Mi chiamo Annette ed ho diciotto anni. Sono una ragazza carina, ma dal fisico molto minuto e fragile.
Mia madre, povera donna, ha sempre detto che è stata colpa della grande miseria che ha sempre regnato a casa mia e che non le ha mai consentito di mettere insieme un pranzo ed una cena veramente decenti. Io non ci ho mai creduto molto.
Questa è una mia caratteristica fisica e basta.
Di vero invece c’è che i pochi soldi che mio padre riusciva a portare in casa non mi hanno permesso di terminare le scuole ed adesso mi costringevano a cercarmi un lavoro.
Il fratello di mia madre, zio Ernesto, mi aveva indicato un indirizzo ed una persona a cui rivolgermi nel tentativo di trovare un qualche impiego.
L’indirizzo era di una via di Parigi e per me era la prima volta che abbandonavo il mio paesino per recarmi in città.
Mi sentii grande, responsabile, cosciente di dover pensare con serietà ad un mio prossimo ed indispensabile impegno nel mondo del lavoro e quindi mi sforzai di metter da parte i timori da bambina e salii sul treno che mi avrebbe portato nella capitale.
Adesso camminavo per una larga via di Parigi e per la verità mi sentivo molto smarrita.
Mi sembrava un mondo estremamente confusionario in cui mi sentivo terribilmente fuori posto.
Avevo l’impressione che tutti si accorgessero dei miei modi impacciati, del mio vestinino troppo semplice e povero.
Finalmente scorsi l’indirizzo che cercavo.
Era un negozio, una sartoria per l’esattezza.
Mi presi di coraggio e timidamente aprii la porta.
-Buon giorno… – dissi rivolta ad una ragazza seduta dietro un tavolo di lavoro.
– Desidera signorina ? – mi chiese distrattamente lei.
-Ecco, .. cercavo madame Pauline… – risposi impacciata.
-Si, aspetta. Adesso la chiamo. Tu chi sei ? – mi chiese la ragazza che, probabilmente, avendo capito che non ero una cliente, era passata a modi molto più sbrigativi.
-Sono Annette Rizzo, … mi manda il signor Ernesto per un lavoro.. – risposi.
-Beh, aspetta. – disse ed alzandosi, si recò verso il retrobottega.
Tornò dopo un paio di minuti insieme ad una donna di circa quarant’anni.
Spiegai il motivo della mia venuta a quella donna che mi guardava con una terribile aria di superiorità.
Mi faceva sentire piccola piccola.
-Senti piccolina, io qui non ho nulla da offrirti. – disse quando terminai di parlare.
-Oh madame, la prego, mi aiuti. Ho tanto bisogno di lavorare.. – la supplicai sentendo svanire improvvisamente la speranza che aveva animato il mio viaggio a Parigi.
-Ernesto ! Ernesto ! Mi manda questa ragazzetta come se io avessi in serbo un lavoro giusto per lei ! Che stronzo quell’uomo ! – sbottò rivolgendosi alla ragazza che le stava ancora a fianco.
Poi tornò a fissarmi e mi chiese:
-Vuoi fare la cameriera? La cameriera in un caffè intendo. Sei d’accordo ? –
-Si, .. si certamente. – risposi ed in effetti non avevo alcun pregiudizio sul tipo di lavoro che avrei potuto trovare.
-Bene, forse riesco a sistemarti al ristorante di Marcel. Sai trovare un indirizzo, vero ? – mi chiese. Poi ci ripensò e disse:
-No, lascia perdere. Ti porto io tra un’ora. –
Era una strada stretta e la signora faticò non poco a parcheggiare la sua Peugeot.
Durante il tragitto sembrò non curarsi affatto della mia presenza ed io me ne stetti buona buona a guardare le strade affollate.
-Scendi, che siamo arrivate. – disse.
Il ristorante era realizzato in un piccolo localino, ma aveva un’aspetto carino.
Entrammo e la signora si diresse subito verso una donna che stava in piedi vicino ad un tavolo dove era seduta una coppia.
-Salve Maria, dove posso trovare Marcel ? – le chiese.
-è di sopra in ufficio. Te lo chiamo ? – rispose lei.
-No, vado io, grazie. – disse.
La segui per una stretta rampa di scale e giungemmo in un piccola stanzetta che era occupata quasi per intero da una scrivania ricoperta di scartoffie.
-Oh, Marcel caro ! – esclamò la signora rivolto all’uomo grasso e pelato che stava dietro la scrivania.
-Ciao bella, qual buon vento ti porta ? – rispose sorridendo lui.
-Senti caro, ho da sistemare questo tesoruccio. – disse la signora indicando me e facendomi arrossire dalla testa ad i piedi.
-Vuoi che le trovi un marito ? – esclamò, ridendo fragorosamente, lui.
-Su, non fare lo stronzo. Prendila per la sala, … per servire ai tavoli. – disse la signora.
-Senti, .. non è certo un buon periodo per assumere la gente, dovresti saperlo, no ? – replicò lui.
-Marcel ! Fà lavorare un po’ meno tua moglie Maria ! Su, non essere il solito taccagno ! – lo rimbrottò la signora.
Intanto il signor Marcel si era alzato dalla sua poltroncina e si era avvicinato a me.
-Come ti chiami, quanti anni hai, da dove vieni, sei fidanzata, sposata, hai figli, hai davvero voglia di lavorare ? – mi chiese burbero.
Risposi docilmente, arrossendo ancora una volta, a tutte le domande del signor Marcel.
-Beh, lasciala qua. Adesso parlo con Maria. – disse rivolto alla signora.
-Marcel, hai un cuore d’oro … e non fare il solito vecchio porco. – disse sorridendo lei.
In un attimo mi ritrovai sola con il mio probabile datore di lavoro.
In fondo pensai, ero stata fortunata a trovare una possibilità come questa a così poche ore dal mio arrivo a Parigi.
Il signor Marcel si accese il mozzicone di sigaro che teneva tra le dita e poi mi disse di aspettare mentre lui andava a chiamare la moglie.
Sentii i passi e le voci sulla scala e subito dopo vidi la signora Maria entrare nell’angusto ufficio.
Subito dietro, c’era suo marito.
-Senti, … sarà come Helen, vero Marcel ? – chiese a suo marito dopo avermi fissata un po’.
-Si, … mi sembra che abbia tutte le caratteristiche, … si credo di si. – rispose lui.
-Oh Marcel ! è si o ti sembra di si ? – ribattè infastidita lei.
-Si, si, stai tranquilla. Sarà un’altra Helen, certo, certo, lo sarà. – la tranquillizzò lui.
Mi chiedevo chi fosse mai questa Helen alla quale avrei dovuto somigliare e credetti di capire che sicuramente si riferivano ad una precedente cameriera con la quale si erano trovati bene.
-è ora di chiusura Marcel. Portiamola a casa e le illustreremo il contratto di lavoro. – disse sorridendo lei.
-Si, vado giù a chiudere. Voi aspettatemi qua. – rispose lui.
