Laura vive a M. , è una studentessa di lettere, ha ventidue anni. È alta poco più di un metro e sessanta, magra, con le linee dei muscoli che seguono le curve del torace, segnano le spalle, sorreggono i glutei. Ha i capelli nerissimi, molto corti, e gli occhi grandi, neri anch’essi e tagliati verso l’esterno. Parla a voce bassa, con accento toscano lieve lieve, ha lunghe le mani e magre, come i fianchi, le gambe e il collo. Di solite veste con degli scarponcini, un paio di pantaloni qualsiasi, calze e maglioni; non ha mai usato un reggiseno. Ma questa volta è combinata strana: ha una gonna corta, invernale, lunghe calze di lana fin sopra il ginocchio, una giacca di pelle stretta in vita e scarpe basse, da uomo. Tra le calze e la gonna le gambe sono nude, come i fianchi che camminando a volte restano scoperti dai movimenti della corta giacca, e la pelle rabbrividisce.
Mentre cammina verso casa Laura mentalmente ricapitola la situazione. Lui è un uomo di trent’anni, probabilmente qualcuno di più; non un giovanotto atletico comunque. Una sera hanno parlato e lui le ha aperto la camicia a quadri (quella sera aveva una camicia a quadri) e preso tra le dita il capezzolo scuro e (che strano) turgido. E lei si è confusa. Ma non di quella confusione da mandar via, fastidiosa, ubriaca. Era un perdere il senso dell’orientamento piacevole, idee strette pescate fuori dall’anima e lavate. E ascoltando si era sentita meglio, più adatta. Non si sa a cosa, forse a se stessa. Come leggere una pagina ben scritta. E le era venuto prima caldo e poi coraggio, o forse l’inverso. Andava il vino e lui parlava. Lei con la camicia aperta e i seni eretti ascoltava, commentava, annuiva. In una sera e un pezzo di notte avevano stabilito quasi tutto: modi e tempi, ruoli, limiti e permessi. E adesso andava a riscuotere, Laura, non impaurita ma eccitata, mentre saliva le scale di casa.
Bisogna rispettare i ruoli, s’erano detti, e ritagliare il tempo, perché col tempo i ruoli migliorano. E Laura si avvicina e si inginocchia a fianco della poltrona. Lui le porge il bicchiere che lei prende sollevando le mani. E beve avidamente e poi lo appoggia sul tavolino. Perché staranno dentro i limiti fissati, ma i limiti sono forti e ha bisogno di farsi coraggio. Lui prende una leggera striscia nera d istffa e le benda gli occhi.
Poi alza, fa qualche passo, apre un cassetto. Dentro ci sono delle piccole pinze molte forti, delle specie di morsetti in miniatura, che gli elettricisti chiamano “coccodrilli”. Ma questo Laura non può vederlo. Sente solo la sua voce che spiega: vorrei portarti a cena Laura, ma non voglio che si perda l’atmosfera. Così ti chiedo due cose, la prima: dovrai girare scalza, sei molto bella, farà scalpore. La seconda resterà invece nascosta tra di noi e sono questi morsetti da elettricista che ti metterò, due per ogni seno. Lasciano il segno ma scompare dopo qualche giorno.
Da lei solo una parola: sì.
Con una mano le slaccia un poco la giacca corta e prende con l’altra il seno, avvicina il “coccodrillo” e lo lascia andare. La pelle di Laura si piega e prende i segni seghettati del piccolo morsetto. Ma non si muove e anzi, forse, sporge un poco il busto di modo che a Lui sia più semplice afferrare l’altro seno e lasciare che un secondo “coccodrillo” morda quella carne. Laura sente male, forte ma, suppone, dovrebbe anestetizzarsi un poco, col tempo, durante la cena. Lui le chiede di alzarsi e prende tra le labbra i capezzoli, tirandoli un poco per accrescere il dolore – e il dolore cresce. Ma poi li lascia andare e di scatto richiude la cerniera della giacca, premendo seno e morsetti assieme. E Laura soffre, e per farsi forza raddrizza la schiena, come se volesse premersi lei contro la pelle spessa dell’indumento i suoi due seni con i morsetti piantati dentro.
