– Stai ferma, non ti muovere, torno subito – io sto ferma.
Sono stesa con la pancia sul tavolo della cucina e culo nudo in aria. Sotto di me il tavolo è coperto da una cerata di plastica gialla sbiadita a righe e spighe. La pancia e le tette me le sento appiccicate contro la plastica e mi danno fastidio le briciole rimaste sul tavolo. La cucina è modesta, macché modesta, squallida, con dei mobiletti gialloverdognolo pallido vecchi e puliti puliti.
Se questa cucina fosse sporca farebbe figo, come nei fumetti.
Se qui fosse tutto incasinato, io mi sarei sentita come una tipa di quei film americani, invece la casa è tutta perbenino e linda. La madre di sto tipo credo si chiami Linda, o qualche cosa del genere, che buffo vero? il nome uguale all’aspetto della sua cucina… sto stronzo lavativo ha cinquant’anni e vive con sta poveraccia della madre che lucida tutto. Comunque, se la Linda non dava la cera in andito sembrava meno merda l’intero quartiere e meno da poveracci questa casa.
Case a schiera, vecchie case popolari con la vernice che si stacca a croste, i cavi di corrente appesi in qualche modo, dove capita.
Qui nessuno alza il culo per aggiustare nulla, scrocconi, che se lo sapevo non ci venivo. O forse sì, gli euri sono euri. Valgono uguale qui e là e al grandhotel.
Certo che ho fatto bene a mettermi sta gonna da due lire, pensa se mi mettevo quella verde di pelle nuova, per venire in un posto così. E ho fatto bene pure a togliermi le mutante prima di entrare, adesso lo faccio sempre. Le prime volte, uscivo con tante mutande quanti erano i tipi da vedere. Alla fine stavo sempre con la borsa piena di tanga impiastricciati da portare a casa e lavare. Sai quante volte al bar ho dovuto cercare il portafoglio tra tutti sti straccetti fetenti. Poi ho fatto la furbata dei sacchetti di plastica, quelli per il freezer. La plastica è una figata, una barriera perfetta, li mettevo tutti nei sacchetti. Dove c’è plastica non c’è sporco. Poi ho imparato sta genialata del senza mutande. L’ho vista su una delle riviste dell’amico di Armando, è un’idea fighissima: i tipi si arrapano prima.
Io non devo lavare la sborra. Esco con un solo paio che metto solo quando sono tranquilla e mi compro le mutande di pizzo e le tengo solo per me. Comunque, in borsa, almeno un sacchetto del frigo lo porto, non occupa spazio e può sempre servire.
A furia di stare con il culo in aria un po’ di voglia mi sta vendo.
Forse il tipo mi guarda. Infilo un braccio sotto il corpo, la mano esce da in mezzo le gambe e mi tocco, leggere, leggera, la cappella della fica. Intanto il tipo torna, eccitato e agitato, e molla un preservativo sul tavolo. Secondo me, con la scusa del preservativo, è andato di là a farsi un sega, prima l’aveva moscio e ora sta su.
– Sei proprio bella sai, sìii bellabella. – mi stringe forte la natiche, me le divarica e poi le molla. Devo darmi una mossa a capire se è uno di quelli che vuole sentire urlare ‘sì, quanto godò o ‘no, che cazzo grosso, mi fai tanto malè. Se capisci il tipo poi te la cavi alla svelta.
– Ti piace che ti stringa le chiappe eh? – bene, è del tipo “godo che sono troia”.
– Lo sapevo che le studentesse come te sono tutte troie. – sempre più facile, è uno di quelli che sbava davanti alle scuole.
è mio: – Sì, mi piace come mi tocchi, non come quei bamboccetti della mia classe. – lui si gonfia tutto e mi rifila, a mano piena, due sonori ceffoni sul sedere.
– Fammi sentire quelle belle tettine… mi strattona. mi tira per un braccio e mi scolla una tetta dalla plastica; poi la prende in mano e proprio ci gode a stringere, palpare, strizzare. Cerco di distarlo.
– è vero, sono una troia, e nessuno a scuola sa scopare e io ne ho tanto bisogno. – faccio la vocetta. mi molla la tetta e mi affonda le mani nelle cicce del culo.
-Adesso ti svergino io, troia. – sporgo di più il culo per faglielo sentire sul cazzo, inarco il bacino. Sono o non sono brava a farli venire subito? e siamo tutti più contenti. capisco che lo eccito ma mi molla e si incasina col preservativo. Io continuo a dimenare il culo e a dire bagasciate. Lui aggeggia con il preservativo e intanto borbotta tra sé “troia, troia, ecco cosa sei”. Io mi distraggo a guardare l’unico oggetto presente, oltre a me, sul tavolo: una grossa zuccheriera. Se fossi con quel tipo del supermercato rovescerei lo zucchero sul tavolo e mi ci.. me lo sta mettendo dentro. Un colpo solo, con forza. Un sussulto vero e un urlo me lo strappa.
Quel tipo di grido che gli uomini li fa impazzire. Sorprende anche a me. Che cazzo urlo? mica mi ha fatto male. Il tipo si aggrappa con tutte e due le mani alla cintola della gonna che mi sta tutta arrotolata e stretta in vita. Da colpi in avanti col cazzo e mi strattona verso di sé con le braccia. Se mi rompe il cinturino glielo faccio ripagare. La mia passera dopo poco non lo sente più perché è bella bagnata ma io mi agito e urlo come se il suo cazzo fosse un trave.
– Dai così che mi fai impazzire, uhmm si si si. e poi, ahssì, ahssì, ahssì, a ogni suo colpo. Sono un’artista.
