Sono seduta in un ristorante nel quale mio marito Marco predilige accompagnarmi: è elegante e raffinato, intimo e riservato, è il preludio di una notte d’amore come tante altre che sono iniziate così e che ravvivano il nostro giovane matrimonio.
Siamo coetanei non ancora venticinquenni senza particolari grilli per la testa, io bionda e lui castano, una coppia felice come tante altre, ci amiamo senza eccessi seguendo canoni tradizionali, a volte restii nel cercare piaceri diversi, quasi bloccati nel confidarci le passioni che affiorano dentro di noi.
Tra una portata e l’altra Marco tiene la mano posata sulla mia, carezzandomi: ti amo Livia, sei splendida sussurra seduto di fronte a me, intimamente affannato dal doversi esprimere sottovoce in un locale pubblico ove le sue parole potrebbero essere colte.
Mentre lo ascolto il mio sguardo si posa su una donna della mia età, mora e fascinosa, seduta su un tavolino d’angolo, l’accompagna un signore dai capelli brizzolati che mi volge le spalle, sono seduti di fianco su un tavolo quadrato e lei adesso ha avvicinato la sedia verso l’uomo, sono gomito a gomito e si sussurrano qualcosa con le labbra quasi incollate.
La scena non mi sfiora sebbene mi chieda fuggevolmente quale possa essere il legame che li unisce, lui potrebbe essere suo padre e mi piacerebbe vederlo bene in viso ma la posizione che occupa non me lo consente, distolgo lo sguardo e mi soffermo sugli occhi luccicanti di Marco, il vino ne sta elevando la voglia di sesso e non riesce a nasconderlo.
Rispondo al richiamo delle sue pupille ammiccando, ho anch’io desiderio di fare all’amore e mentre mi concentro ad immaginare il momento in cui a letto, dopo esserci baciati, mi chiederà di girami sopra di lui per assaporare vicendevolmente il piacere della nostra carne, sposto nuovamente lo sguardo verso quella coppia avvertendo un impercettibile brivido che mi scorre addosso.
Solo io dalla mia angolazione posso vedere quello che sta succedendo: la giovane donna si è allungata sulla sedia, ha allargato le gambe e posso scorgere il triangolo bianco delle mutandine, la mano dell’uomo scorre con naturalezza lungo una coscia fasciata dalle eleganti calze nere, lei protende ancor più il bacino e si umetta le labbra carnose quasi a voler regolare il respiro, si abbandona alle carezze che lambiscono la pelle nuda nelle immediate vicinanze del suo nido d’amore.
Lei incrocia il mio sguardo e nel suo viso traspare la gioia di esibirsi, tento di distogliere gli occhi ma la morbosità ha il sopravvento anche in una donna tendenzialmente pudica quale io sono, il poter cogliere momenti di trasgressione, che si sviluppano come se fossi davanti ad un piccolo schermo, mi inebria con sensazioni mai sfiorate, mi sento stordita come quando il profumo dell’incenso si propaga nelle narici.
In contrapposizione a quanto sto assistendo in cui la giovane spalanca sempre di più le gambe, serro con forza le mie cosce per frenare un fiotto di umori che vorrebbe defluire dalla miciona, sorrido a mio marito che di spalle nulla può vedere, non voglio che si accorga del mio turbamento né renderlo partecipe di questo insolito spettacolo, infinitamente erotico e tutt’altro che volgare.
L’avvicinarsi di un cameriere fa sospendere le manovre in corso, ho la sensazione che lei sussurri qualcosa al suo uomo relativamente al fatto che li sto osservando, la cosa mi imbarazza come quando una bambina viene colta a rubare la marmellata, sento che sto perdendo il controllo e sono costretta ad alzarmi per andare al bagno.
Chiusa nella toilette è sufficiente che mi sieda sul water, con le mutandine abbassate e con una mano che si avventa a strizzare la clitoride gonfia, per raggiungere un orgasmo che mi lascia spossata ed ansante per un paio di minuti.
Cerco di ritrovare la calma interiore e mi accorgo invece che sono ancora avvolta dalla frenesia, voglio far presto per rituffarmi nello spettacolo momentaneamente interrotto, come avviene nella pausa fra il primo e secondo tempo di un film che ti coinvolge, mi affaccio nell’antibagno verso l’uscita avendo solo il tempo di stupirmi della luce spenta, quando una mano mi afferra un polso.
In un frazione di secondo intuisco che è quell’uomo dai capelli brizzolati, ha un profumo di maschio, la sua virilità mi sfiora una gamba, ne avverto la forza e la risolutezza quando tento uno scatto, cerco di sottrarmi ma soprattutto di girarmi per vederlo in faccia pur nella semioscurità, lui me lo impedisce bloccando sul nascere il mio movimento.
La sua voce è vellutata e pungente simile ad una rosa: ferma così, non ti voltare, ho ascoltato i tuoi gemiti scivolare oltre la porta, è sempre bello per una donna scoprire la propria sensualità, tu potresti diventare una buona allieva!
Lo shock mi rallenta i riflessi, la stretta al polso non ammette repliche anche se lui intuisce che mi sta facendo male, la sua voce si fa calda e gentile come un soffio di brezza in una notte d’estate: adesso ti lascio non temere, brava sta ferma così ed aspetta che esca!
