Assedio

Non appena fu entrato Gianfranco ebbe la sgradevole sensazione di avere tutti gli occhi addosso. In realtà, come capì dopo poco, quasi tutti si erano limitati a dargli solo un’occhiata di sfuggita, qualcuno più insistente sembrò dimostrare una certa curiosità ma la maggior parte non mostrò un granché interesse per lui. Si sente deluso, l’imbarazzo iniziale era stato fastidioso ma nulla al confronto della consapevolezza di suscitare una tale indifferenza.
Diede un’occhiata in giro: l’ufficio era una baraonda, si era quasi alla chiusura del giornale ed era stato necessario cambiare l’impostazione di alcuni articoli dopo le ultime dichiarazioni della polizia e del sindaco sul fatto di cronaca che rappresentava la notizia del giorno. Tre prostitute nigeriane erano state trovate uccise in una stanza mentre in quella accanto i protettori giocavano a carte aspettando la notte per disfarsi dei cadaveri.
Lentamente l’agitazione scemò via via che gli articoli venivano sostituiti ed inviati alla stampa e il giornale rimpaginato.
Per tutto il tempo Gianfranco restò in piedi, in mezzo al corridoio, guardandosi intorno indeciso su cosa fare, finché, ad un certo punto un uomo biondo gli si avvicinò tendendogli la mano.
“Gianfranco Rossi? Sono Antonio Verde” si interruppe un attimo vedendo Gianfranco sorridere per l’assonanza dei cognomi. Rossi era un cognome molto più comune del suo e lui si era trovato tanto spesso in quella situazione che ormai non gli faceva più effetto “Il capo mi ha avvisato del tuo arrivo, vieni ti accompagno a fare un giro”
Gli andò dietro. Via via che passavano tra le scrivanie Antonio cominciò a presentarlo ai suoi nuovi colleghi tra una serie di “Ciao”
“Benvenuto” e le solite battutine scherzose all’indirizzo dell’ultimo arrivato. Poi, all’improvviso, lo vide irrigidirsi e girarsi di botto
“Qualunque cosa accada stai calmo” sente che il tono era preoccupato Una donna molto carina, sui trent’anni, gli venne incontro leggendo con furia un fax. Si stava dirigendo verso l’ufficio del capo redazione e loro erano sulla strada.
“Stefania, scusami, ti presento Gianfranco Rossi. è il nuovo cronista che… deve… ” la voce gli andò scemando mentre lei li superava senza alzare lo sguardo, poi, tre passi oltre, si fermò, si girò e per qualche secondo li guardò senza capire. Abbassò ancora gli occhi sul foglio e gli lanciò ancora un’altra occhiata prima che sembrasse realizzare qualche cosa.
“Adesso ricordo, Rossi? Quello nuovo che doveva arrivare, il nipote di Ferilli. Beh, spero che vali tanto quanto la raccomandazione che ti ha preceduto, adesso scusatemi… ” si girò e se ne andò lasciando Gianfranco a bocca aperta.
“Non te la prendere” disse Verde dandogli una pacca sulla spalla “hai appena avuto il primo assaggio di Lemon Jean”
Gianfranco lo guardò inebetito restando fermo sempre a bocca aperta mentre l’altro riprendeva a camminare e raggiungeva l’ascensore, si scosse appena in tempo, richiuse la bocca e gli corse dietro “Lemon Jean! ? ”
“Non la conoscevi? è la migliore cronista di questo giornale e anche la meno controllabile. Non te la prendere, in fin dei conti con te è stata buona. Si vede che aveva da fare, di solito è più caustica con i novellini” mentre parlava Antonio si girò e la segue con lo sguardo mentre si sbatteva dietro, più che chiuderla, la porta dell’ufficio del capo redattore. Non invidiò il capo in quel momento, quasi subito attraverso la porta cominciarono a filtrare alcune voci concitate.
L’ascensore arrivò al piano, uscirono un paio di donne ma l’interno restò parecchio affollato, alla fine ci entrarono a fatica spingendo a destra e a manca.