Rimasi nella stanza con la signora Maria che iniziò anche lei a farmi un mare di domande: la mia età, il mio paese, i miei genitori, i parenti e così via.
Risposi educatamente a tutte le sue domande ed alla fine lei mi disse:
-Brava Annette. Sei una brava ragazza e sono sicura che andremo d’accordo. –
Ci volle una buona mezz’ora di auto per arrivare a casa del signor Marcel e della signora Maria.
Durante il tragitto gli chiesi se conoscessero una pensioncina dove poter prendere alloggio.
Mi risposero di non preoccuparmi per questo problema, che ci avrebbero pensato loro.
Ringraziai e fui contenta di trovarli così disponibili nei miei confronti.
La loro casa era al quinto piano di un antico edificio ed era grande a giudicare dal saloncino dell’ingresso.
-Vieni Annette, seguimi. – mi disse la signora e si incamminò per il lungo corridoio oltre la stanza d’ingresso.
Aprì una porta e mi fece entrare.
-Aspetta seduta in questa stanza. – disse e poi richiuse la porta.
La stanzetta era arredata con un lettino singolo, un comodino, un piccolo armadio a due ante con lo specchio, un tavolino e due sedie.
Alle pareti c’erano due piccoli quadri che raffiguravano dei paesaggi campestri.
Al soffitto un lampadario con tre luci.
Poi c’era una finestra che sporgeva su di un vasto cortile interno.
La signora Maria mi aveva detto di aspettare seduta, ma perchè seduta, boh?
Ubbidiente comunque, scostai una delle due sedie dal tavolino e mi sedetti.
Aspettai così una decina di minuti poi vidi aprire la porta ed entrare la signora seguita dal marito.
Mi sembrò rispettoso alzarmi e lo feci.
-Bene Annette, adesso devi ascoltarci con attenzione, intesi ? – esordì il signor Marcel.
-Si signore, lo farò. – risposi timidamente. Quindi lui continuò:
-Sappi che sei stata fortunata a trovare qualcuno disposto ad offrirti un lavoro. In giro c’è tantissima gente che farebbe di tutto per avere quest’opportunità, di conseguenza è nel tuo interesse comportarti come si deve altrimenti non esiteremo a cacciarti via.
Questa è una premessa che ti conviene tenere sempre a mente.
-Certamente, signor Marcel, la terrò a mente. – risposi.
-Abbiamo bisogno di una ragazza disposta a lavorare sodo, ma che principalmente sia ubbidiente.
Non vogliamo sentire neppure un solo “no” quando ti ordineremo di far qualcosa.
Ti dico già da adesso che questa ubbidienza ai tuoi padroni, questa ubbidienza così come la vogliamo noi, non sarà una cosa facile da mantenere.
Tu adesso non te ne rendi conto, ma l’unica cosa che adesso potrai decidere è se darci la possibilità di farti rispettare l’impegno preso.
Se adesso accetti queste condizioni e firmerai il contratto ci penseremo noi a far in modo che tu sia sempre una ragazza come vogliamo noi.
Se invece pensi di non autorizzarci a farti rigare dritto e non ci autorizzerai a farti cambiare idea appena le cose ti sembreranno tali da pensare di mollare tutto ed andare via, beh, se pensi questo, quella è la porta. – esclamò deciso il signor Marcel.
Ero confusa, non mi aspettavo tutta questa severità, però in fondo non stavano chiedendo nulla di eccezionale, volevano solo una dipendente che non gli creasse dei problemi, .. credevo che qualsiasi datore di lavoro avrebbe preteso questo.
-Io, .. io sarò una brava cameriera signor Marcel. Non ci penso nemmeno a crearle dei problemi. Sarò brava, lo giuro. -dissi cercando di essere più convincente possibile.
-Annette, sai che Marcel oppure io ti potremo dare delle punizioni severe se non ti comporti bene ? – mi chiese la signora e senza aspettare la mia risposta continuò:
-Adesso puoi dire di no. Dillo, prendi le tue cose, va via ed amici come prima. Se invece accetti il lavoro non avrai più questa possibilità, questo sia chiaro ! –
Sapevo che mondo del lavoro esistevano anche di queste cose.
Ricordo quando al paese, la figlia della nostra vicina di casa che lavorava nella bottega della sarta, ritornò dal lavoro piangendo perché la padrona l’aveva picchiata con la cintura dei calzoni del marito.
E quando la stessa sera le sue grida giunsero fin dentro casa mia perché suo padre le diede il resto per il fatto di aver rischiato di perdere il prezioso lavoro!
Ma accidenti, io non pensavo di giungere a tanto !
-Si signora, io sarò ubbidiente, giuro. – dissi.
-Bene, metti una firma su questo foglio, in basso. – disse il signor Marcel porgendomi un foglio bianco ed una penna.
-Ma .. è bianco, … non c’è scritto nulla.. -osservai.
-Firma, lo scriveremo con comodo. – disse la signora.
Presi il foglio e la penna e firmai.
-Brava. Adesso vogliamo vedere se sei una ragazza che cura la sua pulizia. Ci teniamo tantissimo alla pulizia personale delle persone che lavorano al ristorante. – disse la signora.
-Oh, certo signora, io curo molto la mia igiene.. – risposi.
-Questo lo vedremo, spogliati ! – ordinò severa.
-Ma signora, … c’è il signor Marcel, … mi vergogno… –
-Lui è il tuo padrone e ti può vedere nuda come e quando gli pare. Spogliati e svelta ! –
Mi sembrava assurdo che dovessero verificare la mia pulizia!
Ecco, che ci tenessero questo mi sembrava giusto, … però che mi facessero spogliare… !
-Senti piccola, questo è il tuo contratto. Ti offro l’ultima possibilità: se vuoi lo strappo e te ne vai. – disse arrabbiato il signor Marcel sventolando il foglio che avevo appena firmato.
-Ah, naturalmente se adesso vai via, ci terremo quei pochi soldi che avrai con te come risarcimento per il tempo che ci hai fatto perdere e così, … questa notte, … potrai benissimo dormire per strada, tra ubriachi e delinquenti. – disse sorridendo la signora Maria.
Mi sentii con le spalle al muro. Che schifo doversi sottomettere a queste umiliazioni !
-Lo strappo ? – domandò nuovamente il signor Marcel mostrandomi minaccioso il foglio che teneva tra le mani.
-No, .. no non lo strappi. – risposi sconfitta.
Sfibbiai i bottoncini del mio vestino e lo feci scivolare giù.
Diventai rossa come un peperone quando vidi i loro occhi su di me.
-Svelta, non abbiamo tempo da perdere. – mi incitò lei.
Sganciai il reggiseno, esitai un attimo e lo tolsi.
Mi sentivo morire dalla vergogna.
Era la prima volta che degli estranei e per di più anche un uomo, guardavano il mio seno nudo.
Istintivamente incrociai le braccia sul petto.
-Le mutande. – disse il signor Marcel.
Chiusi gli occhi. Che vergogna !
Abbassai le braccia e lentamente feci scendere le mutandine di cotone.
