Così cominciarono a portarmi tutti i venerdì sera da Debora: chiudevo la mia settimana prostituendomi
Ma non fu più come la prima volta.
Dovevo farmi trovare pronta, sempre poco vestita, a volte con “abiti” che Debora mi faceva recapitare a casa. Antonio e Nicola passavano a prendermi, a volte mi permettevano di coprirmi, a volte no, non c’era una regola, io dovevo ubbidire e basta.
Al mio arrivo Debora controllava rapidamente il mio aspetto poi mi faceva entrare nella stanza in cui mi aspettavano i clienti: sette, otto, spesso anche di più. Quasi sempre, dopo avermi presentato come Samantha, Debora, prima di andarsene, metteva della musica, dei lenti, uno per uno mi invitavano a ballare, mi toccavano, mi palpavano, mi scoprivano, mi mormoravano frasi sconce alle orecchie facendomi capire che sapevano di me quanto bastava ad avermi in loro potere.
Seppi ben presto che Debora organizzava delle serate a tema scegliendo i miei clienti tra quelli più depravati e con le inclinazioni o l’aspetto più disgustosi; prima del mio ingresso nella stanza mostrava i filmati delle mie precedenti disavventure, che Nicola e Antonio si erano premurati di consegnarle e teneva un breve discorsetto spiegando che avevano piena disponibilità su di me e che io ero in condizione di non poter rifiutare nessuna loro richiesta; l’unico limite che poneva era che non venissi danneggiata in modo da non potermi riprendere entro il lunedì successivo.
Una sera c’erano solo vecchi, otto vecchi debosciati, tipi che avevano già visto di tutto e si eccitavano solo molto a fatica. Ballando mi pizzicavano violentemente i capezzoli e pretendevano ogni volta che sorridessi ringraziando garbatamente. Quella volta era rimasta anche Debora e ballava anche lei subendo lo stesso trattamento col sorriso sulle labbra. Ben presto rimanemmo entrambe solo in guepière e calze
Ad un certo punto ci misero una nelle braccia dell’altra facendo cerchio intorno: ballavamo, Debora, sorridendo del mio imbarazzo, avvicinò la bocca alle mie orecchie e in un soffio mi chiese:
“Lo hai mai fatto con una donna? ”
La guardai sempre più nervosa e sussurrai:
“No! ”
“Dillo a loro, cara! ”
“Non l’ ho mai fatto con una donna! ” avevo così poco fiato che non mi sentì nessuno.
“Più forte tesoro, fatti sentire! ”
“Non l’ho mai fatto con una donna! ” stavolta mi avevano sentito e mentre si mettevano a sogghignare mi resi conto di aver commesso un errore, la mia ammissione non aveva fatto che eccitarli di più: in un attimo si misero a ritmare a bassa voce:
“Bacio! Bacio! Bacio! ”
Debora, sempre ballando, spostò una mano dietro la mia nuca e mi ficcò la lingua in bocca, con l’altra mano mi strinse a sé in modo che i nostri capezzoli strusciassero, poi fece scendere la mano verso il mio culo, infilò una coscia tra le mie, mi tirò, prese a muovere il suo bacino contro il mio. Io non l’avevo mai fatto con una donna, neanche ci avevo mai pensato, ma mi piaceva, cominciai a risponderle; ci carezzavamo, strofinavamo la figa l’una sulla coscia dell’altra, le tette contro le tette, avvinghiate, ci muovevamo l’una addosso all’altra, al ritmo della musica, in preda al piacere che montava. gli uomini intorno erano ammutoliti pian piano godendosi lo spettacolo. E venni, godetti baciandola, godetti mentre la sua lingua girava nella mia bocca esplorandone ogni angolo, godetti senza ritegno.
Improvvisamente lei mi girò abbracciandomi di spalle, mi prese le tette, strinse i miei capezzoli tra pollice e indice e cominciò a tormentarli girandoli, tirandoli, premendoli, al piacere subentrò repentinamente il dolore, all’abbandono un’intollerabile tensione, cercai di divincolarmi ma lei mi teneva avvinta a sé con le braccia mentre gli altri, che ci si erano stretti intorno, mi bloccavano le mani e come cercavo di urlare mi infilavano le dita in bocca cercando di prendermi la lingua e tirarla. Così cercavo di urlare con le labbra serrate, ne uscivano dei mugolii ridicoli, quando una fitta di dolore era più forte disserravo le labbra e loro subito infilavano le dita.
