Ti avevo conosciuto in estate, al Villaggio in Marocco: per me era l’ultimo giorno ed ero con delle colleghe di ufficio, tu, invece, quel giorno arrivavi, spaccone, con una compagna con cui intrattenevi un rapporto strano, ad esempio non ti esimevi dal corteggiarne altre, maltrattandola in mia presenza.
Io andavo via tu arrivavi, solo un contatto, tanto per sapere che eri di Roma come me … Sei interessante, molto… magnetico e irritante. Mi dai subito fastidio, ma forse mi affascini per la tua insolenza, per le domande aggressive: ci provi, quindi, è quasi naturale, ma con un tono che non ammette repliche. Ma io ti resisto e poi già penso a te nell’aereo che mi riporta nella Capitale.
Ma la molla è scattata e io ancora non lo so. Hai il mio numero di telefono e non è ancora settembre quando mi chiami.
Mi inviti ad un caffè ed io sono anche un po’ lusingata, dal nostro incontro precedente hai saputo che non ho compagno, anzi che vengo da una storia complessa e finita male, sulle cui macerie ancora mi dibatto.
Mi prendi in giro, penso, quando mi dici (anzi quasi ordini) come mi vuoi vestita: tacchi alti, mini nera, calze autoreggenti (ma quali calze ti dico, fa ancora caldo … ), poi camicetta senza reggiseno.. Mi sembra che esageri un po’, ma sto al gioco perché ecciti la mia femminilità.
Ed allora vita nuova: voglio sentirmi corteggiata, ma sono in campana con te, insolente: mi dico anche che ti voglio fare stare sulla corda, non ho voglia di darmi insomma, ma solo di trovare un bel ragazzo che mi accompagni. Parlo di te anche con un’amica. Mi sento padrona del gioco anche se so che ci proverai ancora ed io sorriderò sardonica e ti terrò a bada. Dopo… dopo chissà…. Se ne vali la pena….
Nel tuo invito c’è qualcosa che non va però.
Mi inviti in un bar fuori mano, in una zona che non è certo i Parioli, non mi vieni a prendere (ma questo mi va pure… sono una ragazza emancipata io! ). Poi quando arrivo con una buona mezzora di ritardo, il bar si rivela uno squallido casermone per camionisti e per di più ancora non ci sei.
Dentro, naturalmente, ci sono solo uomini che fissano senza inibizioni le mie gambe nude ed abbronzate sotto la minigonna nera sopra i miei tacchi alti e la mia camicetta mezza aperta da cui si intravede il reggiseno scuro.
Al bar arrivi dopo un tempo che mi pare eterno, e già ho bevuto un drink (squadrata dalla testa hai piedi dal barista) e non sei solo, ci sono due tuoi amici, e questo mi indispone ancora di più. Lo sento come una totale mancanza di rispetto, mi sento presa in giro.
Poi non so poi se per l’alcool o se con premeditazione (avrei in seguito conosciuto sulla mia pelle sensibile quanta premeditazione ci fosse in te … ), inizi un discorso ad uso e consumo dei tuoi amici.
Sostieni che le donne sono esseri naturalmente inferiori nella vita sessuale e privata; lo fai con voce alta, per farti sentire d’attorno, affermi che è stato sempre così, che le donne sono più deboli per subire la forza dell’uomo, che non è un caso che la donna nell’atto sessuale debba solo ricevere ed ubbidire e la sua attività tradizionalmente si limita in casa ad una funzione servente dell’uomo (gli stira, gli lava le mutande, spazzola e cucina…. ). Che la natura esige che ci sia un maschio dominante e una femmina che viene sottomessa e dominata, che è una cosa che abbiamo nel sangue da millenni e non c’è niente da fare, che i veri maschi si eccitano a comandare e maltrattare, ma così, in modo naturale e primitivo: sberle, insulti, sputi, sculacciate sonore, farsi servire e riverire da femmine servette che strisciano ai piedi.
Sono discorsi di un maschilismo becero e schifoso e la situazione mi dà fastidio, anche perché sostieni il concetto davanti a me, e lo fai con tono spocchioso, stupido, arrogante, ridacchiando quando mi guardi. Poi inizi a trascendere alludendo proprio a me, a come dovrei essere trattata nell’alcova… senza alcun rispetto… subire la virilità, essere sbattuta per bene, se mi opponessi dovrei essere immobilizzata e punita come succede alle ragazzine viziate che meritano periodicamente sonore punizioni.