Appoggio la fronte sulla parete mentre lui allenta la presa, avverto il suo membro in erezione poggiarsi sulle natiche senza alcun particolare sfoggio di mascolinità, ne assorbo le pulsazioni trattenendo il respiro come una collegiale ai primi approcci, la mano sulla spalla si sposta verso la chioma bionda e mi scopre la nuca, i suoi denti affondano come uno stiletto sulla pelle delicata mentre un brivido mi trapassa fino al midollo.
Oh sì diventerai una buona allieva, sussurra ancora mentre si stacca ed esce, lasciandomi là imbambolata.
Ritorno al mio posto con il volto leggermente accaldato, riesco a cogliere solo un breve tratto del profilo di quello sconosciuto e mi rimane come un senso di impotenza per non aver potuto leggerne lo sguardo.
Mi ricalo nella parte della giovane moglie in cui il marito se la mangia con gli occhi, ma non ho nemmeno il tempo di rispondere alle sue morbide carezze sulla mano che vengo catturata da una nuova immagine, straordinariamente erotica e volutamente allusiva.
Lo sconosciuto aveva smesso di toccarla seppure, all’evidenza, suggeriva i comportamenti alla giovane donna, che aveva abbassato il perizoma bianco a ridosso delle calze autoreggenti, una folta selva oscura mi si spalancò davanti agli occhi, rischiarata da un’effimera triangolazione di luce riflessa, lei aspettò che incrociassi per un attimo il suo sguardo prima di proseguire nella rappresentazione.
Si mise ancor più comoda prima di spostare la mano destra sul grembo, con mossa studiata sollevò ulteriormente la gonna in modo da offrirmi una visione paradisiaca, poi scostò con cura le labbra della vagina per mostrarmi nella loro interezza le sue rosse impudicizie.
Affondò le dita entro la sorgente aspirando a bocca aperta, mi tornò a guardare prima di portare i polpastrelli sulle labbra per succhiare la rugiada che vi si era depositata, mio marito intanto ha occhi solo per me, ingenuamente estasiato da qualche irrefrenabile espressione di libidine che sicuramente si dipinge nelle pieghe del mio volto, sicuramente lui le riconduce alla voglia di correre a casa per fare all’amore.
L’esibizionista raggiunge l’apice allegorico rinnovando sotto i miei occhi le stesse azioni che mi avevano condotto all’orgasmo nell’angusta toilette: le dita stringono e rilasciano la clitoride con movimenti di cui solo io posso cogliere il significato, l’eccitazione accentua le vibrazioni del suo corpo ed ella trattiene il respiro affannato con piccoli morsi sulle labbra.
Rimango stregata ed affascinata al tempo stesso, mai prima di allora avevo potuto cogliere dal vivo, così estremamente vicino, l’approssimarsi di un orgasmo che non mi vedeva attivamente partecipe, il coinvolgimento emotivo è alle stelle e mi fa scoprire una sfaccettatura erotica che mai mi aveva nemmeno lontanamente sfiorato.
Mi trascino verso l’uscita dal ristorante a capo chino, a braccetto di Marco, avverto uno strano senso di colpa ed ho come la sensazione che gli altri clienti del locale osservino la mia instabile deambulazione, in macchina accanto a mio marito lo guardo con occhi diversi, sono eccitata ed ho voglia di fare all’amore, ho la certezza che i rituali non saranno più gli stessi, quello a cui ho assistito mi ha proiettato in un’altra dimensione.
Non ci vuol molto ad arrivare a casa, distesa a letto rivedo in dissolvenza le immagini della donna al ristorante, spalanco le cosce e con voce quasi perentoria invito mio marito a leccarmela: Marco mi vede strana ma continua ad attribuire ad i fumi dell’alcool la mia richiesta, mi sollevo sui gomiti e guardo la sua testa che si muove entro l’inguine, lo incito, arrivo persino ad insultarlo fintanto che un lungo scossone mi trasporta nell’oblio.
Adesso puoi sfogarti sporcaccione, fottimi dai porco, lo so che muori dalla voglia.
Marco è al colmo della tensione e non da peso alle mie parole che mai aveva sentito prima uscire dalla mia bocca, scivola in me come se fosse attirato dal canto mellifluo di una sirena, è allo spasimo e non ci mette molto a scaricarsi, rimango così, con il suo peso addosso, che mi provoca un senso di fastidio.
Mentre Marco trasmette al mio corpo gli ultimi aneliti susseguenti all’orgasmo, mi vedo prigioniera dello sconosciuto, mi trattiene con la forza, contro la mia volontà, vorrei resistergli ma non ci riesco, mi impone di sottomettermi: ogni semplice richiesta dovrà divenire l’esplicitazione della mia gioia nel soddisfare i suoi desideri.
Quando poco dopo mio marito si addormenta non riesco a trattenere la mia mano, immagino sia quella dello sconosciuto che controlla il mio stato di eccitazione, mi vergogno di mostrarmi in quelle condizioni come la più consumata delle troie, ma non riesco ad opporre alcuna difesa e soccombo, raggiungendo un altro orgasmo più devastante di tutti gli altri, che mi fa lacrimare dalla felicità.
Dormo più del solito, Marco è già uscito da un pezzo quando vengo svegliata dallo squillo del telefono, assonnata guardo la sveglia sul comodino che indica le dieci, non aspetto telefonate mio marito non mi chiama mai, rientra come al solito a cena, alzo la cornetta pronunciando un pronto stiracchiato.