Il ristorante è appena fuori dalla cerchia delle mura. I tavoli sono in ordine sparso tra gli alberi e la ghiaia. Attorno a uno defilato siedono vicini. Laura si è tolta le scarpe, secondo gli ordini ricevuti, e l’hanno guardata camminare perché e una ragazza orgogliosa e a vederla passare nessuno la manca. Dentro di lei il dolore al seno non è più così forte, anzi quasi non si sente, mai i seni sono diventati più sensibili e capezzoli eretti come in una parata impossibile sotto quella giacca. Quando si è trovata da sola nella toilette e ha provato ad accarezzarsi sopra la stoffa: era come le fosse sorto un altro organo di senso, più adatto al piacere, più adatto al dolore. Avrebbe voluto alzarsi la gonna e toccarsi il sesso umido, ma non c’era chiusura nell’ingresso e avrebbe potuto farlo solo guardandosi davanti allo specchio, non nascosta nelle stanzette interne con le tazze alla turca.
Mangiano poco – perché il cibo ottenebra – e bevono vino rosso. Discutono fitto a bassa voce e lui nemmeno la sfiora con la mano. Ma tra una frase e l’altra cadono pezzettini, scene immaginate, minacce accennate che fanno parte degli accordi. Un accordo perfetto e una fortissima tensione. Forse aspettativa, sicuramente erotica. Lui le chiede di andare al banco per due caffè e saldare il conto. Lei acconsente ma si fa consegnare la busta con dentro i “coccodrilli”. Poi sparisce dalla vista.
Ritorna dopo qualche minuto, seguita dal cameriere che porta i caffè e il foglietto rosa del conto. Come questi si allontana Laura prende la mano di Lui e la guida sotto il tavolo a sfiorare il pube. Tra i peli radi ai lati del monte di venere sono comparsi due morsetti a torturare la carne più delicata.
– Io il dolore lo posso tramutare come la pietra filosofale un sasso in oro. Ma deve essere dolore vero.
Come uno schiaffo. E non escono parole dalla bocca di lui. È iniziata la battaglia e Laura, meravigliosa e sfrontata, adesso ride.
Quasi si pente del suo azzardo. Ma adesso sono sulla strada di casa e Laura si chiede come mai. Ce l’hai con Lui? di già? Non è possibile. C’è della voluttà in quel supplizio ulteriore e gratuito che s’è inflitta da sola, ma non è solo quello del dolore, è anche una rivalsa, una sfida: io posso fare molto di più di quel che tu desideri. Sa di essere desiderata come, forse, non lo è mai stata. E sa anche che può portare il desiderio al parossismo, se riuscirà a sopportare tutto e immaginare sempre un poco di più. Lui in silenzio guida e la conduce a casa per strade che lei non conosce.
Una piccola parte di Laura vorrebbe prendergli in bocca il cazzo e succhiarlo fino a farlo venire, e finirla lì. Ma questo non lo farà mai, piuttosto si taglia la lingua.
Frena la macchina in una vietta e toglie Laura dal suo monologo interiore. Anche Lui ha capito: deve alzare la posta.
– Scendi dall’auto. – E come lei si china per rimettere le scarpe con una fitta di dolore al pube… – No, resta scalza così come sei.
Fino ad allora ascoltarlo era stata come leggere un racconto. Adesso il tono è cambiato, non seduce più la musica delle idee e della parole. Sono schiocchi di frusta, ordini secchi. A Laura non dispiace però, non si può tirare all’infinito un racconto, e certe emozioni esigono la frase secca, quasi senza parole, ad un solo millimetro dall’essere cosa, azione, ordine, fatto.
Scesa dall’auto rimane immobile. Lui richiude la porta e sposta la vettura di modo che i fari traccino un cerchio intorno al piccolo sterrato a fianco della strada. Poi scende anche Lui, senza spegnere il motore.
– Adesso spostati, vai lì. – E indica l’ipotetico centro della luce disegnata dai fari. Laura si muove e si piazza di tre quarti dove Lui le ha indicato.
– Alzati la gonna, perché voglio che ti infili due dita in culo mentre ti masturbi.