“Ma perché Lemon Jean? ” chiese quando presero a salire “Il nome le è stato dato sei anni fa da un novellino come te che lei aveva un po’ strapazzato. Era ancora all’inizio, anzi se non sbaglio erano stati assunti insieme ma lui aveva creduto di potersi allargare un po’ troppo. Sono state scintille fin dall’inizio ma ad un certo punto lei ha cominciato a trattarlo talmente male che dopo un anno si è licenziato. ”
“Ma perché Jean se si chiama Stefania? ”
“Beh, quel tizio non era troppo ferrato in inglese, in effetti me lo ricordo: era proprio un fesso. Credeva che la traduzione giusta di Stefania fosse Jean. Stefania lo trattava a livello di tappeto personale, non che meritasse più considerazione. Dopo un po’ è riuscita a mettergli contro mezza redazione e tutti hanno cominciato a prenderlo in giro finché non ha retto più e se ne è andato. ”
“Ma ‘Lemon’ ? ? ”
Verde fece un mezzo sorriso come perso in un pensiero “Vedi, nonostante tutto Stefania è molto simpatica, ha le sue battute fulminanti e i suoi momenti strani, soprattutto quando è sotto pressione, ma di solito è un’ottima persona oltre che molto carina.
Nessuno avrebbe il coraggio di chiamarla “toxic” oppure “acid”, Lemon è la cosa più simpatica e “acida” che il tizio sia riuscito a far attecchire” Si interruppe mentre l’ascensore si arrestava al piano “di fatto, per la maggior parte di noi è quasi un complimento. Siamo arrivati, vieni che ti mostro i corridoi della direzione. ”

“Cosa significa questo? ” la voce aveva un lieve tremolio. Era chiaro che stava cercando di controllarsi ma non ci riusciva molto bene.
Marsico, si dondoln all’indietro sullo schienale della poltrona. Sul tavolo davanti a lui c’era il fax che le aveva fatto trasmettere quella mattina: era stata trasferita dalla cronaca agli articoli di costume. Si schiarì la voce senza troppa convinzione, non era facile trovare le parole per ciò che aveva da dire.
“Ieri mi ha chiamato il direttore” Stefania fece ad interromperlo ma lui la fermn con un gesto del braccio “mi ha detto che ha ricevuto una busta con una pallottola dentro. Sopra la palla c’era scritto il nome del destinatario… ”
“E allora!! ? ” il tono era seccato e iroso, Marsico capì che non era stata molto a sentire “non è la prima volta che il direttore riceve minacce di morte, si vanta sempre che quando era lui a dirigere la cronaca gliene mandavano tutte le mattine per colazione, dovrebbe esser… ”
“Il nome sulla pallottola era il tuo… ” fece una pausa ad effetto mentre lei assorbiva la notizia. “Stammi a sentire, non è la solita minaccia è una cosa seria. Sappiamo tutti e tre da dove arriva, i Verri la usano come ultimo avviso prima di ammazzare.
Ieri, dopo che è arrivata la busta, io e il direttore ne abbiamo parlato. Non vogliamo che ti succeda qualcosa e abbiamo deciso che è meglio trasferirti a qualcosa di più tranquillo. Per sei mesi starai fuori dai guai cercando di farti dimenticare, poi, quando le acque si saranno calmate, vedremo. ”
“E se non accettassi? ” si era seduta in una delle poltroncine di pelle marrone davanti alla scrivania, era sconcertata: era la prima volta che veniva minacciata seriamente e la sorpresa era tale che non riusciva a pensare chiaramente, non sapeva cosa fare.
Finora, come tutti, era stata convinta che non sarebbe mai successo, non che si considerasse intoccabile, come cronista pestava troppi piedi per non causare qualche reazione, semplicemente non aveva mai preso in considerazione sul serio l’eventualità di poter essere uccisa.
“Stefania, non vogliamo perderti, né io né il direttore. Stai sei mesi le, fai calmare le acque, poi pian piano tornerai alla cronaca. Puoi prenderlo come un consiglio, come un avvicendamento interno o, se preferisci, come un ordine” Il tono era definitivo e capì che non ammetteva altre soluzioni. Restarono qualche minuto a fissarsi in silenzio poi lei si alzò e usci.
Tornò alla sua scrivania e si sedette pesantemente sulla sedia di stoffa, si sente stanca. Anche se non riusciva ad accettarlo sapeva che Marsico aveva ragione, era meglio stare tranquilla per un po’, non dare più tanto nell’occhio. Aveva già avuto minacce, prima, ma questa volta era diverso, questa volta era una cosa seria.