La voce dall’altro capo del filo mi mette in ansia: bene alzata Livia, è stata forse una notte di eccessi quella appena passata?
è lui, lo sconosciuto, ne riconosco il timbro caldo e gentile ma anche autoritario, come fa a conoscere il mio nome, il mio telefono e quindi anche il mio indirizzo, mi chiedo mentre faccio filtrare solo il mio respiro affannato attraverso il telefono.
Lui prosegue imperterrito fingendo di non cogliere il mio imbarazzo, sebbene non gli può essere sfuggito una mia esclamazione di stupore quando mi chiede: ti sei masturbata pensando al nostro incontro, hai ripetuto l’esperienza della toilette vero, i tuoi gemiti di piacere mi sono giunti attraverso il silenzio della notte!
Hai solo il tempo di farti una doccia, Magda ti aspetterà sotto casa fra un quarto d’ora, te la ricordi vero, mi pare che ieri sera l’hai guardata a sufficienza, ha una Mercedes nera e ti condurrà da me!
Voglio che ti infili un vestito, lo preferisco rosso e attillato, null’altro se non un paio di mutandine!
Rifiato per quasi un minuto prima di balbettare: cosa le fa pensare che accetterò?
Questa tua risposta è già per me un’affermazione, sappi che non mi piace attendere, ribatte secco chiudendo la telefonata.
Mi sento affannata come una ragazzina che si appresta ad andare al suo primo appuntamento amoroso, dentro di me una voce suggerirebbe di non andarci ma il mio cervello la rifiuta, eseguo l’ordine che mi è stato dettato per telefono, indosso il vestito rosso che prediligo, mi guardo allo specchio davanti e di profilo, è scollato, provocante, risalta le mie curve facendo appena intravedere il mio corpo nudo sotto il tessuto.
Scendo in strada con il cuore in gola ed in questo stato salgo nella Mercedes impattando il saluto di Magda che coglie il mio affanno, mi sorride e si avvia lentamente.
Mi osserva di sottecchi soffermandosi sui miei seni che sobbalzano dentro la ridotta scollatura, poi abbassa lo sguardo sulle cosce abbondantemente scoperte, allunga una mano e sussurra: avvicinati, abbiamo un po’ di strada prima di arrivare nella dimora del Maestro, spero tu abbia eseguito alla lettera i suoi ordini, non sopporta alcuna forma di disubbidienza.
Riesco solo ad annuire mentre lei mi carezza una coscia sollevando la gonna, la quale risale lentamente scoprendo il mio pube color miele, che filtra sotto il tanga illuminato da un raggio di sole: oh sì, brava, così va bene, il mio Signore e Padrone sarà lieto di averti come allieva, sarà paziente ed inflessibile allo stesso tempo, carezzevole e mordace, leggero e pungente, tenero amante e perfido aguzzino, ti userà a piacimento fintanto che annullerà la tua personalità rendendoti schiava.
Mentre mi parla con la voce incrinata dal piacere Magda si insinua sotto le mutandine, socchiude le tenere labbra della mia fica colma di umori, mi masturba con una dolcezza infinita, ansimo, mi aggrappo con le mani al sedile e poi esplodo contorcendomi dal piacere.
Arriviamo in una villa antica fuori città, risaliamo lungo la strada sterrata del parco che porta all’ingresso principale, le foglie caduche si librano nell’aria e danno un senso di magico agli spazi bucolici che mi si parano davanti, osservo estasiata questo luogo affascinante ove non si vede anima viva, la vecchia dimora che finalmente compare incute un senso di timore.
Magda mi fa scendere e mi prende per mano portandomi all’interno di un grande salone, l’ambiente è austero, quasi spettrale, non si avverte nemmeno un brusio, come se fossimo in una casa disabitata, sono impaurita e tremo visibilmente, la mia accompagnatrice intuisce il mio stato d’animo, mi bacia sulle labbra succhiandole, mi benda gli occhi con un foulard sussurrando: non temere, non ti succederà nulla che non porti piacere, il Padrone non ama essere visto prima che la schiava accetti la sua sottomissione.
Sento i passi di Magda che si allontana, in me cresce l’affanno, rimango in piedi per due lunghi interminabili minuti, vorrei togliermi il foulard e scappare via ma una forza interiore mi convince a restare, solo a posteriori mi renderò conto che anche quella era una prova per stabilire se potessi diventare una buona schiava.
All’improvviso lui mi blocca le braccia, deve avermi raggiunta scalzo, ne colgo il respiro che mi soffia sul collo, avverte la mia arrendevolezza, mi sposta i polsi dietro la schiena, li stringe con una mano sola mentre con l’altra mi solleva i capelli dalla nuca e mi morde come nella toilette del ristorante, quest’azione prolungata mi eccita e mi esaspera al tempo stesso, ansimo senza parlare.
Sento un titillar di metallo ed un attimo dopo un paio di manette mi bloccano i polsi, ho paura, ho paura, mormoro con un filo di voce.
Non risponde, il suo silenzio mi opprime, mi isola, intuisco che mi sta girando attorno, che mi sta soppesando senza toccarmi, avrei voglia di urlare ma come d’incanto la sua voce mi infonde coraggio, le sue parole mi illuminano come una stella cometa che indica il percorso da raggiungere.
Rilassati, se sei arrivata fino a qui è perché nel tuo intimo ti senti pronta ad affrontare una esperienza diversa, ti porterò fin dove si sviluppano le ansie e le paure assieme alla fantasia, è un percorso fantastico che fino ad oggi hai tenuto lontano perché sei oppressa dalle inibizioni.
