Tornai qualche minuto dopo, impugnando un gatto a nove code nero, con le lacinie lunghe circa un metro. Mi portai davanti ad Anna, e le presentai l’oggetto. “Questo è un gatto a nove code, schiava. Uno dei motivi per portarti qui è stata la necessità di punirti con strumenti adatti, e questo è proprio quel che ti serve. Si tratta di una frusta vera, progettata appositamente per fare male e segnare la pelle”. Feci dondolare lo strumento davanti ai suoi occhi vitrei: “Tra poco mi metterò dietro di te, e lo abbatterò con forza sul tuo corpo. Desidero farti soffrire molto, per punirti del tuo affronto e anche perché la cosa mi diverte. Ciascuna di queste cordicelle intrecciate ti lascerà dei bei segni rossi sulla pelle, e ti accorgerai subito che ti farà provare sensazioni molto diverse dalle sculacciate cui sei abituata. Siccome sei la mia schiava, e sei legata nuda in mio potere, non puoi fare nulla per fermarmi. La punizione terminerà solo quando sarò soddisfatto del colore del tuo sederino, e ti avverto che ho in mente una tonalità di rosso molto accesa”. Feci passare qualche istante, per imprimere nella mente della ragazza tutti i particolari di quella frase, il cui scopo era sottolineare ancora una volta il suo ruolo sottomesso. “Bene, ora voglio che tu mi chieda di darti la giusta punizione, ” le ordinai. La sua voce era acuta e tremante per la paura: “M… La… La prego, padrone… S… sono stata molto cattiva… e… e… ho b… bisogno di essere… punita… la p… la prego d… di punirmi, padrone”.
“D’accordo, ” risposi ostentando svogliatezza, “vorrà dire che ne approfitterò per insegnarti un po’ di fisiologia. ” Mi spostai sul suo lato sinistro, soppesando la frusta. Le diedi ancora qualche secondo di quiete, per farle apprezzare al meglio gli importantissimi istanti che precedono il dolore, poi vibrai il primo colpo facendo atterrare le estremità delle corde sulla natica destra, senza trattenere in particolar modo la forza della frustata. Anna lanciò uno strillo acutissimo, che rimbombò fra le pareti della cucina. “Questa era la prima frustata che hai preso come schiava, la punizione che tutti i masochisti come te sognano sempre. Il dolore che senti è provocato dai recettori che hai negli strati superiori della pelle”. Mantenendo un tono calmo, vibrai il secondo colpo mirando all’altra natica. “Mmmhaaaaa! ” “Ora vorrei che ti concentrassi sulle sensazioni che provi. Senti le differenze fra le due natiche? Quella di sinistra di brucia intensamente per il dolore, mentre nell’altra si è già fatto strada una specie di calore, simile a quello che provavi quando venivi sculacciata. Questo fenomeno è dovuto al fluire del sangue, che circola più rapidamente dove sei stata frustata”. Le diedi altre due frustate sul culo, lasciandola senza respiro con la seconda, che arrivò a metà del primo urlo. “Il motivo per cui ti piace tanto soffrire, Anna, è che i recettori del dolore sono esattamente gli stessi che quando vengono stimolati un po’ meno intensamente provocano il piacere”. Altre due frustate. “Hiii… Yaaah! ” “Naturalmente tu godi anche perché sei una depravata che prova piacere nell’umiliazione, e nell’idea stessa di trovarsi nuda e torturata per il piacere altrui. Però il dolore intenso della frusta ti sta dando delle sensazioni molto intense, vero? ” Per qualche secondo si sentirono solo i mugolii e il respiro pesante, soffiato, della mia vittima. Poi decisi di scioglierle la lingua con un’altra frustata, questa volta diretta alla base delle natiche. “Rispondi! Ti ho fatto una domanda! ” “Uuuh… ” singhiozzò la ragazzina, “Ahh… Sì… È vero… brucia tutto… dentro… “. Un altro colpo, che si andò a sovrapporre ai lunghi segni rossi che erano già spuntati sul culetto di Anna. “Ah, ah, Aaaarrr!!! ” “Sei una piccola puttanella viziosa. Ora continuerò a frustarti, così faremo arrivare il calore fino alla tua figa vogliosa”. Le vibrai un’altra decina di colpi, cercando di coprire tutta l’area dei glutei. Facevo cadere le frustate incessantemente, sommando dolore a dolore: era una punizione piuttosto dura, ma la sottomissione perfetta della ragazza mi aveva spinto a forzare un po’ le tappe. Intorno al sesto colpo, Anna cedette: “Nnaahh! Nooo! Bastaaah! Haahrrgg! No! Pietà! Non ce… Uhuuu! Non ce la faccio piuuh! Yyaaah! Muoioooh! ” La poveretta doveva davvero soffrire moltissimo, ma la cosa non faceva altro che stimolare la mia crudeltà. “No che non muori, schiava. Stai solo soffrendo per la punizione che meriti e che mi hai chiesto, ” le spiegai sperando che mi sentisse, mentre continuavo la fustigazione, “Stai provando dolore perché sei un oggetto di mia proprietà e io ho deciso di farti soffrire”. Poi, finalmente, successe quello che speravo. Anche se dalla sua bocca continuavano a uscire lamenti, anche se le lacrime ormai cadevano libere sul pavimento, il corpo di Anna venne scosso da un tremito, stimolato forse dal dolore, forse dalle mie parole. Non appena sollevai la frusta dopo l’ennesimo colpo, tutti i suoi muscoli si contrassero nella forza inconfondibile dell’orgasmo, e ai mugolii di dolore si mischiarono quelli del piacere, in una favolosa sinfonia. Rimasi un attimo a osservare lo spettacolo: Anna era riuscita a godere sotto la frusta già alla sua prima fustigazione, e per un attimo forse la invidiai. Attesi un istante, poi la strappai alle ondate di piacere con un’ultima frustata, data proprio sulla fighetta gonfia e grondante di umori vischiosi. In cambio ricevetti un urlo acutissimo, che non aveva nulla del piacere, e in cuor mio pensai già a quando la avrei fatta godere anche con quel tipo di battitura.