Qualunque cronista di cronaca nera d’assalto riceve delle minacce. La maggior parte venivano da pesci piccoli e non erano degne di essere nemmeno prese in considerazione ma l’ultima serie di articoli che aveva fatto sulla cosca dei Verri e i loro agganci politici aveva fatto parecchio rumore in cittr andando a toccare molti papaveri vicini al sindaco, e queste erano le conseguenze.
Fuori dalla finestra era scesa la sera, si chiese se qualcosa o qualcuno la stavano aspettando nel buio.
Contro la sua stessa volontà sente paura.

“E questo servizio chi lo fa ? ” la voce era allarmata.
“Prova ad indovinare ? ” rispose Marsico invece con tono divertito.
“Non starai pensando… ”
“Invece se… ”
Stefania cominciò a protestare ma Marsico fu irremovibile. Nei tre mesi che aveva passato alla cronaca di costume aveva dimostrato una sottile ironia nel trattare gli argomenti più stravaganti che le aveva guadagnato la simpatia dei lettori. Si era adattata prestissimo, tanto che sembrava nata per quel genere di giornalismo, ma nonostante le lodi continuava a scalpitare per tornare alla cronaca nera.
Il mese prima aveva scritto a quattro mani con Ferrara, il suo sostituto, l’articolo sulla sparatoria in cui era rimasto ucciso il figlio maggiore di Verri, quello che era destinato a succedergli.
L’articolo era firmato solo da Ferrara ma dal tono di fondo compiaciuto Marsico si era accorto subito che dentro c’era anche la mano di Stefania. Aveva fatto una lavata di capo a tutti e due e da allora lei si stava comportando bene.
Doveva essere ben chiaro che chi comandava lr dentro era lui e la cosa non andava messa in discussione.
Quando Stefania capì che non c’era niente da fare si alzò di botto e usce come una furia sbattendo tanto violentemente la porta dietro di sé che Marsico, per un attimo, temette gli cadesse addosso. Restò a fissare la porta chiusa mentre sul viso si allargava un sorriso, avrebbe fatto un buon lavoro. Era un’ottima giornalista e un’ottima scrittrice, sarebbe stata una grossa perdita per la cronaca di costume.

Quella sera, quando arrivò, bussò con più forza del necessario. La porta rimbombò cupa sotto i colpi con una tonalità strana, come fosse vuota all’interno, ma c’era lo stesso qualcosa di strano.
Forse chi stava all’interno avrebbe pensato ad un’irruzione della polizia, visto il rumore, ma la cosa la lasciò indifferente, era estremamente seccata per quell’incarico e le piaceva che si notasse.
Dopo poco venne ad aprire una donna bruna poco più alta di un metro e sessanta, molto carina che la guardò con espressione sospettosa.
“Sono Stefania Biasini, vengo da parte del giornale. ”
Il viso dell soprappensiero una stampa originale di Kandinsky una voce improvvisa la scosse
“Cose lei è la giornalista che dovrebbe intervistarci? ” nel tono avverte una sfumatura d’ironia. L’uomo che aveva parlato era alto un metro e ottanta circa, bruno di capelli e con un fisico ed un viso che le fecero di colpo accelerare il cuore. Non era bello nel senso classico del termine ma aveva quel qualcosa di particolare che lo rendeva sexy e attirava le donne. Il fisico era asciutto e ben modellato, sotto la maglietta si indovinava la massa di muscoli non eccessiva e perfettamente in tono con l’altezza, quasi fosse una statua greca del periodo classico.
Quando aveva parlato era ancora a metà della scala che portava al piano di sopra, scese gli ultimi gradini muovendosi come un gatto, con un dondolio sui piedi che Stefania aveva visto fare ai ballerini. Si sedette nella poltrona di alcantara rosso davanti al caminetto, accavallò le gambe e, senza dire un parola, cominciò a fissarla in una maniera strana, indagatrice… che le diede la sensazione quasi di essere una farfalla sul vetrino di un microscopio.