Dovrai imparare molto se vorrai che mi occupi di te, sono certo che ti applicherai ma se solo per un attimo pensi di non farcela ti libero subito e ti faccio riaccompagnare a casa.
Potrò punirti, usarti, mostrarti come mia schiava, nulla potrà essermi negato, dalla mente al corpo, annullerò la tua personalità, ti rivolgerai a me chiamandomi Signore, solo alla fine di ogni singolo giuoco così infinitamente coercitivo e struggente, doloroso ed eccitante, se lo meriterai ti concederò di assaporare il piacere vero.
Adesso puoi rispondere, intendi proseguire?
Un lungo respiro accompagna il mio: sì Signore!
I miei capezzoli turgidi marchiano la stoffa del vestito che indosso, ed è su quelli che lui pone le sue prime attenzioni, mi abbassa le spalline che scivolano lungo le braccia scoprendo i seni incredibilmente gonfi, ne stuzzica le corolle usando due dita di ogni mano, li sente ingrossarsi e tendersi in avanti.
Quel massaggio morbido e ruvido allo stesso tempo mi confonde, mi piega le ginocchia, mi toglie il respiro, mi fa ansimare a bocca aperta, non riesco a coordinare i miei pensieri, in un lampo di lucidità mi domando se possa veramente essere io la giovane, pudica e riservata, che sta davanti a quello sconosciuto e che accetta, senza condizionamenti, di essere usata come una donna di facili costumi.
Questa specie di eccitante martirio prosegue senza pause, il mio Signore non ha fretta ed io farei qualunque cosa pur di poterlo vedere in faccia, anche per un solo attimo, ma non mi è concesso.
Adesso una mano si stacca dal seno mi accarezza le natiche nude da sotto il vestito, sposta la fettuccina del tanga e mi fa rabbrividire quando sento che si insinua entro le mezzelune raggiungendo l’orifizio che nessuno ha mai violato, ne valuta l’elasticità spingendosi all’interno, mi par di intuire che si compiaccia e ne sono intimamente felice.
Forse ho osato troppo perché sentito il turgore del suo sesso dentro i pantaloni, mi sono spinta in avanti per cercare un contatto più vicino, agevolata dal dito che lui mi aveva piantato nel culo, avverto la consistenza del suo palpitante randello e non riesco a fare a meno di strusciarmi, vorrei che mi prendesse lì in piedi, mi piacerebbe sentire quell’asta pulsante scivolare dentro la vagina per assaporare la gioia di essere sverginata una seconda volta.
Non mi ero sbagliata, la sua voce diventa tagliente: no, no, mia piccola impudica schiava, così non va, non ti è permesso di comportarti come una cagnetta in calore, devi imparare a controllare le emozioni, non ti è concessa alcuna fuga in avanti, solo il tuo Signore può condurti verso il piacere, ogni qual volta questa regola verrà infranta sarai punita, ed adesso lo sarai per la prima volta.
Voglio intanto ascoltare le tue scuse.
Mi stupisco io stessa delle parole che escono cadenzate dalle mie labbra: perdonami Signore, sono una sciocca schiava in calore, merito di essere punita.
Vengo sollevata e mi appoggia sulla sua spalla a mò di sacco, sebbene mi sia appena scusata per essermi eccitata, il sentire la sua mano che mi trattiene saldamente stringendomi vicino all’inguine, mi provoca quasi un orgasmo, mi sorprendo a pensare che mi piace tutto di lui, i suoi modi, la sua voce, persino l’aspetto che mi convinco di conoscere, voglio appartenergli, per nulla al mondo rinuncerei ad essere una sua schiava.
Il tragitto verso il luogo ove intende condurmi mi pare interminabile per il silenzio e l’impossibilità di vedere quello che mi sta attorno, finalmente mi adagia su qualcosa di morbido, immagino sia un grande letto, ora avverto più nitidamente il dolore ai polsi che sono costretti dalle manette ad una posizione innaturale.
Mi fa appoggiare il mento su una pila di cuscini, debbo tenere le ginocchia ben aperte anche per meglio mantenere l’equilibrio, lui mi sposta, mi assesta, mi solleva il vestito da tergo arrotolandolo fino alle spalle, mi abbassa il tanga lasciandolo stirato a fondo cosce, mi sento impudicamente esposta ai suoi sguardi, mi emoziona il sapere che osserva il mio corpo, sinuoso e vibrante, e che potrà disporne a piacimento.
Una sola volta in vita mia sono stata sculacciata, quando bambina ne avevo combinata una di grossa, mio padre mi aveva piegato sulle ginocchia ed arrossato il sedere facendomi piangere disperatamente, ora è diverso, quando il palmo si schianta sulle mie natiche sobbalzo ed assorbo il bruciore che ne consegue con uno spirito diverso, un fluido mi penetra dentro e si irradia come una sorgente di vita.
I colpi si susseguono martellanti, mi lamento sommessamente mentre il foulard si inumidisce a seguito delle lacrime che non riesco a trattenere ma che cerco di nascondere, sento di odiarlo perché ha fatto affiorare in me l’aspetto masochistico di cui non conoscevo l’esistenza, dal come mi agito egli intuisce che sono profondamente eccitata, ciò non gli spiace anzi è motivo per una seconda punizione tutta cerebrale.