Finalmente Debora sembrò smettesse di tormentarmi. Mi lasciò i capezzoli ma solo per stringermi le braccia dietro la schiena con le sue ed espormi meglio alle carezze lubriche dei vecchi. Le loro mani presero a vagare sul mio corpo alternando carezze a pizzichi, graffi, strette violente e dolorosissime. La mia figa venne fatta segno di ripetuti schiaffi secchi e violenti. Ogni tanto qualcuno mi infilava la lingua in bocca baciandomi.
All’improvviso smisero, si allontanarono, Debora mi disse di camminare per la stanza. Mi mossi, faticavo a trovare l’equilibrio e Debora mi rimproverò così aspramente che mi ripresi di colpo, mi raddrizzai, cacciai culo e tette e presi ad ancheggiare a testa alta. Ma ogni volta che arrivavo a tiro di uno di loro cercavano di farmi inciampare: caddi una prima volta, mi rialzai, ripresi a camminare, caddi una seconda volta, mi dissero che se non avessi fatto più attenzione mi avrebbero frustata per punirmi della mia inettitudine, caddi ancora una volta.
Mi tirarono in piedi, ero affranta, in un attimo mi trovai con un fazzoletto in bocca e con i polsi legati, dal soffitto scese una corda con un uncino da macellaio al quale mi agganciarono; tirarono la corda fino a costringermi a stare sulle sole punta dei piedi, tutti i muscoli erano tesi , le loro mani correvano sul mio corpo sempre alternando pizzichi a carezze. D’un tratto si scostarono e vidi Debora con uno scudiscio in mano che mi sorrideva. Non la tirò in lungo: il primo colpo, al seno, fu subito violento, dolorosissimo, gli altri si susseguirono rapidissimi, dovunque, sulle natiche, sulle cosce, sulla schiena, sulla pancia, dopo il trentesimo smisi di contarli, mi contorcevo nel disperato tentativo di sottrarmi, cercavo di sputare il bavaglio per urlare, giravo su me stessa per non essere colpita sempre negli stessi punti.
Qualcuno mollò la corda e caddi di nuovo a terra, mi sollevarono, mi aprirono bene le cosce e mi calarono sul cazzo enorme di uno steso su un pouf, faticavo a farlo entrare nonostante fossi bagnatissima, alla fine la forza di gravità ebbe la meglio e me lo ritrovai tutto dentro, mi tornò in mente Piccolo, il camionista, ci mancava proprio poco, appena feci il primo movimento qualcuno di dietro mi aprì le natiche e mi infilò d’un sol colpo nel culo un secondo cazzo grosso quasi come il primo, mi sentivo squartata, piena all’inverosimile, qualcun altro mi sfilò dalla bocca il fazzoletto ma come la aprii per gridare me la trovai riempita da un altro cazzo mentre le mani mi venivano slegate solo per permettermi di masturbarne altri due.
Si avvicendarono dentro di me tutti e otto, ogni volta che stavano per venire si ritiravano lasciando il posto a qualcun altro, mi scoparono ininterrottamente per quasi quattro ore, se appena mi lasciavo andare per la stanchezza subito mi pizzicavano i capezzoli e il clitoride finché non riprendevo a “ballare” sui loro uccelli. Avevo male dovunque, la figa, il culo, la bocca mi dolevano all’inverosimile per quelle penetrazioni così consistenti e prolungate, ma un unico dolore erano anche i muscoli delle braccia e delle mani a furia di menare uccelli, e quelli del ventre, delle gambe, della schiena, delle spalle per lo sforzo necessario a mantenere le posizioni che mi costringevano ad assumere.
Alla fine si ritirarono tutti da me e uno dopo l’altro mi si piazzarono davanti facendosi masturbare fino a sborrarmi chi sulla faccia, chi sulle labbra, chi sulle tette costringendomi ogni volta a spalmare su di me il loro sperma come se si trattasse di una crema di bellezza.
Quella sera portai a casa lo stipendio di due mesi, facevo fatica anche solo a pensarci.
Andò avanti così per diverse settimane poi successe quello che avevo temuto fin dall’inizio.
Quella sera Debora mi aveva detto che stavo per incontrare un cliente al quale lei stessa doveva obbedienza assoluta e che mi avrebbe preparata al meglio. Indossavo la solita guepière nera che in basso lasciava scoperte le natiche e la figa ed in alto il seno molto ben sorretto, calze nere a rete agganciate alla guepière e tacchi a spillo. Dopo avermi guardato con attenzione aprì un cassetto e ne estrasse quattro pinzette: con due mi strinse i capezzoli con le altre due le labbra della figa, prese quattro pietre montate e le agganciò alle pinzette, mentre io cercavo di abituarmi al dolore lei si ritrasse per ammirare lo spettacolo, mi disse di girare su me stessa e io lo feci, completamente contratta e cercando di far muovere meno possibile le pietre. Debora mi assestò uno sculaccione violentissimo: il sobbalzo fece saltare le pietre provocandomi delle fitte tremende al seno e alla figa, mi lancia contro Debora che mi fermò dandomi uno schiaffo violentissimo in piena faccia.