Quello sguardo la mise a disagio. Fortunatamente la donna che le aveva aperto ritornò quasi subito portando dei bicchieri pieni di un liquido arancione. L’assaggiò: era succo di frutta alla pesca
“Spero le piaccia. Non abbiamo alcool in casa tranne quel poco che teniamo per cucinare. Non mi sembrava il caso di offrirle del rum ma se, magari, ne vuole un po’… ”
Rifiutò gentilmente, si sentiva tesa, la situazione non era quella che si era immaginata e per la quale si era mentalmente preparata. Quello sguardo aveva rotto la sua cappa di sicurezza. Adesso nell’aria avvertiva una sensazione di tensione sottile che non riusciva a controllare, come di un qualcosa che aleggiava tra loro e l’osservava da fuori.
Per rompere il ghiaccio cominciò a spiegare quale era il suo compito al giornale e quando la storia sarebbe stata pubblicata. Come da accordi i veri nomi sarebbero stati tenuti segreti e loro avrebbero potuto leggere in anteprima l’articolo per approvarlo prima della pubblicazione. La donna, che si chiamava Miriam, non fece che annuire per tutto il tempo mentre l’uomo, Daniele, che lei chiamava ‘Dan’, si limitò ad osservarla con la solita espressione attenta che aveva il potere di renderla nervosa.
Per scacciare l’inquietudine tirò fuori il minidisk dicendo “Possiamo cominciare. ”
Fece alcune domande iniziali standard, per creare quel minimo di familiarità e di calore necessari a passare agli argomenti più scabrosi, quando sente che l’atmosfera era pronta chiese: “Miriam, come è vivere un rapporto come il vostro? ”
“Meraviglioso! Per tutta la vita ho cercato un uomo come Dany ed ancora non riesco a credere che lui ci sia davvero. ” La voce aveva avuto una sfumatura dolce alla parola Dany.
“Vuoi raccontare qualcosa della vostra vita insieme? ”
“è un po’ difficile, non è facile parlare un rapporto cose fuori dal comune, è un po’ imbarazzante. Anche se l’hai desiderato per tutta la vita non ci si abitua mai completamente all’idea, del resto nessuna ragazza viene cresciuta per diventare una schiava. ”
Stefania riuscì a malapena ad trattenere una smorfia di disappunto alla parola, recuperò “Hai avuto delle difficoltà ad accettare il tuo ruolo? ”
“Qualche difficoltà c’è stata anche se per tutta la vita ho sognato un rapporto con un mio padrone e quando l’ho finalmente incontrato ne sono stata felicissima. ”
Si fermò di nuovo, a quel punto Stefania si rese conto che Miriam non era in grado di gestire in proprio l’intervista e quindi cominciò a guidarla con brevi domande, Dan continuò ad osservare senza dire niente.
“Come vi siete incontrati la prima volta? ”
“è stato quando mi sono trasferita a Milano per lavoro” si girò e lanciò a Dan un’occhiata affettuosa “ero arrivata da pochi giorni quando una collega d’ufficio mi ha invitato ad una festa. Non conoscevo nessuno, tranne gli altri colleghi, ma lui era lr. Fin dall’inizio c’è stato qualcosa che mi ha attratta, che mi spingeva verso di lui. La prima volta che l’ho visto mi guardava: aveva in mano un bicchiere e stava in piedi appoggiato ad una porta e mi fissava.
Quando mi muovevo per la stanza sentivo i suoi occhi che mi seguivano, era come un brivido sulla pelle e mi faceva bagnare… bagnare sotto, intendo…
Per sfuggirgli mi sono messa a girare per l’appartamento, ho provato a parlare con qualcuno ma dopo poco ero sempre costretta a tornare in quella stanza, sotto la portata del suo sguardo. Alla fine si è avvicinato e mi ha portato un bicchiere, abbiamo cominciato a parlare e non abbiamo smesso per tutta la sera. Certo, c’è stato qualche problema con l’altra ma ci siamo rivisti la sera dopo e quella dopo. ”
“Quale altra? ”
“Ero andato alla festa con la mia precedente ragazza” intervenne Dan, Stefania trovò la sua voce irritantemente tranquilla “era una storia che stava finendo. Anzi, per la precisione è finita quella sera. ”
Scoccò a Miriam un’occhiata che le strappò un sorriso, si avvicinò a lui, l’abbracciò e gli si strofinò contro.
“La sera dopo ci siamo rivisti e poi ancora di seguito per due settimane, poi io ho dovuto cambiare casa, non potevo più stare dove abitavo, e allora sono venuta a stare qui con lui. Da allora non ci siamo più lasciati” si appoggin alla sua spalla e lui le mise le braccia intorno.
