza scatenata ed una donna passionale.
Dal su letto erano passati molti amanti.
Elisabetta cominciò a parlare. Non tralasciò niente, nemmeno la scena dell’amplesso alla quale aveva assistito. Omise solo il "piccolo" particolare della masturbazione.
– Mi sembra chiaro – commentò Cecilia, alla fine. – Il ragazzo è tosto e sa quello che vuole.
– Ma tu, hai mai fatto l’amore con un ragazzino? – domandò Elisabetta.
Cecilia proruppe in una fragorosa risata.
– Certe volte mi domando in quale mondo vivi. Ma certo che ho fatto l’amore con ragazzini. In genere sono degli amanti stupendi, quando li hai educati un po’.
– Cosa intendi dire?
– Be’, sai com’è, se non hanno esperienza vengono solo a toccarti il petto.
Elisabetta avvampò al pensiero di cosa era capace di fare Sean con il suo seno. Si schiarì la voce.
– Credo che il "mio" non abbia di questi problemi.
– Tanto meglio – osservò Cecilia. – L’inesperienza può anche essere eccitante, ma il più delle volte è una seccatura.
Elisabetta era contenta di essere venuta. Cecilia le faceva lo stesso effetto del vino dolce che beveva da bambina: si sentiva euforica e rilassata nello stesso tempo. Tutta la tensione se ne era andata, come per incanto. Pure il tempo da Cecilia volava: le sembrava di essere appena arrivata ed era già ora di tornare a casa.
Ripercorse la stessa strada in uno stato d’animo completamente diverso. Comprò una bottiglia di vino frizzante ed un gelato, pensando a Sean. Mille interrogativi le si agitavano nella mente. Chissà se lui è in casa? Chissà se nel pomeriggio si è accorto della mia presenza, ed in tal caso, cosa ha pensato?
Provò una cocente delusione quando vide che l’appartamento era buio e silenzioso. Sul tavolo della cucina c’era un biglietto: "Ceno fuori. Non aspettarmi. Sean.
Stracciò il biglietto in mille pezzi. Si mangiò tutto il gelato, annaffiandolo con il vino, e praticamente ubriaca, entrò i camera di Sean. Il letto era perfettamente in ordine.
Scaraventò il copriletto da un lato e controllò le lenzuola. Erano pulite. Chissà che cosa aveva pensato di trovare? Macchie di sperma o di sangue, o qualsiasi altra testimonianza dell’amplesso che si era consumato davanti ai suoi occhi. Senza rendersi conto di quel che faceva, si spogliò nuda e si stese sul letto. Le lenzuola profumavano di sesso misto all’odore del corpo di Sean. Aveva un odore particolare, di pulito e di fresco, come l’aroma del suo chewing-gum. Si accarezzò i seni nello stesso modo in cui li aveva accarezzati Sean.
Ne delineò i contorni con le dita, sfiorò le areole, e strinse i capezzoli fra i polpastrelli fino a quando non divennero rossi e turgidi. Poi si girò a pancia sotto affondando la testa nel cuscino. Lì l’odore di li era ancora più intenso. Iniziò a toccarsi la fica, ma era talmente bagnata che la mano vi scivolava sopra, senza procurarle alcun piacere. Allora si infilò due dita dentro e cominciò ad agitarsi su e giù, immaginando di avere dentro di sé il pene di Sean. Aumentò il ritmo, scopandosi con la propria mano, mordendo il cuscino ed agitando forsennatamente il culo fino a quando non sentì la prima contrazione della vagina. Allora si alzò in ginocchio, allargò le cosce, e prese a titillare il bottone di carne con le dita dell’altra mano, senza smettere di fottersi. Ansimò e cominciò a scuotere i seni e la chioma rossa, in preda ad un intenso orgasmo che la squassò tutta.
Quando fu tutto finito, rimase distesa sul letto a gambe larghe, con la tesa che le girava, pensando alla faccia che avrebbe fatto Sean se l’avesse colta mentre si masturbava nel suo letto. Quasi sarebbe stata contenta se lui fosse arrivato in quell’istante, sorprendendola così: nuda e aperta.
Aspettò per circa un’ora, dopodiché si alzò ed andò nella sua camera. Si addormentò di colpo e sognò Sean che faceva l’amore con la ragazzina dal culetto a mandolino.

Il mattino dopo si svegliò con un gran mal di testa e la bocca impastata. Sean dormiva ancora. Entrò in cucina per preparare la colazione ed in quel momento squillò il telefono.
Dall’altra parte del filo c’era Federica che chiedeva di Sean. Entrò nella stanza di Sean e tirò su le tapparelle. Lui non si mosse. Lo chiamò. Niente. Non dava segni di vita. Allora lo scrollò con forza. Lui aprì gli occhi.
– C’è Federica che ti vuole al telefono.
Sean si stropicciò gli occhi e buttò le lenzuola di lato. Era nudo, Si mise a sedere sul letto e la guardò inebetito. Lei non riusciva a distogliere gli occhi dal suo pene, che si ergeva dal ciuffo di peli chiari. Era come se una calamita, dopo aver catturato il suo sguardo, lo tenesse incollato alla nudità di lui. Sean si guardò l’uccello eretto.
– Al mattino è sempre moto più sveglio di me.
Raccolse i jeans e li indossò, faticando un po’ con la chiusura lampo.
– Potevi metterti le mutande – osservò lei.
– I jeans erano più a portata di mano, e poi non volevo turbarti più del necessario.