Ero ferma, dinanzi a loro, con le mutandine abbassate fino al ginocchio e tremavo per l’emozione.
Mi vennero vicino e mentre il signor Marcel si appoggiò al bordo del tavolino, sua moglie iniziò a controllare i miei capelli.
Poi mi guardò dentro le orecchie.
-Alza le braccia. – mi ordinò.
Mi annusò tra la peluria delle ascelle e disse:
-Questo puzzo di sudore non voglio mai più sentirlo. –
Non risposi, avevo le lacrime agli occhi.
Mi sentivo una bestia alla fiera.
Sobbalzai quando mi prese un seno e lo alzò per controllare sotto.
Poi scese ed infilò un dito nell’ombelico.
-Girati ed appoggia la pancia sul tavolo. – disse.
Non mi lasciò neppure il tempo di aprir bocca per protestare che mi mollò uno schiaffo.
-Girati ed appoggia la pancia sul tavolo ! Non avresti dovuto esser ubbidiente tu? – chiese adirata.
-Si, .. si – risposi e feci come mi aveva chiesto.
Così facendo mi ritrovai a fianco del signor Marcel che stava ancora appoggiato al bordo del tavolo e subito sentii la sua mano posarsi pesante sulla mia schiena.
Sobbalzai quando sentii le mani della moglie che mi allargavano le natiche.
Il signor Marcel mi tenne ferma con la sua mano posata sulla mia schiena.
Lei intanto mi stava controllando anche lì, … era orrendo.
Mi annusò e disse:
-Qui, d’ora in avanti voglio sentire solo profumo. Intesi? – e rimarcò la domanda con una leggera sculacciata.
-Girati di schiena. – ordinò.
Il signor Marcel tolse la mano dalla mia schiena per consentirmi di cambiar posizione ed io, faticosamente mi girai lasciando le gambe unite e penzoloni giù dal tavolo.
-Appoggiai i piedi sul tavolo, svelta. – disse lui.
Alzai le gambe e tenendole sempre ben chiuse, posai i talloni sul bordo del tavolino.
Maria mi prese le ginocchia e le divaricò.
-Aprile e stà buona e ferma. – disse. Poi mi chiese:
-Sei vergine ? –
Oramai non trattenevo più le lacrime. Era troppo !
-Ehi, mia moglie ti ha fatto una domanda ! – esclamò Marcel.
-Si, … lo sono… – risposi singhiozzando.
Sentii le dita della donna aprirmi le labbra del sesso, frugarci dentro. Scoppiai in un pianto violento.
-Stà buona che ho quasi finito.. – disse lei.
E così continuò quel vergognoso controllo fin tra le dita dei piedi.
-Scendi e vai subito di là, in bagno, a far la doccia ! E ritorna pulita come ti voglio io ! Corri ! – ordinò la signora Maria.
Scesi dal tavolo ed incrociando nuovamente le braccia al petto, corsi piangendo verso la porta.
-La prima porta a destra. – disse lei alle mie spalle.
Trascorsero una decina di giorni da quell’odioso controllo corporale al quale mi avevano costretta ed io iniziai il mio lavoro al ristorante.
Mi resi subito conto che non si sarebbe trattato di una passeggiata.
Arrivavo a sera distrutta per il lavoro ai tavoli, per quello in cucina e per le pulizie che mi toccava fare dopo l’orario di chiusura.
A casa mi chiedevano di riordinare la loro camera da letto, la cucina e le stanze da bagno. Inoltre era mio il compito di preparare la colazione al mattino ed il venerdì, giorno di riposo al ristorante, di servirla anche a letto.
Per paura di ciò che mi era accaduto il primo giorno, facevo la doccia ogni giorno pensando in maniera quasi ossessiva alla mia pulizia.
La sera, a letto, avevo appena il tempo di posare la testa sul cuscino, che crollavo in un sonno profondo.
-Signor Marcel, … scusi.. – chiesi timidamente mentre aspettavo che mi porgesse un piatto con una bistecca e contorno di fagiolini da portare al tavolo.
-Cosa ? – rispose distratto lui.
-Ecco, … volevo chiederle se il prossimo venerdì posso restare libera, .. uscire un po’, anche per telefonare ai miei.
Poi sono stanca, … molto stanca.. ed avrei bisogno di un po’ di riposo… –
-Sei stanca ? – domandò lui.
-Si, … sono sfinita.. – risposi impaurita dal suo tono.
-D’accordo, venerdì non lavorerai. – disse consegnandomi il piatto da portare al tavolo.
-Oh, grazie signor Marcel, … grazie. – risposi felice.
Proprio non mi aspettavo tanta comprensione e pian piano, cominciai a riconsiderare l’idea che mi ero fatta dei miei padroni.
Forse, pensai, quello che mi hanno fatto il primo giorno, è una cosa normale, una cosa che vien fatta a tutte le ragazze. Boh, comunque forse non erano proprio così cattivi.
Che bello, dopodomani sarebbe stato venerdì e già avevo in mente di andare in giro per le strade di Parigi a rilassarmi un po’.
-Stupida ! Corri a prendere uno smacchiatore ! – mi gridò la signora Maria.
Distratta dai miei pensieri per l’imminente giornata libera, avevo sporcato la giacca ad un cliente versandoci sopra un po’ di minestra.
Feci subito come mi fu ordinato mentre sentivo la signora Maria scusarsi con il cliente.
Smacchiammo la giacca al malcapitato ed io tornai a trotterellare per i tavoli fino ad ora di chiusura.
Quando il signor Marcel chiuse la porta d’ingresso io mi avviai come al solito, per rimettere in ordine i tavoli.
-Marcel, porta la ragazzina. –
Era la voce della signora che proveniva dalla cucina.
Ebbi paura. Sentivo che i guai per quell’incidente accadutomi con il cliente non erano ancora veramente iniziati !
Accidenti lo sentivo !
Accidenti, accidenti a me ed alla mia sbadataggine !
-Annette, vieni con me. – disse lui passandomi accanto e dirigendosi verso la cucina.
-Si, signor Marcel.. – risposi e lo seguii.
Lei raccontò tutto l’accaduto al marito e poi disse:
-Marcel, … puniamola, … se lo merita. –
C’era uno strano tremore nella sua voce, era come emozionata…
-Oh, signora, chiedo perdono, .. non accadrà più… – balbettai impaurita.
-Marcel, ti prego, … voglio sentirla mentre la punisci… – disse ancora lei.
Accadde tutto in un attimo.
Mi sentii prendere per un braccio dal signor Marcel e venni spinta verso lo stipite della porta.
La sua mano mi bloccò spingendomi sulle spalle e lo spigolo del legno mi fece male premendo sul mio petto.
Rapidissimo mi prese il bordo del vestitino e lo alzò scoprendo gli slip, quindi artigliò anche quelli e li tirò verso il basso denunandomi il sedere.
-No, vi prego, … vi prego, .. no.. – implorai con le lacrime agli occhi.
-Zitta Annette, che se stai buona facciamo presto. – disse lui.
Mi colpì violentemente sulle natiche nude con un cucchiaio di legno.