No, no, così non va proprio, commenta dilatandomi le grandi labbra del sesso, che si contraggono vischiose come se volessero trattenere le dita similmente ad un collante, poi la punizione diventa tortura ed io impazzisco urlando e contorcendomi come un’ossessa.
Si era staccato un attimo per spalmarsi le dita con un unguento, mentre mi intinge il forellino spingendosi dentro il canale riottoso ad aprirsi, rimango fulminata dal glande turgido che si appoggia sulla mia fica dischiusa, lo inserisce appena e lo ritrae subito ripetendo per diverse volte questa tremenda tortura.
Mi sforzo di muovermi per cercare di catturare quel prodigioso ordigno d’amore ma non ci riesco bloccata come sono, lui è di una ferocia inaudita perché mi costringe ad espellere ogni residua inibizione, incalzandomi con una serie di domande a cui sono costretta a confessare che desidero essere fottuta, anche brutalmente, più di ogni altra cosa al mondo.
Lo imploro di prendermi, di sfondarmi, intanto avverto la presenza Magda il cui profumo anticipa il contatto del suo corpo nudo, lei si insinua sotto di me come fosse un serpente, mi struscia, mi graffia con le unghie, scende dalle tette all’ombelico, mi riga la pelle fino a giungere al cespuglio dorato, si impossessa del clitoride, lo strizza, lo incide, sto per uscire di senno.
Pietà, pietà, basta, basta, imploro al limite di una crisi isterica, prendimi mio Signore, prendimi te ne prego!
Rimango un attimo con il fiato sospeso, lui mi monta sopra puntando il glande sul foro anale che ha dilatato e lubrificato fino ad ora, Magda intanto mi sta mordendo l’interno di una coscia mentre continua a straziarmi la clitoride.
Malgrado sia al limite dell’esasperazione, ho un sussulto, e lo blocco affannata: no, no, dietro no, non ce la farò mai!
Lui non risponde si sposta, aspiro a pieni polmoni la gioia di sentirlo dentro il mio ventre, invece no scende dal letto, capisco che agguanta Magda e sento le stoccate che affondano nella sua fica, lei mi addenta il clitoride incrementando il mio stato confusionale, piango dalla disperazione, non mi era mai successo di desiderare così tanto il cazzo di un uomo, esplodo: prendimi Signore, prendimi come vuoi, ma prendimi ti scongiuro.
La sua voce mi sferza come il vento gelido: devi dirmi dove vuoi che te lo metta, schiava!
Sì, sì, inculami ti prego, inculami mio Signore ti prego!
Magda è inferocita, le ho tolto di dosso la spada che la stava portando al piacere supremo, si solleva, butta via con rabbia i cuscini su cui appoggiavo il mento, si siede davanti a me schiacciandomi la testa nel grembo.
La mia lingua non ha bisogno di istruzioni sebbene sia la mia prima volta con una donna, ma sono costretta a bloccarmi dopo pochi guizzi, lui mi sta sfondando il culo ed il bruciore come prevedevo è quasi insopportabile, per quel poco che conta bloccata come sono tento di divincolarmi, è un supplizio che si protrae per un tempo che mi pare interminabile, poi lentamente egli conquista la totalità di quella trincea inespugnata.
Il bruciore si allenta mano a mano che si muove dentro di me pompandomi quasi con dolcezza, torno a godere mentre riprendo a succhiare con foga Magda che ha avvinghiato entrambe le mani ai miei seni per strusciarsi meglio, l’orgasmo arriva impetuoso, sembra un fiume in piena che dilaga nel mio intestino.
Nei giorni a seguire faccio fatica a camminare, ho delle fitte al sedere, sono costretta a degli impacchi ghiacciati per lenire il bruciore, ma quel che mi duole di più è l’assenza di notizie del mio Signore, il cui volto mi appare come una visione ad ogni istante del giorno, egli mi aveva fatto riaccompagnare dicendomi: mi farò vivo io!
è un vero signore vicino ai sessanta, dal volto impenetrabile, la cui identità mi è sconosciuta, i suoi occhi brillano di luce non vera, ti penetrano, sanno infonderti coraggio e paura allo stesso tempo, ascolto la sua voce che viene da lontano e che sembra mi chiami, temo di non riuscire a sopportare questa situazione, ho ardente bisogno di lui, di sentirmi sua, anima e corpo.
Sono talmente in apprensione che ogni parola di mio marito mi irrita, lo tratto male, lui cerca di essere più affettuoso ma ottiene l’effetto contrario, è strano come una persona possa cambiare la propria personalità in pochi attimi, tanto sono sottomessa con l’uomo che mi ha reso schiava quanto adesso mi sento autoritaria nei confronti di Marco.
Abbiamo appena finito di cenare e squilla il telefono, ho un sobbalzo ed a passo svelto vado a rispondere, speravo fosse lui ma è uno che ha sbagliato numero, Marco non capisce la mia apprensione, mi ha seguito e mi abbraccia baciandomi affettuosamente: calmati Livia, ma cos’hai sei sempre così agitata in questi giorni.
Mi sottraggo alle sue effusioni spingendolo indietro in malo modo: devi smetterla di starmi sempre appresso, sei appiccicoso, mi sono rotta!
Marco mi guarda con gli occhi lucidi, vorrebbe ribattere ma le parole si sciolgono in bocca, è affranto, non mi riconosce più nella dolce mogliettina di qualche giorno prima, capisco dal suo sguardo che mi teme e ne approfitto saggiando la sua arrendevolezza.
