Orario di ricevimento

Lui l’aveva notata dalla prima lezione, con quell’aria di ragazzina di buona famiglia, quasi di algida alterigia, con i capelli biondi a caschetto, il vestito elegante, la sobria eleganza di una collana di perle.
Spiccava nel secondo anno di corso della facoltà di farmacia, tra aggressive e indisponenti ragazze in jeans o vestite di orrende minigonne dagli assurdi colori e calze multicolori.
Si era sentito osservato, mentre spiegava le fredde regole della chimica organica, due occhi chiari da sembrare di ghiaccio, un sorriso appena accennato, lo sguardo attento.
Era abituato ai flirt fatti di sguardi, di ammiccamenti, una sua collega gli aveva fatto notare (non senza una punta di invidia) che le studentesse a volte parlavano di lui come dell’affascinante professore 40enne, brillante, gran parlatore, sposato con bella e sofisticata donna, figlia di uno dei più ricchi gioiellieri della città…
Non ci dava peso, non era propriamente un marito fedele fino alla morte, ma piuttosto pigro, non ci si vedeva nei panni dell’uomo con l’amante ragazzina, in una camera di Motel sull’autostrada: a 40 anni credeva di non aver più questi guizzi di vita, il tranquillo sesso coniugale aveva sostituito le frenetiche e scombinate relazioni avute da studente, si sentiva appagato, non voleva ammettere con se stesso la fine della passione.
Venne la prima volta il mercoledì pomeriggio, nell’ora di ricevimento. Indossava il solito completino sul grigio (ma quanti ne aveva?
Ne cambiava uno al giorno? ), la gonna appena sopra le ginocchia, quasi monacale nel trucco, le calze di un grigio velato ma gli occhi, quegli occhi lo sondavano fino a dentro, lo mettevano a disagio.
Era con un ragazzo, non l’aveva notato subito (il suo ragazzo? Forse.. ) lungo ed allampanato, volevano spiegazioni della lezione del giorno prima.
Era nervoso, un po’ stranamente a disagio, bruscamente li fece sedere al suo fianco e cominciò a tracciare qualche formula sul pezzo di carta bianca.
Lei osservava in silenzio quasi religioso, la gonna stretta che era salita mostrava un po’ (poco, maledizione pensò lui) le cosce: aveva delle gambe stupende, come non l’aveva notato prima?
Tornò ancora la settimana dopo, e poi ancora e senza il ragazzo la terza volta, e fu quasi automatico, naturale per lui far scivolare il discorso su altre cose (lei aveva notato la collezione di classici di letteratura russa che lui aveva nello studio, accanto alla foto della moglie… ), era una ragazza strana, troppo colta e raffinata per essere nata nel 1979 (nei suoi vent’anni, penso lui), e cominciò a darle con naturalezza del tu, lui che non dava mai confidenza agli studenti…
Lei, Irene (avevano scherzato su quel nome un po’ antico) gli dava rigorosamente del lei, lo chiamava professore tutte le volte, ma non smetteva di fissarlo negli occhi, non abbassava lo sguardo, nemmeno quando lui comincio a guardarle quasi sfacciatamente le cosce (aveva accorciato le gonne? Era una sua illusione? ).
Fu quasi naturale cominciare a prolungare i colloqui, che ormai non avevano niente a che fare con la chimica, fu ancora più naturale per lui accompagnarla al suo mini appartamento da studentessa di buona famiglia, non era sorprendente che lui salisse da lei per scambiare ancora due chiacchiere (solo due! ) nella sua cameretta ordinatissima (lui che ricordava i pazzeschi disordini delle sue compagne di università… ).
Erano passati due mesi da quella prima ora di ricevimento, e quel mercoledì non venne.
Lui aspettò fino a tardi, rimproverandosi di non avere il coraggio di cercarla (ma non le aveva mai chiesto nemmeno il numero di telefono… ) e così il giorno dopo… ma il venerdì mattina, trovò un biglietto della segretaria dell’istituto… ha telefonato la signorina C….. , ha detto se può richiamarla a questo numero…..
Il cuore in tumulto, la sua voce al ricevitore: sa professore l’influenza, è passata, ma non voglio uscire con questa umidità….
Passò a comprare i cioccolatini (da quanto non comprava cioccolatini per una donna? Sua moglie odiava la cioccolata, i brufoli sai.. ), salì le sue scale due alla volta.
Lei indossava un pigiamino quasi da bimba, con quel seno poco pronunciato (una seconda misura? ) ma con i capezzoli visibili, appuntiti…. si sedettero sul letto, lei sgranò gli occhi scartando i cioccolatini….
Quandò inizio a farsi buio, non accesero nessuna luce: la baciò nella penombra quasi castamente all’inizio, poi con voracità… lei non voleva cedere alla sua lingua, rispondeva colpo su colpo, cominciarono quasi a mordersi le labbra mentre le sue mani frugavano sotto il pigiama, sotto la maglietta di cotone bianco….. un seno durissimo, marmoreo con i capezzoli tesi allo spasimo, si avvinghiavano sul lettino con un fare frenetico, era quasi lui l’imbranato, lui che aveva avuto tante donne…. le sfilò pigiama e maglietta in un sol colpo e cominciò a baciarle il seno, a fare dei giochi di saliva sui capezzoli… si spogliò, buttò a terra alla rinfusa giacca, cravatta camicia; i pantaloni li allontanò con un calcio: lei era nuda adesso, un lieve ma inconfondibile aroma si spandeva dall’interno delle sue cosce.
Non ci fu bisogno di parole, la sua testa scese giù fino all’ombelico, e poi più giù… lei respirava forte, le sue mani gli stringevano i capelli… lui scese ancora, la lingua era impazzita, dotata di vita propria: lei era dolce, i suoi giovani umori erano diventati un fiume in piena, si bagnò tutta la faccia.
Lei ormai ansimava forte, lui tornò su, la baciò con la bocca che sapeva di lei, si leccavano la faccia, la lingua.
Il suo cazzo era ormai durissimo, faceva quasi male, lei lo stringeva con tutte e due le mani, non se la sentiva di scoparla, gli sembrava quasi un peccato; prese a masturbarla con regolarità, non le strofinava direttamente il clitoride, ma appena sopra o sotto, lei mugolava quasi impazzita, gli aveva lasciato il pene e lo graffiava , gli stringeva le spalle.
Tolse il dito dalla fica, lo portò alla bocca, senti di nuovo il suo sapore, poi di nuovo giù… , con la sinistra le passo sotto la schiena, il suo indice si affacciò al buchetto posteriore, lei sgrano gli occhi nella penombra della stanza… viscido degli umori che colavano dalla fica, il suo dito sparì come risucchiato dallo stretto buchino: fu come una scarica elettrica per lei: venne con un grido strozzato, mordendogli il mento, sentiva il suo ano stringersi ritmicamente in sincronia con l’orgasmo attorno al suo dito.
Rimasero in silenzio, con i suoi respiri profondi, ma il suo sesso reclamava, era inarcato, i testicoli dolevano…. si sollevò, avvicinò il pene al suo seno: non ci fu bisogno di parlare, lei lo strofino contro i suoi capezzoli mentre lo masturbava lentamente.
Non ci volle molto, il suo sperma schizzò fuori con forza inaudita, non smetteva più di venire, la bagnò tutta, sul seno sul mento, sulle braccia….
Doveva andare, era tardissimo (che diavolo racconterò a mia moglie? ).
Accompagnandolo alla porta si accorse che Irene gli dava ancora del lei. FINE

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