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La belva

A detta di tutto il quartiere Silvia era una ragazza tanto speciale quanto strana. Bellissima e inquietante. La si vedeva spesso in giro, ma sempre sola; elegante, quasi provocante, ma sempre seria, e nessuno osava mai rivolgerle la parola se non per i normali rapporti che il “buon vicinato” richiede. In realtà le uniche passioni di Silvia, che ben pochi però conoscevano, erano la palestra e le arti marziali. La cultura del proprio corpo era per lei un’autentica mania, che sfogava dedicando ogni giorno diverse ore all’attività fisica. Aveva cominciato da ragazzina con il Judo e da lì era nato il suo amore per le discipline orientali. In seguito si era dedicata al karate, al taek won do, al ju-jtsu e alla kick-boxing, raggiungendone sempre i massimi livelli. Per il suo maestro era stata a lungo un vanto, vincendo ogni gara a cui partecipava e dando lustro alla sua scuola, ma negli ultimi anni si era trasformata per lui in un problema. Silvia era cambiata, diventando una specie di vera guerriera. Tanto più aumentava la sua capacità di combattere, tanto più si modificava il suo modo di affrontare gli avversari. Sembrava divertirsi a picchiare, a far male, a colpire senza frenare i colpi. In gara veniva spesso squalificata, tanto che ora non partecipava più a competizioni ufficiali, ma solo ad esibizioni. Il maestro era dispiaciuto per questa sua assurda evoluzione e non riusciva a comprenderla. Inoltre anche in palestra, dove era sempre stata un’ottima istruttrice, non era più di aiuto al maestro perché troppo spesso, a causa sua, avvenivano piccoli incidenti con allievi malmenati o percossi brutalmente con colpi di inaudita violenza e pericolosità. Quella sera, come ogni sera, Silvia si era trattenuta fino a tardi in palestra ed era quasi mezzanotte quando arrivò sotto casa. Camminava sicura, vestita con una mise nera di camicetta e minigonna che era diventata una specie di sua uniforme, e un paio di eleganti scarpe di vernice, anch’esse rigorosamente nere e dal tacco a spillo vertiginoso. Arrivata a pochi metri dal portone venne avvicinata da quattro giovanotti ben piantati che per una ragazza normale sarebbero stati una apparizione terrificante nel buio della notte, ma la cui vista a Silvia scatenò invece una inaspettata eccitazione.
“Ciao bella, tutta sola? ” abbozzò quello dei quattro che sembrava il capo.
“Ascoltami. ” Rispose sicura Silvia
“Fossi in voi lascerei perdere e andrei a bermi qualcosa”
“Ma senti senti. La ragazzina fa la preziosa” Silvia si fermò e guardò fissa negli occhi l’energumeno.
“è un consiglio che fossi in voi accetterei. Lasciatemi in pace” Il giovanotto, per nulla intimorito, si avvicinò ulteriormente mormorando
“Io invece sono sicuro che ci divertiremo”
“Beh, almeno non dite che non vi avevo avvertiti” sogghignò Silvia. Fu un attimo, raccogliendo forza e concentrazione, la sua esibizione iniziò. Anticipando ogni mossa dell’avversario sollevò rapidamente la gamba destra colpendolo ai testicoli con una violenza inaudita. Il poveretto non poté fare altro che piegarsi con un gemito. Silvia lo risollevò con una ginocchiata sotto il mento, cui fece seguito un sinistro rumore di ossa rotte, e lo finì con una calcio al viso che lo proiettò tre metri più indietro a schiantarsi contro un auto in sosta. Riportata la gamba a terra si bilanciò per partire all’attacco del secondo giovinastro. A sollevarsi fu la gamba sinistra che piombò come un maglio sul collo dello sventurato che si ritrovò schiantato a terra. Silvia mantenne la gamba sollevata aspettando che il poveretto finisse steso, quindi calò una tacchettata impressionante sul viso del poveretto che reagì solo con un urlo gutturale e iniziò a zampillare sangue dalla ferita che gli squarciava lo zigomo fratturato. Per nulla impressionata dalle condizioni del disgraziato sollevò in rapida successione la gamba altre due volte per calare con tutta la potenza di cui era capace prima sulle coste e poi sul ginocchio, certa di provocare ad ogni colpo