Laura non è preoccupata. Ha cercato di cambiare tono lui, ma non sa che cosa lo aspetta. Lentamente alza la gonna fino ai fianchi, ma slaccia anche la giacca e con una mano afferra i morsetti e li tira fino quasi a strapparseli. Vorrebbe urlare, ma invece sorride e sta in silenzio. Lascia andare di colpo i morsetti del seno destro e afferra quelli del sinistro, cominciando a torcerli. È quasi peggio di prima; al dolore costante s’era assuefatta, ma la molla dei “coccodrilli” è così salda che pur avendo compiuto un giro completo non mollano la carne, ma scivolano solo un poco graffiandola.
È troppo, Laura deve fare qualcosa ma non vuole che sembri una diminuzione della pena. Allora si gira, in modo da mostrare a Lui le natiche e, dopo averle spalancate, si infila due dita in bocca per renderle umide. Piega ancora un poco la schiena e sporge il sedere. Appoggia le dita al buchetto dell’anno e poi, con un colpo secco, le infila tutte e due.
È sicura che la scena abbia avuto effetto, perché lui la guarda senza parlare, adesso si tratta di non perdere il vantaggio. È rimasto sorpreso Lui, dalla sua sfrontatezza, ma non è il genere di persona che possa restare a lungo imbarazzato. Se Laura vuole vincere la sfida deve tenerlo continuamente sotto l’effetto di qualche sorpresa.
Intanto il dolore acuto che s’è provocata ai seni è diventato caldo, i capezzoli sono eretti come due spade e i suoi umori bagnano gli slip: Laura prova piacere. Le viene spontaneo di accarezzarsi le labbra del sesso con la mano e di iniziare con ritmo lento la piccola sodomia delle sue due dita.
A questo punto Lui si avvicina. Le sfiora i seni con estrema delicatezza quasi a voler lenire il dolore e la bacia teneramente. Laura subito leva le dita dal culo e cerca il suo cazzo sotto il rigonfio dei pantaloni. La stoffa è tesa, il membro eretto quasi del tutto. Ma Lui si allontana. È ancora presto. Che non si illuda.
Laura lo chiama, gli chiede di scoparla lì, subito. Si inginocchia e poi si sdraia per terra, tra la polvere. Si gira a faccia in basso, sollevando le natiche e: inculami! gli chiede – fammi quello che vuoi! Adesso scopre Laura che anche lui ha qualche freccia la suo arco. E allora Laura si mette a camminare a carponi, adagio; poi si abbassa, struscia i seni coi morsi dei “coccodrilli” per terra e lo stuzzica a fotterla sul serio. Poi si avvicina ancora un poco, quasi fino a toccarlo e, con la bocca aperta, passa la lingua sulle sue scarpe, molto lentamente. E continua come se dovesse leccare tutto il piazzale. Adesso non è più a carponi, è sdraiata, seminuda per terra, con la lingua in un delirio di umiliazione che cerca l’unica parte di Lui alla sua portata. E quelle scarpe si bagnano di saliva.
Poi si mette in ginocchio e cerca con la bocca il sesso nei pantaloni. Sta perdendo il controllo, deve fare qualcosa. La mano le scende al clitoride, si sta masturbando furiosamente. Ed ecco l’idea: nella giacca conserva ancora il sacchetto coi morsetti. Ne afferra alcuni, non sa quanti, e con entrambe le mani se li conficca sulla pelle del pube e nella carne appena sopra il sesso. Dopo averne messi non sa più quanti, forse tre, forse quattro, si avvicina tanto a lui da strusciare il ventre contro il fondo dei suoi pantaloni. Il dolore adesso è lancinante, ma lei continua a muoversi, a torturarsi da sola, mugolando solo un poco, E intanto è riuscita a slacciargli i pantaloni e a prendere in mano e in bocca il suo cazzo.
Lo succhia avidamente, come se potesse diminuire il dolore che sente dal pube inondarle il corpo. E forse davvero funziona così. A ripreso a masturbarsi, ma più adagio, seguendo le fitte del dolore provocato dallo spostamento dei morsetti conficcati nella carne del sesso contro i pantaloni di Lui. Che però dopo un momento si allontana, la guarda un istante e la aiuta a rialzarsi e abbassare la gonna.