“Se stasera tenti la benché minima reazione qualunque cosa accada te ne farò pentire amaramente puttana! Puoi mostrare la tua sofferenza, è eccitante, ma non si deve assolutamente immaginare che cerchi di opporti, non faresti che spingerli a fartene di peggio, per spezzarti. Mostra la tua sofferenza con voluttà, ma non resistere. ”
Mi fece fare un giro su me stessa, il movimento delle pietre mi provocò una fitta di dolore talmente violenta che dalla bocca mi uscì un vero ululato. Mi bloccò, mi abbracciò, mi strinse a sé e mi baciò infilandomi la lingua in bocca, quando sentì che mi stavo calmando mi lasciò. Dal solito cassetto prese un oggetto che non avevo mai visto prima: vagamente simile ad un fungo, iniziava con un cono dalla punta arrotondata lungo una quindicina di centimetri, un paio di centimetri di diametro in punta, circa cinque alla base, il “gambo” era costituito da un cilindro lungo circa tre centimetri per un centimetro di diametro, quindi una striscia piatta perpendicolare da cui si dipartiva una folta coda nera, mi guardò sorridendo della mia espressione attonita, mi fece girare di spalle e capii , mi disse di piegarmi spalmò della crema sul mio ano poi con gran delicatezza ma senza un attimo di requie cominciò a spingermi dentro l’attrezzo. Io cercavo di rilassarlo, ma invano, nonostante tutte quelle che aveva passato il mio culo reagiva sempre come se venissi sfondato per la prima volta. Presi a piangere sommessamente con lei che mi carezzava la schiena con una mano mentre con l’altra continuava a spingere. Alla fine cedetti, d’un colpo il culo mi si aprì e l’oggetto affondò. Debora mi fece mettere dritta e mi portò davanti allo specchio: avevo una bellissima coda che risaliva dal mio culo per un breve tratto prima di ricadere morbidamente, ricordava certe acconciature da ballerine di avanspettacolo, dal seno e dalla figa pendevano le pietre che con i loro colori brillanti risaltavano sul nero del corpetto e delle calze. Debora disse:
“Dritta! Stà dritta, sei bellissima, sembri davvero un animale. ”
Mi raddrizzai, lei prese un collare e mi cinse il collo, mi asciugò gli occhi, mi riprese il trucco, infine scelse un guinzaglio e me lo agganciò: ero pronta.
“Adesso andiamo di là, stà ben dritta ma tieni gli occhi bassi, petto e culo ben fuori, fà ondeggiare la coda come una vera cavalla. Soprattutto solleva la testa solo se è lui a tirartela su! ”
Prese un frustino da cavallerizza, aprì la porta e, tirandomi per il guinzaglio mi fece entrare nel salotto. Le luci erano basse, scorsi le gambe nude di un uomo seduto in poltrona. Mi fermò, ebbi la sensazione che esitasse, mi sembrò di percepire un attimo di imbarazzo aleggiare nella stanza, solo un attimo, subito un leggero colpo di frustino si abbatté sulle mie natiche e presi a muovermi in cerchio, trattenuta per il guinzaglio, esibita come un cavallo al maneggio. Girai non so più quante volte, finchè la testa non cominciò a girarmi anche lei e inciampai e caddi. Deborah mi aiutò a tirarmi in ginocchio e subito mi trovai un cazzo lungo e grosso davanti alle labbra, lo inghiotti per intero trattenendo a stento un colpo di tosse quando mi arrivò in fondo alla gola.
Diedi tre, forse quattro pompate poi la mano dell’uomo mi fermò col cazzo in fondo alla gola, mi tirò in su la testa, solo quando fui ben sicura alzai anche gli occhi: riconobbi l’uomo e per un attimo ne rimasi annichilita, cercai disperatamente di liberare la bocca da quel cazzo ma lui mi afferrò per la nuca trattenendomi, urlai mi gettai all’indietro, Deborah si precipitò a bloccarmi, smaniavo come una pazza, urlavo su quell’uccello che mi imbavagliava, mi dibattevo tra le forti braccia di Deborah che mi immobilizzava senza poter staccare gli occhi dal viso del Sig. Gianni, il segretario della mia scuola, che mi guardava dall’alto ghignando.