– Sei una vera troia, a una come te si deve rompere il culo. – ‘azzo, si è distratto mentre stava per venire. Mi giro, per quello che posso, e mi riparo con una mano.
– Ehnnò bello, se vuoi il culo, fanno 200. Il tipo ha un moto di stizza. Me le farebbe vedere lui le duecentoeuro ma sa che c’è sempre uno come l’Armando che poi viene qui a spaccare il culo a lui e a sua madre.
Mi lascia e sento aria fresca al posto del suo calore umido. Fa il giro del tavolo. Lo guardo per la prima volta. Ha la camicia aperta e i calzini, per il resto è nudo. Non è alto ma è grosso di scheletro e il ventre sporge teso; gli uomini vecchi sono così o sono smagriti con la pelle che cade. Chissà, forse vent’anni fa.
Non riesco davvero a immaginare che faccia poteva avere.
Mi succederà anche a me? sembrerò una sciura e nessuno potrà più vedere chi sono? Comunque uomo è uomo e il cazzo gli sta ritto. Apre una armadietto tira fuori i soldi da un barattolo. Me li piazza sul tavolo vicino al naso.
– Va bene, dico, ma prima posso avere qualche cosa da bene? – piglia un bicchiere di plastica lo riempie con l’acqua del rubinetto e lo piazza sui soldi. Che la plastica poi la può buttare. Io avrei preferito una birra. Mi punto su gomiti, mi sollevo e la cerata mi si scolla di dosso e mi fa buffe e lunghe le tette. Mi bagno le labbra tenendo il bicchiere con due mani.
Lo guardo. Dal lavello prende un guanto di gomma per fare i piatti, uno di quelli spessi gialli e blu. Dalla mensola l’olio, quello di semi nella bottiglia di plastica. Poi mi si ripiazza dietro. Mi pigia il cazzo unto contro le chiappe, tra la fica e il buco del culo e spinge, che coglione… ma almeno guarda dove spingi. Ho capito questo deve essere uno che sta ancora a ragionare sui vecchi film,
Parigi, burro, olio. E il guanto? beh, sono una troia e qui è tutto così lindo. Potrei averci l’aiz. Un bello strato di plastica risolve tutto. Allora gli faccio: – Ehi bello, guarda in borsa che ho dei preservativi, quel guanto mica ti serve. –
– Questo lo senti di più. – mi dice serio. merda. Non gioca più a “sbavo dietro le ragazzette”. Non so perché questa cosa un po’ di voglia me la fa venire. Dentro mi contraggo da sola.
Forse è un po’ di paura, forse è perché preferisco la plastica alle sue mani.
Con la mano libera mi riacchiappa per la cintura, con quella di gomma fa il resto. Mi stropiccia la fica ma il problema non è il guanto, è lui che non è capace. Non lo sa fare. Ma va subito al sedere. Mi caccia dentro un dito e poi lo gira verso l’altro.
Ora non mi dice più “godi troia”, stiamo zitti. La gomma con l’olio non mi fa male, sono brava a stare molle ma sento che mi apre e le dita le fa diventare due. Me le gira dentro, lo fa per allargare l’ano. Non riesco più a pensare, io penso solo a fare come mi ha insegnato il capo per stare rilassata. Sfila le dita e mi ci infila la cappella. Lo so che devo spingere in fuori, invece tutte le volte mi viene da stringere e poi mi fa male. Giro un braccio dietro e muovo la pelle per rimediare. Cavolo, c’è qualcuno: ho la guancia spiaccicata e incollata alla tovaglia, il braccio sinistro piegato indietro con la mano che allarga il culo, la cappella di sto tizio dentro, gli occhi imbambolati sui soldi e, al di là della porta a vetri, vedo qualcuno. Sono così quando si apre la porta.
Attaccata alla maniglia c’è una ragazzetta con grembiule e zaino ancora sulle spalle. Lla bocca aperta per lo stupore e gli occhi incollati nei miei che sono l’unica cosa che può guardare.
Il tipo dietro mi resta in culo, immobile.
– Dov’è Lidia? – dice senza muove, labbra, muscoli, occhi.
– Vai da zia paola, è lì – dice secco il tipo. Lei non lo sente proprio.
Ha gli occhi gialli e li tiene dentro i miei. scuri e seri. Vuole che parli io, lui non esiste.
– Ciao, lo dico con un tono allegro ma mi vibra in gola, io sono una di quelle, sai, una battona, una puttana… sai cosa vuole dire?
lei fa sì, ma non toglie gli occhi dai miei. Vuole sapere cosa succede e non vuole bugie. – è il mio lavoro, mi danno dei soldi – le indico i soldi con gli occhi. Lei li guarda. Rimette gli occhi nei miei.
Non basta, non sa farsi i cazzi suoi, tenere le distanze con educazione. Occhi fissi e gialli. – Non mi sta facendo male, a me questo lavoro piace. – lei zitta con la mano sulla maniglia e sempre dentro di me.
Controllo la voce – Sai cosa stiamo facendo? – silenzio duro, lei aspetta. – Stiamo facendo sesso. Tu lo sai cosa è il sesso? lei manda uno sguardo veloce come un lampo al cazzo del tipo.
Torna da me senza emozione. Io dico – Sì quello -. Lo dico come lo direi a un adulto. E poi: – non dire che ci hai visto. oK? –
Fa sì con la testa, mette gli occhi al pavimento e arretra tirandosi dietro la porta. Il tipo la segue e chiude a chiave. So quello che ha visto questa bimba: una tipa carina, bionda e vestita figa … FINE