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Donarsi totalmente

Lei era stata molto restia ad accettare quella proposta di “donarsi totalmente”, ci aveva pensato per giorni e giorni, incerta fra il si e la paura che il gioco non avesse più limiti, paurosa per la sofferenza che, oltre il piacere, le sarebbe stata data anche se lui aveva promesso che le sarebbe stata somministrata solo quella necessaria. Per non parlare, poi, dell’umiliazione. Proprio lei, una donna libera e acculturata.
Questo tormento era diminuito dopo il si che aveva finito per dare. Maledetto quel giorno, ma il suo orgoglio le impediva di tirarsi indietro. Ieri sera, via internet aveva ricevuto le disposizioni o, meglio, gli ordini da parte di lui.
Le veniva ordinato di:
– depilarsi per in tutte le parti del corpo in cui si depilava solitamente e avere le unghie dei piedi e delle mani curate;
– vestirsi con abiti a cui non teneva minimamente, con la gonna ma senza mutandine, calze o collant e senza reggiseno;
– legare i capelli dietro facendo una “coda di cavallo”;
– portare un ricambio completo di vestito e intimo,
da ultimo, ma non proprio, non pensare troppo.
Adesso si trovava in un parcheggio poco dopo il casello autostradale, si sentiva male per avere accettato quest’ennesima pazzia ma, anche, curiosa di vedere quello che le sarebbe accaduto.
Indossava un impermeabile per coprire quello che aveva indosso. Non si era tolta il collant in quanto la imbarazzava troppo essere nuda anche lì.
Lui arrivò puntuale, come sempre, accostò vicino alla sua auto e lei stava per salire mentre il finestrino si apriva e le veniva detto di togliersi l’impermeabile.
Lo fece, dopo essersi guardata intorno un attimo e si sedette. Lui la baciò sulla bocca con tenerezza mentre lei tremava un poco.
“Non ti sei tolta il collant, toglitelo adesso. Togliti anche le scarpe e rimani a piedi nudi”. Le sussurrò all’orecchio.
Lo fece, chiedendosi il perché. Lui le prese le mani, gliele accarezzò per calmare la sua tensione, si rilassò fino a quando sentì un metallo freddo intorno ai polsi. Spalancò gli occhi dalla sorpresa, era stata ammanettata.. Lui estrasse di tasca un temperino e ne aprì la lama.
“Oddio” pensò lei mentre le veniva detto di stare tranquilla. Da una tasca dell’auto uscì una banana.
Col temperino ne venne tagliata la punta e il frutto venne accostato alle sue labbra con un ordine: “Lecca! “. Lo leccò . Le fu sollevata la gonna e aperte le gambe e la banana, dopo alcune carezze intime, fu introdotta nella sua vagina che cominciava a bagnarsi.
“Te l’ho introdotta poco affinché, per adesso, tu non goda troppo. Tieni chiuse le gambe e non aprirle” le disse mentre l’auto partiva verso il loro luogo di incontri.
Lungo la strada venne istruita su alcune regole che avrebbe dovuto rispettare durante l’incontro.
Ora sarebbe stata la schiava A e doveva rivolgersi al suo padrone chiamandolo sempre con questo appellativo, doveva tenere il capo chino senza sfidare lo sguardo, doveva obbedire a quanto le veniva ordinato ed accettare la punizione che il padrone le somministrava, doveva tenere, sempre, le gambe aperte salvo che le fosse ordinato il contrario.
Non le sarebbero stati lasciati segni duraturi sul suo corpo per non porla in ulteriore imbarazzo.
Al motel le fu tolta la banana mentre A. non sapeva come nascondere l’imbarazzo di quella situazione. Lui le porse l’impermeabile per nascondere le manette ma dovette percorrere a piedi nudi la distanza fra la macchina e la porta e il tempo che ci volle per aprire la stanza le sembrò eterno, mentre si guardava intorno.
Entrati nella stanza fu fatta accomodare in bagno e le fu fatto segno di girarsi verso la doccia. Una benda calò sui suoi occhi marroni e le tolse la vista. Avvertì il rumore del togliersi gli abiti del suo padrone che, quando si fu preparato ed ebbe finito le disse: “Ora subirai l’umiliazione della tua denudazione, della visita intima e del controllo sul tuo corpo. Non ti muovere e tieni sempre ben aperte le gambe”.