“Sei una troia schifosa: hai goduto anche di questa punizione! ” la spaventai, “Questo dimostra che quella di schiava è proprio la tua unica natura, e che meriti di essere trattata molto peggio di quanto non pensassi”. Anche Anna doveva esser sconvolta dalle sensazioni di quella punizione: dimenticandosi completamente del divieto di parlare, proruppe fra i singhiozzi in una litania che coronava il suo sogno di schiava: “Sì, sì, sono una schifosa… Peggio di un animale, peggio di tutto… Mi piace essere frustata… Essere legata… ” Il pianto era diventato una crisi isterica in piena regola, caratterizzata da respiro breve, salti di tono nella voce, un pianto irrefrenabile accompagnato al tempo stesso da un’espressione inconfondibile di gioia e liberazione. “Sono sempre stata una lurida schiava masochista… Non valgo niente, non merito niente… ” Gli eventi inequivocabili che la ragazza aveva appena attraversato avevano spezzato del tutto le dighe di pudore e moralità imposta che ne avevano oppresso la sessualità deviata in tanti anni, e ora il suo animo masochista più profondo stava prorompendo da quella falla, scatenato e irrefrenabile: “No, no, niente… Non dovrei neanche esistere… La frusta… La frusta è tutto quello che merito, e anche peggio… ”
Lasciai sfogare liberamente Anna, mentre la slegavo dal tavolo. I suoi vaneggiamenti avevano nel frattempo cambiato tono, e si erano trasformati in un borbottio incomprensibile, confuso fra i singulti del pianto liberatorio. Sollevando senza fatica il suo corpo magro, presi la mia schiavetta, ora ancor più piccola e indifesa del solito, fra le braccia. Era la prima volta che le dimostravo un qualche affetto, e Anna ne rimase scioccata: per un attimo smise di piangere, mi guardò con gli occhi arrossati e pieni di lacrime e poi, stringendomi con una forza sproporzionata, scoppiò nuovamente nel suo pianto isterico. Era il momento di confortarla a modo mio, e stringerla sempre più nella mia rete: “Povera, piccola Anna, ” la coccolai con tono caldo, “povera puttanella masochista… Sei proprio una vergogna, per te, per i tuoi genitori e per tutta la razza umana. Come fai a pensare di appartenere alla nostra razza, quando sei solo un animale depravato, capace solo di godere del dolore e delle umiliazioni? ” Mentre la coccolavo, cullandola fra le braccia, provavo un particolare divertimento nel manipolare così la mente e il corpo di quella ragazzina. Per me non era niente più che un giocattolo: bello, forse persino utile, ma niente di cui non potessi privarmi in qualsiasi momento, indifferente al danno psicologico che avevo ormai creato nella sua testolina innocente. “Il tuo posto non è fra le persone, ma forse potrò fare qualcosa per te. Sarà molto difficile, forse sarò costretto a rinunciare, ma c’è una piccola speranza di riuscire. Ho intenzione di addestrarti, Anna, come si fa con un cane o una scimmia ammaestrata, che del resto sono sicuramente più in gamba di te. La tua unica speranza è di imparare a ubbidire perfettamente a qualsiasi ordine ti venga dato, anche al più difficile, umiliante e schifoso”. Anna ebbe un brivido, mentre il pianto si faceva più sommesso, “Poi dovrai imparare a essere un perfetto oggetto sessuale, capace di dare un piacere impareggiabile a chiunque voglia usarti. Da come ti sei comportata prima penso che sarà quasi impossibile, anche perché hai un corpo ributtante, che non potrebbe piacere a nessuno. Insieme però proveremo a rimodellarlo, e a renderlo qualcosa di almeno accettabile. In questo modo forse potrai diventare una vera schiava, e qualcuno potrebbe anche decidere di prenderti al suo servizio. Sai di chi sto parlando? ” Senza muovere il volto, che teneva premuto con forza sul mio petto, la ragazzina mormorò: “No, padrone… ” e riprese a piangere, anche se ormai la parte peggiore della crisi isterica era passata. “Mi riferisco a qualche sadico, magari a una donna o una coppia. Persone così esistono, proprio come esistono le troie masochiste come te, sai? I loro gusti però sono più comprensibili, e non sono ripugnanti come i tuoi. In tutta la storia dell’umanità, milioni di persone hanno dedicato la loro esistenza intera a dominare gli altri. Condottieri, imperatori, sovrani… ma anche comuni generali dell’esercito, preti, dirigenti o normali capoufficio. Il desiderio di soggiogare gli altri è giusto e accettato da tutti, mentre il tuo masochismo, la tua smania di essere usata e maltrattata, è davvero da voltastomaco. ” Come sempre, mi rendevo ben conto di starle mentendo e di forzare ogni sua capacità critica con la violenza di un trauma, ma pensavo, e forse a ragione, che costruire per lei una logica, per quanto erronea, di contorno al suo ruolo di schiava, la avrebbe aiutata a vivere la sua sottomissione e ad esserne sempre più partecipe. Anna, da parte sua, era troppo sconvolta da quello che le era accaduto nelle ultime ore e nelle ultime settimane per potere trovare la forza di controbattere le mie argomentazioni, tanto più che il suo subconscio probabilmente non voleva altro che questo, che essere condotto per un sentiero facile anche se assurdo sino a potere accettare la trasformazione in oggetto senza volontà.
“I sadici di cui parlo esistono, e io ne conosco personalmente diversi, ma sono persone che hanno giustamente delle esigenze particolari, e non accetterebbero mai al loro cospetto una ragazzina inutile come te. Prima di poterli incontrare dovrai imparare la sottomissione assoluta, e anche a subire punizioni molto più dure di quella che hai avuto poco fa. Quella gente ama far soffrire davvero i loro schiavi, e non saprebbe cosa farsene di una puttanella come te, incapace di sopportare anche una fustigazione leggera come quella di prima”. Come sempre, le diedi un attimo di silenzio in cui potere interiorizzare quel che le avevo detto, e costruirsi una qualche immagine mentale di queste figure misteriose di cui le avevo parlato. “Allora, ” conclusi, “desideri subire questo addestramento? ”
La ragazza crollò a terra, stringendomi le gambe e baciandole in un entusiasmo parossistico: “Oh, sì, si, sì padrone! Sì, la prego, la supplico, mi faccia diventare una buona schiava! La imploro, voglio diventare una schiava perfetta, la migliore delle prostitute. Ubbidirò sempre, farò tutto quello che vorrà, proprio tutto. La prego, mi punisca, mi torturi, mi insegni a sopportare tutto, anche il dolore più forte! Sono una puttana masochista, e non desidero altro che soffrire, la prego! ” Con un piccolo sogghigno, le diedi una leggera ginocchiata per allontanarla dalle mie gambe: “Allora mettiti in ginocchio col culo all’aria, schiava. Devo preparare qualcosa da mangiare”. Anna scattò in posizione, e mentre aprivo i sacchetti della spesa, non potei fare a meno di ammirare il riflesso delle sue natiche rosse e tremanti nel vetro di un mobile.
La cena fu breve e silenziosa. Io trangugiai un grosso panino imbottito, impaziente di proseguire i miei giochi con Anna. Alla mia schiavetta preparai invece del muesli, che buttato nel latte forma una pappetta a mio parere disgustosa, ma senza dubbio nutriente e dietetica al tempo stesso. Il pasto le venne servito in una scodella per cani, da cui le imposi di mangiare senza mani, proprio come un animale domestico. “D’ora in poi mangerai sempre così, ” le comunicai, “come la cagna che sei. Questa roba dovrebbe aiutarti a perdere un po’ del tuo grasso schifoso. ” Mentre la schiava lappava rumorosamente il suo pasto, mi fermai a contemplare la mia fortuna. Nel corso degli anni avevo conosciuto e posseduto diverse schiave, ma molto raramente ne avevo viste di così sinceramente votate alla sottomissione e al masochismo. Nella maggior parte dei casi si trattava infatti di ragazze accecate dall’amore, che avrebbero fatto qualunque cosa per compiacere il loro uomo. A volte erano semplici esibizioniste, o feticiste che sopportavano la disciplina e la tortura pur di godere delle loro passioni, e altre ancora erano donne la cui mente era stata fiaccata da anni di sevizie e umiliazioni sino a renderle perfettamente remissive, ma anche insensibili. Anna invece era molto diversa: per via della sua educazione, ma senza dubbio anche per predisposizione personale, amava sinceramente ogni maltrattamento inflittole, e come mi aveva dimostrato più volte aveva dedicato tutta la sua sessualità all’umiliazione e al godimento nel dolore. La mia opera logorante di convincimento forse non era nemmeno necessaria: lei era una ragazza intelligente e colta, e aveva solo bisogno di un alibi, per quanto improbabile, per abbandonarsi alle sue fantasie. Io non avevo fatto altro che dare una forma definita ai suoi sogni di annullamento e sofferenza, e in questo ciascuno si limitava a fare il gioco dell’altro. Ripensando agli incredibili responsi emotivi di quella ragazza nei primi giorni del nostro rapporto, decisi di forzare le tappe, almeno sino a quando Anna non avrebbe mostrato segni di ribellione. Quella sera, tuttavia, avevo già progetti molto impegnativi.