Io a questo punto reagisco: quasi urlo e ti insulto ma i tuoi amici ormai ridono e fanno il tifo e sono naturalmente dalla tua parte.
Insomma, non ci sto ad essere umiliata così. Poi me ne vado dopo averti vomitato addosso la mia indignazione.
Tutti gli avventori commentano, ridono schiamazzano, quando esco urlano e battono le mani. Sento qualche insulto che mi insegue mentre chiudo la porta del bar.
Mentre sono in strada ti vedo all’improvviso, mi segui con la macchina e mi chiedi con aria stronza se ho bisogno di un passaggio. Incredibilmente accetto, penso di dirtene quattro, mi fai salire e riprendo il discorso tu sorridi e ridacchi. Quando ho finito di parlare (neanche una risposta da parte tua), mi inviti da te.
Mi guardi fisso mentre mi dici questo e mi sbottoni il primo bottone della camicetta senza che io m opponga.
So bene, benissimo, che cosa significa, ma accetto ancora ed ho caldo fra le gambe mentre ti dico si, ed il respiro e la voce che si mozza….
Salgo da te e un secondo dopo che sono entrata tu chiudi la porta a chiave mentre io guardo con il fiatone senza protestare…
Poi ti avvicini, sei serio, ora serissimo, e mi fissi negli occhi tanto che abbasso istintivamente lo sguardo. Poi d’improvviso mi molli una sberla terribile che mi fa finire per terra. Mi tiri su per i capelli, lunghi, neri, che ho: “adesso ti faccio vedere cosa intendevo prima, ma prima ti faccio rimangiare i tuoi insulti zoccoletta”. Mi fai alzare in maniera sbilenca e ridicola…. tirandomi i capelli. Fai male ed io inizio fatalmente a pregarti di smetterla, ma non mi senti.
Ora hai mollato la presa ed io sono di nuovo a terra.
Tu mi guardi con sprezzante ironia: “Dimmi zoccoletta chi sei tu? “. Io non rispondo ma guardo per terra. è una situazione strana e mi sento ubriaca, mi chiedo come ho fatto a trovarmici. Ma sono pensieri che si consumano in frammenti di attimi, perché subito dopo mi riprendi a tirare per i capelli: “allora? “…
A quel punto sono già in tua completa balìa: “Sono quello che vuoi tu, che dicevi tu, quello che dicevi tu…… ”
“cioè ? ”
“devo ….. devo riverire il maschio …. ”
“una cagnetta che deve riverire il maschio… E allora come deve essere la cagnetta? ”
“come? ”
Un altro schiaffone per la mia titubanza… : “nuda cretina … subito… ”
Mi spoglio lentamente, vanno via prima le scarpe ma tu mi chiedi di tenerle… allora è la camicetta, poi la gonna.. ora sono con le mutandine il reggiseno, Mi vergogno al massimo… mi fermo ma tu non hai pietà. Un’altra sberla mi riporta alla realtà… continuo a spogliarmi…
Eccomi. Ora mi sfilo il reggiseno, le mie tette sono sotto i tuoi occhi al tuo cospetto, con le areole scure ed i capezzoli inturgiditi dalla situazione. “Devo…. anche le mutandine? ” chiedo retorica … Non mi rispondi a questa domanda, sai che ha una risposta scontata. Invece dici: “zoccoletta mi pare che sei troppo vestita rispetto a quello che ti avevo ordinato… penso che dovrai assaggiare oggi la cinta… così per ricordarti qualcosa che tendi a dimenticare… ” e poi, giacché sono lenta: “adesso mi fai subito vedere il culo da porca”. Le parole sono schiaffi non meno forti delle sberle di pocanzi.
Mi sfilo le mutandine ed ora sono nuda e pretendi che stia in ginocchio “Così per ricordarti qual’è la tua posizione davanti ad ogni maschio”. Ti avvicini ad uno stipite di un armadio, e poi c’è qualcosa che ti luccica in una mano. Mi giro e lo vedo e mi impressiona: è un frustino per cavalli e so che è lì nelle tue mani per me e ne sono terrorizzata.
Faccio per alzarmi: “Sta là cagna! “.