Avvertì il freddo dell’acciaio sul collo e mentre le forbici, si trattava di questo, scendevano, i suoi vestiti aprirsi. La gonna fece la stessa fine.
Era lì, nuda davanti a Lui ed in balia dei suoi voleri. Se fosse un torturatore? Uno psicotico? Poteva dire di conoscerlo così a fondo?
Questi pensieri furono portai via da una sculacciata che le arrivò inaspettata strappandole un grido di sorpresa e di dolore. “Allarga le gambe! ” fu l’ordine gridatole nelle orecchie.
Obbedì e venne toccata sul suo corpo, a partire dall’alto e, lentamente scendendo. Le furono strizzati i capezzoli facendole un po’ male, ma poi le mani giunsero alla vagina e l’accarezzarono, si insinuarono, penetrarono fino a darle tanto piacere.
Sentì la banana che affondava dentro la sua carne e che scorreva in su ed in giù, fino all’appagamento, quando si buttò per terra.
Il movimento si fermò. Lo sentì allontanarsi e sentì lo scatto di una macchina fotografica che la riprendeva, inaspettatamente. Voleva sprofondare dalla vergogna e già si sentiva male al pensiero. “Le foto ti saranno tutte consegnate alla fine, senza eccezioni. Ti voglio solo umiliare fino in fondo” la rassicurò il padrone.
Venne fatta mettere sul letto in ginocchio, sul letto, con le braccia ammanettate davanti, le gambe chiuse ed il sedere in evidenza, in alto rispetto al corpo. “Ora ti devo punire per non avere obbedito del tutto ai miei ordini in quanto avevi le calze addosso. Riceverai cinque frustate sul sedere. Dovrai tu contarle a voce alta e ringraziarmi con un grazie padrone dopo ognuna di loro. ”
Passò un tempo che le parve infinito e la prima arrivò forte e decisa. Le vennero le lacrime agli occhi mentre diceva sottovoce quello che le era stato ordinato di fare.
“Più voce, riconta da capo” si sentì dire mentre poco dopo la seconda si abbatteva sul suo sedere. Le lacrime arrivarono copiose mentre le altre frustate, in numero di 6, la colpivano nel corpo e nell’orgoglio. Avrebbe voluto implorare, chiedere pietà, ribellarsi ma, anche per paura di un castigo peggiore che sicuramente le sarebbe stato somministrato, non lo fece. Il supplizio finì presto anche se il tempo le parve infinito. Il padrone chiese di ringraziarlo, di nuovo, per la lezione avuta: non avrebbe mai più avuto poca cura nell’eseguire gli ordini ricevuti. Vennero scattate, a quel sedere dolorante, una serie di fotografie.
Due mani delicate le riaprirono le gambe e la presero da dietro, alla pecorina, dolcemente, lentamente in contrasto con la punizione che aveva appena ricevuto. Lui andava su e giù accarezzandola. Avrebbe voluto restituire quelle carezze ma le manette glielo impedivano.
Lui venne e lei sentì, finalmente, il suo sperma nella sua cavità.
La accarezzava e metteva una crema su quel sedere che prima le aveva ridotto in quello stato.
La sciolse della benda e delle manette mentre le sussurrava un incoraggiamento “Sei stata bravissima, un’amante formidabile. Anche questa volta sei stata capace di darti fino in fondo, oltre ogni tua paura. Ti dovevo far sentire che i tuoi limiti nel dare sono solo nella tua mente. Ti dico che non sei stata un oggetto su cui sfogarsi, ma soprattutto, una donna amata dal suo padrone. Ti voglio bene A….Eccoti le foto. ”
“Intendi d’ora in poi farmi ancora di queste cose? ” gli chiese lei. “Mi sono impegnato a farti conoscere, in bene o in male, chi sei. Per me non è necessario, al mio volerti bene, farti schiava nella vita intima, anche se, quando si ama con passione, si è sempre un poco schiavi della passione e dell’altro. Se non lo vorrai, quest’esperienza non si ripeterà più, mi sei cara anche come donna “normale”. Ho capito, dal nostro primo incontro, che la tua vocazione è darti e giocare a darti. Con la storia della tua scopata in piscina mi ha fatto capire anche il tuo esibizionismo. Chiediti se non sia il tuo più intimo desiderio a volere questo ed altro ancora superando ogni limite che ti sei data fino ad ora ” le rispose lui.
“Ci penserò -promise lei- mio caro padrone….. FINE

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