Anna smise di lappare un attimo prima che finissi il mio panino. Le diedi istruzioni di alzarsi, e lavare e riporre la sua ciotola. “Ti è piaciuto? ” le chiesi, ironico. “Sì, padrone, ” sussurrò dolcissima, guardandomi con la parte inferiore del volto ancora sporca di latte, “È stato il pasto più buono della mia vita”. Le feci cenno di avvicinarsi, e lei si inginocchiò al mio fianco, ubbidiente. Con un gesto rapido, le catturai un capezzolo fra le dita, e strinsi torcendolo, facendola inspirare forte e costringendola a contorcersi, pur mantenendo la sua posizione, per il dolore. “Maledetta ingrata! ” urlai fortissimo, “Stronza e schifosa ingrata! Il cibo più buono della tua vita è stato il mio sperma, non questa roba! Hai capito? Per te non deve esistere niente di più buono di ciò che produce il tuo padrone! È chiaro? ” Il volto di Anna, i cui seni non erano ancora abitutati a subire certe attenzioni, era una maschera contorta: “S… Sì padrone! Mi… Aaahhh… perdoni padrone, sono stata… hhhh… un’ingrata… Mmmmhhhh… È il suo sperma il cibo più buonooohhh… ” Lasciai il capezzolo, e la ragazza si raddrizzò lentamente. Mi alzai, trascinandola in salotto per il guinzaglio. La sua sofferenza mi aveva eccitato tanto che non potevo più rimandare. “Libera quel tavolo, ” le ordinai bruscamente, indicando un basso parallelepipedo di legno che mi era stato regalato anni prima. Mentre ubbidiva, raggiunsi velocemente la camera da letto e tornai con un barattolo di vaselina. “Faccia a terra, ” le intimai, “e allarga bene le gambe. Tienile così, ” le posizionai senza complimenti le caviglie, “e offrimi bene il culo”. Presi una buona quantità di lubrificante su un dito, e cominciai a spalmarglielo sullo sfintere anale, facendola trasalire. “Stai ferma, ” la preparai, “è solo vaselina: serve per lubrificarti il culo per questa tua prima penetrazione. Rilassati”. Come prevedibile, Anna mantenne invece il forellino molto contratto, e quando le spinsi dentro l’indice mugulò per il dolore. “Più stringi e peggio sarà, ” le spiegai esplorando la sua calda cavità, “ricordati che il tuo dovere è di essere accogliente per i tuoi padroni”. Anna riuscì a rilassare il muscolo un attimo, e ne approfittai per inserire anche il medio. “Aaah… ” Ruotai le due dita inclinandole in ogni direzione: l’ampolla rettale era piccola, e con la punta del medio percepii un pezzo di cacca pronto a essere espulso. “Mmmhh… nghh… ” I gemiti della mia schiavetta erano eccitantissimi, e avevo il cazzo duro come un paletto. “Sdraiati sul tavolo, ” le ordinai, estraendo con un curioso rumore di risucchio le dita unte. Anna obbedì impacciata, e fui io a sollevarle le gambe e ad appoggiarmele sopra le spalle. Lei guardò il mio pene con un’espressione evidentemente spaventata, valutandone le dimensioni rispetto a quelle delle dita, e la vidi mordersi il labbro inferiore in un gesto di un erotismo indefinibile. “Ora rilassati, schiava, ” le intimai, “ricordati che esisti solo per dare piacere a chi ti usa, capito? ” Anna annuì nervosamente, e muovendola un poco per prenderne di mira l’ano, cominciai ad appoggiarvi il glande, rosso e congestionato. Anna mugulò, irrigidendo i muscoli del collo e delle spalle. Io spinsi. Anna gemette, mentre sentivo il buchetto cedere con difficoltà alla pressione. Spinsi ancora, lento ma implacabile. “Aaaaaa… ” si lamentò in maniera irreale, e io spinsi, “… AAAAAAAHHHH! ” Il glande penetrò completamente, risucchiato subito dallo sfintere. Sul volto di Anna scivolarono lacrime silenziose, mentre il respiro le si faceva affannoso. “Ho detto di rilassarti, troietta incapace! ” le urlai, affondando il pene nella carne calda. Guardavo la faccia della ragazzina, che teneva gli occhi stretti come per paura di vedermi, e ogni contrazione della sua bocca mi incitava a entrare sempre di più, sempre più a fondo, godendo ogni istante della contrazione spasmodica del suo sederino vergine. “Ti fa male, eh? Ècco, soffri per il piacere del tuo padrone! ” le sibilai quando finalmente tutto il mio sesso era stato inghiottito dal suo intestino. Il mio ventre sfiorò la sua vagina, trovandola già umida. La mia allieva non si smentiva, e anche quell’inculata senz’altro dolorosa la stava eccitando. Le appoggiai le mani sui seni, e cominciai a ritrarmi lentamente dalle sue profondità. Con pochi gesti rapidi trasformai i suoi capezzoli in cilindretti durissimi, che urlavano la loro eccitazione puntando al soffitto. Assaporai il concerto di piacere e dolore nato dai nostri corpi quando arrivai nuovamente a forzare lo sfintere, questa volta dall’interno, e con un movimento lentissimo che tolse il fiato ad Anna, lo estrassi sporco di tracce marroni e dei filamenti bianchi della vaselina. Un solo istante di pausa, ed ecco un’altra violenza, un’altra forzatura di quel delizioso anellino di carne. Questa volta entrai con più facilità, naturalmente, ma ancora Anna urlò il suo dolore senza ritegno. Vederla singhiozzare mentre si sottoponeva a quello stupro, osservarne il clitoride rosa spuntare ribaldo dalle pieghe più intime, mi fece perdere ogni controllo. Di lì a poco, mi trovai a scoparla con violenza, con l’unico scopo di farla urlare, soffrire, piangere… e godere. Presto il pene potè affondare senza difficoltà nel suo culetto bianco, e uscirne liberamente con un solo, lievissimo “plop”. Il suo intestino ormai mi accettava, e ne sentivo le pulsazioni roventi sull’asta del piacere. Ancora qualche affondo, e schizzai tutto il mio orgasmo nelle calde profondità della mia vittima, che ora mugolava a ritmo con la mia penetrazione. Estrassi il pene filante di umori biancastri ripulendolo con attenzione con un fazzoletto: e senza fare abbandonare la lubrica posizione ad Anna cominciai a masturbarla, facendola godere in pochi istanti. “Ti piace, piccola puttanella? ” la umiliai, “Ti piace prenderlo in culo, eh? Eppure anche così non vali niente, guarda come mi hai sporcato, ” le dissi mostrando il fazzoletto pieno di tracce marroni. Anna, ancora scossa dall’orgasmo, aprì bocca per rispondermi, ma in quel momento squillò il telefono. Il tempismo dello scocciatore era notevole, ma nonostante tutto pensai fosse divertente mostrare alla mia schiavetta come una telefonata qualsiasi fosse più importante di lei, e mi alzai per rispondere, con i pantaloni ancora abbassati.
“Sono Ettore, ” mi rispose la voce all’altro capo del telefono, “ti disturbo? ” Si trattava del medico che non ero riuscito a incontrare nel pomeriggio. Rassicuratolo, passò subito al motivo della telefonata. “Greta mi ha detto della ragazza che le hai portato oggi. Senti, ” prese tempo forse un po’ imbarazzato, “è vero che è ancora vergine? ” Ettore e io ci eravamo conosciuti molti anni tramite un’inserzione pubblicata su una rivista erotica. Lui e la moglie cercavano una schiava con cui giocare, e io avevo deciso di portar loro la mia vittima di allora, che aveva mostrato molto interesse nello scambio di padroni. Durante i nostri incontri successivi, avevamo discusso delle nostre preferenze, ed Ettore aveva dichiarato la sua grande passione per le ragazze vergini, che aveva tante volte immaginate nei panni di schiave da violentare senza riguardo. Girai lo sguardo verso Anna, ancora in posizione sul tavolino. “Certo. Ma per poco. Le ho appena inaugurato il culo: avessi sentito che strilli! ” Sentii entrare il medico in fibrillazione: “Allora fermati, ti prego. Lo sai della mia fantasia, no? Fammela sverginare: ti darò tutto quel che vuoi! ”
Mi sentivo fortissimo nel mio ruolo di gatto col topo, e ora addirittura con due vittime. “Mah, non saprei… Perché non le parli, mentre ci penso? ” proposi facendo cenno alla ragazzina di avvicinarsi. Le passai la cornetta con sguardo severo, e mi sedetti in poltrona a gustarmi la telefonata, e l’ennesima umiliazione di Anna. “Anna, signore, ” la sentii sussurrare nel telefono. “Diciotto”. “In aprile, signore”. “I… Sì, signore, sono una schiava masochista. Io g… mi piace soffrire, e farmi umiliare, signore”. “G… godo. Stavo dicendo ‘godò”. “Sì signore. Una puttanella incapace”. “Io… Io… Sì, all’inizio mi ha fatto molto male, ma poi mi è piaciuto. S… anche per il dolore, signore”. “Hrm… Sì, mi brucia tutto, signore”. “Il sedere. Il buco del sedere”. La ragazza arrossiva sempre più, e ora rispondeva stringendo gli occhi in una smorfia di vergogna profonda. “Sì, signore, questo pomeriggio”. “Tutto… No, non ne ho perso neanche una goccia”. “Ah… No, signore, ma imparerò”. “Come? “, “Sì”. “Sì, sono ancora vergine, signore”. “Solo ogni tanto… no, solo con le dita”. “Sì. Se il mio padrone lo desidera sì, signore”.
Anna mi porse il ricevitore con il braccio tremante, e non appena lo presi crollò su se stessa, appallottolandosi in posizione fetale e coprendosi il volto con le mani, scossa dall’ennesimo pianto.