Elisabetta tornò in cucina e cominciò a preparare la colazione. Il basso ventre le bruciava, come se dentro fosse scoppiato un incendio. Sentiva i seni turgidi premere contro il reggiseno. Li sfiorò con la mano e si sentì ancora più eccitata. Aveva la gola secca, la salivazione azzerata, e stava sudando.
Ormai si eccitava per un nonnulla. Anche se il pene di Sean non era esattamente un "nonnulla". Lungo, grosso, e dritto come un missile sul punto di partire. E poi quel neo, piccolo e perfettamente rotondo, subito sopra ai testicoli, quasi a sottolineare sfacciatamente ciò che era già bello.
Bevve avidamente un bicchiere d’acqua e si umettò le labbra, cercando di ricomporsi.
Dopo un po’ apparve Sean. Sedette in silenzio ed aspettò che lei gli versasse il caffè.
Teneva i gomiti appoggiati sul tavolo e si reggeva la testa con le mani. Gli occhi, ancora carichi di sonno, guardavano fissi il muro.
Elisabetta approfittò di quell’attimo per osservare indisturbata il suo profilo: le braccia muscolose, il busto levigato ed abbronzato, il collo lungo, con i riccioli che arrivavano quasi alle spalle. Si avvicinò lentamente a lui, spinta dal desiderio irrefrenabile di scostare i capelli dalla nuca e di baciargli il collo. Ma Sean si riscosse di colpo dal suo stato di apatia.
– Federica mi ha invitato ad una festa, domani sera, a casa sua.
Elisabetta indietreggiò, come se fosse stata colta in fallo. Il momento era passato, chissà quando avrebbe ritrovato il coraggio di fare il primo passo.
– Ah, sì? – disse, senza troppo interesse.
– Sei invitata pure tu.
– Cosa c’entro io?
– Ha detto che ci saranno anche i suoi genitori con i loro amici. Un party in grande stile. I giovani da una parte e…
– I vecchi dall’altra – sospirò Elisabetta.
– Ma no. Che dici? Essendo una festa in grande stile, ha avuto un pensiero carino anche per te.
– Ma se nemmeno mi conosce.
– Ti ha vista quel giorno sulla spiaggia, e poi le ho parlato molto di te.
– Immagino. Sicuramente mi avrai dipinta come seconda mamma.
– Non capisco questa ironia. Comunque se no te la senti…
– Non preoccuparti, me la sento. Ringrazia la tua amica, e dille pure che verrò.

Elisabetta si infilò le calze e le agganciò alle giarrettiere. Indossò il vestito di seta verde e tirò su la lampo, ammirandosi nel grande specchio dell’armadio. Era un semplice tubino corto di seta verde che aderiva perfettamente alle sue curve generose. Il décolleté era contornato, come una cornice preziosa, da due spalline dorate che arrivavano fino a metà schiena, Il solco fra i seni era messo audacemente in risalto, come i capezzoli che, seppure coperti dalla seta, si inturgidivano ad ogni impercettibile movimento.
Aveva acquistato quel vestito alcuni anni prima, in occasione di una cena fra docenti, solo perché a completare l’insieme c’era una giacca dello stesso tessuto.Ora come allora non avrebbe avuto né il coraggio né la disinvoltura di "sfilare" seminuda davanti ad un pubblico. Tuttavia, mettendosi la giacca, sorrise fra sé soddisfatta. L’effetto "ti vedo e non ti vedo", era forse ancora più sexy. Infilò i piedi in un paio di sandali Chanel dal tacco alto. Prima di uscire dalla stanza si passò un velo di rossetto sulle labbra.
Sean era già pronto e l’attendeva in soggiorno.
– Accidenti, che schianto – esclamò.
– Solo un vecchio abito di mia nonna – disse Elisabetta.
– Ha buon gusto, la nonnina – commentò sorridendo.
– Ma tu, vieni così? – osservò Elisabetta.
– Cos’ho che non va?
Indossava i jeans stretti, quelli che sottolineavano il pene, ed una polo dello stesso azzurro degli occhi. Ai piedi, un paio di scarpe da tennis.
– Niente, ma…
– Al mio paese non si dà molta importanza all’abbigliamento, Qui da voi, invece, c’è la mania del firmato.
Il vestito di Elisabetta era un modello della collezione pret-a-porter Armani di tre anni prima. L’aveva comperato con l’intenzione di sedurre un collega le cui attenzioni avevano risvegliato, dopo molto tempo, i suoi sensi addormentati. In quella serata aveva puntato molto, forse troppo. La cena non era andata affatto come lei aveva sperato. Il collega, un quarantenne scapolo e ruspante, aveva preferito volgere la propria attenzione alla segretaria della scuola: una ragazza di venticinque anni lunga di coscia e corta di cervello.
Una volta arrivata a casa si era spogliata con rabbia e l’aveva gettato nella spazzatura.
La mattina successiva la ragione aveva avuto il sopravvento ed era andata a recuperarlo: la sua situazione finanziaria non le permetteva di liberarsi di un vestito che costava tre quarti del suo stipendio mensile. L’aveva portato in tintoria e poi riposto in armadio fino a quella sera.
Sean stava ancora disquisendo sui vestiti e la mania degli italiani per il firmato.
– Hai ragione – disse Elisabetta, – ma cosa faremmo noi, povere donne non più giovanissime, senza i grandi sarti?
– Smettila di dire scemenze. Sono sicuro che tu staresti altrettanto bene in jeans e camicetta.
Elisabetta rabbrividì pensando alla volta in cui, in jeans e camicetta attillata, aveva provocato i fischi ed i commenti osceni dei marinai, giù al porto, ma gli sorrise ugualmente. In fin dei conti lui le aveva fatto un complimento. FINE

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