nuove devastanti lesioni. Tutto era avvenuto in un attimo con una velocità di esecuzione sorprendente. Il terzo avversario, partito all’attacco insieme all’amico già distrutto, riuscì solo ad avere un attimo di esitazione, trovandosi completamente privo di difesa di fronte a quella belva in gonnella. L’ultima cosa che vide fu il suo sguardo, poi la suola della scarpa di Silvia piombò sulla sua faccia devastandogli i connotati. Con gli occhi chiusi dal sangue che gli colava da una ferita aperta sulla fronte, tentò di girarsi, ma la fine della sua serata era segnata. Silvia non abbassò mai la gamba ma continuò a colpirlo ripetutamente e con violenza crescente al viso. Tre, quattro, cinque colpi di seguito. Quindi con un salto abbassò la gamba sinistra e, al volo, lo colpì con la destra a lato della testa, facendolo crollare a terra privo di sensi. Il quarto ragazzo, il più giovane del gruppo, che fino a quel momento si era tenuto in disparte, capita la situazione tentò la fuga. Si girò precipitosamente ma, un po’ per la paura e un po’ per la rapidità del movimento, perse per un attimo l’equilibrio. A Silvia bastò. Con un balzo gli fu vicino e con uno sgambetto lo fece cadere a terra. Il poveretto, terrorizzato, incrociò le braccia davanti alla faccia per difendersi ma la giovane guerriera questa volta si limitò a fintare un colpo al viso, fermando il suo tacco a pochi millimetri dalla pelle dello sventurato. Quindi lo guardò fisso negli occhi:
“In quattro, eravate in quattro, piccoli, inutili stupidi sacchi di merda. Ve la siete presa con me sola, in quattro” iniziò a parlare.
“E io vi ho sconfitti, vi ho distrutti e senza nemmeno sporcarmi le mani. Sono bastati i miei piedi per annientarvi”. Così dicendo si avvicinò al primo avversario a terra.
“Bastardo” gli urlò in faccia. Quindi calò una pedata poderosa sulla caviglia del poveretto polverizzandogli l’articolazione e costringendolo ad un urlo straziante. Con un lampo d’odio nello sguardo si spostò verso il secondo giovane a terra e, sorridendogli beffarda, lo colpì con un calcio al naso, già rotto nell’attacco precedente. Il dolore fu troppo forte e anche lui perse i sensi. Come una tigre si girò verso il terzo aggressore che era già nel mondo dei sogni.
“Un regalo anche per te, per quando ti risveglierai” disse sarcastica e con un colpo preciso del tacco destro lesionò irreparabilmente il ginocchio del poveretto svenuto. Quindi con un urlo feroce tornò ad occuparsi del quarto giovanotto che, sconcertato da quella manifestazione di forza e crudeltà, iniziò a piangere.
“Ti prego, ti prego, non mi colpire, ti prego”.
“Che nullità che siete. Eppure vi avevo avvertiti. Ora avete assaggiato il mio potere e sono sicuro che ricorderete a lungo la lezione. Allora hai imparato come ci si comporta con una signora? ” chiese al malcapitato ridendo.
“Pietà– si.. si.. non mi picchiare ti prego”. Il ragazzo era sconvolto dalla paura. Silvia lo guardò insensibile, quindi riattaccò:
“Voi volevate divertirvi, vero? Ma a quanto sembra ora sono io che mi posso divertire. Solo che i tuoi amici non mi sembrano tanto in–. condizione” e scoppiò in una fragorosa risata.
“Mi resti solo tu– a meno che tu non voglia essere così scortese da non accettare di farmi divertire”
“No– no” il ragazzo era intorpidito dal terrore
“Dimmi cosa devo fare, ma non mi picchiare–”
“Bravo figliolo, vedo che sei meglio di quei maleducati dei tuoi compari. Allora adesso andiamo a divertirci. Io abito in quel portone” e così dicendo gli sferrò un calcetto per farlo muovere
“Seguimi” Il ragazzo si lasciò andare ad un pianto dirotto e iniziò a muoversi dietro a Silvia, ma, paralizzato dalla paura, non riusciva a camminare e si trascinava a carponi. Sempre spronato dai sorrisini di quella Dea guerriera che aveva appena distrutto i suoi amici si trascinò, sempre in lacrime, fino all’alloggio al primo piano di Silvia. Appena entrata lei richiuse la porta alle sue spalle e andò a sistemarsi su una poltrona nell’ampio soggiorno. Guardò la sua vittima in ginocchio e lo fece avvicinare.