“Cos’è che ti ha attratta la prima volta? ”
“La sua forza, ho avuto una sensazione di controllo, di dominio… di potere. Per tutta la vita ho sognato un uomo che mi dominasse, mi controllasse, a cui mi potessi affidare totalmente.
All’inizio non me ne rendevo conto ma poi mi sono accorta che era quello che cercavo in un uomo: dargli il controllo sulla mia vita. Con tutti gli altri che ho avuto mi sono sempre sentita insoddisfatta, c’era sempre qualcosa che mancava, che mi impediva di abbandonarmi totalmente. Con lui fin dall’inizio ho sentito che il rapporto era completo, mi piace sentire il suo potere su di me. ”
“Come si svolge il vostro rapporto ? ”
Tutti e due cominciarono a parlare, Miriam, rendendosi conto che aveva coperto il proprio padrone si bloccò di colpo e restò in silenzio con gli occhi bassi ma Dan le fece un cenno con la testa e lei riprese.
“Abbiamo quello che potrebbe essere definito un rapporto padrone/schiava. Quello che ci stupisce, e per questo motivo abbiamo accettato di fare questa intervista, è che tutti pensano a questo tipo di rapporto come una cosa turpe, dove la donna viene degradata, violentata, nessuno pensa che può esserci solo amore in una storia in cui uno dei due accetta di mettere tutta se stessa nelle mani dell’altro. Quando ci si immagina una storia sadomasochistica tutti pensano a “Histoire d’O” ma la verità non è quella”
“Invece, in cosa differisce il vostro rapporto? ” finora aveva fatto domande a raffica mantenendo un tono neutro ma cominciava a trovare irritante tutta quella faccenda. Nonostante gli sforzi stavolta non riuscì ad evitare una sfumatura d’ironia nella voce.
“Noi donne fin da piccole veniamo allevate a temere la forza dell’uomo, l’uomo che domina la propria donna è sempre un sadico violento che le rovina la vita, ma che succede se la donna vuole essere dominata? Se vuole essere controllata, se desidera essere ai suoi ordini?
Fin da piccola io ho avuto delle fantasie in cui servivo, in cui ero comandata. Quando giocavamo con le mie sorelle e con gli amici io ero sempre la servetta di casa a cui si davano gli ordini oppure ero la cameriera del ristorante. Quando avevo sette anni mi piaceva spingere la mia migliore amica dentro una macchina a pedali e mentre sudavo e faticavo per tutto il tempo pensavo solo a quanto lei si stava divertendo.
Lei aveva un carattere impossibile: era autoritaria, arrogante… era stata viziatissima dai genitori, nessuno la sopportava ma io trovavo deliziose tutte le piccole angherie che mi faceva, quel suo trattarmi dall’alto in basso e, certe volte, da serva. Poi, quando siamo cresciute, l’aiutavo con i ragazzi facendole da alibi con i genitori, mi sentivo bene quando lei mi comandava.
è durata finché non ha fatto una scappatella di troppo, è rimasta incinta e si è dovuta sposare. Aveva tre anni più di me. Prima di trasferirsi con il marito mi ha fatto una scenata in cui mi accusava di avere tutta la colpa, che se io non l’avessi protetta non si sarebbe messa nei guai. Le sue accuse e la sua perdita, a quindici anni, mi fecero quasi impazzire. Impiegai mesi a riprendermi e ad abituarmi, in casa svolgevo tutte le faccende che le mie sorelle non volevano fare, mi facevo comandare ma non mi bastava, non era lo stesso.
Solo verso i diciannove anni ho capito di essere bisessuale e che, senza saperlo, ero sempre stata innamorata di lei. Lei, invece, non lo era e la sua partenza e il suo disprezzo gettati in faccia mi hanno distrutto. ”
Stefania ebbe un sussulto quando lei smise improvvisamente di raccontare. Si era assorta nella storia e con ritardo si era accorta che l’altra si era fermata. Cercò di recuperare e gettò le la prima domanda che le venne in mente.