Gridai e lui tornò a colpirmi ancora.
Ogni colpo bruciava da morire, lo sentivo come se mi strappasse la carne, era atroce…
-Ancora Marcel, … voglio vederle il culo rosso ! – lo incitò lei.
Lui continuò con metodo. Io cercavo di muovermi, ma la sua mano mi bloccava contro quel maledetto spigolo. Intanto continuava ad infierire con quel cucchiaio sulle mie tenere carni.
Piansi tutte le lacrime che avevo, il dolore mi faceva impazzire!
Ad un tratto smise e mi lasciò.
Il vestito ricadde e lui mi ordinò di alzarlo.
-Stai ferma così e non ti girare ! – mi disse.
Mi vergognavo da morire a stare in quella posizione così umiliante.
Pensavo di avere il sedere tutto segnato dai colpi ricevuti, me lo sentivo in fiamme ed ero pure costretta a mostrarlo !
-Questa punizione la meritavi. Per il futuro imparerai a combinare meno guai. – disse la signora Maria che stava alle mie spalle.
-Ringrazia e poi ritorna al lavoro. – continuò lei.
Dovevo pure ringraziare per essere stata battuta come una schiava!
Che schifo, mi faceva proprio schifo dovermi sottomettere così per il maledetto bisogno di lavorare!
-Grazie, … – dissi con un filo di voce.
-Devi dire “grazie mia padrona per avermi dato la punizione che meritavo” ! – mi rimproverò lei e poi, avvicinandosi, mi diede un gran sculaccione.
Sentii un fortissimo bruciore per quella sculacciata ricevuta sulle carni già tormentate e mi affrettai, terrorizzata all’idea che mi colpisse ancora, a ringraziarla nella maniera che mi aveva chiesto.
Quella notte tardai a prendere sonno. Il sedere mi bruciava da morire e fui costretta a star a pancia in giù.
Pensavo e ripensavo alla maniera in cui ero stata trattata e piangevo per la vergogna e la rabbia. Poi, la stanchezza ebbe il sopravvento e dormii.
Il trillo della sveglia mi destò bruscamente.
Era venerdì mattina e per fortuna i miei padroni non avevano fatto cenno all’eventualità di non concedermi più la giornata libera.
Del guaio accaduto due giorni prima portavo solo i segni, ancora dolorosi, sul mio sedere.
Per il resto sembrava tutto dimenticato.
Avevo pensato di preparare comunque la colazione, servirla a letto e quindi congedarmi.
Filai di corsa in bagno, feci pipì e quindi la doccia. Ancora in accappatoio mi recai in cucina a preparare il caffè.
Presi il solito vassoio, sistemai qualche biscotto e due tovagliolini di carta.
Versai il caffè nelle tazzine, misi una zuccheriera sul vassoio e preso il tutto mi avviai verso la camera da letto dei signori.
-Avanti. – rispose la signora Maria al mio bussare.
Aprii la porta ed entrai.
-Buon giorno, signora.
Buon giorno signor Marcel. – dissi.
Erano entrambi svegli, lei si era tirata a sedere sul letto, lui era ancora disteso.
-Posa il vassoio ed apri la finestra. – ordinò la signora.
Istintivamente aggiustai l’accappatoio ed aprii la finestra per come mi era stato ordinato.
La luce del sole inondò la stanza.
Poi, facendomi coraggio, chiesi:
-Signor Marcel, … oggi è venerdì. Posso andare? Avete ancora bisogno di me ? –
-Ah, la giornata libera… – esclamò lui.
-Marcel ! è ora che la ragazzina inizi a trascorrere i venerdì come li trascorreva Helen.
Mi avevi promesso… – disse la signora Maria.
Non capivo.
-Oh, si, certo. – rispose lui mentre sorseggiava il suo caffè.
-Marcel, .. iniziamo adesso ? – chiese lei.
Continuavo a non capire il significato di ciò che la signora chiedeva a suo marito, però sentivo un certo senso di disagio perché capivo che ero io l’oggetto del loro discorso
Ma come trascorreva questa Helen i venerdì?
-Annette, prendi il vassoio e riponilo sul mobile. – disse lui.
Ubbidii.
Poi si ricordò che gli avevo detto che avrei voluto telefonare ai miei e mi invitò a farlo dal loro telefono.
In fondo mi sembrò gentile e mi faceva piacere poter risparmiare i soldi dell’interurbana.
-Grazie signor Marcel, vado a telefonare dall’altra stanza.. – dissi.
-No, no. Telefona da quest’apparecchio. Quello non funziona bene. -rispose lui indicandomi il telefono sul comodino.
Feci la telefonata, rassicurai mia madre e mi affrettai a chiudere.
Non volevo approfittare più di tanto e poi, c’erano loro due che mi guardavano ed ascoltavano e questo mi dava fastidio.
-Grazie ancora signor Marcel. Cosa devo fare adesso? Adesso posso uscire ? –
-No, ti è vietato! – rispose lui.
-Ma, … mi aveva promesso… – replicai sconfortata.
-Stai zitta, cretinetta. – disse lui ed afferrata la cintura del mio accappatoio mi tirò violentemente sul letto.
Caddi tra loro due e fui subito afferrata saldamente dalle loro mani.
Ero sorpresa, spaventata anche perchè avevo già capito le sue intenzioni.
-Per favore, … questo no ! Per favore signor Marcel, … per favore.. – supplicai cercando di divincolarmi.
Adesso … mi violenta, .. adesso questo abusa di me, … mi costringerà con la forza, pensai angosciata.
-Senti piccolina, nel contratto non erano previsti tutti questi “no”, ricordi ? – disse la signora Maria prendendomi la faccia e girandola a forza verso la sua.
-Signora, … la supplico, .. sono vergine… – implorai piangendo.
-Oh, Marcel sarà bravissimo a toglierti quest’impiccio, vedrai. – rispose ridendo lei.
Sentii che mi aprivano l’accappatoio.
Dopo la doccia non avevo avuto cura di indossare neppure le mutandine e ci volle proprio un attimo affinché rimanessi nuda.
Le loro mani mi tenevano ferma, mi stringevano e mi incollavano al letto.
In un attimo mi sfilarono completamente l’accappatoio.
Fui completamente nuda.
-Marcel, .. è troppo agitata, .. falla star ferma. -disse lei.
Si, ero agitata, agitatissima!
Stavano per abusare di me !
Accidenti, ma dove era scritto che avrebbero potuto permettersi anche questo !
Mi trattavano come la peggiore delle serve, mi avevano anche umiliato, battuta come una schiava ed adesso si volevano divertire anche così !
-No, la voglio così, … come una puledrina selvaggia, nervosa. – rispose lui venendomi ancor di più sopra.
-Vi prego, … vi pregooo ! – gridai, ma era inutile, … non mi ascoltavano.
Lei mi prese per i polsi e mi alzò le braccia sopra la testa, lui mi strinse il seno e si ci avventò con la sua bocca succhiando voracemente prima l’uno e poi l’altro capezzolo.