– Non ancora – le dice.
La voce è bella, come sempre. Ma Laura, che sente ancora troppo male per parlare, è convinta che nonostante tutto questo confronto non sia stato a suo sfavore.
Sono tornati a casa adesso. A Laura sono stati tolti i morsetti. Premevano così forte che si erano attaccati alla pelle e hanno lasciato graffi, segni e tracce di trafitture. Ora non fa tanto male, ma là dove sono stati, per più di due ore, la sensibilità è esasperata, corretta in progressione geometrica: un soffio è un tocco, un tocco un urto, un urto uno schianto, un urlo.
Lui l’ha fatta sedere comoda, sul divano, con le belle gambe muscolose tirate su. E le ha servito del Porto, che è il suo liquore preferito. Non ha più i suoi vestiti addosso Laura, solo un paio di boxer azzurri da uomo e una maglietta bianca. Sono da poco passate le undici di sera.
La pausa dura quasi una mezz’ora, durante la quale Lui la guarda ammirato e le parla. Le spiega come, dove è perché è bella e, con voce appena un poco più bassa, che cosa le farà sopportare adesso. Viene bendata Laura e resterà così per tutta la sessione. Guidandola per una mano la conduce nella stanza da bagno. O almeno così sembra perché Laura sente le piastrelle fredde sotto i piedi nudi e l’acqua che corre da un docciatore.
Ma devono esserci anche dei ganci da qualche parte perché Laura viene legate con le spalle al muro, polsi e caviglie. Un poco troppo basse le caviglie, di modo che è costretta in una posizione leggermente arcuata in avanti, sporgendo il ventre.
Lui si avvicina e la bacia avidamente in bocca. Poi prova i legami, che sono saldi, e le torce un capezzolo, per cattiveria. Il dolore è secco e crudele, ma Laura per tutta risposta si sporge in avanti quanto può e gli infila la lingua in bocca.
– Io ti ringrazierò ogni volta che mi colpirai. Non credere di farmi gridare o supplicare pietà. – Dice e ride con gli occhi bendati e la bocca aperta.
– Lo so Laura – ma ci proverò lo stesso.
E appena terminata la frase un getto di acqua gelida investe il corpo di lei per qualche istante. Ansima Laura, le si è bloccato il fiato e, col freddo, rizzati i capezzoli che le dolgono. Non si sa come Lui abbassa ancora i ganci dove sono fissati i polsi. Adesso Laura è quasi in ginocchio, ma non può farlo perché resterebbe appesa.
Di nuovo arriva l’acqua gelida, questa volta un poco più a lungo. Laura rabbrividisce, ma non è così doloroso come temeva. Ancora due giri di una manovella che non vede ma sente, e si ritrova in ginocchio. La punta del cazzo di Lui vicino alle labbra. È calda, fa piacere, ma Laura e più orgogliosa e la sfiora appena con la lingua.
– Se il gioco adesso è fare in modo che tu desideri ardentemente prendermi in bocca il cazzo come si deve… va bene, farò in modo che sia tu a chiedermelo.
Non è che Laura avesse in mente proprio quello, però già che le cose si sono messe così, accetta volentieri. Lo farà morire, giura a se stessa.
Ma adesso due corde le stringono i fianchi, ancora umidi. E due morsetti tornano a chiudersi ferocemente sulla pelle scura attorno ai capezzoli. Laura lancia un piccolo grido, ma quando Lui avvicina di nuovo la punta del pene alle sue labbra, la sfiora appena.
Di nuovo acqua gelida sui seni e, dopo un attimo, altri due “coccodrilli” in pieno sui capezzoli eretti per il freddo. E sui coccodrilli qualcosa che brucia più forte ancora. È cera bollente che cade da una grossa candela accesa. E per concludere l’opera i quattro “coccodrilli” vengono legati l’un con l’altro e, insieme, a un filo che Lui annoda al piccolo anellino che fora il labbro inferiore di Laura.