Sono immobile ora, ed il respiro è mozzato nella mia gola… mi prendi e mi sollevi. Mi poni di traverso su di una poltrona, in modo che il mio culo sia esposto ed indifeso “10 per ricordarti che sei una cagna al servizio del maschio; 10 per avermi risposto da puttanella schifosa al bar di fronte ai miei amici, altri dieci perché ti sei vestita diversamente da come ti avevo ordinato… Hai da dire qualcosa? ”
“Non vorrai… , dai, ti prego… ”
“Allora altri 10 e sono quaranta. E guai a te se ti muovi o emetti un solo gemito. Ti posso assicurare che dopo questa cura, in pubblico, quando racconterò quanto sei zoccola e cagna avrai solo voglia di annuire con la testa…. “.
Ed eccomi ora a culo nudo, tremante al tuo cospetto, di traverso sul divano, nuda, oscenamente esposta. So che non avrai pietà ed oggi imparerò cosa significhi essere femmina davanti ad un maschio, che ne uscirò domata, blandita, plagiata … un agnellino di fronte al maschio-padrone. Mentre rifletto su ciò (ma in realtà la paura e l’emozione sono troppo forti perché io possa articolare un solo pensiero compiuto) mi prendi nuovamente per i capelli, non ti va più, forse, la precedente posizione. Il tuo strattone non è fine a se stesso, ma mira a spingermi, a trascinarmi. è gioco forza: pur lamentandomi sommessamente e a piccoli gridolini, non faccio resistenza, mi lascio portare dalla tua stretta, caso mai il mio problema è che non capisco dove mi vuoi portare, ed allora a volte sbaglio direzione, facendo mio malgrado forza, ed allora son io stessa causa del mio dolore, perché non tu molli.. anzi.
Ma tant’è: ad un certo punto arrivo dove vuoi tu. Un tavolo. Lì mi spingi con forza, assestandomi un forte schiaffo sulle natiche che risuona oscenamente. Mi fa male e urlo: tu ridi e mi deridi: “Aspetta un po’ zoccoletta… che ne avrai da urlare stà tranquilla”.
Sono appoggiata al tavolo ora, con il seno a contatto con il legno.
Si sente uno schiocco. è il primo colpo e mi fa venire il sangue alla testa, ma non ho il tempo di riflettere, in ordine sparso mi arriva il secondo, il terzo, il quarto, il quinto…
Ora urlo davvero: “basta basta”, ma soprattutto mi divincolo e, infine, scappo nella stanza mentre tu mi insegui con la frusta mentre mi dileguo e mi siedo sul divano, prima sui glutei poi sulle ginocchia (sento il fuoco sul culo).
Tu ti fermi, sei molto serio. Io non so che fare. Mi inginocchio da sola davanti a te, ti temo, ti bacio le mani e te le bagno con le mie lacrime: “basta, basta, ho capito, perdono, perdono… “. Ma sei infastidito ancora di più, ed allora inizi a frustare sul corpo nudo colpendo alla cieca… Io inizio a strisciare per la stanza come un verme, in terra, mi giro per evitare i colpi sul culo già provato, ma mi arrivano davanti, sul seno sulla pancia, sulle braccia. Colpisci con rabbia come un forsennato. Insomma non ho scampo.
Poi ti riposi un secondo.
Hai l’affanno ed io piango e basta.
Poi parli: “Senti zoccoletta, a me pare che non ci siamo capiti… tu non ti muovi fino a che non ho finito. Altrimenti ne prendi il doppio ed il triplo …. Hai bisogno di una lezione seria per farti capire chi comanda qui. Ci siamo capiti? ”
“Sissignore .. ci siamo capiti”
“Ripeti” urli ora, le mie parole sono infatti confuse fra le lacrime.
“Sissignore, sissignore, ci siamo capiti … non un grido, sto ferma…. ”
“Allora sul tavolo, con il culo ben proteso.. veloce… ”
Ma non ti fidi… ecco che mi vieni di dietro, hai una corda, e le mie gambe sono subito legate alle gambe del tavolo. Poi con un gesto sornione, mi vieni di soppiatto dalle spalle e mi turi il naso. Apro la bocca, istintivamente per respirare. Allora mi infili una cosa, una specie di palla con delle corde ai lati che mi chiude la bocca e che con cattiveria mi leghi forte dietro le orecchie.
Ora sono pronta per quello che vorrai.