-Scalpita, .. scalpita puledrina che ti domo io.. – disse il signor Marcel allontanando per un attimo la bocca dal mio seno.
Poi si ci rituffò sopra e prese a mordermi. Mi faceva male…
Ad un tratto sentii la sua mano insinuarsi a forza tra le mie gambe serrate.
Le strinsi ancor di più, ma lui fece più forza e si fece strada lo stesso.
Sentii le sue dita toccare il mio sesso, provai a tirare indietro il bacino per sottrarmi alla sua mano, ma non ci riuscii.
-Apri queste gambette, piccola Annette.. – disse lui mordendo ancor più forte il mio capezzolo.
Dovetti farlo, .. il dolore per il morso mi fece sobbalzare violentemente e lui approfittò di quell’istante per guadagnare la strada verso la mia vagina.
Sentii disperata, la sua mano aperta tra le mie gambe assaporarsi il contatto con la con la mia più segreta intimità.
-Marcel, la tengo io, … prendila… – disse la moglie che continuava a tenermi bloccate le braccia.
Le dita dell’uomo si mossero e cercarono la via tra le labbra del mio sesso, le sentii inesorabilmente entrare e provai dolore.
Mi sentivo oltraggiata, profanata.
Non avevano diritto di farmi questo, no, no…
Orribilmente mi accorsi che quel maneggiamento nella mia parte più intima e la bocca del signor Marcel sul mio seno, mi stava eccitando.
Sentivo i capezzoli diventar duri per via dei suoi morsi e dei suoi baci lascivi.
Sentivo inumidirsi il mio sesso e le sue dita bagnate con le mie involontarie secrezioni.
Non volevo che accadesse questo!
Se ne sarebbe accorto e mi avrebbero preso in giro dicendo che la cosa stava piacendo anche a me !
Ad un tratto le sue mani presero le mie gambe e nonostante la mia resistenza, le allargarono.
Sapevo che non era colpa mia se mi accadeva questo, .. io non volevo, .. io stavo per essere violentata e .. non avrei voluto !!!
-Buona puledrina, lo sai già cosa ti aspetta e non puoi farci niente. Il bello è proprio questo sai ? – disse ridendo lui mentre si sistemava tra le mie gambe aperte.
Intravidi il suo sesso che gli penzolava tra le gambe.
Mi sembrò enorme, era grosso e tremavo all’idea che lo avrebbe introdotto nella mia piccola vagina.
Lo sentii contro la mia coscia, era duro e caldo.
Mi avrebbe ammazzato !
Se lo prese con una mano e lo guidò verso di me, verso la mia verginità da violare.
Sentii la punta del suo pene toccarmi le labbra e chiusi gli occhi aspettando il dolore della penetrazione.
-Apri gli occhi Annette. Voglio vedere i tuoi occhi mentre entro dentro il tuo corpicino. – mi ordinò.
Li aprii, ma appena sentii dischiudermi le labbra dal suo coso che premeva, li richiusi immediatamente.
-Apri gli occhi, stupida ragazzetta ! – gridò mollandomi un ceffone che mi fece girare di scatto la testa.
Restai incapace di muovermi, con le guancia in fiamme e lui tornò a schiaffeggiarmi di nuovo, più volte.
-Ti ho ordinato di tenere gli occhi ben aperti ! – continuò a dire lui.
Con le lacrime che mi solcavano abbondanti il viso, feci come mi aveva ordinato e lo guardai.
Sorrideva, si compiaceva della paura che mi provocava. Cattivo, cattivo… !
Lo vidi riportare la mano tra le gambe ed impugnare nuovamente il suo arnese, lo strusciò sul mio sesso, aprì le labbra e lo sentii venire avanti.
Provai per la prima volta la sensazione di essere dilatata.
Sentivo che quel coso aveva bisogno di spazio e premendo se lo stava creando.
Mi fece male.
Mi sentii inesorabilmente divaricata da quella punta così calda, rovente.
Strinsi i pugni, lo sentii entrare.
Lo sentii dentro. Inutilmente provai a chiudere le gambe, a muovere il bacino per sfuggirgli, ma fu inutile.
Lui era più forte e continuava a penetrarmi.
-Oh, Marcel, … quanto è bello vederti.. – disse la signora.
-Guardami, Annette. Guardami … – ordinò il signor Marcel mentre tolta la mano dal suo coso la passò sotto il mio sedere.
-Ahhiiiii. Nooooo !!! – gridai. Il suo affondo violento sembrò uccidermi.
Lo sentii penetrare in profondità ed il dolore mi prese alla sprovvista.
Mi sentivo stranamente riempita, una sensazione sconosciuta, violenta.
Mi aveva sverginata brutalmente, senza alcun riguardo.
Mi faceva molto male quel coso piantato in profondità dentro di me, avrei voluto liberarmene, ma ogni movimento che facevo, oltre che inutile, non faceva altro che aumentare il supplizio.
-Adesso scalpita puledrina, che Marcel ti ha rotto la passera! – rise lui ed iniziò a muoversi dentro di me.
Lo usciva un po’ e poi si rituffava dentro fino in fondo.
Lo faceva sempre più velocemente, mi toglieva il respiro.
Le sue mani mi palpavano il sedere, le cosce, salivano per i fianchi, mi strizzavano il seno. Sentivo un rumore che mi sembrava terribilmente osceno quando il suo sesso mi penetrava a fondo.
Sentivo anche il rumore del suo corpo che urtava il mio, .. non potevo crederci, … mi stava violentando, … mi vergognavo da morire a dover subire tutto questo.
-Prendilo tutto, Annette. Adesso sei mia, … mia e di Maria.. – disse eccitato lui.
Continuò con quel ritmo,
“mi stava fottendo, mi stava sbattendo” diceva. Il suo corpo possente sopra quello mio, così fragile, sembrava non voler mai smettere di tormentarmi.
Sentivo tanto male, ma ancor più brutta era la sensazione che provavo a dover sottomettermi alla sua prepotenza.
Ad un tratto accelerò i movimenti, la sua penetrazione dentro di me mi sembrò ancora più profonda.
Mi prese le gambe e me le portò in alto, in una posizione orribilmente oscena.
Ad un tratto mi spruzzò il suo seme caldo.
Sentii i suoi spruzzi dentro di me, mi sentii tutta piena di quella sostanza schifosa che avevo visto soltanto nei giochi con i ragazzini.
Il suo pene rimase dentro la mia vagina ricolma di sperma.
Lui era fermo ed aveva lasciato ricadere le mie gambe sul letto.
Piangevo sommessamente.
Anche la signora Maria lasciò libere le mie mani.
Forse aveva capito che ero incapace di muovermi, distrutta, fisicamente e psicologicamente.
-Ti ho fottuta puledrina.
Ti ho sverginata, .. aperta. – disse il signor Marcel evidentemente stanco.
Poi si tirò indietro e sfilò il suo arnese dal mio sesso dolorante.
-Forse avrai capito che sei interamente nostra, vero Annette ? – mi chiese la signora avvicinandosi a me.
Non volevo rispondere.