“Sei un cattivo, Ettore, ” scherzai con il mio amico, “me l’hai fatta piangere”. “È una bomba, ” mi rispose affannato per l’eccitazione, “del tutto remissiva. Dimmi cosa vuoi per la sua fighetta, forza”. Sorrisi, pensando alle possibilità della richiesta. “Non saprei. Facciamo così: tu vieni domani sera e facci quel che vuoi, e quando sarà il momento ti farò sapere”. Ci accordammo per le otto di sera, e non appena abbassata la cornetta spiegai la situazione alla mia schiava.
“Era il marito della dottoressa che hai visto oggi. Lui, che è abituato a maneggiare corpi malati e schifosi, ha accettato di sverginarti quella figa disgustosa. Io non ce la farei mai, soprattutto dopo la pessima esperienza di averti usato il culo”. Anna tenette gli occhi bassi, vergognandosi di chissà quali inadeguatezze. “Tu non hai la più pallida idea di come si possa eccitare un uomo, e per il momento ti sei salvata solo perché il pene è concepito apposta per rispondere comunque a certi stimoli meccanici. Con la figa però non puoi avere il controllo della lingua, o la capacità di contrazione del culo, e voglio almeno risparmiarmi la fatica di sverginarti”. Ironicamente, era quasi vero. Al di là del fatto che mi era stato più che sufficiente godere due volte, ho sempre amato di più gli altri due canali. Scopare una figa non mi dispiaceva certo, ma trovavo molto più eccitante i rapporti cosiddetti “contronatura”, senz’altro più umilianti e meno piacevoli per la donna. Anche se l’avrei senz’altro visitata, avevo progetti di tutt’altro genere per la vagina di Anna, ed ero sicuro che la sua remissività assoluta li avrebbe assecondati alla perfezione. “Ora vieni con me”.
Conducendola come sempre per il guinzaglio, a quattro zampe, portai la mia schiava nella camera degli ospiti, dove le mostrai una scrivania. “Questo è il posto dove studierai tutti i giorni. Naturalmente lo farai stando in ginocchio, appoggiando i libri qui”. Anna non sembrò molto entusiasta di ricordare i suoi doveri di studente, ma annuì in silenzio. “Ora andrò a lavarmi e a ripulirmi della tua merda schifosa. Tu puoi cominciare a studiare”.
Rimasi nell’idromassaggio a lungo, rilassandomi dopo le emozioni della giornata. Ripassai mentalmente i progetti per il giorno successivo, e quando uscii dalla vasca trovai Anna come le avevo ordinato. La porta della camera incorniciava perfettamente il suo corpo bianco, colorato solo sulle natiche dai segni della fustigazione. “Vieni qui, ” la chiamai, facendola accorrere come un cagnolino fedele in salotto, dove mi sprofondai su una poltrona, vestito solo con il mio accappatoio. Anna si dispose in ginocchio di fronte a me, in attesa di ordini.
“Una cosa importante che devi imparare è mostrare rispetto e sottomissione al tuo padrone, ” la istruii. “Immagino che tu sappia che un modo per farlo è baciare i piedi”. Anna mi guardò interdetta. “Su, muoviti, leccami i piedi, schiava! ” mi spazientii. Al suono irritato della mia voce, la ragazza si precipitò a fare quel che le era stato ordinato, anche se molto goffamente. “Ma insomma, è tanto difficile comportarsi come la cagna che sei? Allarga bene quella lingua e premi bene. Lecca bene, adora il corpo del tuo padrone, schiava! ” Anna capì subito cosa intendevo, e si produsse in favolose lappate. Sollevai un piede: “Ora lecca anche in mezzo alle dita. Sì, così. Ricordati che toccare il corpo del tuo padrone è un privilegio che devi dimostrare di apprezzare. Se non ti interessa, posso sempre riportarti dai tuoi genitori”. La sua linguetta si insinuò inarrestabile in ogni anfratto, terrorizzata dall’idea. “Prendi le dita fra le labbra, baciale come se stessi facendo un pompino”. Anna ubbidì, ormai con entusiasmo. “Ricordati che sei una schiava, e vivi solo per dare piacere al cazzo del tuo padrone. Servire il mio cazzo deve essere il tuo più grande desiderio, e quando non puoi devi dare lo stesso trattamento al resto del mio corpo. Impara a leccare, baciare e succhiare”.
La feci proseguire per diversi minuti, prima su un piede e poi sull’altro. La mia schiavetta aveva compreso ogni istruzione, e si avventava ora sulle mie estremità come infoiata, come se avesse avuto la fica al posto della lingua. Era un’esperienza deliziosa, ma non potevo perdere l’occasione di tanta passione per proseguire l’addestramento della mia volenterosa sottomessa. “Ora basta, ” le dissi terminando un grazioso concerto di rumori di lingua, “prima hai visto dov’è la mia camera da letto, e dove tengo le pantofole. Ora fai la brava cagnolina e vammele a prendere”. Le sganciai il guinzaglio e la lasciai partire trotterellante come un vero animaletto domestico… con la differenza che la visione del suo culetto roseo, delle cosce fra cui spuntava la figa deliziosa e delle tette a penzoloni mi ispiravano pensieri ben diversi che non un cane qualsiasi. In un paio di minuti, Anna tornò con le pantofole fra i denti, e le lasciò ai miei piedi. “Mettimele, ” ordinai laconico, e la ragazza ubbidì usando le mani. Era quello che aspettavo. Quando ebbe finito mi alzai, raggiunsi la cucina e tornai, tenendo fra le mani due comuni mollette da bucato.
“Come sempre, hai dimostrato di non essere buona a nulla, ” dissi calmo. “Hai forse mai visto un cane che usa le mani? ” “N… No padrone, ” sgranò lei gli occhi, non capendo a cosa mi riferissi. “E allora perché non hai usato quella tua lurida e inutile boccaccia per infilarmi le pantofole? ” Anna era senza parole. “Come vedi, mi costringi a punirti ancora. Siccome è la prima mancanza di questo tipo, sarà una punizione leggera, ma spero che ti serva da lezione”. Come avrete già intuito, la punizione in questione consistette nell’applicarle le mollette sui capezzoli, che alla sola idea del dolore imminente si erano subito eretti. Anna le guardò preoccupata mentre mi avvicinavo ai suoi boccioli rosa scuro, ma sopportò molto bene la stretta per lei nuova, facendosi scappare solo un leggero lamento.
“Sai perché uso queste mollette, schiava? ” le chiesi bonario. A una sua risposta negativa, proseguii: “Ho scelto che siano dei pezzi di plastica a darti dolore, perché il tuo corpo non è degno delle mie attenzioni o del mio impegno. Ti fanno male? ” “Un po’, padrone”. “Bene. È per questo che te le ho messe. Per farti male. Anche se sono uno strumento punitivo, devi essere orgogliosa di portarle. Lo devi essere perché rappresentano la mia volontà e il mio dominio sul tuo corpo e sulle tue sensazioni, ma anche perché ti aiuteranno a essere più bella”. La ragazza mi guardò senza avere capito l’ultima frase. “Innanzitutto, l’unica speranza che hai di interessare chi ti sta vicino sta nel dimostrare il tuo masochismo più profondo, e indossare degli strumenti punitivi è un ottimo modo per farlo. Poi queste mollette stimolano i tuoi capezzoli e li rendono più sensibili. Questo ti renderà più appetibile dal punto di vista sessuale, anche se siamo ancora molto lontani da livelli accettabili. Infine, ritengo che i capezzoli lunghi siano più belli a vedersi di quei brufoli inutili che hai adesso, e ogni tipo di trazione può contribuire a migliorarne un pochino l’aspetto. Hai capito? ” “Sì padrone. Grazie per essersi occupato di questo mio corpo indegno”.
“Oooh, ” approvai, “questa sì che è una risposta degna di una schiava. In premio, meriti di poter baciare anche le mie scarpe”. Un attimo di sconcerto, e Anna si abbassò a baciarmi la punta di una pantofola. “Non così: devi leccarle con passione, come hai fatto con i piedi. Queste pantofole sono un oggetto di mia proprietà, che mi degno di mettere a contatto col mio corpo di padrone, e per te devono essere una reliquia preziosa”. La ragazza, forse resasi conto che le calzature non erano certo sporche, cominciò a lappare con l’ardore di prima. “È ora che tu impari le funzioni del tuo corpo, schiava”. Anna era stata sempre attenta e recettiva, e non vedevo motivo di interrompere il suo addestramento psicologico.