Lei si lamenta piano, ha la testa confusa. Il dolore non cessa né cresce ma è costante di suoni sordi e acute punte difficili da sopportare. E questa volta quando sente il glande bussarle alle labbra Laura spalanca la bocca. Ma ha semplicemente voglia di scopare, non s’è mica arresa. E dopo averlo preso in bocca fino ai coglioni, per quanto può si ritira indietro e lo lascia solo. Nel farlo, la cordicella che lega i morsetti al piercing del suo labbro inferiore si tira e i seni vengono tirati anch’essi verso l’alto dai “coccodrilli”. Un altro piccolo grido. E Lui sorride.
Si avvicina, le accarezza il sesso umido di acqua e umori. Lei geme dell’una cosa e dell’altra. Le sue dita in bocca le lecca con cura e Lui, grato, inizia a sodomizzarla con quelle.
È piacevole e Laura scorderebbe quasi il dolore. Lei è così: se le si dà del dolore mischiato a del piacere, non riesce a tenerli distinti, e siccome è una donna davvero, opta per il piacere e anche il dolore più acuto diventa un godimento.
Continua a masturbarla davanti e dietro Lui. E Laura parlerebbe se non avesse paura di strapparsi di nuovo i morsetti al seno. Ma quando Lui estrae le dita dall’ano e l’incula con la candela, il grido arriva fortissimo. Per un attimo la fiammella le ha bruciato la pelle, e la sua testa e la sua bocca sono scattate in una contrazione involontaria che hanno provocato un dolore ai capezzoli ancora più forte. Uno dei “coccodrilli si è staccato, e un graffio rosso segna l’aureola destra di Laura. Ci vuole qualche secondo perché lei senta anche la grossa candela che le apre il culo, mentre Lui la stringe salda con del grosso nastro adesivo da pacchi, di modo che non possa uscire.
Laura ansima ad ogni ondata di dolore che la investe e cerca di tenere il capo china per non torturare ancora i suoi seni. Arriva un altro getto di acqua gelida, il suo corpo si contrae, ma trova un ostacolo nella posizione scomoda e nella candela che lo sodomizza. Una volta ancora il pene di Lui, eretto, gonfio, si avvicina alle sue labbra e si allontana subito. Perché? Laura è sorpresa. Una mano le toglie la corda dal piccolo anello del labbro. Ma un’altra attacca altri due morsetti ai capezzoli (che oramai di più non ne potrebbero sopportare) e più in basso, tra la carne del sesso altri due. Laura grida una terza volta. Ma Lui incurante annoda di nuovo la cordicella su tutti i “coccodrilli” e poi la salda al gancio dove sono ancora legati i polsi di Laura. Quindi allenta le corde alle caviglie e ai polsi e si arresta a trenta centimetri da lei con il cazzo teso fuori dai pantaloni. Adesso se Laura volesse interrompere la tortura dovrebbe avvicinarsi e, nel farlo, dare di corda ai morsetti che ha impiantati sulla carne.
Non riesce a stare immobile, trema per il dolore e per il freddo. È legata, nuda, sodomizzata e braccata da piccole molle d’acciaio che le straziano la carne. E allora esplode:
– Ho ancora la figa libera, non vedi? Che cazzo ti credi? -.
Lancia la sfida. Altro che umiliazione. È fatta di meraviglia Laura, e d’orgoglio. Di nuovo è Lui che non sa cosa fare. E allora si slaccia la cintura dai pantaloni, avvolge l’estremità con la fibbia intorno alla mano e annuncia.