Rimasi ferma, distesa tutta nuda sul quel letto a sentire come intontita, la schifosa sensazione dello sperma che scivolava fuori dalla mia vagina.
Non le risposi e lei mi fece gridare di dolore strizzandomi in maniera brutale un capezzolo.
Poi mi ripetè la domanda.
-No, non voglio, lasciatemi… – risposi.
-Marcel, prendi la cintura dei tuoi calzoni, ti prego. – disse lei.
-No, basta ! Vi prego basta, .. basta.. – gridai impaurita.
-Marcel, prendila. – ripetè lei.
Lei mi girò a pancia in giù e mi tenne ferma per i fianchi.
Suo marito fece cadere il primo colpo sul mio culo, poi gli altri, sulle cosce, sulla schiena, sulle spalle, di nuovo sul sedere.
Gridavo di dolore e di rabbia e lui colpiva sempre di più, ferocemente, senza pietà.
Continuò non so per quanto tempo.
Il sedere, mi bruciava ancor più dell’altra volta, quando al ristorante, mi avevano battuta con quel cucchiaio di legno, mi sembrava d’impazzire dal dolore.
Quando smise, mi venne sopra.
Il contatto con il suo corpo fu atroce perché dovevo esser ridotta a sangue.
Costretta ancora a pancia in giù, lo sentii allargarmi prepotentemente le cosce, il suo coso duro, cercò la mia apertura e mi penetrò in un sol colpo.
Iniziò a stantuffarmi violentemente.
Dovetti subire anche quest’altra violenza ed ancora una volta scaricò il suo sperma abbondante dentro di me.
Mi lasciò in quella posizione e si alzò.
Fu ancora una volta la moglie a parlare:
-Annette, adesso hai capito ?
La cintura è ancora a portata di mano, sai ? –
-Si, … ho capito… – risposi piangendo disperata.
-Vieni con me in bagno, svelta, ubbidisci. – ordinò lei.
La signora Maria stette a guardarmi mentre mi lavavo, poi mi ricondusse in camera da letto.
Mi riportò nuovamente sul letto, dove c’era il signor Marcel ad aspettarmi sorridente.
Cercai di evitare il suo sguardo, ma lui mi prese il viso e mi baciò.
Sentii la sua lingua roteare dentro la mia bocca e cercare la mia e poi le sue mani stringermi le braccia e tirarmi su di se.
Continuò a baciarmi ed io mi ritrovai a cavalcioni sul suo corpo, costretta in quella posizione che permetteva alla moglie di vedere il mio sedere ben esposto.
-Annette, dovrai trascorrere tanto tempo su questo letto, ti conviene far la brava bambina e non far capricci. – disse lei accarezzandomi le natiche.
Improvvisamente iniziò a sculacciarmi.
Il signor Marcel mi teneva e lei mi schiaffeggiava le natiche.
-Nooo, … che ho fatto ? Perchè ? -chiesi disperata per il dolore che mi procuravano quelle sculacciate sulla pelle già precedentemente martoriata dalla cintura.
-Non ti dobbiamo alcuna spiegazione puttanella.
Sei di nostra proprietà e facciamo di te quello che ci pare, intesi ? –
rispose cattiva lei.
Le sculacciate sembravano non dovessero aver mai fine, mi sentivo mancare.
Quando terminarono, venni girata, mi aprirono ancora una volta le gambe e mi ritrovai a dover subire un’altro rapporto interminabile con il signor Marcel.
Quella mattinata trascorse tra ingiustificate punizioni ed insopportabili rapporti sessuali con il signor Marcel.
Sembrava non esaurirsi mai quell’uomo.
Ogni volta che mi picchiavano e mi sentiva gridare per la sofferenza, ritrovava un inaspettato vigore.
Erano pazzi quei due, mi facevano le cose più assurde, mi strizzavano i capezzoli fin a sentirmi urlare disperata, mi strizzavano la carne nei punti più delicati del mio corpo, mi sculacciavano con sempre maggiore violenza, mi tiravano per i capelli per costringermi nelle posizioni più abiette, mi schiaffeggiavano quando non ubbidivo prontamente ai loro ordini.
Chiesi, … implorai pietà, .. dissi che non resistevo più, .. che mi sentivo morire.
Avevo anche un male da impazzire dentro, … per via delle ripetute e impietose penetrazioni, ma non c’era verso di farli ragionare !
Mi prese nelle più svariate posizioni, mi fece mettere carponi e lui dietro, poi a cavalcioni sul suo corpo e quindi sul bordo del letto con le gambe completamente ripiegate verso l’alto.
Ero distesa a pancia in giù sul letto, avevo da poco subito l’ennesimo assalto del signor Marcel ed ero sfinita e dolorante.
-Ehi piccola, ma ti rendi conto di quanto dovresti essere riconoscente a Marcel per quello che ti ha dato ?
Sono delle ore che ti scopa ed una donna dovrebbe sentirsi lusingata di tanta attenzione.
Non credi che dovresti dimostrargli un po’ di gratitudine invece che metterti lì con le cosce aperte e far fare tutto a lui ? – chiese la signora Maria posando la sua mano sul mio culo in fiamme.
Sobbalzai di dolore anche a quel tocco leggero.
-Ti brucia il sederino, vero piccola ? – chiese divertita lei.
Mi bruciava eccome !
-Adesso puoi scegliere tra un’altra razione di sane sculacciate oppure se vuoi evitarle, alza il tuo bel faccino dal letto e inizia a baciare, leccare e succhiare l’uccello a mio marito.
E bada di metterci il cuore, non ammetto che le cose si facciano in maniera superficiale. –
Non seppi rispondere, non seppi dire nulla per rispondere a quella lurida oscenità.
Scoppiai in un pianto dirotto, ero scossa da violenti singhiozzi che non riuscivo a controllare.
-Marcel, ti prego amore, … la cintura. – disse lei.
E fu ancora una volta inutile il mio pianto, il mio pregarli, supplicarli. Arrivarono altre frustate.
Mi tennero ferma e mi riempirono di nuovo di frustate .. ed io dovetti cedere, perchè altrimenti non si sarebbero fermati.
-Guai se mi fai male con i denti. Giuro che se lo fai te li strappo uno per uno. – mi minacciò lui avvicinando il suo pene sporco alle mie labbra.
-Apri quella bella boccuccia, da brava. – ordinò lei mentre con una mano mi spingeva la testa verso il sesso proteso del marito.
Mi venne da vomitare, glielo dissi e per tutta risposta mi strizzarono i capezzoli.
-Vomitami sul cazzo e noi ti facciamo rimangiare tutto. -disse lui.
E così, sopportai l’odore pungente ed il sapore acre di quell’organo maschile dentro la mia bocca.
Sopportai la sensazione di sentirmi la bocca occupata da quel pezzo di carne che, man mano riprendeva volume.
Era grosso, mi costringeva ad aprire tutta la bocca, dovetti leccarlo, baciarlo, succhiarlo per come mi ordinavano.
Me lo spingeva fino in gola e quando lo faceva, mi provocava un conato di vomito.