“Ora che sei una schiava, il tuo corpo è composto da molte meno parti, che hanno funzioni diverse da quelle che conosci. La bocca, che stai usando adesso, serve per baciare, leccare e ingoiare tutto ciò che il tuo padrone decide di mettervi. Tu non sei altro che una pattumiera, un cesso. Parte del tuo addestramento consisterà nell’insegnarti ad apprezzare sapori che ora non conosci, e a farti comprendere a fondo il tuo ruolo di contenitore senza volontà. La lingua adesso è solo uno strumento sessuale e di adorazione, che dovrai imparare a usare molto meglio di così. La sua altra funzione, molto secondaria, è quella di permetterti di rispondere alle domande che ti vengono fatte e di far divertire i tuoi padroni con i patetici lamenti che emetti quando vieni punita”. Rimasi un secondo ad ammirare il lavoro di pulizia che Anna eseguiva con dedizione: “Naturalmente, come stai dimostrando, la lingua è anche uno strumento di pulizia, che può essere usato in molti modi. Ricordati di leccare bene anche le suole”. La ragazzina si era ormai fatta prendere dalla foga masochistica dell’umiliazione, e ubbidì immediatamente, con lunghe lappate premute con forza sul cuoio.
“Poi abbiamo i seni. Come è evidente dalla loro sensibilità, l’unico motivo della loro esistenza è poterti dare dolore, e dare ai tuoi padroni qualcosa da torturare. Per questo motivo averli piccoli come i tuoi è una colpa molto grave per una schiava, e dovremo fare qualcosa al riguardo”. Anna leccava con dedizione, muovendo la testa in una danza lasciva attorno ai miei piedi. “Poi ci sono la figa e il culo. Sono due buchi, e il loro scopo è di essere riempiti con tutto ciò che desiderano i tuoi padroni. Per questo, dovremo addestrarli tutti i giorni e dilatarli quanto più possibile per renderli bene accessibili”. “L’ultima parte del tuo corpo sono le natiche, che servono per essere frustate e per mostrare sempre i segni delle punizioni, in modo che tutti capiscano a prima vista il tuo ruolo di schiava. Per fortuna sono un po’ più resistenti delle tette, e quindi subiranno le maggiori attenzioni. È importantissimo che ti brucino sempre, per ricordarti in continuazione che sei solo una schiava nata per soffrire. Smetti di leccare e rispondi: ti bruciano in questo momento? ”
Anna sollevò gli occhioni scuri: “Sì padrone, mi fanno ancora tanto male”. “Perfetto, ” le sorrisi, “ricordati di avvertirmi non appena il dolore si dovesse attenuare, capito? ” “Sì padrone, ” sospirò la schiavetta, “Mi scusi, posso avere il permesso di fare pipì? Mi scappa tanto… ” Guardai le pantofole, muovendo i piedi per rimirarle. “Mi sembra che tu abbia fatto un buon lavoro con la lingua. Va bene, ti farò vedere come devi pisciare da ora in poi, ma prima vieni qui”. Con una mossa rapida, staccai contemporaneamente le mollette dal petto della schiava, che si lasciò scappare un urletto acuto di dolore. Allacciai nuovamente il guinzaglio al collare, e trascinai Anna verso il bagno. Arrivati davanti alla tazza, cominciai la nuova umiliazione. “Apri il cesso e salici sopra. No, ” la strattonai, “non così. Quello è il modo in cui pisciano le donne normali, ma tu sei una schiava. Alza anche l’asse, e poi sali in piedi sui bordi della tazza”. Anna ubbidì, un po’ barcollante. “Ora accovacciati, e apri bene le gambe, in modo da esporre la figa. D’ora in poi dovrai usare questa posizione oscena sempre, anche quando ti troverai in casa d’altri o in un locale pubblico. In questi ultimi casi non dovrai mai chiudere a chiave la porta, in modo che le persone possano entrare e vederti la figa, capendo subito che sei una puttana esibizionista e perversa. Hai capito? ” La ragazza arrossì violentemente, immaginandosi senz’altro pescata in quella posa da uno sconosciuto: “Sì, padrone”. In realtà, le occasioni di dare quel genere di spettacolo in una situazione “non controllata”, con persone che non fossero al corrente della sua schiavitù, sarebbero state molto poche, ma mi faceva piacere che pensasse di essere così esposta. “Ora puoi pisciare, ” le concessi, “ma davanti ai miei occhi. Tu sei solo un oggetto di mia proprietà, e non hai nessun diritto a una vita privata”. Anna mi gettò un’occhiata indescrivibile, misto di vergogna, eccitazione e orgoglio per come si stava comportando bene nel suo nuovo ruolo: fece un piccolo sospiro, e dalla sua fighetta di diciottenne piovvero alcune gocce di pipì, che raggiunsero con rumore allegro la ceramica del water. Dopo un attimo di pausa, arrivò un piccolo zampillo, e infine una cascata di liquido giallo e odoroso. Io amo molto il pissing in ogni sua forma, e osservai con piacere lo spettacolo sino alla fine, quando un ultimo sprizzo solitario concluse l’evacuazione. “Pulisciti e scendi” ordinai, e dopo avele fatto tirare l’acqua la riaccompagnai a quattro zampe nella sua camera. Da un cassetto della scrivania presi un block notes, di quelli che usavo per prendere appunti anni prima, quando ancora facevo l’inviato per i quotidiani, e una biro.
“Ora ti insegnerò l’ultima lezione di oggi, schiava, ” le dissi porgendoglieli. “Voglio che tu tenga sempre un diario, che dovrai compilare alla fine della giornata, quando sarai congedata. Devi scrivere tutto quello che hai fatto durante la giornata, ma soprattutto i tuoi pensieri più intimi, e le descrizioni di tutte le tue sensazioni durante le punizioni e mentre sei stata usata, assieme a un elenco preciso delle punizioni ricevute e degli usi sessuali che sono stati fatti di te. Naturalmente non si tratta di un diario privato, perché le schiave non hanno il diritto di possedere nulla, ma ti posso preannunciare che non lo leggerò spesso. Lo scopo è di farti ragionare sui tuoi errori, e di farti apprezzare la fatica che viene fatta per addestrarti. Domani troveremo un vero diario, ma stasera puoi scrivere qui”. “Sì, padrone”. “Ora sono stanco e voglio andare a riposare, ma prima dobbiamo fare una cosa”.
Tirandola dietro di me senza ormai non sentirla quasi più strattonare il guinzaglio, la portai al telefono. “Ora devi chiamare i tuoi genitori. Dì loro che sei arrivata a Londra, che ti sei sistemata nella tua stanza che va tutto bene. Le suore sono simpatiche, il posto è bello e le lezioni cominceranno domattina”. La telefonata fu molto breve: anche stando lontano dalla cornetta sentivo la voce acuta ed esagitata di sua madre, agitatissima per la lontananza della figlia, ma Anna fu molto brava a calmarla. A un mio gesto, improvvisò: “No, va tutto bene. State tranquilli. Ora devo lasciarvi, perché ho pochi gettoni… Vi richiamo tra un paio di giorni, tranquilli… ” Abbassai il contatto sull’apparecchio per interrompere la comunicazione, e con gli occhi umidi la piccola Anna mi porse la cornetta. Forse sarebbe stato il momento giusto per farle una delle mie tirate sui suoi poveri genitori, sulla sua schifosa depravazione e così via, ma lasciai perdere, tornammo in camera, dove le diedi le ultime istruzioni. “Scrivi quello che ti ho detto, poi spegni la luce e dormi. Siccome sei una schiava, non ti è permesso di usare il letto: dormirai sul pavimento, come un animale. Domani mattina sarò io a svegliarti, anche se in futuro questo compito spetterà a te. Solo per questa sera, se vuoi, ti concedo di masturbarti prima di dormire”.
Intenerito dalla sua immagine delicata alla luce calda della lampada sulla scrivania, mi chinai a darle il bacio della buona notte, sulla fronte. Lei assunse un’espressione ancor più adorante del solito: “Grazie, padrone. Buonanotte, padrone”. Stanco ma soddisfatto, mi gettai sul letto, godendomi il fresco del climatizzatore. Prima di addormentarmi, riuscii a sentire chiaramente i mugolii sommessi di Anna, che si toccava ripensando alla sua prima giornata da schiava.