“Chiariamo subito una cosa, piccolo” iniziò a schernirlo
“non sei obbligato a stare qui con me. Se vuoi andartene basta che tu prenda le chiavi che ho qui in mano. In fondo sei un ragazzone grande e grosso e io una piccola donna, vero? Come potrei difendermi da te se tu volessi uscire? ” E a queste parole fece seguire una strafottente risata.
“Allora, cosa vuoi fare? Giochiamo o vieni a prenderti la chiave? ”
“No– no– resto”
“Perché? ” Insistette Silvia
“Non mi sembri molto a tuo agio”
“No– no– siete troppo forte, vi prego– non voglio sfidarvi… non mi piacchiate”
“Sei un po’ noioso, piccolo. Come avremmo potuto divertirci secondo te, stasera? ” continuò la guerriera
“Comunque hai ragione, sono troppo forte e mi piace molto sentirmelo dire”
“Siete forte, fortissima– invincibile. Non posso combattere con voi–”
“Bravo, così mi piaci, continua”
“Nessuno può combattere con voi. ” Il giovane parlava in una specie di trance, preoccupato solo di soddisfare quella donna che lo stava letteralmente dominando.
“Siete troppo forte– riconosco che siete più forte di me– siete potente– pietà– pietà”.
“Ma guarda che, in fin dei conti, a sconfiggerti non sono stata io, ma i miei piedi. Forse, per educazione è a loro che devi rivolgerti. Forza avvicinati e vieni a lodare il potere dei miei piedi” Tremando come una foglia il giovane, sempre in ginocchio, si avvicinò e chinò la testa guardando le due arroganti estremità di Silvia
“Guardali bene. Ammirali. Hai visto quanto potere hanno. Hai visto come hanno distrutto i tuoi amici? Pensa che potrei fare lo stesso con te. Pensa che senza nemmeno alzare una mano potrei annientarti solo con la forza dei miei piedi”. Il giovane non riusciva a smettere di tremare e di piagnucolare.
“Potrei spaccarti tutte le ossa una per una. Potrei ridurti a un manichino paralizzato. Potrei rovinarti la vita per sempre o magari divertirmi a renderti irriconoscibile devastando quella tua faccina. Oppure potrei ammazzarti, schiacciandoti come un insetto con la sola forza dei miei piedi”. Silvia era ormai lanciata in un delirio di potere che terrorizzava sempre di più il ragazzo.
“Pietà–” continuava a salmodiare
“pietà– siete invincibile. I vostri piedi sono potenti e invincibili. Voi siete una Dea. Voi potete fare di me quello che volete. Pietà– pietà–” e così dicendo avvicinò le labbra alla scarpa di Silvia depositandovi un bacio nella speranza di calmare la sua ferocia.
“Bravo” lo pungolò lei
“Toglimi le scarpe e inizia a baciare i miei superbi piedi”. Il poveretto sfilò le scarpe e si ritrovò tra le mani i piedi di lei. Come un automa iniziò a baciarli prima lentamente, poi quasi preso da una furia adorante. Continuava a piangere e leccava le lacrime che cadevano su quelle potenti estremità. Sconvolto dalla paura continuò in questo atto di assoluta sottomissione, scatenando una terribile eccitazione in Silvia, a cui la vista di quell’uomo vinto e sconfitto, prono ai suoi piedi, accese una sensazione di dominio e potere assoluto. Lo lasciò continuare in quell’atto per diversi minuti godendo della propria superiorità. In strada sentì le sirene di due ambulanze in arrivo. Qualcuno, in ospedale, avrebbe avuto parecchio da fare quella notte.