Mettiti in ginocchio, da questo momento si fa come voglio io altrimenti ti sbatto fuori di casa, comincia con il leccarmi i piedi.
Una gioia incontenibile mi rallenta le pulsazioni nel vederlo ai miei piedi con la lingua fuori che pulisce le dita una dopo l’altra, mi appoggio alla consolle in entrata e sollevo il vestito: continua a leccarmi, maiale, voglio sentirti salire lentamente verso la fica, è lì che ti piacerebbe infilare la lingua vero porco, da oggi però la musica cambia, si fa a modo mio, se solo mi accorgo che hai qualche tentennamento ti prendo a calci sui coglioni.
Mai mio marito mi ha sentito usare certi termini, è come in trance, con il volto in fiamme borbotta qualcosa di incomprensibile e prosegue la sua lenta ascesa con la lingua che lascia vischiose tracce di salivazione, al pari del percorso di una lumaca che traccia il terreno con la sua effimera scia.
Voglio che aspiri l’afrore della mia mucosa inebriandosi, che la sua lingua continui a sviluppare il suo umido percorso sulla pelle serica circostante le mutandine e poi sopra il triangolino trasparente, ove si intrecciano le gocce umorali con quelle salivali, Marco da segni di stanchezza e lo strattono per i capelli, facendolo riprendere con rinnovata lena.
Gli intimo di non usare le mani e non provare nemmeno a sfiorarmi, così quando decido di girarmi dopo essermi sfilata il vestito ed abbassate le mutandine, sono io stessa che mi allargo le natiche ordinandogli di infilare la lingua dentro.
è la prima volta che ricevo un dardo umido entro il forellino anale, ancora arrossato dalla devastante penetrazione di qualche giorno prima, ottenere questo dono sotto imposizione mi sconvolge dal piacere, roteo il culo, gli ordino di spingersi sempre più dentro, poi il ventre si contrae anticipando un orgasmo che esplode violento ed inarrestabile.
Marco è inginocchiato a terra con il capo chino, la bocca socchiusa e la lingua secca a causa della prolungata azione a cui l’ho sottoposto, le labbra sono violacee, ormai non ha più scampo, la sua mente mi appartiene e capisco che ha paura nel vedere la sua donna che indossa lo sguardo con cui lo osservo compiaciuta.
Lo trasferisco a letto, voglio che si spogli e si metta accucciato con il culo per aria, l’uccello è teso, quando lo sfioro avverto un brivido che lo trapassa da parte a parte, ansima, sembra infreddolito, mi da l’impressione di una pecorella smarrita che lancia il suo flebile richiamo: ti prego Livia, ora basta non puoi continuare a torturarmi così!
Sta zitto stronzo, sibilo, mentre intuisco che quest’ennesima offesa lo sbigottisce stringendogli lo stomaco e debellando ogni ultima difesa, oramai è in mio potere.
Marco si tende istintivamente come se si aspettasse il primo schiaffo che gli mollo sul sedere provocando solo un dolore cerebrale, ne faccio seguire molti altri, poi decido di cavalcarlo ed il mio peso come le ultime sculacciate, gli producono anche un certo dolore fisico.
Adesso è eccitato, uso il peso del mio corpo per comprimergli dolorosamente il cazzo sul letto, di tanto in tanto gli strattono i capelli per torcergli il collo, in modo che possa osservare il mio volto dominante, illuminato da una luce perversa.
Gli ordino di menarselo, vedo solo alcuni spiragli del suo volto colmo di vergogna, viene sulle lenzuola mentre lo sodomizzo infilandogli prima una e poi due dita nel culo.
Prima di addormentarci gli spalanco la fica, mi succhia con una avidità che non gli conoscevo mentre io sogno che possa farlo immediatamente dopo che il mio Signore mi ha posseduto riempiendomi di sborra.
I giorni passano interminabili nell’attesa che il mio Signore si rifaccia vivo, di sera continuo ad accanirmi su Marco ma durante il giorno vago in macchina per ore alla ricerca della villa, non riesco a ricordare il percorso anche perché mi ero distratta mentre Magda era alla guida, sono stanca, sfiduciata, mi prende l’angoscia quando penso che potrei non rivederlo più.
Sono pronta per avviarmi in una nuova estenuante ricerca, scendo in garage e sto per salire in macchina, vengo bloccata di spalle, mi affloscio, ansimo a bocca aperta, è lui!
Cos’hai cucciolotta, ti sono mancato, l’attesa è sempre una buona medicina, hai tanta voglia che mi occupi di te vero?
Io annuisco, tremo vistosamente appoggiata di schiena alla portiera della mia auto, assaporo la gioia della sua bocca sulla mia, mi ipnotizza, mi morde le labbra, il piacere che mi dona porta a sintomi da svenimento, mi scioglie l’impermeabile sul davanti, indosso un maglioncino leggero ed una gonna svasata, sotto ho messo tutti gli indumenti intimi che prediligo, dalle calze al reggiseno a balconcino, al perizoma.
Ogni tanto arriva qualcuno, scende dall’auto e se ne va mentre io vengo scossa dalla paura, anche se siamo in posizione defilata temo che possano vedere quello che stiamo facendo, non ho il coraggio né la forza di frapporre qualsivoglia ostacolo, sono talmente felice di sentire le sue mani addosso che accetterei qualsiasi scandalo.