-Brava, così, … con la lingua, … brava, … adesso succhialo. -diceva il signor Marcel prendendomi la testa ed avvicinandola sempre di più verso di se.
Se mi vedesse mia madre, pensai, … la sua bambina costretta a far certe cose !
-Adesso, … vengooo. Devi ingoiare tutto il mio sperma puttanella, .. tutto.. !!!! – gridò lui serrandomi la testa con entrambe le mani ed entrando il suo pene fino in gola.
Non avevo neppure immaginato che avesse voluto scaricarsi dentro la mia bocca ed inaspettatamente, sentii il suo schizzo impiastricciarmi la gola.
Cercai di ritirarmi, ma lui mi bloccò e sentii il secondo schizzo.
Provavo uno schifo inimmaginabile, mi andò anche di traverso.
Soffocavo con quel liquido vischioso che mi scendeva giù per la gola.
-Inghiottilo tutto, tutto !
Sgualdrinella da quattro soldi, inghiotti !
Devi essere riconoscente a Marcel che ti dona la sua sborra da bere, puttana ! – gridò lei ed iniziò di nuovo a sculacciarmi freneticamente, colpi su colpi.
Mi lasciarono e mi fecero ricadere distesa sul letto.
Tossivo, avrei voluto sputare lo sperma che ancora mi sentivo in bocca, ma lei mi prese la testa e la tenne ferma in modo che guardassi il soffitto.
-Bevilo, fino all’ultima goccia, puttana. – disse.
Mandai tutto giù e lei mi fece aprire la bocca e mi ci guardò dentro.
-Girati, mostrami il culo che ti devo punire. – ordinò ancora la signora Maria.
-Perchè, … perchè, … basta la prego signora, .. basta… – piagnucolai.
-Zitta e girati. Hai dimenticato che non ti dobbiamo spiegazioni.
Non hai ancora capito un cazzo !
Zitta e girati altrimenti ti scuoio viva. – rispose lei.
Sapevo che come minimo mi avrebbe sculacciata di nuovo se non, addirittura usato la cintura.
Mi girai, non avevo scelta.
Mi sculacciò a lungo.
Erano passati tre giorni da quel maledetto venerdì ed io ancora portavo ben evidenti i segni delle botte sul mio corpo.
Già il sabato mi costrinsero a lavorare al ristorante come se non fosse successo niente ed era un tormento girare per i tavoli sopportando quel bruciore sulle natiche a contatto con il cotone dalle mutandine.
La sera di quel venerdì scrissero il contratto che, il primo giorno, mi avevano fatto firmare in bianco.
Ci scrissero che accettavo di buon grado il fatto di essere sottomessa a loro in qualsiasi maniera, che mai avrei potuto rivendicare nulla per quello che mi veniva chiesto e che se l’avessi fatto sarei finita in galera per inosservanza contrattuale.
Io, così ingenua, credetti veramente alla validità di una cosa del genere e mi terrorizzai quando mi descrissero cosa sarebbe stato per me essere imprigionata, processata e condannata.
Mi dissero che tutti, dai secondini all’ultimo dei detenuti, mi avrebbero violentata, fatta oggetto dei desideri più schifosi.
Mi raccontarono che ad ogni minima disubbidienza mi avrebbero incatenata nuda nelle celle di punizione, mi avrebbero frustata a sangue e poi lasciata a marcire per giorni in mezzo ai topi.
Mi dissero che l’essere punita e scopata sopra un soffice letto con le lenzuola candide da due persone distinte come loro doveva sembrarmi una grande fortuna rispetto a quello che avrei subito in prigione.
Ci credetti e quel contratto mi fece sentire inesorabilmente in trappola.
Adesso da tre giorni non mi degnavano della minima attenzione.
Si comportavano come se nulla fosse accaduto, ma ogni sera, tornavo a casa con il batticuore temendo che da un momento all’altro uno dei due mi avrebbe buttata nuovamente sul loro letto.
I giorni passarono ed arrivò il giovedì.
Già dal mattino pensavo con terrore al successivo giorno di chiusura, a quando avrei dovuto varcare la soglia della loro camera da letto con in mano il vassoio della colazione.
Quel pensiero non mi abbandonava un attimo e mi rendeva difficoltoso concentrarmi sul lavoro.
-Ehi, Annette ! A che accidente stai pensando ! Vuoi portare il vino al tavolo due ? – mi rimproverò la signora Maria poco prima della chiusura di metà giornata.
-Oh, scusi signora, .. vado subito. – risposi e corsi via.
-Questa mattina non ha proprio voglia di lavorare questa cretina. – disse la signora a suo marito mentre mi allontanavo, .
Cercai di concentrarmi sul lavoro e finalmente poco dopo, sentii il signor Marcel chiudere a chiave la porta del locale.
Adesso avevo da sistemare la sala, però almeno non c’erano i clienti da servire.
-Vieni con me puttanella. – mi ordinò il signor Marcel fermandosi dinanzi a me.
-Cosa, … cosa ho fatto signore.. -chiesi impaurita. Avevo già capito dal tono della sua voce che aveva in mente qualcosa di brutto.
-Vieni e non discutere ! Svelta muovi le chiappe ! – ribattè cattivo lui.
Lo seguii in cucina dove ad aspettarci c’era la moglie. Il signor Marcel, che era alle mie spalle, mi prese saldamente le braccia e mi bloccò, lei si avvicinò rapida e mi diede due schiaffoni sul viso.
Poi, mentre ero ancora stordita, con altrettanta rapidità mi sfibbiò i bottoncini del vestito e lo aprì.
Mi spinsero, mi strattonarono e mi sfilarono completamente l’abitino, poi mi sganciarono il reggiseno e mi calarono le mutandine a metà gamba.
In un attimo ero nuda in balia loro.
-Dì, ragazzina, questa mattina non ti andava di lavorare ? – chiese il signor Marcel sospingendomi rudemente verso il ripiano di marmo su cui si preparavano le portate.
-No, … no signor Marcel, .. la prego, … non lo farò più.. – risposi con le lacrime agli occhi. Immaginavo già che mi avrebbero punita.
-Voglio sperarlo che non lo farai più, intanto ti faccio una cosina bella.. – disse lui ridendo e mi piegò con la pancia sul ripiano.
Mi tennero ferma in quella posizione, distesa sul marmo, le gambe penzoloni e le mutandine ancora al ginocchio.
Noo, … no per favore, .. nooo… !!! – gridai quando sentii le mani del signor Marcel divaricarmi le natiche e le sue dita toccarmi l’ano.
Mi vergognavo come non mai nel sentire quella parte del mio corpo così intima guardata e toccata dalle mani di quell’uomo.
-Ferma puttanella che adesso ti faccio un bel servizietto. – esclamò lui continuando a toccarmi con le dita in quel posto.
Ad un tratto ci avvicinò il viso e mi sentii leccare.
Sentii il contatto della sua lingua bagnata ed ebbi un brivido che mi percorse tutto il corpo.
Mi leccò e poi ci sputò sopra due volte, spalmando con le dita la saliva.
-Lo sai carina cosa ti sta per fare, vero ?