“Voglio sentire la tua voce, vermetto. Fai funzionare il tuo inutile cervelletto e sforzati a lodare la potenza dei miei piedi”. Il ragazzo era terrorizzato, ormai certo di essere in mano di una pazza. Senza smettere di baciare e leccare i piedi della nuova padrona, cominciò a pregare:
“Piedi, superbi piedi, il vostro potere è assoluto. Voi siete forti e invincibili. Voi date la morte ed il dolore. Abbiate pietà di questo umile servo indegno. Vi supplico non mi uccidete. Voi siete i più forti e tutto vi è dovuto. Pietà” Silvia contenta e sempre più eccitata lo allontanò con un calcetto.
“Bravo, nullità. Sei stato perfetto. Hai visto che livello di umiliazione puoi raggiungere? Lo avresti mai sospettato? ” E ricominciò a ridere.
“Ora mettiti in ginocchio”. Obbediente il poveretto, che era scivolato lungo disteso sul pavimento, si risollevò carponi.
“Ora prendi le mie scarpe in mano, voglio divertirmi”. Il ragazzo obbedì nuovamente e si ritrovò con le scarpe di vernice di lei tra le mani.
“Bravissimo. Adesso, per dimostrarmi quanto sei devoto ai miei piedi, voglio vederti fare all’amore con le mie scarpe. Per prima cosa prostrati e penetrati con il tacco”
“Ma–” cercò di obbiettare il poveretto che non riusciva a smettere di piangere.
“Forse hai bisogno ancora di una lezioncina” riprese Silvia e fece l’atto di sollevarsi.
“No, no–. ” La minaccia era bastata e il giovane prese una scarpa e iniziò a penetrarsi infilando il lungo e affilato tacco nell’ano inviolato. Per l’umiliazione e il dolore le lacrime scorrevano copiose.
“Bene” lo incalzò la ragazza
“E ora inizia ad adorare l’altra scarpa” Con la faccia a terra il giovane iniziò a leccare la tomaia lucente della scarpa padronale e, in atto di assoluta umiliazione, a succhiarne il tacco. Quella scena assurda, di un uomo deflorato dal tacco di una sua scarpa, in adorazione dell’altra, completamente obbediente, sconfitto, pronto a fare qualsiasi cosa per lei, eccitò Silvia a cui bastò sfiorarsi fra le gambe spalancate per arrivare ad un copioso orgasmo. Il tutto continuò per qualche minuto. Lei vincente e Padrona che godeva e lui, schiavizzato e vinto, che raggiungeva l’apoteosi dell’umiliazione. Soddisfatta si alzò dalla poltrona e con un calcio fece volare la scarpa che sodomizzava il poveretto.
“Allora ti sei divertito? ” Il giovane, ancora prono, sollevò lo sguardo ad ammirare quella Dea che lo dominava dall’alto
“Si, Padrona– quello che volete– Padrona” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Lei, sempre ridendo, iniziò a prenderlo a calci e a spingerlo verso l’uscita.
“Ora te ne puoi andare” e così dicendo aprì l’uscio in modo che il giovane potesse rotolare fuori.
“Spero che tu sia contento della serata e che non debba dimenticartela”
“No– non la dimenticherò– grazie” rispose lui rimettendosi piano in piedi.
“Ma sei stato così bravo che mi dispiace farti andar via senza un ricordo”
“Io– non so– Signora” balbettò lui. Furono le sue ultime parole. Silvia gli si avvicinò, serrandogli i polsi tra le mani. Avvicinò la bocca a quella di lui e rimase per un attimo a sfiorargli le labbra. Quindi con una violenta ginocchiata al plesso solare lo fece piegare in due, mentre, contemporaneamente, portava le braccia del malcapitato verso l’alto e, con una torsione, verso l’esterno. Si sentì un crack, seguito da un urlo strozzato di dolore. Silvia mollò la presa e i gomiti del giovane, completamente disarticolati, ricaddero lungo i fianchi.
“Eccoti il mio regalo, ora sono sicura che non dimenticherai questa serata” gli sorrise e richiuse la porta. Il giovane, incapace di rialzarsi in piedi per l’indicibile dolore, strisciò lungo le scale, aprì aiutandosi con la bocca il portone e scomparve nella notte in cerca di aiuto. FINE

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