“Dan è stato il primo amore della tua vita? ” lo guardò. L’uomo era ritornato nel mutismo, si capiva che seguiva attento ma adesso non sembrava aver voglia d’intervenire “il primo amore maschio, intendo… ”
“No, ho avuto altri tre ragazzi prima, ma con nessuno mi sono sentita come con lui. Anche con il mio secondo ragazzo, quello con cui ho fatto l’amore per la prima volta e che credevo di amare con tutta me stessa, non ho mai sentito lo stesso sentimento profondo che ci lega. ”
“In cosa consiste il vostro rapporto, come passate le giornate, come state insieme… ”
Miriam fece un sorriso e guardò ancora Dan
“Dan ha potere assoluto sulla mia vita, la controlla completamente. Abbiamo un rapporto del tipo 24/7, cioè lui mi controlla 24 ore al giorno per 7 giorni della settimana. Io devo chiedere permesso a lui per ogni cosa, bere, mangiare, che vestiti mettermi, tutto deve avere la sua approvazione. Anche per andare in bagno devo chiedere il permesso, e certe volte, se proprio devi correre, può essere fastidioso ma fa parte della vita che ho scelto e ne sono felice.
Io ho un lavoro di responsabilità, sono un manager in una grossa azienda, ma devo chiedere permesso a lui ogni volta che devo prendere una decisione importante. Una volta mi hanno proposto una grossa promozione ma avrei dovuto trasferirmi a Torino e lui non ha voluto, ho dovuto rifiutare. ” Si fermò e gli lanciò un’altra occhiata carica d’amore, si capiva che non c’era nessun rancore per le rinunce che aveva dovuto fare.
“La mattina, dopo che gli ho preparato la colazione, controlla il trucco e i miei vestiti e dà la sua approvazione, se per quella mattina non è di suo gusto mi cambio immediatamente. Poi stabilisce punto per punto le cose che devo fare nella giornata. La sera controlla se ho svolto bene tutti i compiti, se trova che ho sbagliato qualcosa o che non ho fatto le cose nella maniera che lui voleva vengo punita. ”
“Punita? In senso fisico? Cioè picchiata? ” si rese conto che la voce le tremava leggermente, non poteva credere a quello che sentiva, dov’erano finiti anni e anni di lotte femminili? Ma non era quello che la sconcertava di più, a lasciarla sbalordita era il suo tono tranquillo, come se quello che diceva fosse una cosa normalissima, quasi banale.
“Certo, anche in senso fisico. Ma il peso della punizione non sono tanto i colpi o le frustate ma il sapere di averlo fatto irritare. è quello il vero peso: ormai dopo tanti anni essere punita è una cosa che fa parte della mia vita e non riuscirei a farne a meno”
“Ma non le pesa essere colpita, picchiata, frustata… ? ” Stefania cercava di controllarsi ma aveva sempre più difficoltà a restare neutrale davanti a quella donna.
“Quando avevo diciassette anni, in biblioteca presi ‘Histoire d’ò. Ne avevo sentito parlare e avevo letto qualcosa del film, non c’erano intenzioni particolari, lo feci per curiosità. Alla fine, prima di riconsegnarlo, l’avevo letto e riletto quattro volte, per tutto il tempo non credo di aver mai tolto la mano da dentro le cosce.
Quel libro è stata una rivelazione, mi ha eccitata come non mai. Da allora non ho fatto altro che sognare di essere picchiata mentre faccio l’amore, oppure di essere legata e obbligata a farlo con la forza. Dan tutte le sere mi lega al muro con una catena ed un collare per cani, mi piace moltissimo dormire rannicchiata sul suo petto sentendo la stretta del cuoio sul collo. La mattina, se mi sveglio per prima devo aspettare che si svegli anche lui e chiedere il permesso prima di potermi alzare, anche se devo correre al bagno.
Quando mi punisce dipende dalla colpa. Una volta ne ho combinata una grave e mi ha dato duecento colpi di frustino, di solito, però, sono più leggere. So che può sembrare strano ma a me piace essere colpita tanto che spesso lo facciamo anche per il mio piacere e non per punizione. ”
“Ma non trova pesante vivere in questa maniera? ” sbottò Stefania con veemenza subito pentendosene. In situazioni come quelle un buon giornalista doveva restare indifferente anche se quello che sentiva gli faceva aggrovigliare le budella. Fece uno sforzo e si ricompose meglio che poté “non le riesce difficile vivere in questa maniera? ”
Miriam tirò un sospiro come una maestrina che aveva appena ricevuto
una domanda scema dalla bambina meno dotata della classe.
