La videocassetta allegata è stata girata ieri sera al Doma Club, il locale S/M dell’Aia famoso in tutto il mondo. Si tratta di una copia dell’originale che il Padrone ha lasciato ai proprietari del locale perché la duplicassero e distribuissero nei pornoshop di tutta Europa.
Io ne sono la protagonista, e devo confessare che trovo molto imbarazzante sapere che le mie immagini a volto scoperto andranno nelle mani di migliaia di persone sconosciute, ma è la giusta punizione per la mia incapacità.
Tutto è cominciato ieri mattina. Il Padrone aveva deciso di andare a fare shopping, e io naturalmente lo seguivo. Ero vestita con l’unico abbigliamento che mi è stato concesso indossare durante tutto questo viaggio in Olanda: scarpe nere con tacco a spillo di 14 cm, calze autoreggenti, collare di cuoio con anello metallico e spolverino. Naturalmente indossavo anche la cintura con i dilatatori che porto sempre da quando sono al Vostro servizio: nella figa avevo quello corto da 7 centimetri di diametro, e nel culo portavo un 6 centimetri.
Rileggendo queste misure mi rendo conto di come sono fortunata ad appartenere a Padroni abili come voi: durante il primo viaggio con il Padrone, in Spagna 3 anni fa, i dilatatori erano appena di 3 centimetri ciascuno, e le uniche scarpe che ero in grado di portare per più di qualche ora avevano tacchi del tutto normali. è vero che ero solo una schiavetta diciannovenne alle prime armi, ma se ho raggiunto questi risultati è solo grazie al Vostro paziente addestramento.
Ma sto divagando. Per tornare allo shopping, il Padrone mi aveva portato in un grosso fetish shop. Il proprietario del negozio doveva essere un suo amico, perché l’accoglienza è stata molto calorosa. L’uomo lo ha aiutato a scegliere alcuni capi per Lei davvero bellissimi (spero che non fossero delle sorprese! ), e poi ci ha fatto scendere in un piccolo reparto sotterraneo, dove erano esposti gli strumenti da tortura e bondage. L’esposizione non era molto vasta, ma decisamente di qualità.
C’erano articoli davvero stupendi, e alcuni attrezzi che non avevo mai visto prima. Il padrone mi ha fatto provare un bavaglio eccezionale, formato da una serie di strisce di cuoio che stringono tutta la testa e spingono in bocca un pene di gomma, che può essere gonfiato a piacere con una piccola pompetta interna simile a quelle usate in certe scarpe sportive. Per collaudarlo, il proprietario del negozio ha consegnato una frusta dai capi molto sottili al Padrone e gli ha consigliato di frustarmi.
Il Padrone allora mi ha fatto sdraiare supina su un tavolo, e mi ha dato cinque o sei colpi molto forti sui seni. Il dolore è stato davvero molto intenso, e non ho avuto difficoltà a gridare come si desiderava. Il bavaglio ha però funzionato benissimo, e non si è sentito che un mugolio sommesso.
Mentre ancora singhiozzavo per le frustate, ho capito che gli uomini stavano parlando dei miei buchi (io non parlo l’olandese, come sa). Il negoziante si era eccitato parecchio per la mia dilatazione, così il Padrone mi ha tolto il bavaglio e gli ha offerto la mia bocca. L’uomo non se lo è fatto ripetere due volte e mi ha subito infilato il pene in gola, ma nonostante la mia buona volontà lì ho fatto un pasticcio. L’uomo era infatti così eccitato che è venuto subito, quando ancora gli stavo leccando il pene su tutta la lunghezza, tenendolo fuori dalla bocca. Ho spalancato immediatamente la bocca per raccogliere tutto lo sperma, ma non sono riuscita a muovermi abbastanza in fretta, e buona parte del liquido è finita per terra, mentre un altro po’ mi è schizzato sulla guancia.
Ho capito subito di avere umiliato il Padrone con la mia incapacità, e ho cercato di riparare ripulendo per bene il pene del suo amico e leccando il seme a terra, ma non c’è stato niente da fare: il suo sguardo furente prometteva una punizione molto dura in arrivo.
Il Padrone così ha parlato un po’ con il suo amico e ha comprato un oggetto di cui non capivo il funzionamento, poi mi ha portata fuori e senza dirmi neanche una parola mi ha fatto salire su un taxi. La nostra meta era il Doma Club, che avevo sempre visto solo nelle foto e nei film all’interno. Quando siamo arrivati non ho associato la palazzina residenziale a due piani al Club sino a che non abbiamo superato l’ingresso, dove un uomo vestito da cameriere ci ha accolti molto gentilmente.