Adesso entrerà il suo uccellone nel tuo tenero culetto. – disse divertita la signora Maria che dall’altra parte del ripiano mi teneva ferma per le braccia.
Si, avevo sentito parlare di quel genere di rapporti, ma non sapevo se veramente fosse una cosa che si potesse realmente fare.
Adesso lo avrei saputo.
Avrei scoperto sulla mia pelle se il sesso di un uomo poteva realmente entrare in quell’orifizio così piccolo.
Mi irrigidii tutta quando sentii la punta del suo pene appoggiarsi sul mio ano contratto.
La signora mi prese per i capelli e mi costrinse a posare la guancia sul freddo ripiano di marmo.
-Noo, … per pietà, … non me lo fate, no… – supplicai.
Lui per tutta risposta premette e mi sentii spingere verso l’interno la corolla del mio buchetto, mi faceva male.
-Ecco, … tra poco ti apri…. – disse lui ed aumentò la forza.
Non entrava, non poteva mai entrare.
Ricordavo bene quell’organo così grosso che avevo dovuto accogliere nella mia vagina e nella mia bocca. Non sarebbe mai entrato.
-Ahhhiiiiii, …. nooooo, … ahhhhh !!!! –
Il mio fu un’urlo disumano, mi mancò il respiro. Il mio ano vergine aveva ceduto con un rumore sordo ed io mi sentii lacerare.
Mi sembrò d’avere un palo enorme e rovente conficcato nel sedere.
-Su, piccolina è solo la cappella che è entrata. Adesso ti farò sentire il resto. – disse ridendo lui.
Lo sentii avanzare millimetro dopo millimetro.
Era grosso, troppo grosso perché io potessi sopportarlo, volevo alzarmi, respingerlo, ma quella maledetta di Maria me lo impediva tirandomi per i capelli.
Sentii il contatto con il corpo del signor Marcel e lui disse:
-Ecco, è tutto dentro il tuo pancino. Benvenuta nel mondo delle femmine inculate. –
Era tutto dentro.
Quella mazza enorme mi faceva un male lancinante e mi faceva sentire atrocemente la sensazione di essere invasa, riempita, dilatata.
Gridai e piansi sempre di più quando lui iniziò a muoversi avanti ed indietro.
-Maria, è un culo meraviglioso, … sapessi quanto stringe.. – disse il signor Marcel senza fermarsi un solo attimo. Poi rivolto a me:
-E tu non ti preoccupare, anche Maria si è fatto il suo bel pianto quando l’ho inculata la prima volta. –
-Marcel ! Non le dire queste cose, ti prego.. – protestò lei.
Li sentivo parlare come se non stesse accadendo nulla.
Avevo il buco del sedere in fiamme, … me lo sentivo così largo con quell’affare piantato dentro, .. sentivo un dolore lancinante e loro discutevano !
-Tienila, .. tienila ferma Maria che sto per venire, .. tienila… -disse lui accelerando i suoi affondi.
Lei non si fece pregare, tenendo ben stretti i miei capelli mi costrinse a star ferma con la guancia incollata al tavolo.
Il signor Marcel si spingeva dentro sempre di più, sembrava volerci entrare anche lui dentro il mio culo.
Quando lo faceva, mi prendeva con le mani dai fianchi e tirava verso di lui ed io sentivo le mie natiche schiacciate e quel grosso coso infilato dentro incredibilmente a fondo.
In breve arrivò il momento e sentii il suo sperma riempirmi copioso.
La sensazione che provai fu talmente strana, insolita, inaspettata, .. non so come dire, quasi troppo … intima, che ne rimasi turbata.
In quel momento mi sembrò addirittura di non sentire quasi il dolore della penetrazione, di non sentire il dolore delle sculacciate che mi assestò sulle natiche mentre lui godeva.
Sentivo quel liquido invadermi in profondità, .. dentro, … molto dentro il mio corpo.
Mi sentivo violata, violata nel mio intimo più profondo e scoppiai a piangere ancor di più.
Si sfilò lentamente e rimasi dolorante e con la sgradevolissima sensazione di essere rimasta larga.
Lo sperma che sentivo dentro mi procurava lo stimolo di evacuare e istintivamente cercai di stringermi.
Fu doloroso e inutile perché sembrava che il mio ano violentato non si volesse più richiudere.
La signora Maria mi lasciò i capelli, ma io rimasi ferma in quella vergognosa posizione.
Mi sentivo distrutta.
-Alzati cocca, mettiti in ginocchio e prendi nella tua boccuccia l’uccello di Marcel. Devi ripulirlo, … vedi, .. è uscito un po’ sporchino dal tuo culetto. – ordinò.
Chiusi gli occhi.
Ero sconvolta, mi ripugnava, ma cosa avrei potuto fare ?
Mi avrebbero frustata, costretta comunque.
Mi scivolai dal ripiano su cui mi avevano piegata e come una condannata a morte, mi girai e mi inginocchia di fronte al signor Marcel.
-Apri la boccuccia “inculata”. – disse ridendo lui.
Vidi il suo sesso sporco. Avrei voluto vomitare, .. non ci riuscivo…
-Scusa piccolina, preferisci che chieda a Maria di prendere il cucchiaio di legno ? – chiese lui.
Scossi il capo, mi faceva paura.
Aprii la bocca e lo feci.
Mi fece continuare così a lungo che gli venne di nuovo duro ed ebbe un altro orgasmo. In bocca.
Il venerdì venne inesorabile e dovetti trascorrerlo nel loro letto.
Mi fecero fare tutto e per due volte dovetti prenderlo anche dietro, .. nel sedere, … dentro il buco del sedere!
Mi sculacciarono e frustarono senza ragione, solo per il gusto di sentirmi piangere e gridare di dolore.
Il peggio, per così dire, venne quando la signora volle essere baciata e leccata in mezzo le gambe.
Non volevo, mi tennero, mi costrinsero a forza, mi premettero il viso sulla sua vagina spalancata e fradicia.
Mi frustarono così a lungo che dovetti farlo per non essere spellata viva dai colpi di cintura.
Dopo averla leccata a lungo lei raggiunse l’orgasmo ed io ebbi una crisi di nervi.
Per tutta risposta mi legarono alla spalliera del letto e mi imbavagliarono.
Mi introdussero a forza due falli di gomma enormi, uno nella vagina e l’altro nel sedere e mi lasciarono in quelle condizioni per più di un’ora.
Alla fine, ritornarono a colpirmi con la cintura in tutto il corpo, fin quando non ebbi più forza di muovermi.
La mia vita continuò su quei binari per lunghi mesi.
Riuscirono ad annullare completamente la mia volontà e la mia dignità di persona.
Ero considerata alla stessa stregua di un oggetto dal valore nullo, un oggetto di cui si può disporre a piacimento per qualsiasi capriccio passasse nella loro mente.
Con il tempo, non potei più farne a meno di quella vita, iniziai ad amare quelle cose, quei comportamenti.
Adesso sono diventata una schiavetta ubbidiente e soprattutto, felice. FINE