– Adesso toglieremo i “coccodrilli”, e la colpisce in pieno seno. Laura grida e arriva un nuovo colpo e Laura urla di nuovo. I morsetti non si levano, ma ogni volta che l’improvvisata frusta li colpisce è come se se ne andassero con un pezzo della carne di Laura tra i denti. Dopo quattro o cinque frustate, ansimante, bagnata, Laura si fa forza e tira le corde che la legano per raggiungere il suo cazzo e prenderlo in bocca. I “coccodrilli” sul seno frustato la uccidono di dolore, ma lei non ci pensa e tira, tira. Finalmente raggiunge il cazzo e lo avvolge con la bocca, fino in fondo. E comincia a muoversi avanti e indietro. Ogni colpo di piacere per Lui è una fitta di dolore per lei. E piccoli lamenti le sfuggono a ogni pompata. Ma così potrebbe farlo venire e lei lo sa. Vorrebbe dire perdere la battaglia. Allora allontana la bocca dal glande e comincia a leccare e succhiare il pelo dell’uomo, i coglioni, lo scroto. Così è ancora maggiore le tensione sui morsetti e ogni volta che Laura allontana la bocca la si sente ansimare. Però in questo modo non si arrende. Ed è Lui che è costretto a dire: basta. E a slegare la sua compagna.
– Eccoci amore, questa volta però non sarai legata, ai colpi dovrai andare incontro volentieri.
Laura è sopra il letto. Non ho più la candela a sodomizzarla e tra le lenzuola il suo corpo si è asciugato. L’esperienza di poco prima l’ha stremata, però ora l’eccitazione è fortissima e lei vorrebbe finalmente una buona scopata. Ma nei patti era previsto che nessuno dei due sarebbe venuto fino a quando o l’uno o l’altro si fosse arreso: lei chiedendo di cessare la tortura, lui tirandosi indietro. Tutto pende a favore di Laura, per adesso. Ma il suo corpo è pieno di dolore e di piacere, una molla pronta a scattare e, da qualche parte dentro di lei, sente che piacere e dolore potrebbero farla esplodere.
Nemmeno Lui ne può più. È in erezione dall’inizio della serata e Laura lo ha avvinto con fili e corde di fascino e orgoglio che nessuno può sciogliere.
– Adesso mi devi frustare. – Non è un riassunto. L’hanno stabilito insieme, ma Laura è ben decisa a condurre quest’ultima parte del gioco e ad avare tutto quello che vuole: il dolore da tramutare in piacere e il piacere che la faccia godere.
– Lo farò, amore mio, lo farò. Alzati in piedi.
E Laura si alza, con le splendido corpo segnato dai colpi della cinghia e dai morsetti. La cera bollente che le era stata versata sui seni è quasi tutta scomparsa, strappata via dai colpi.
– Tieni le braccia appoggiate al davanzale. –
E Laura si appoggia, sporgendo le natiche verso di Lui. La finestra è aperta. Di fronte a sé Laura intravede altre ville, ma un poco in lontananza. Lui non impugna né frusta né frustini. Ma un rametto verde di betulla, lungo circa un metro e spesso mezzo centimetro. Per averlo già provato, sa che è quella la cosa più dolorosa che ci sia. E non ha molto tempo a disposizione se vuole vincere la sfida. Sente che in un attimo Laura con la bocca o tra le gambe potrebbe farlo venire e, prima che questo possa accadere, lei deve chiedere di fermare il gioco. Non sa Lui (ma come potrebbe? ) che anche Laura è sull’orlo di un orgasmo con il dolore dei “coccodrilli” che non lascia scemare l’onda e ce la tiene inchiodata.
Alza il braccio e colpisce forte le natiche. Una striscia rossa, come una ferrovia, si traccia sulla pelle. Nessun suono da Laura, che anzi sporge ancora un poco le natiche, per ricevere meglio i colpi. Lui la batte ancora, molto forte. La striscia di betulla sibila nell’aria e traccia altri due solchi. La pelle brucia. Ma Laura sposta le mani solo per scoprire il solco delle natiche e offrire l’ano, se possibile, alla frusta. Lui si sposta di lato, per mirare meglio. Il primo colpo va a vuoto (si fa per dire) ma il secondo tocca come una lingua l’orifizio anale. Laura ha un sobbalzo, ma lo sfotte: Così possiamo andare avanti per ore. Se questo è il massimo che sai fare, mi piglio in culo il cazzo di un cavalo e faccio prima.