Il Padrone mi ha fatto lasciare lo spolverino al guardaroba, e mi ha trascinato dentro per il guinzaglio. Abbiamo preso posto a un tavolino, lui seduto e io inginocchiata al suo fianco con le mani incrociate dietro la schiena. Il locale era deserto, ma io ero ugualmente emozionatissima di trovarmi lì. Ogni tanto passava una delle professioniste che si vedono anche nei film, che scambiava qualche parola con il barista e spariva chissà dove. Poi finalmente è arrivata Tanja, la proprietaria del Club che il Padrone aveva chiesto di vedere. Era più anziana di quanto non si veda solitamente nei video, ma molto affascinante: vestita tutta di pelle nera, aveva un vero portamento da padrona.
Tanja si è seduta al tavolino, e mentre parlava in tedesco con il Padrone mi ha spinto uno stivale in faccia. Io l’ho subito preso in mano e ho cominciato a leccarlo, con lente lappate su tutta la lunghezza della suola e baci simili a pompini sul tacco, per dimostrare tutta la mia sottomissione. Dopo qualche minuto, il Padrone mi ha fatta alzare strattonando il guinzaglio, e mi ha fatto esaminare a Tanja, che ha agitato un po’ i dilatatori nei miei buchi e mi ha strizzato un capezzolo con una mano guantata di pelle. Le sue dita erano forti come quelle di un uomo, ma nonostante mi abbia stirato e schiacciato il capezzolo molto a lungo non ho fatto un lamento, e ho subito tutto con solo due lacrimoni che mi scendevano sulle guance.
La conversazione è andata avanti per pochi minuti, alla fine dei quali Tanja si è fatta baciare la mano con cui mi aveva dato dolore, e ha fatto firmare un foglio al Padrone con grandi sorrisi. Prima di uscire, il Padrone ha voluto fare pipì, e io ho bevuto tutto sotto gli occhi divertiti della donna, che ha commentato qualcosa mentre ripulivo con la lingua le ultime gocce di orina dal pene. Quando siamo usciti dal Club ero soddisfatta di come ero riuscita a comportarmi, ma il Padrone era ancora di cattivo umore. Siamo andati ancora in un negozio di articoli erotici, ma non saprei descriverlo perché il Padrone mi ha lasciata ad aspettarlo all’esterno come si addice a una cagna come me.
Per il pranzo siamo andati in uno snack-bar, che il Padrone ha scelto probabilmente per via dei suoi sgabelli a forma di sella. Mi è stato infatti ordinato di tenere sempre sollevati i piedi da terra, e fare gravare tutto il peso del corpo sui dilatatori: chiunque abbia progettato quei sellini deve proprio avere pensato a un utilizzo simile, perché la sensazione era proprio identica a quella del cavalletto di tortura che si trova nella Sua camera delle punizioni! Sentivo i cilindri di legno sfondarmi dappertutto, e la catenella che li tiene in posizione aveva pizzicato non so come il clitoride, che mi inviava delle fitte tremende, tanto forti da farmi piangere per tutta la durata del pranzo.
Avevo stupidamente pensato che tanto dolore avesse dato un po’ di soddisfazione al Padrone, ma purtroppo quando finalmente ci siamo alzati lo sguardo severo non lo aveva ancora abbandonato. Siamo tornati in taxi all’albergo, dove il portiere mi ha guardato come suo solito, senza nascondere nulla del suo disprezzo per le schiave come me.
In camera, il Padrone si è fermato appena il tempo necessario per legarmi inginocchiata con la faccia a terra e i buchi bene esposti in direzione della porta, poi è uscito subito. Oh, come avrei preferito una bella fustigazione a sangue! Sapevo di essermi meritata le torture più spietate, ma quell’indifferenza, quell’abbandonarmi era peggio di tutte le punizioni!
Il Padrone è tornato dopo molte ore, quando era ormai buio. Io avevo pianto diverse volte, sia per il dolore delle corde che sentivo sempre più strette, sia per la terribile tensione di quell’attesa. Le sue prime parole, mentre mi slegava con la consueta brutalità, sono state: “Oggi sei stata molto cattiva, e meriti una punizione speciale. Questa sera vedi di comportarti come una schiava perfetta, perché se mi farai fare ancora un’altra figura come quella di stamattina ti venderò al primo pappone di Amsterdam che mi farà un’offerta! Ora lavati e fai tutti i tuoi bisogni, poi rimettiti i dilatatori e torna qui a truccarti. Fai in fretta, perché voglio fare anch’io una doccia prima di uscire”.