Mi solleva il maglioncino e si infastidisce nel trovare il reggiseno: non devi mai più indossare questo stupido indumento, è un inutile perdita di tempo toglierlo.
Scusami Signore mormoro io e mi affretto a sganciarlo lasciandolo cadere a terra.
Mentre i polpastrelli ripetono la magica stretta sui capezzoli, che si inturgidiscono ed incrementano il mio affannoso respiro, mi ordina di tirarglielo fuori, un turbinio di sensazioni mi sferzano le tempie mentre accarezzo la patta prima di far apparire l’asta fulgente, l’accarezzo timorosa inebriandomi del piacere che emana quel palpitante pezzo di carne.
Le mani sulle spalle mi indicano cosa vuole da me, mi abbasso a gambe aperte, imbocco il randello e lo succhio dolcemente, lisciando la pelle con le labbra avanti ed indietro, sento il rumore di un auto che si ferma poco distante da noi, non percepisco la chiusura della portiera, la donna al volante è rimasta bloccata, incantata dalla visione della mia bocca che scivolava sensuale lungo quell’ambito oggetto di desiderio.
Lui la fulmina con lo sguardo e non appena ne coglie l’acquiescenza mi blocca la testa e comincia a fottermi in bocca, la mia nuca rimbalza sulla portiera dell’auto, un rumore sordo si propaga nella parziale oscurità del garage, è un’esperienza sconvolgente che pare non debba mai esaurirsi, mi coglie un principio di soffocamento che si accentua quando arriva copioso il flusso bollente dello sperma.
Mi accarezza i capelli per consentirmi il lento assorbimento della sborra, che riesco a deglutire fino all’ultima goccia, si reinfila l’uccello dentro i pantaloni ed io mi alzo con le gote infiammate per lo sforzo testè concluso, guardo colma di vergogna il volto della donna dentro l’auto: è Maria, la moglie quarantenne di un rappresentante che abita al piano sottostante il mio.
Lui mi prende per un braccio e mi sposta verso l’ascensore, io non fiato sa che abito al quarto piano, schiaccia il pulsante e mi fissa per tutta la durata della salita, mi ordina di scendere e di aspettarlo in casa, egli rimane all’interno e ritorna al piano interrato.
Come le porte si aprono Maria se lo trova davanti e rimane imbambolata a guardarlo, sono le dieci e mezzo del mattino e ha in mano una borsa della spesa, non ha il tempo di stupirsi che viene tirata dentro, riesce solo a balbettare: cosa, cosa vuole da me?
Quell’uomo le incute paura, si ritrae quando le infila una mano dentro la giacca del tailleur ma non riesce ad evitare che agganci un seno sopra la camiciola, Maria è un po’ grassottella, ha una quinta misura ed ha mantenuto parte della procace bellezza che la distingueva quando aveva vent’anni con alcuni chili in meno.
è ancora eccitata per la scena a cui ha assistito nel garage, vorrebbe ribellarsi ma non ci riesce, appoggia la schiena sulla parete dell’ascensore e si lascia coinvolgere, lui le strizza un capezzolo mentre sussurra: sporcacciona perché non sei andata via, ti è piaciuto rimanere a guardare, le conosco le casalinghe insoddisfatte come te!
Per favore mi lasci andar via, mormora Maria senza dare alcuna enfasi al tono della sua voce, lui le toglie di mano la borsa della spesa ed anche la borsetta che porta a tracolla, la obbliga a voltarsi e poggiare la fronte sulla parete in alluminio, si sente come prigioniera, acconsente a tendere i polsi dietro la schiena e lui la ammanetta.
No, no ripete come per giustificare sé stessa quando sente le mani che si infilano sotto la gonna alla ricerca del suo sesso inzuppato dall’eccitazione.
Mentre si diletta a scavare la sua ficona cicciuta, preme il pulsante del quarto piano e poco me li trovo davanti alla porta con Maria ammanettata e lui con le borse in mano.
Questa volta è Maria che mi guarda con occhi pieni di vergogna ed allo stesso tempo interrogativi, cosa ci faceva una bella donna come me, giovane e sposata da poco, con quell’uomo in garage; non c’è il tempo nemmeno per ricambiare lo sguardo, in camera da letto mi denudo mentre lui imbavaglia la signora del piano di sotto, le sfila la gonna, le apre la camicetta in modo che le tette possano esplodere nello loro magnificenza, quindi è la volta delle mutandine.
Maria viene seduta in punta di una poltroncina, deve tenere le gambe larghe perché le caviglie sono legate ai due pioli anteriori, respira affannata e guarda con apprensione il vibratore che lui ha estratto da una tasca del soprabito, glielo ficca dentro dicendole: così potrai godere anche tu mentre ci guardi!
Ho le narici dilatate dall’eccitazione quando lui comincia a spogliarsi, guardo con le pupille colme di libidine il suo uccello nuovamente svettante che fa bella mostra di sé, lascio che mi leghi i polsi alla testiera del letto, poi è solo la sua bocca che si impadronisce del mio corpo: mi agito come una contorsionista, dalla mia bocca escono solo gemiti lubrici mentre i suoi denti incidono ogni centimetro della mia pelle, ogni tanto volgo lo sguardo verso Maria ed incontro i suoi occhi lucidi, intuisco che vorrebbe essere lei al mio posto.
