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Doccia

“Mi scappa la pisha”

Ecco, io questi americanismi proprio non li sopporto. Mi ci sta bene: l’ho voluta giovane e questa è pure stronza.

“Fammela addosso” – gli faccio deciso.

“No, che poi ti arrapi e vuoi skopare”

Mi venga almeno concessa la normalità di una perversione! E invece no, nemmeno quella. Nella realtà, qualche volta sta lei al gioco. Sotto la doccia devo dire che le piace essere sponged, oiled, massadjata, ashugata (mi sto adattando) e infine stretta fra le mie poderose braccia (poderose? beh, diciamo: fra le mie braccia). E qui la prima volta mi ha innaffiato, un bel getto caldo a contatto di pelle, mentre le sue unghiette feline penetravano la cute della mia schiena. Provocazione o emozione? In ogni caso mi si è indurito sul serio e l’ho baciata a lingua dritta, poi sono stati veramente *cazzi suoi*. E giù quel suo liquido caldo che mi colava fra le gambe. Poco male: per lavarci c’era l’acqua della doccia, per l’amore un letto a due piazze, complice delle nostre ore di sesso estivo. Un ventilatore a pale ce la metteva tutta, dal soffitto, a farci male.

Basta che non risuonino al citofono quelli della mondezza, come l’altra volta. Era per via di due sacchi di molle, vecchie molle da divano. “Sono suoi quei sacchi? ” – “che sacchi? ” – “quelli con le molle”. Nel mio vicolo a Campo dè Fiori c’è un tappezziere, sarà stato lui, ieri sera lavoravano anche dopo cena. “E perchè domani non lo dice al tappezziere? ” – “Lei vive da solo”. Naturalmente: un pervertito. E naturalmente pedofilo, visto che ormai fa tendenza, come le cicliste sessantenni contromano che schivo ogni giorno per i vicoli intorno casa.

“E io pago… ” – ogni tanto se n’esce con questi motivetti, forse leghisti. In quei casi vorrei sbatterla sul divano, non prima di averle levato quegli anfibi militari dai piedi. Saranno di moda, ma ad agosto opterei al posto suo per i sandali. E poi, ogni volta che glieli li levo mi viene subito voglia di aprire la finestra e dare aria. No, suo padre non lo conosco, neanche m’interessa, immagino che fabbrichi qualcosa da qualche parte del Nord. E poi a pagare sono io, stronzetta. Vuoi vivere a Campo di Fiori, mi pare…

Rimiro la mia bella, sfacciatamente zoccola. Il biondo dei suoi capelli corti fa un buffo pendant con le sopracciglia nere e il nero ciuffo dei suoi peli pubici. Niente tatuaggi sul corpo che adoro (strano), ma un bell’anellino di brillanti nell’ombelico (delizioso) e altro piercing qua e là: orecchini, naso. Ma il tatuaggio invece ce l’ho io, in un posto da scoprire solo nell’intimità. No, non dove pensate voi (banale), ma sotto l’ascella sinistra.

Stacco il telefono, ma risuonano al citofono. è Sergio, un vecchio amico da poco stabilitosi a Roma. Vorrei dirgli di passare più tardi, ma l’amichetta ne riconosce la voce. “SEERGIO! ” – quindi lo conosce? “Si, quello col tatuaggio del delfino”. Vero: anche lui è stato sommergibilista.

Dunque lo fa salire. Vedremo quello che succede. *Spero niente*. Ma intanto che quello sale le scale, acchiappo la fanciulla e la infilo sotto la doccia. Non avremo il tempo di strofinarci come al solito, ma perlomeno elimino il sudore di quegli irrazionali anfibi. E non ti rimettere subito la cuffia del walkman! FINE

About A luci rosse

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