Naturalmente non ho fatto nessuna domanda mentre ubbidivo, ma avevo davvero paura. Sapevo che nei quartieri a luci rosse non è difficile trovare davvero qualcuno disposto a comprare una schiava, e il Padrone non sembrava scherzare per niente. Come avrei potuto sopportare una cosa simile? So di essere solo un oggetto per il piacere altrui, ma non riuscivo proprio a concepire l’idea di essere usata come una puttana qualsiasi, senza più addestramenti, fruste… o peggio: in balia di qualche sadico incapace, lontana per sempre dal Suo sesso profumato e dal pene ineguagliabile del Padrone…
Anche mentre mi truccavo, ero così nervosa da sbagliare il rossetto due volte, ed è solo un caso se quando il Padrone è uscito dalla doccia io ero finalmente pronta. Era ormai tardi, e avevo capito che quella sera non avrei cenato. Avevo già indossato lo spolverino, ma il Padrone mi ha ordinato di toglierlo e mettermi un altro abito, che aveva comprato quel pomeriggio. Era un miniabito di plastica rossa, attillato come una seconda pelle. Davanti aveva solo due mezze coppe, che lasciavano esposta la parte superiore dell’areola dei capezzoli; dietro la scollatura era ancora più oscena, sino a metà natica, e metteva bene in evidenza la cintura di cuoio che portavo sotto il vestito e la catenella che spariva nel solco fra le chiappe. Anche la lunghezza della parte inferiore non lasciava adito ad alcun dubbio: la plastica arrivava appena sotto le natiche, lasciando una larga fascia di pelle nuda prima dell’elastico delle calze; bastava un piccolo movimento per mettere in mostra figa e buco del culo.
Non avevo mai messo vestiti così osceni per muovermi in strada, ma l’idea di farmi vedere così esposta dal portiere, dagli altri ospiti dell’albergo e dalle persone che avremmo incontrato accendeva le mie fantasie esibizioniste, eccitandomi come la troia che sono. Per completare la mise, il Padrone allacciò un guinzaglio all’anello del mio collare, e mi portò fuori dalla camera nella maniera più umiliante che potessi concepire.
Il tassista che ci venne a prendere era un signore di una certa età, che si gustò per tutto il tragitto lo spettacolo delle mie gambe aperte dal suo specchietto retrovisore. Nonostante questa umiliazione e l’eccitazione che mi provocava, però, ero ancora molto in ansia per gli avvenimenti misteriosi che sarebbero seguiti, e non so come ho fatto a non implorare il Padrone di dirmi quale sarebbe stata la mia sorte. A dir la verità, ero così nervosa da non rendermi nemmeno conto che la nostra meta era ancora il Doma Club, e lo capii solo quando sentii il caratteristico campanello, che mi aveva colpito anche il pomeriggio.
Superato l’ingresso, siamo stati accompagnati al tavolo da una giovane cameriera-schiava con i capezzoli inanellati. Mentre ci precedeva, ho notato i segni rossi in rilievo di una recente battitura con il “cane” sul suo culetto sodo, ma quando ho alzato gli occhi sono rimasta sbigottita nel trovare la saletta piena di persone di ogni età, che mi fissavano studiando ogni millimetro del mio corpo.
Mi sono inginocchiata a fianco del Padrone come avevo fatto durante il pomeriggio, e qualche istante dopo le luci si sono abbassate e si è aperto il sipario del piccolo palcoscenico del locale. Sotto i riflettori c’erano due ragazze del club, che hanno dato vita a una scena di fustigazione non troppo interessante, in cui la parte più bella è stata probabilmente un “duello” in cui entrambe le schiave impugnavano un gatto a nove code con cui si colpivano con violenza. Dopo di esse è stato il turno di una schiava orientale davvero bruttina, ma terribilmente resistente alla frusta. Il gioco consisteva nel vedere quanti colpi di frusta era in grado di sopportare in varie pose prima di muoversi, e devo dire che ho visto una simile resistenza solo in certi film… ma molto di rado. Avevo cominciato a eccitarmi davvero quando la fustigatrice aveva ordinato alla schiava di sdraiarsi su un tavolinetto con le gambe spalancate, e aveva cominciato a colpirla proprio sulla figa. Dopo solo due colpi, però ho dovuto abbandonare la visione perché il Padrone mi ha trascinato via. “Ecco, ” ho pensato, “è arrivato il momento della punizione. Ora mi porteranno in una camera di tortura, e il Padrone mi farà punire da una o due delle padrone del Club”.