Non un gemito ascolterai da me, subirò la frusta disciplinata, tutta, non potrò ribellarmi nè urlare, nè divincolarmi fino a quando non riterrai di aver finito.
Potrai somministrami la frusta fino alla più completa correzione, per educarmi a diventare la tua cagna. Potrai colpirmi con metodo su tutte le parti del mio culo scoperto, a volte sbagliando appositamente, in modo da frustare le cosce tenere o il principio della schiena. Mi frusterai come succedeva alle ancelle barbare durante l’antica Roma, portate in catene al ritorno dalle campagne dei Cesari o nell’america del Sud, nei paesi battuti dal sole, nelle campagne di cotone… sulle schiene delle schiave negre…
Ora ripenso a me, a come avevo reagito di fronte alle tue parole fra i tuoi amici.
La mia posizione oscena è la tua vittoria.. sono una puttanella, schiava, cagnetta che sta per essere battuta fino a quando ne avrai voglia.
Potrò urlare certo, ma il mio urlo sarà un mugolio che si spegnerà nella gagball, sordo e ridicolo; potrò muovermi, certo, ma sarà l’impercettibile movimento che asseconderà non voluto l’atteggiamento della frusta sul mio culo. Ancora piu ridicolo!
Tu ridi ora… fai il giro del tavolo perché ti veda, vuoi che veda la frusta, la tua risata a bocca aperta, che ti veda mentre mi insulti…
Poi, poi basta. Inizia la punizione. Ora le frustate arrivano precise, forti, periodiche, puntuali, da professionista del dolore, della mia sofferenza; rinverdiscono il dolore delle precedenti. Ognuna è un pezzo di orgoglio che va via. Ero femminista un tempo; quanti secoli fa? tra poco sarò solo femmina. So per certo che finirai solo quando sarai stanco, oppure quando penserai che sono davvero domata definitivamente… Ed io mi sciolgo alle tue frustate, sono femmina e miele per te; cagna e puttana, schiava, zoccola e troia. per te ogni colpo di piu…
Ti prego dentro di me di finirla, ma ad ogni nuovo schiocco diventi un dio greco che somministra il meritato castigo per la mia empietà…. ed io avrei voglia di adorare adesso il mio dio, affinché tu finisca il più presto possibile… Lo sai, lo capisci, ora sono pronta per te, sono una tua proprietà. M smetti solo quando decidi tu: io non conto più. Mi sciogli, ora vuoi vedere le mie lacrime e la mia sottomissione; via la gagball, vuoi sentire le parole dell’implorazione. Ti guardo, piango sommessamente ti dico basta, pietà, continuamente come un disco rotto.. anche se hai finito.. per ora.
Ma so che poco te ne frega.. se hai finito non è per le mie parole. Anzi, indichi con l’indice verso il pavimento. Mi vuoi in ginocchio.
Io nuda e con il culo in fiamme ora sono in ginocchio davanti a te ed ancora piango.. ora ti chiamo padrone. Non te ne curi.
Ti abbassi il pantalone, poi lo slip. Vedo il tuo cazzo. So che è lì per me. Per riempire la mia bocca: sempre piangendo, avvicino la testa. Mi dici beffardo di mettermi al lavoro. Ora, ancora una volta, non posso parlare più. Ne avverto il sapore, forte, disgustoso, sa di orina, di poco lavato. Non è un pompino; usi la mia bocca come una fica. La tieni ferma in modo da spingere il bacino con ritmo da scopata. Cosi quando vieni mi serri la testa fino a quando non hai ultimato la tua pisciata di sperma… me la sento in gola, calda, amara, bruciante, densa, puzzolente, disgustosa.
Ti allontani. Mi lasci li, dopo avermi minacciata, se avessi sputato o lasciato cadere il nettare del tuo cazzo…. Ma io lascio andare giù tutto, inghiottendo piano e lentamente…
Sei vestito ora, io nuda ed in ginocchio con il tuo osceno sapore nella bocca e nella gola. Non esisto più. Mi guardi serio, senza considerazione nel tuo sguardo: “Domani alle tre qui, reggicalze, mini, senza mutande, figa depilata, senza reggiseno, camicetta bianca aperta al terzo bottone, tacchi di almeno 10 cm, truccata da troia quale sei, rossetto forte… ho da aprirti il culo per bene…. “. Le mie parole sono solo…….. : “Si padrone”. FINE