Alla fine mi calmai, solo allora mi lasciarono andare ed io mi abbandonai sul pavimento piangendo sommessamente. Deborah ed il Sig. Gianni uscirono dalla stanza. Rimasta sola non riuscii a trovare nemmeno la forza per tirarmi seduta, tanti sforzi, tante dure prove per salvare almeno l’apparenza della mia rispettabilità e non era servito a nulla: quello che avevo sempre temuto accadesse era accaduto, il sottile diaframma tra la mia vita normale e quella segreta era crollato. Il Sig. Gianni rappresentava il peggior crollo possibile: segretario della mia scuola era un cinquantenne viscido e infido. Le parole di Deborah ” un uomo al quale io stessa devo… ” mi tornavano in mente terrorizzandomi ancora di più.
I due rientrarono, Deborah vibrò un violentissimo colpo di frusta sulle mie natiche:
“In piedi puttana! ”
Non reagii, mi diede un colpo secco sul seno, scattai in piedi come una molla smettendo improvvisamente di piangere.
“Adesso vi lascio soli, a quanto pare tu e il Sig. Gianni vi conoscete già. ”
Uscì senza aggiungere altro. Il silenzio piombò nella stanza interrotto solo dal rumore del mio respiro e da qualche singhiozzo che ancora mi scuoteva.
“Riprendi quello che hai interrotto! ”
La sua voce fu come uno schiaffo, mi avvicinai a lui, mi inginocchiai, glielo ripresi in bocca e presi a succhiarlo. Lo succhiavo come non avevo mai fatto: con la bocca aderivo perfettamente al suo cazzo, me lo lasciavo penetrare fin dove non mi era ancora mai riuscito, pompavo metodicamente, desideravo venisse il prima possibile, speravo ancora che quell’incubo potesse finire.
Mi bloccò, si sfilò dalla mia bocca e andò a sedersi in poltrona. Mi chiamò a sé, pretese che gli montassi a cavalcioni, che mi infilassi il suo cazzo e mi dessi da fare. Avevo ancora il perno nel culo e l’ulteriore penetrazione mi fece sentire piena talmente piena.
“Adesso, scopando, scopando mi racconti com’è che la professoressa più sexi della nostra scuola è finita qui. ”
Dovetti raccontare tutto per filo e per segno; mentre erano di là Deborah doveva avergli spiegato la situazione e lui, ora, godeva come un pazzo a farsi raccontare da me tutta la storia mentre ballavo sul suo cazzo. Si fece raccontare tutto nei minimi dettagli, né io pensai di nascondergli qualcosa, al punto in cui ero che significato avrebbe avuto. Quando ebbi finito il racconto mi prese per i fianchi, mi tirò a sé spingendomi il cazzo più dentro che poteva stette fermo un attimo e poi mi riempì d’un fiume di sperma.
Mi tenne immobile finché il suo cazzo non smise di pulsarmi dentro, poi mi permise di sollevarmi ma mi disse subito:
“Giù troiona! Pulisci bene tutto! ”
Mi chinai, il suo cazzo era ancora rigido, aveva sperma dovunque, appena cominciai a leccare lui prese a spiegarmi cosa mi attendeva da quel momento in poi:
“Come sai Deborah è un’amica, quanto ai tuoi due ganzi, a loro penso io: d’ora in poi tu diventi di mia proprietà! ”
Cercai di sollevare la testa accennando una reazione ma lui mi afferrò per la testa e mi ficcò il cazzo in gola:
“Non mi piacciono le puttane chiacchierone e tu ormai devi stare ben attenta a cosa mi piace e cosa no: ad esempio l’abbigliamento che usi ultimamente mi va bene, in particolare quello facile da scostare, invece il trucco è ancora un po’ leggero, lo preferisco più carico, più puttanesco, le labbra meglio sottolineate con rossetti di colori più squillanti, gli occhi più marcati, più rosso sulle guance; per il resto vedremo se vali quanto sembra, e, per il tuo bene ti auguro che così sia. Perché, vedi, se non vali per quello che sembra ciò che girerà sul tuo conto sarà sufficiente per rovinarti comunque la vita ed io invece mi divertirò allo stesso modo sia ad usare una stronza professoressa come puttana sia a vederla finire nel fango e trascinarcisi fino ad affogare. Adesso finisci di pulire tutto poi alzati e levati dai coglioni senza aprire bocca e muovendo bene il culo. ”
Così feci, ero talmente tranquilla, finii di pulirgli l’uccello, l’inguine, i peli del pube, l’inizio delle cosce, poi mi rialzai, mi girai ed ancheggiando come un pendolo mi allontanai.
Avevo un nuovo padrone, ai due non dissi nulla, a casa ero sola, mi misi a letto e mi addormentai. FINE