Naturalmente però il Padrone è molto più intelligente di una inutile schiava come me, e aveva pensato a qualcosa di più adatto alla mia mancanza. Invece che salire sulla scala che conduceva alle camere superiori, sono infatti stata trascinata dietro le quinte del palcoscenico, dove il Padrone mi ha ordinato di spogliarmi e mi ha tolto rudemente i dilatatori.
Prima che mi fossi resa bene conto di quel che succedeva, sono stata trascinata per il collare sul palco, dove ho sentito gli occhi di tutti su di me. A presentarmi è salita Tanja, che penso abbia spiegato a tutti chi ero e quale era stata la mia colpa. Una ragazza mi ha fatto indossare molto rapidamente delle polsiere e delle cavigliere di cuoio con anelli, che sono stati collegati a dei moschettoni che pendevano a delle corde appese al soffitto. Tanja e la ragazza hanno ruotato delle carrucole, e in un attimo mi sono ritrovata appesa al soffitto, tirata in tutte le direzioni da corde che mi tenevano le gambe spalancate, con i buchi perfettamente esposti agli sguardi del pubblico. La paura e l’eccitazione mi si alternavano nel cervello velocissime, e mentre sentivo trafficare alle mie spalle mi bagnavo, pensando a tutta quella gente che poteva esaminare con facilità la mia figa sfondata, grondante al solo pensiero della mia condizione.
A riportarmi alla realtà ci ha pensato Tanja, che si è presentata con un puntaspilli in mano in cui erano infissi parecchi aghi da siringa. La donna ha mostrato un ago al pubblico, e poi me lo ha appoggiato al seno sinistro, spingendo piano piano contro la carne. Come Lei sa bene io non provo alcun piacere in questo tipo di gioco, e la sofferenza è stata davvero molta, anche perché la penetrazione del metallo ha richiesto molti secondi, durante i quali non mi è stato facile non urlare né agitarmi. Tanja mi ha poi chiesto qualcosa in olandese: non ho capito la domanda, ma ho tirato a indovinare e ho risposto “Thank you, Mistress”, facendole dipingere un sorriso sodisfatto sul viso. La punizione è proseguita con altri aghi infilati nei seni, nelle natiche e attorno all’ombelico: a quel punto mi era passata ogni eccitazione, ma mentre Tanja mi perforava per l’ennesima volta la pelle attorno ai capezzoli, la sua assistente mi ha avvicinato qualcosa di freddo alla figa, facendomi sussultare. Fino a quel momento non avevo aperto bocca se non per ringraziare Tanja del dolore che mi infliggeva, ma quando ho abbassato lo sguardo per vedere che cosa stava capitando al mio sesso mi sono davvero spaventata, tanto che ho sentito il pubblico ridere della mia espressione di panico. La ragazza impugnava due morsetti metallici per batteria, quegli stessi affari enormi e dalle molle durissime che si usano per avviare le automobili bloccate. Io avevo provato quegli oggetti solo una volta, durante il week-end in montagna con i padroni di Torino, e il dolore era stato atroce. Questa volta, oltretutto, erano collegati a dei fili, e avevo capito che stavo per essere torturata con l’elettricità.
L’aguzzina mi ha fatto scattare i morsetti sulle piccole labbra: il morso metallico delle pinze era già tremendo, ma in quel modo la carne veniva anche stirata verso il basso per il peso, e quello è stato il dolore che mi ha fatto versare le prime lacrime. Tanja ha poi impugnato una scatola con una manopola e un pulsante, e si è andata a sedere sul bordo del palco dicendo qualcosa al pubblico. La prima scossa non è stata niente di terribile, ed ha assomigliato più a una vibrazione un po’ intensa. Tanja ha detto qualcos’altro, ed è arrivata la seconda scossa: questa volta ho sentito una sensazione di ruvidità, come se mi fosse stata passata una corda di canapa tra le labbra. Un’altra parola, e un’altra scossa: Tanja stava probabilmente declamando l’intensità della corrente che veniva inviata alla mia figa spalancata. Questa volta il dolore è stato inequivocabile: un ago enorme che mi trafiggeva il sesso, ma ancora una volta sono riuscita a trattenere le urla, e ho solo guaito senza nemmeno aprire la bocca. L’urlo di agonia è arrivato con l’impulso successivo: questa volta gli aghi erano cento, mille, infiniti; mi trapassavano nel punto in cui ero stretta dai morsetti, ma poi correvano impazziti dappertutto, sul clitoride, alla bocca dell’utero, persino attraverso lo sfintere. Non mi aspettavo un dolore simile, e il pubblico ne provava evidente piacere. Fra le lacrime e i riflettori scorgevo un uomo che si masturbava sotto al tavolino, e una padrona con la testa di una ragazza fra le gambe.