La mattina seguente mi svegliai presto, spinto dallo stesso entusiasmo che tira i bambini giù dal letto la mattina di Natale, per giocare con i loro regali nuovi. Trovai Anna già sveglia, e la spedii subito a farsi una doccia nel bagno degli ospiti, mentre io mi preparai con calma alla giornata intensa che mi attendeva. La prima ora della mattinata fu molto tranquilla: ordinai alla schiavetta di prepararmi la colazione, mostrandole dove si trovasse tutto il necessario, e la lasciai lappare una semplice ciotola d’acqua in ginocchio sul pavimento. Di tanto in tanto la interrogavo su ciò che le avevo spiegato il giorno prima: il modo in cui doveva considerare il suo corpo, i suoi difetti, i suoi doveri. Anna rispondeva sempre perfettamente, in maniera umile, senza dimenticare nemmeno un dettaglio: nonostante gli shock del giorno prima, la sua mente era rimasta perfettamente ricettiva, e aveva memorizzato tutto. Quasi non credevo alla mia fortuna: una schiava così non si vedeva nemmeno nei fumetti, e io ero riuscito a trovarla senza alcuna difficoltà.
Finalmente, venne l’ora di apertura dei negozi. Scesi in cantina un attimo, e al ritorno chiamai la schiavetta al mio cospetto. “Questo è il ripostiglio, ” le dissi indicandole una porta. “Siccome sei un oggetto e in questo momento non mi servi, è il posto che ti compete”. Presi Anna per un braccio, e la trascinai nello sgabuzzino, pieno di scaffali su cui tenevo gli attrezzi per la pulizia e qualche vecchia cianfrusaglia. “Ora te ne starai qui, buona e in silenzio fino a quando non avrò voglia di tirarti fuori, capito? ” La ragazza fece un segno di assenso con la testa, con un’espressione un po’ preoccupata negli occhi. “Questo, ” le dissi porgendole un realistico fallo di gomma che la lasciò sinceramente stupita, “ti terrà impegnata in mia assenza. Voglio che lo usi per imparare a fare dei pompini decenti”. Anna prese l’oggetto con un gesto insicuro. “Mettitelo in bocca, e impara a prenderlo tutto fino in gola”. Senza altre parole, chiusi la porta dello sgabuzzino e spensi la luce sul volto perplesso di Anna, rimasta del tutto interdetta. Era importante che conoscesse le sensazioni strane e umilianti dell’isolamento, e per di più non volevo che sentisse le telefonate che stavo per fare.
Prese le pagine gialle, mi sprofondai infatti in poltrona e cominciai ad organizzare la giornata. La prima cosa che cercai fu un centro estetico: trovarne uno aperto in piena estate non fu facile, e le prime due ragazze che mi risposero non erano in grado di fare quel che avevo chiesto loro. Qualche squillo a vuoto dopo, ottenni quel che mi serviva: si trattava di un piccolo centro un po’ in periferia, e l’estetista che rispose non batté ciglio alla mia richiesta di una depilazione intima completa. Presi appuntamento per la mattinata stessa, e passai oltre: tutti i negozi che mi servivano erano aperti, e impiegai in tutto una mezz’oretta circa.
Tornato al ripostiglio, trovai Anna in piedi, nella posizione rigida che assumono di solito i mangiatori di spade. Aveva il volto paonazzo e le lacrime agli occhi, ma il fallo finto, lucido di saliva, era scomparso quasi interamente fra le sue labbra. Strizzando gli occhi per la luce improvvisa che entrava dalla porta, la ragazzina si sfilò l’osceno oggetto dalla bocca, e abbassò gli occhi: “Padrone, posso parlare? ” lamentò. Concessole il permesso, si confessò con me con la voce bassa, come una bambina che avesse rubato le caramelle: “Ho… sporcato, padrone. Non sono riuscita a trattenermi: è venuto su e… ” Guardai il pavimento, notando una piccola pozza chiara. Mentre Anna continuava a parlare, capii che non si trattava di orina, ma dell’acqua che aveva bevuto per colazione, rigettata per lo stimolo del pene di plastica in gola.
Sibilando di furore simulato, la fissai gelido negli occhi: “Piccola stronza ingrata… Ti dò la possibilità di imparare a essere almeno una puttana, e tu mi ringrazi sporcandomi la casa! ” Presi uno straccio da un ripiano, e glielo gettai in faccia con disprezzo. “Pulisci con questo, poi vai in bagno e lava lo straccio. Puoi lasciarlo ad asciugare nella vasca. Poi, ” e su queste parole indurii ulteriormente il tono, “vieni da me a ricevere la punizione che meriti”. Mi allontanai sdegnoso, mentre Anna cadeva alle mie spalle in ginocchio, a strofinare il pavimento come una vera e propria Cenerentola.
La ragazzina mi raggiunse a quattro zampe dopo una decina di minuti, e si pose in posizione, in ginocchio a gambe larghe e con le braccia incrociate dietro la schiena, davanti alla poltrona su cui la aspettavo. “Mi hai fatto un affronto gravissimo, schiava, ” le spiegai mentre la accompagnavo verso una sedia poco distante, “Il grande onore che hai di usufruire del mio tempo e della mia casa per il tuo forse inutile addestramento non ti dà certo il diritto di comportarti come un maiale, e di sporcare dappertutto”. Con un moschettone da vela, le allaccai dietro la schiena le polsiere fra loro, agganciandole anche allo schienale della sedia. Anna si faceva disporre docilmente nelle posizioni che sceglievo per lei, e intanto ascoltava a testa bassa la mia ramanzina. “Quello che hai fatto merita una punizione adeguata, ma purtroppo ora non ne abbiamo il tempo. Per il momento, ” scandii mentre passavo una corda fra gli anelli delle cavigliere, “prenderai solo qualche frustata, ma questa sera ti insegnerò cosa vuol dire ‘rispettò”. La ragazza si era irrigidita al pensiero di una nuova fustigazione. Tirai la corda delle cavigliere dietro le gambe posteriori della sedia, facendole alzare i piedi da terra, e la annodai sul suo ventre bianco e piatto, bloccandole il busto alla spalliera.
In un certo senso, ero sinceramente arrabbiato per quel che aveva combinato nello sgabuzzino, e quando Anna mi vide impugnare la frusta che avevo usato il giorno prima sul suo sederino, provai una piacevole eccitazione nel vederne l’espressione spaventata. Senza attendere oltre, mi avvicinai al suo corpo tremante e lasciai cadere un colpo di media forza sui seni della ragazzina, che sobbalzò lottando contro i legami. Per una volta, non mi preoccupai del suo piacere: mi limitai a infierire sul petto sobbalzante assaporando la sofferenza che le infliggevo. Anna si agitò presto scompostamente, urlando con forza a ogni colpo, specialmente quando una sferza le centrava un capezzolo. “Aaaaargg! …. Mhhuuaaaah! … NonononoNoooh! … Muooioohoo! … ” Le diedi circa una dozzina di frustate, che le facevano scuotere con forza la testa e sollevavano i capelli in strane traiettorie. Mi fermai quando i seni erano coperti di lievi linee rosse, e la violenza dei sobbalzi della mia vittima stavano per rovesciare la sedia su cui era immobilizzata. Avevo il fiato corto per l’eccitazione e il movimento, e rimasi un attimo a osservare la mia schiava, che singhiozzava tutto il suo dolore e inspirava rumorosamente con il naso congestionato. Anna non aveva provato piacere in quella fustigazione, e anche se probabilmente avrebbe tenuto fede al suo patto di sottomisione, mi resi conto di rischiare di perderla proprio un attimo prima dell’unico momento in cui non la avrei potuta tenere d’occhio. Mi immaginai l’estetista stupita davanti ai suoi segni, che la incitava a scappare o a rivolgersi alla polizia: dovevo fare qualcosa per legarla a me, e anche se la mia intenzione originaria era di non mostrarle mai alcun interesse o affetto nei suoi confronti, feci l’unica cosa possibile. Senza dire una parola, mi abbassai a slegarle le gambe, e mettendomi di fronte a lei ne spostai il bacino in avanti, verso il bordo della sedia. Poi, con un certo imbarazzo anche se con piacere, avvicinai la bocca alla fighetta vergine, e cominciai a leccare.