“Beh, non è che sia sempre facile, soprattutto all’inizio è stato difficile. Le persone non vengono allevate per vivere da schiave, le prime volte si tende istintivamente a ribellarsi anche se non è quello che si vuole. Con il tempo gli angoli si smussano e tutto diventa più facile, si trovano delle consuetudini, anche dei modus vivendi che aiutano a superare i problemi pratici.
Per esempio io devo sempre accorrere immediatamente quando lui mi chiama ma a volte capita che sto facendo qualcosa che non posso lasciare, un lavoro importante che richiede particolare concentrazione oppure qualcosa che a quel punto non può essere lasciato a metà. In questi casi chiedo al mio padrone se è possibile avere del tempo in più: lui sa che non sempre è possibile accorrere subito ad un suo richiamo e che un mio rifiuto altererebbe i nostri ruoli. La richiesta di altro tempo rende le cose più facili perché è lui che mi consente di venire più tardi. Se lui, invece, non mi dà altro tempo io devo correre immediatamente, ma succede di rado. ”
La guardò per un attimo in silenzio poi abbassò lo sguardo sul blocco dove aveva annotato tutte le domande che via via le erano venute in mente. C’era una cosa che doveva chiederle anche se la domanda sarebbe sembrata stupida, si rendeva conto che lei finora aveva cercato di spiegarglielo ma era lei che non riusciva ad accettarlo.
“Miriam, perché lo fa! ? Cosa la spinge? ”
Lei ci pensò un attimo prima di rispondere dandole un’occhiata indecifrabile “Mi sembra ovvio: lo faccio perché mi va. So che da chi non prova le stesse cose, da chi non ha desideri da schiava, può essere difficile accettarlo ma questa è la maniera in cui mi piace
vivere: provo piacere nell’essere dominata, un piacere di tipo sessuale. Quando sono a casa o anche quando sono lontana, per il pensiero di lui, per tutto il giorno sono in uno stato di leggera eccitazione sessuale. Ogni volta che mi chiama, ogni volta che mi dà degli ordini sento un calore invadermi e mi bagno tutta. Questa è la differenza tra essere masochisti ed essere abusate: io ho ciò che voglio, vivo la vita che desidero e ne ho piacere, chi è abusato subisce quello che non vuole e non prova piacere.
Quando ho scelto di vivere con lui gli ho dato tutto, da quel momento
ha il pieno controllo della mia vita e può fare di me quello che vuole
senza temere un mio rifiuto. Ma tra noi c’è un patto: qualunque cosa lui voglia o decida io lo accetterò perché so che sarà per il bene di tutti e due, ho fiducia che in qualunque situazione lui farà ciò che è bene anche per me.
Intendiamoci, non è che io sia completamente dipendente da lui, prendo le mie iniziative e lui è contento quando dimostro di sapermela cavare, ma lo faccio sempre sotto il suo controllo. Lui decide cosa fare ma la maniera di farla dipende da me come se c’è un problema immediato io devo rimediare di mia iniziativa, non aspetto che lui mi dia ordini. ”
Stefania era sconcertata. Come si poteva metter ensazione che si stesse chiedendo se valeva la pena rispondere o no, lo guardò ancora negli occhi e riprovò quella sensazione di essere una farfalla sul vetrino che la obbligò a girarsi.
Con un gesto convulso posò il bicchiere, che aveva ancora in mano, sul tavolino davanti a sé e cercò qualcosa da dire ma prima che potesse parlare scoppiò il pandemonio.
Improvvisamente, dalle sue spalle, venne un rumore di vetri infranti.
Si girò di scatto giusto in tempo per vedere la finestra andare in pezzi e schegge di vetro e di serranda piombare dentro. Il quadro sul muro di fronte fece un rumore cristallino mentre cadeva a terra rivelando tre buchi aperti nella carta da parati verde.
Come istupidita restò a fissare il cemento ed i mattoni attraverso i fori, poi d’improvviso mancò la luce. Prima fu la stanza dove stavano a restare al buio e, alla luce che arrivava dal corridoio notò qualcosa, come una sagoma umana che si muoveva veloce. Poi anche nel corridoio la luce si spense lasciandoli completamente al buio.
Dopo qualche secondo si rese conto che un debole chiarore entrava dalla finestra fracassata ma non fece in tempo ad abituare gli occhi che si sente sollevare e tirare da una mano che le aveva stretto il polso.