Stavo cercando il mio Padrone quando è arrivata la scossa successiva, annunciata come sempre da Tanja e ancora più forte (se mai era possibile) della precedente. Il dolore si era irradiato a tutto il bacino, e mi sconquassava il corpo che si agitava privo di controllo sulle corde. Non so se ho urlato, ma quando l’impulso è finito mi sono ritrovata un bavaglio in bocca, probabilmente per impedirmi di mordermi la lingua. Tanja ha allora detto qualcos’altro, e ha mosso qualcosa sulla scatola di comando. Un’altra scossa mi ha devastato la figa, più breve della precedente, ma seguita quasi subito da un’altra… e un’altra… la sadica aveva impostato un ciclo automatico, e la tortura sarebbe potuta andare avanti tutta la notte!
Quando l’energia elettrica si interrompeva, sentivo gli applausi del pubbblico. La ragazza più giovane, indossando guanti di gomma, si avvicinava a me ogni volta che smettevo di inarcarmi, e mi sfilava un ago dal corpo. Poi arrivava il dolore… poi un altro po’ di sollievo… poi ancora fitte indescrivibili nel punto più sensibile del corpo, fino a che non arrivava un altro applauso. Dopo tre o quattro scosse mi è successo qualcosa di strano. Il dolore mi aveva conquistata, come mi capita con certe fustigazioni impietose, e stavo cominciando a godere della sofferenza. Lei sa che questo (purtroppo) non mi capita spesso, ma in questa occasione sono arrivata all’orgasmo quasi subito, e una piccola parte di me si è quasi dispiaciuta quando la tortura è terminata.
All’improvviso ho sentito le pinze separarsi dalla mia carne tenera, ed essere sostituite da un dito umano. Era quello di Tanja, che non ha mancato di complimentarsi per il mio godimento, fra le risate del pubblico. Mi è stato tolto il morso, e la donna mi ha infilato il dito in bocca per farselo ripulire. Era fradicio, e in quel momento mi sono accorta della telecamera che aveva ripreso tutta la punizione.
In un attimo sono stata riappoggiata a terra. Tremavo, e avevo qualche difficoltà a restare in piedi, ma le sofferenze non erano ancora finite. L’assistente di Tanja è infatti salita sul palco con l’oggetto misterioso comprato dal Padrone la mattina. Le mani mi sono state posizionate dietro alla nuca, e la ragazza è passata alle mie spalle per applicarmi lo strumento, che si è rivelato essere una specie di torchio per le tette. Mi aspettavo di sentirmi strizzare le tette, ma l’oggetto era rimasto relativamente morbido. La ragazza mi aveva tirato i seni attraverso le due piastre che costituivano la parte principale dello strumento, e si era limitata a pinzarmi la base dei capezzoli in due pinze a fior di loto, del tipo che si stringe all’aumentare della trazione. Le pinze erano attaccate a due bracci regolabili, ma non tiravano molto; non si trattava di una cosa confortevole, ma era niente in confronto al dolore che avevo dovuto provare prima.