Si trattava di un’esperienza del tutto nuova per Anna, che trasalì prima di abbandonarsi alle sensazioni per lei misteriose della mia lingua sul suo sesso. In brevissimo tempo, sentii le piccole labbra gonfiarsi e distendersi, mentre il clitoride si induriva e spuntava dalla sua protezione di carne. La ragazzina cominciò presto a mugulare di piacere, e infine esplose il suo godimento fra le mie labbra, bagnandomi di succhi dal profumo eccitantissimo con un piccolo urlo.
Finii di slegarla senza che nessuno dicesse una parola, e le slacciai le fasce di cuoio che le stringevano polsi e caviglie. Con pochi comandi secchi, le indicai cosa indossare per uscire e la feci salire in macchina. Quando finalmente fummo per strada, poi, la ragazza ruppe il silenzio: “Padrone, dovrei fare pipì”. Sollevato per la fine dell’impasse, risposi fingendo indifferenza. “Ti sto portando da un’estetista. Piscerai lì, nel modo che ti ho spiegato. Ho già dato ordine che ti depilino il culo, la figa e tutti i peli superflui: assicurati che facciano un lavoro accurato, così farai forse un po’ meno ribrezzo a guardarti”. “Sì, padrone”. “Se qualcuno ti chiede qualcosa dei segni che hai sul corpo, dì la verità. Fammi sentire la risposta, ” ordinai. Anna pensò un attimo prima di parlare: “Sono segni di frusta. Io sono masochista, e ho trovato una persona tanto buona che si occupa di darmi quello di cui ho bisogno”. Era una ragazza molto intelligente, e glielo feci notare. “La prenotazione è a nome di Anna Schiava. D’ora in poi sarà questo il nome con cui ti presenterai sempre”. La ragazza sorrise compiaciuta. “Tornerò a prenderti tra tre quarti d’ora, ” le dissi parcheggiando davanti alla vetrina del centro estetico e mettendole i soldi del trattamento in mano, “Fatti trovare qui fuori e non ti fare venire idee strane, o ti puoi scordare i tuoi giochetti per sempre. Soprattutto, non dire assolutamente nulla di me a nessuno. Scendi”. Anna aprì la portiera, scese e prima di chiudere, con il suo solito sussurro, mi disse due parole: “Grazie, padrone”. La vidi entrare nel palazzo, aspettai per scrupolo un paio di minuti, e finalmente, ripartii, con un peso in meno sullo stomaco.
La mia meta era un’edicola per adulti non proprio vicinissima, dove venni accolto con un sorriso dal gestore. L’uomo, sulla trentina, mi conosceva da anni e sapeva che ero un buon cliente. Tempo prima ci eravamo accordati perché mi tenesse da parte una serie di riviste, e poiché erano quasi tutte di importazione lasciavo a ogni visita almeno centomila lire. Salutandomi, tirò fuori da dietro al bancone un sacchetto, che svuotò un pezzo alla volta. C’erano due mensili italiani di S/M, un giornale anch’esso mensile di annunci erotici, e infine una serie di piccole riviste tedesche e olandesi. Queste ultime erano quelle che mi interessavano di più: le avevo scelte per i loro contenuti molto forti e originali, e alcune volte riuscivano a scioccare persino me per i loro contenuti. Due di esse trattavano di dominazione e tortura ad altissimi livelli, e vi si trovavano spesso fotografie di sederi sanguinanti per la fustigazione, dilatazioni inumane e genitali trafitti da aghi di tutte le misure. Un’altra era una rivista di pissing e coprofilia, il cui clou erano gli annunci di donne e ragazze che non desideravano altro che essere coperte di escrementi da leccare e divorare. L’ultima pubblicazione era in realtà belga, ed era improntata più che altro al feticismo. Sulle sue pagine si trovavano però gli annunci di feste e incontri bizzarri che si tenevano in tutta Europa, e mi piaceva rimanere informato e visitarne qualcuno di tanto in tanto.
Pagai una cifra mostruosa, risalii in macchina e, data un’occhiata all’orologio, mi precipitai a recuperare Anna, da cui sarei arrivato probabilmente in ritardo. Guidai maledicendo il traffico che persisteva anche in estate, e arrivai dall’estetista trovandola sulla soglia, raggiante come non mai. La feci salire in macchina, partii e, non appena ci fummo allontanati un attimo, le misi una mano in mezzo alle gambe per controllare il lavoro che era stato fatto: la sua pelle era liscia come il culetto di un bambino, e la schiava alzò con piacere il bacino per farmi toccare anche il solco fra le natiche, perfettamente depilato. “Allora, com’è andata? ” le chiesi. “Bene, padrone, grazie. Appena mi sono spogliata, la ragazza che si è occupata di me mi ha chiesto dei segni, e quando le ho spiegato tutto si è messa a ridere. Mi ha detto che ha anche un’altra cliente masochista, e mi ha raccontato di lei”. “Raccontami tutto, ” la interruppi, interessato alla cosa. Anna rispose come a un interrogatorio, facendo a volte brevi pause per ricordare meglio i particolari.
“È una ragazza di ventisei anni, che va a farsi depilare come me una volta al mese. Lei appartiene a una padrona che la accompagna ogni tanto, e la ragazza mi ha detto che ha sempre il sedere pieno di lividi. L’estetista dice che le sembra molto felice di essere una schiava, ma che lei non capisce come faccia una così bella ragazza a farsi fare certe cose, soprattutto da una donna”. Ridemmo entrambi, e Anna sembrò stupirsi un attimo, forse perché si rendeva conto che la vita di una schiava poteva avere momenti di felicità del tutto normali. “Erica, la ragazza che mi ha depilato, non ha detto niente altro di importante. Abbiamo chiacchierato del più e del meno, ma io… ehm… non vedevo l’ora di tornare da t… lei, padrone”. Era un piacevole lapsus, che denotava come Anna cominciasse a sentire stringersi il nostro legame. Rimanemmo qualche minuto in silenzio, dopodiché riuscii a parcheggiare senza difficoltà davanti alla nostra seconda tappa.
Si trattava di un negozio piuttosto particolare, gestito da un amico. Era piccolo, con una vetrina sola: i manichini dietro il vetro la dicevano lunga sugli interessi del gestore, per cui quel luogo era più che altro un passatempo. Con la scusa di vendere “abbigliamento giovane”, infatti, il negozio era specializzato in capi estremamente provocanti, di gusto feticistico. Al suo interno, l’aria calda dell’estate era mossa da grossi ventilatori sul soffitto, e la musica quasi assordante che vi rimbombava nei mesi invernali era grazie al cielo spenta. Ci scambiammo qualche convenevole mentre Anna restava immobile, in piedi dietro di me, e all’improvviso il proprietario del negozio sembrò ricordarsi dello scopo della mia visita. “E così questa è la ragazza che mi dicevi, eh? ” la indicò con la sua tipica parlata effeminata a livelli quasi macchiettistici. “Oh gesù bambino, è proprio un disastro, ” osservò mentre ne sfiorava con la mano gli abiti, “con questi stracci addosso non ecciterebbe neanche un legionario. Aspetta, guarda cosa vi ho preparato”. Da dietro il bancone comparì una scatola di cartone, dal cui interno facevano capolino tessuti sgargianti e plastica lucida. “Allora, tu di pantaloni non vuoi sentir parlare… questo è troppo frivolo… ecco, ” porse ad Anna un miniabito nero, “provati un po’ questo. I camerini sono lì”.
Rimanemmo un paio di minuti a chiacchierare di amici comuni, e quando la mia schiavetta uscì dal camerino, rimasi piacevolmente sorpreso. L’abitino era di tessuto elasticizzato, e fasciava il corpo quasi da adolescente di Anna come una seconda pelle. Era un tubino senza maniche, con un colletto alto che copriva il collare. Attraverso la stoffa si vedevano chiaramente i capezzoli e persino le loro areole, e la parte inferiore arrivava appena un dito o due al di sotto delle natiche. “Cosa ti dicevo, ” mi diede allegramente di gomito il negoziante, “non fa tutto un altro effetto? ” Il negozio era vuoto, e ne approfittai per umiliare un po’ la ragazzina. “Allarga di più le gambe, schiava”. Anna ubbidì arrossendo, e il vestito risalì di qualche centimetro. “Siediti lì, ” le indicai una sedia. Sempre più imbarazzata, la ragazza si sedette come le avevo insegnato, allargando le cosce davanti allo sguardo attento del mio amico. Le labbra vaginali, ancora un po’ arrossate per la depilazione, si potevano vedere facilmente. “Ora vieni qui e piegati sul bancone”. Anna ubbidì come un automa, e il vestitino si comportò perfettamente, risalendo senza pietà sino a mezza natica, ed esponendo le intimità più riposte della mia schiavetta.