Adesso è Lui ad ansimare. Prende ancora due “coccodrilli”, li lega insieme e appende un peso a entrambi. Poi si avvicina a Laura e non troppo dolcemente le apre le grandi labbra e, per ognuna un morsetto d’acciaio con il peso attaccato. Laura geme forte, ma lo sfotte ancora: Oramai non sento più nulla. E lui, accecato, la colpisce più volte sul culo. Poi, senza una parola la stacca dal davanzale e la piega per terra, tirandola per i capelli. Appena lei è sdraiata colpisce, in mezzo alle gambe, forte, cattivo, il sesso aperto di lei. Un urlo e Laura solleva il pube per essere colpita meglio e di nuovo. E la frusta di betulla arriva, e un urlo la segue. Una volta. Due volte. Lui si china a morderle i morsetti sul seno, quasi glieli strappa. Lei grida ancora. Non sa se è in un tormento o in estasi.
Lui avvicina la punta del cazzo alla sua bocca ancora una volta. Lei lo prende tutto, fin dove è possibile. Ma lo fa per piacere, non perché voglia che lui cessi di batterla. E infatti un attimo dopo si ritrae, si volta e spalanca le gambe.
Lui colpisce quasi con tutta la forza che ha, due volte, Laura straziata grida, ma alza il ventre prima e dopo ogni colpo e, ogni volta che Lui abbassa la mano, lei è bagnata fino alle cosce.
Ha ancora due “coccodrilli”, li pianta sulla pelle dell’ano, quasi dentro l’orifizio. Laura non riesce più a star ferma, sobbalza, geme, comanda; frasi oscene ordinano di fotterla, metterglielo in bocca, incularla. Alza le mani e apre le labbra della vagina: il colpo successivo arriva giusto tra di esse. Un urlo che dura un minuto, e Laura si contorce a terra.
Adesso Laura annaspa alla ricerca del suo cazzo. Un barlume di coscienza nel mare di dolore sa che può farlo venire in qualunque momento e salvarsi con una patta. Ma il re avversario non ha ancora ceduto. Il rametto elastico colpisce dove capita, ma adesso con il massimo della forza. Strisce rosse solcano il corpo di lei che si contorce dal dolore. Non è più in condizioni di alzarsi in piedi, geme e si muove strisciando. Giunge solo vicino ai piedi di Lui e li lecca furiosamente. Ma i colpi non cessano. Con sorpresa Laura scopre di non poter sopportare altro dolore e, contemporaneamente, di essere sull’orlo di un orgasmo.
Tra le grida di sofferenza chiede un altro morsetto, l’ultimo. Lui cessa un secondo di batterla e glielo porge. E lei spalanca la figa e trova senza difficoltà il clitoride eretto, che basta sfiorarlo per urlare e godere e, senza pensarci, pianta i denti del morso crudele del piccolo “coccodrillo” proprio sopra la più sensibile tra le carni.
Urla senza fiato. Il dolore è inimmaginabile. Potrebbero adesso tagliarle una mano e non se ne accorgerebbe. Lui ha smesso di batterla, non ce n’è più bisogno. Laura vorrebbe strapparsi la figa dal corpo per avere almeno un attimo di respiro. Invece geme, si contorce, ulula. Ma striscia verso di Lui che si inginocchia e le porge il glande, turgido, alla bocca.
È difficile anche solo prenderlo. Ricordarsi chi si è, dove, perché. Ma Laura lo afferra tra le labbra e, tra le scariche di dolore puro che la sommergono, inizia un pompino così lento da straziare. Ma Lui non ne può più. Volta quel corpo che si contorce nel dolore e la incula d’un solo colpo. E subito dopo, tra i sobbalzi di Laura che oramai non controlla più nulla, esce da lei e le riempie la bocca di sperma. Un attimo prima del diluvio, del vulcano. Laura gode di un orgasmo così pieno come non avrebbe potuto immaginare. E per un intero minuto tutto, tutto il dolore, tutte le umiliazioni diventano piacere da succhiare, ingordigia di sesso. E urla la sua soddisfazione.
Al termine sono vestiti. Lui la bacia ancora in bocca e lei sente: adesso è suo. Una canna brucia tra le mani di Laura e un uomo sconfitto ai suoi piedi, in estasi per la sua facoltà, unica, di mutare il dolore in piacere. E lui adesso ha imparato: a questo gioco Laura vince. Vince sempre. FINE