Mi solleva le natiche, mi appoggia le gambe sulle sue spalle e poi si aggrappa sui glutei infilzandomi con la sua invadente nerchia, è un crescendo di sesso sfrenato, senza limiti e senza inibizioni, Maria credo si meravigli nel sentirmi che lo chiamo Signore, urlo a squarciagola, chiedo umilmente che voglia irrorarmi con la sua linfa vitale, perdo il controllo di me stessa, le frasi adesso sono smozzicate e senza alcun filo logico, vorrei incatenarmi a lui quando esplode dentro di me.
Maria viene liberata solo per essere denudata, poi riammanettata nella stessa posizione di prima, senza bavaglio e senza lacci alle caviglie, succhia il cazzo che si sta contraendo non appena glielo mette in bocca, non riesce però a trattenere il piscio caldo che di lì a poco defluisce con getto morbido ma costante dal prepuzio, si stacca e viene annaffiata sul viso sulle tette e sul ventre fin anche sulle cosce.
Un paio di sberle annunciano l’irritata reazione del mio Signore, entrambe ma in particolar modo Maria rimane sorpresa da questa veemente reazione, distesa a fondo letto a pancia in giù, si lamenta con toni crescenti quando viene sculacciata di santa ragione.
Questa punizione ha il potere di gonfiargli l’uccello per la terza volta, Maria ha già provato la dura penetrazione anale, questa volta però viene trafitta senza alcun accorgimento preliminare, fatica a trattenere le lacrime che poi esplodono copiose assieme al risvegliato piacere che le dona quell’asta conficcata in culo, che la sfonda senza un attimo di pausa.
Lui si riveste mi libera le mani e mi getta le chiavi delle manette, se ne va in punta di piedi allo stesso modo di come è abituato a fare quando compare all’improvviso, senza che se ne avverta la presenza.
Apro le manette che serrano i polsi arrossati di Maria, ella resta immobile scomposta sul letto, respira affannosamente, poi riesce a mormorare: mio Dio ma chi è quella furia, da dove è uscito?
Le accenno qualcosa, capisco che si eccita, non riesce a credere che non ne conosca neanche il nome, confessa che non ha mai subito un assalto così travolgente in vita sua, mi chiede dei rapporti con mio marito, il suo rientra solo per il fine settimana e da qualche tempo la trascura, vuol sapere bene di Magda, sento che come entro nei particolari le si incrina la voce.
Guardo il vibratore appoggiato sul letto che si era sfilato dalla sua fica, lo raccolgo e glielo appoggio sulle labbra, forzandole finchè riesco a ficcarglielo dentro, mi guarda con occhio torbido leggermente impaurita, quando mormoro: voglio che diventi la mia schiava!
Mi sento forte come un macigno, tutto il contrario di quando sono in presenza del mio Signore, sto assumendo la piena consapevolezza della mia dualità, sono nello stesso tempo il dritto ed il rovescio di una medaglia.
Maria non risponde ma il suo sguardo è già una conferma, le lego i polsi alla testiera del letto nello stesso modo in cui erano stati poco prima legati a me, corro in lavanderia a prendere il sacchetto con le mollette per stendere i panni, ne applico due di esse sui capezzoli, lei si inarca mi guarda con aria stupita ma capisco che le piace.
Le tolgo il vibratore dalla bocca, lei ansima, è inesperta come me nei giochi saffici, si scioglie al contatto delle mie labbra che le succhiano le sue prima di morderle per farle capire chi comanda, sarai ubbidiente e ti applicherai vero le dico soffiandole addosso, come lei annuisce scendo con la lingua sui seni carezzando i capezzoli dentro le mollette, poi gliene applico altre due sulla ficona dischiusa e questa volta lei sobbalza rabbrividendo intensamente.
Faccio danzare la mia lingua entro la vulva per lenire la sua pena, lei sbava, si perde in un mondo fantastico in cui dolore è solo uno dei tanti sentieri che conduce alla casa del piacere, mi infilo il vibratore nella fica dalla parte rovescia mentre lei osserva con occhio voglioso il mio ventre piatto su cui spunta il simbolo priapeo.
Ora voglio chiavarti sporcacciona, sibilo mentre Maria sbuffa come una locomotiva lasciando allo sguardo la rappresentazione delle sue intime sensazioni, le sollevo le ginocchia e le spalanco le cosce, la penetro con la stessa aggressività che contraddistingue gran parte degli amplessi maschili, le nostre vagine si incollano facendo scomparire l’oggetto inanimato che vorremmo si ridestasse, ci sfreghiamo una sull’altra e le mollette si staccano dalla sua fica rimbalzando sul letto, alla fine ci lasciamo avvolgere da un orgasmo che ci riempie fino al midollo.
Maria è diventata una splendida schiava così come mio marito Marco, a volte li uso assieme e mi compiaccio delle fantasie che mi ispirano, sono diventata come un’abile castellana nella sua riserva di caccia, ma il piacere estremo è solo quello che mi può donare il mio Signore e Padrone, quando si degna di prendermi con sé.
Io lo seguo senza indugio in un percorso irto di spine e colmo di sofferenze che però porta ad un unico lancinante urlo finale, quello intenso e devastante dell’orgasmo, mi piace trasferire ai miei schiavi le stesse sensazioni che mi pervengono da questa ignota persona, la mia dualità ha trovato un senso compiuto: un dritto ed un rovescio. FINE