“Questo va bene, ” dissi al mio amico, impassibile di fronte allo strano spettacolo, “ma voglio anche qualcosa che le lasci i seni a portata di mano”. Sollevando un sopracciglio, il sarto bizzarro frugò nello scatolone, tirandone fuori due minuscoli pezzi di stoffa, uno bianco e uno nero. “Più di questo non c’è niente, ” osservò divertito, “tu vuoi solo cose nere, vero? ” Feci un cenno di assenso, e il fazzolettino bianco sparì nella scatola, mentre Anna veniva spedita a indossarlo. “La parte davanti è quella più alta, cara”. Questa volta ci volle qualche minuto in più prima che la ragazzina tornasse fuori, e quando lo fece capii il perché. Il nuovo capo era davvero osceno, ridottissimo. I seni rimanevano esposti fino alla linea dei capezzoli, e sul retro le spalline sottili si univano solo un centimetro al di sotto della parte superiore delle natiche, esponendo così l’inizio del solco. La “gonna” era alta pochi centimetri come la precedente. Anna era paonazza, e mi divertii a sentire il suo parere su quell’abbigliamento. “Mi… sembra di essere nuda, padrone, ” osservò a occhi bassi. “Allora è perfetto. Lo scopo di questi vestiti è proprio di farti sentire esposta e di mostrare a tutti che razza di volgare puttanella sei”. Il proprietario del negozio le fece provare anche altri capi osceni come i precedenti, in pelle, PVC e altri materiali esotici, ma erano tutti inadatti al caldo estivo. “Se sarà ancora al mio servizio questo inverno tornerò, ” lo rassicurai pagando, “le tue cose sono sempre eccezionali”.
Feci uscire Anna con il primo abito provato, per non esporre troppo i segni della fustigazione sul seno della mattina. Chiunque si fosse avvicinato alla nostra macchina avrebbe visto che non indossava le mutandine, ma il nuovo look della ragazza non era ancora completato. Per questo mi diressi in centro, verso la casa-studio di un’altra amica. Si trattava di una donna sulla cinquantina ma ancora piacente, prototipo della signora alto borghese. Mi venne ad aprire con un abito di seta colorata, capelli e trucco perfetti e, naturalmente, i tacchi alti. Questi erano la sua passione, di tipo feticistico. Mara, questo il suo nome, adorava i tacchi a spillo, e più erano alti più la eccitavano. Anche Anna, che era ancora turbata per il piccolo tratto di strada che le avevo fatto fare a piedi, davanti agli occhi dei pochi passanti, non aveva potuto fare a meno di notarli: si trattava di scarpe color pesca, tanto alte da costringere Mara in punta di piedi. I tacchi facevano onore al loro nome, e sembravano davvero punte acuminate su cui la donna si muoveva però ticchettando spensierata nella sua casa grande e ricca, dai pavimenti necessariamente di marmo.
“Allora, signorina, ” si rivolse ad Anna mentre ci faceva strada verso il suo studio, “che numero porti? ” La ragazza rimase un attimo interdetta, ma capì il senso della domanda non appena arrivata in quello che si sarebbe potuto definire lo showroom di Mara: una stanza circondata da due giri di scaffali su cui erano esposte scarpe di ogni tipo, accomunate solo dall’altezza abnorme del loro tacco. “Ehm… trentasette, signora”. “Allora… ” borbottò fra se la strana calzolaia, “trentasette… tu vuoi il modello dell’anno scorso… trentasette… poi ti faccio vedere un nuovo arrivo che ho preso a Rotterdam… Eccole qui”. Premendole leggermente una spalla, feci sedere la schiavetta su una poltroncina, mentre guardava sbigottita le calzature che le venivano porte. Si trattava di un paio di scarpe nere, di cuoio lucido. Erano piuttosto aperte, e sulla coppa del tallone avevano, nella parte posteriore, un laccetto con un fermaglio metallico, che andava ad avvolgere la caviglia. La loro particolarità principale era naturalmente il tacco, che correva svettante per tutta la lunghezza della scarpa, lasciando solo una zona d’appoggio piccolissima, grande a malapena per ospitare le dita dei piedi, piegate all’indietro di quasi novanta gradi.
Mara si chinò ai piedi di Anna, e con gesti esperti le tolse le scarpe piatte che fino a quel momento aveva sempre indossato. “Ecco, infila qui… ” le spiegò, calzando la scarpa sul piedino della ragazza e stringendo il cinturino. Per bloccarlo, invece della tradizionale fibbietta c’era un minuscolo lucchetto, che venne fatto scattare sull’anello metallico di chiusura, e rimase in evidenza sul lato esterno della caviglia. Il secondo piede subì la stessa sorte, e Mara si alzò soddisfatta: “Adesso alzati, così vediamo come ti stanno”. Anna, che ancora non aveva appoggiato i piedi a terra, sussurò un lamento. “Ma io… non posso… ” Mara cambiò completamente tono, trasformandosi da allegra signora in virago inflessibile: “Non dire sciocchezze, schiava! Come vedi, si può benissimo camminare con quelle scarpe. Hai mai pattinato? ” “N… no, signora” scosse la testa Anna. “Male. Ricordati di non piegare le caviglie di lato, sennò puoi farti male, e ora alzati! “. La donna prese per un braccio la mia schiavetta, e la trascinò in piedi senza tanti riguardi. Anna barcollò un attimo, e con un’espressione molto preoccupata riuscì dopo qualche sforzo a stare in piedi, immobile per paura di cadere. I muscoli delle gambe erano tesi, e la necessità di bilanciarsi la aveva costretta a spingere in fuori il sedere, trasformandola in una eccezionale bambolina sexy.
“Visto? ” la schernì Mara, “Ora fai qualche passo”. Anna mi guardò con grandi occhi spaventati, e incontrando il mio sguardo obbedì tremando: fortunatamente la donna le era rimasta vicino, e quando il primo passo si trasformò in una caduta, la trattenne al volo. “Tieni rigide quelle caviglie! ” In una decina di minuti quasi comici per la goffaggine di Anna, la ragazzina imparò finalmente a muoversi in maniera ragionevolmente stabile. Quando fummo entrambi sicuri che non si sarebbe rotta l’osso del collo, la lasciammo ad allenarsi appoggiata a uno scaffale, e Mara mi prese da parte, conducendomi al capo opposto della stanza. “Quelle che hai preso sono scarpe da allenamento, ” mi spiegò, “con la suola e il tacco fusi in un unico pezzo di acciaio. Rispetto al modello che hai preso l’anno scorso hanno migliorato il cinturino, che adesso è anch’esso in acciaio. Vedrai, sarà un buon acquisto. Ora però guarda questi”. La donna mi mise in mano uno stivaletto di pelle nera, con la caratteristica allacciatura anteriore in cui un lungo laccio viene fatto incrociare su numerosi gancetti. “Mi sono arrivati l’altro giorno da Rotterdam, ” mi spiegò entusiasta, “e servono proprio alle principianti come la ragazza. Se guardi dentro, vedrai che la linguetta non è morbida, ma ha un’anima di metallo. Quando li allacci, bloccano il dorso del piede parallelo allo stinco, e chi li indossa impara una volta per tutte la posizione giusta”. Ero affascinato ma dubbioso: prima che aprissi bocca, però, Mara anticipò i miei pensieri. “Naturalmente ora fa troppo caldo per usarli, ma questo inverno faranno furore. Vuoi prenderli subito? ” Declinai l’offerta, spiegando che non ero sicuro di tenere con me Anna, e andai a riprendere la mia bambolina, che stava sbuffando per la fatica. Uscii tenendola a braccetto per sostenerla. Sulla porta, Mara si premurò di mettermi in mano, oltre a un regolare scontrino per il salatissimo conto, un vasetto di crema lenitiva da far mettere sui piedi ad Anna in previsione dei dolori che la avrebbero colta sicuramente. Il tragitto verso l’auto fu penosissimo, a piccoli passi e con qualche inciampo ogni tanto. Con quei tacchi vertiginosi, la schiava aveva la mia stessa altezza, e osservandone l’espressione compita con cui si impegnava per camminare mi venne quasi la tentazione di baciarla. “Presto ti abituerai, ” le dissi spingendola in auto, e lei mi rispose con un grande sorriso. FINE