“Miriam, in cantina” disse la voce di Dan dal corridoio, un’altra ombra veloce passò davanti alla finestra, diretta verso destra, e sparì.
La mano che la trascinava la lasciò improvvisamente e si ritrovò ferma a brancolare e a muoversi a tentoni nella casa buia, poi sente che la mano la riprendeva dal polso.
“Seguimi” le disse Miriam, era lei che la tirava. Al buio scese delle scale, incespicando e cercando a tentoni ogni gradino. Poi sente il cigolio sommesso di una porticina e si dovette abbassare per entrare su quello che sembrava un piccolo ballatoio. Sotto i suoi passi il pavimento risuonò con tono legnoso.
“Aspetta qui un attimo” disse la voce di Miriam, gli lasciò il polso e la sente allontanarsi. Improvvisamente ci fu una luce dal basso che rischiarò tutto e proprio davanti a sé vide una scala a pioli che scendeva in una cantina scavata nella roccia. Quando arrivò in fondo si rese conto che lo spazio non era molto, circa quattro metri per cinque, ed era quasi completamente pieno di scatoloni di varie dimensioni. Su un lato c’era un pesante portone di ferro, chiuso con una serratura a combinazione, attraverso cui non filtrava nessuna
luce.
Nell’unico angolo libero dagli scatoloni c’era un letto con le coperte rimboccate, a lato un comodino semplice, un tappeto e una poltroncina completavano l’arredamento. Sopra il letto, appeso alla parete, una stampa di un quadro di Kandinsky. Sembrava un piccolo rifugio d’emergenza e dalle scritte su alcuni degli scatoloni capì che erano pieni di scatolette e bottiglie d’acqua.
Miriam si sedette sul letto, si tolse le scarpe, rivelando due piedi piccoli curati e smaltati di blu, e ripiegò le gambe sotto di se
“Adesso aspettiamo” disse.
Lei era ancora in piedi con le braccia raccolte, vide che le indicava il posto accanto a sé. Prima di sedersi guardò verso l’alto, dal piano di sopra non giungeva nessun rumore.
Il primo uomo si muoveva lentamente cercando di orientarsi al buio. La faccenda cominciava a non piacergli. Erano dieci anni che lavorava con i Verri e finora non si era mai trovato in una situazione come quella.
Nella cosca Verri tutto era pianificato ed organizzato in maniera razionale, niente veniva lasciato al caso ma studiato nei minimi dettagli per eliminare tutti i rischi. Questa maniera di agire ne aveva fatto, in dieci anni, l’organizzazione mafiosa più forte di Milano.
Ma da un po’ il boss non era più lui, da quando gli avevano ammazzato il figlio Pietro sembrava agire più d’istinto che con la testa.
Girò un angolo di scatto puntando la pistola davanti a sé, nel buio non vide nessuno e si sente un po’ sciocco, come se stesse giocando a Starsky ed Hutch con suo figlio di dieci anni. Fu l’ultimo suo pensiero prima che la pallottola gli spappolasse il cervello con uno schiocco secco.
Dan vide la pallottola entrare esattamente al centro della fronte inquadrata nel mirino verdastro, dall’altra parte della testa ci fu come un’esplosione e pezzi d’osso e materia grigia schizzarono sul muro mentre il corpo si contorceva come una marionetta senza fili e cadeva a terra.
Continuò a muoversi silenziosamente nel buio sfruttando la conoscenza del territorio, quella era casa sua, lui la conosceva bene, gli altri no.
Gli altri tre uomini urlarono cercandosi a vicenda, capì che erano tutti al piano di sopra. Dalle voci calcolò la loro posizione, apre la porta e usci nel giardino facendo attenzione che non ci fosse ancora qualcuno all’esterno. Finora sembravano essere solo in quattro ma non poteva esserne sicuro ed era meglio essere prudente.
Si fermò nel prato, che aveva tagliato quella mattina, guardando la facciata. La casa era in periferia, isolata, e intorno non c’erano luci che potessero tradirlo. Regolò il visore notturno dall’intensificazione di luce alla rilevazione infrarossa e lo puntò contro le finestre. Adesso ogni tanto vedeva dei bagliori apparire fugacemente contro le finestre quando qualcuno passava dietro le tende, un altro bagliore verdognolo apparve e scompa FINE

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