Sul palco hanno poi portato un tavolino basso, su cui sono stata fatta inginocchiare con i buchi in direzione del pubblico. La parte posteriore del palco è formata da un grande specchio, così potevo vedere tutti – e loro vedere me in faccia. Tanja è quindi arrivata con due grossi dilatatori. Non so quanto fossero grandi, ma sin dal primo momento ho capito che sarebbero stati ospiti scomodi anche per i miei buchi così ben sfondati. La donna li ha lubrificati con qualcosa, e me li ha schiaffati dentro di colpo, senza darmi nemmeno il tempo di prepararmi o di spaventarmi. Il primo a entrare è stato quello del culo: il dolore è stato così intenso e improvviso che non sono riuscita a trattenere un grido acuto, ed ero davvero convinta che mi avesse strappato lo sfintere. Il dilatatore vaginale è stato anch’esso doloroso, naturalmente, ma benché stessi ancora singhiozzando per l’altro sono riuscita a non urlare. Qualcuno ha commentato qualcosa dal pubblico, e Tanja gli ha risposto ridendo. I dilatatori sono stati poi fissati con una cordicella, e sono stata fatta alzare. Questa è stata la parte veramente dolorosa della dilatazione, perché i tacchi alti che portavo hanno costretto tutti i muscoli a tendersi, e mi sono sentita come se i pali che avevo dentro si fossero ancora gonfiati. Ormai piangevo come una fontana, ma non era ancora finita: la donna mi ha trascinato per il guinzaglio giù dal palco (o ogni passo era un’agonia), e davanti al primo tavolino. Qui, ha spiegato alla coppia che vi era seduta che potevano dare un giro alla vite che preferivano sul mio straziatette. Il primo giro non è stato nulla di terribile, ma quando Tanja mi ha tirato verso un altro tavolino e ho capito cosa avrei dovuto fare, mi sono sentita davvero mancare. A ogni tavolino qualcuno girava una vite, stringendo la morsa. Le viti erano quattro: una per ogni tetta, e una per ogni braccio con le pinze.
A metà giro la trazione era già difficile da sopportare senza urlare, e le tette erano diventate due palloncini. A circa tre quarti dei tavoli avevo due masse viola coperte di vene al posto del petto, e le pinzette erano scivolate verso la punta dei capezzoli, dove la carne ha la massima sensibilità. A un certo punto sono caduta in ginocchio, squassata dalla sofferenza. Non ce la facevo più, e ormai non emettevo che un unico lamento continuato, ma Tanja era implacabile. Non riesco a ricordare la fine di quella tortura, ma quando ho osato chiedere al Padrone cosa avessi fatto mi ha detto che non ho mai supplicato di smettere, e ciò mi rende molto fiera.
L’ultima cosa che ricordo è il ghigno di una giovane donna di colore, che prima di scegliere come aumentare la mia sofferenza ha esaminato a lungo le condizioni delle mie povere tette. L’immagine successiva è di me in ginocchio sul palco, libera dal torchio ma ancora impalata dai dilatatori. Davanti a me si è piazzato un uomo: non so se fosse mascherato perché non ho avuto la forza di alzare lo sguardo, ma sono sicura che fosse quello che avevo fatto godere sul pavimento quella mattina, perché come Lei sa, una lurida puttana come me non dimentica mai un cazzo dopo averlo assaggiato.
Mi sono buttata su di esso voracissima, prendendolo fino in gola, come mi ha insegnato il Padrone. Muovevo la testa con metodo, arrivando a stringere il glande fra le labbra e poi di nuovo giù, fino ad affondare il naso sui suoi peli pubici. Ho sentito la tensione montare nelle vene pulsanti, la carne che quasi mi soffocava, e alla fine ho bevuto tutto lo sperma prezioso, senza perderne nemmeno una goccia piccolissima. Il pubblico ha applaudito mentre ricamavo il membro con la lingua per ripulirlo perfettamente, e io in quel momento ho goduto della mia puttaneria, della sottomissione di una ragazza ventiduenne con due cazzi di legno enormi che la sfondano di fronte a un pubblico di sadici, e che ancora prova il suo massimo orgoglio nell’essere stata capace di fare un pompino da manuale.
A quel punto il sipario si è richiuso, e io sono crollata a terra esausta. Ricordo il mio stupendo e crudelissimo Padrone che mi sfila i dilatatori e mi palpa le tette illividite facendomi guaire di dolore, poi un taxi, e il pavimento dell’albergo dove ho dormita sdraiata vicino al mio Padrone.
Ho dormito esausta, e questa mattina sono stata svegliata dal Padrone, che mi ha dato un forte colpo di frusta sul petto per farmi riprendere dal torpore e preparare in tempo per prendere il treno per Rotterdam.
Naturalmente mi rendo conto della mia terribile mancanza nel non averlo svegliato leccandogli i piedi come è mio dovere, e so che sarò punita per questo. Ora il Padrone è uscito e mi ha lasciato sola in camera con l’ordine di scriverLe questa lettera. Non vedo l’ora che torni per sapere quale sorpresa ha escogitato.
Sua umilissima schiava,
Anna FINE