Scendendo le scale che portavano all’ufficio della direttrice del collegio, Evelyn poteva già immaginare la ramanzina che le sarebbe toccata sopportare. Era arrivata alle lezioni in ritardo per tre volte di fila, e questo da solo le sarebbe valso la predica della signora Highsmith, ma siccome la sera prima era stata pizzicata nella sua stanza a leggere dopo l’ora di spegnimento delle luci, sicuramente questa volta le toccava una razione “premio” di sermone.
Evelyn era ormai ospite del collegio Highsmith da un anno, ma non era mai riuscita ad adeguarsi ai suoi regolamenti, come ad esempio lo spegnimento totale di tutte le luci alle nove di sera, la sveglia alle sei, o l’obbligo della divisa (una camicetta bianca e una gonna nera plissettata lunga al ginocchio) che indossava per forza, non avendo altro, ma sempre mal volentieri.
Entrò nell’ufficio della signora Highsmith, con lo sguardo basso e umile, nella speranza di abbreviare la noiosissima predica, ma il viso accigliato della signora Highsmith prometteva male. Seduta alla sua scrivania, gli occhiali abbassati sulla punta della naso, lo sguardo che squadrò Evelyn dall’alto in basso, il viso magro le cui rughe tradivano gli anni della direttrice, e la sigaretta stretta tra le dita come una bacchetta erano tutti segni che lasciarono poche speranze alla ragazza di cavarsela con poche parole.
“Signorina Evelyn” prese a dire quella,
” la direzione di questo collegio è francamente sconvolta dal suo comportamento disinvolto ed arrogante. Lei è cosciente di quali gravi infrazioni al regolamento lei ha ripetutamente, e io credo addirittura volontariamente, commesso in questi giorni? ”
Evelyn mantenne il suo atteggiamento umile e remissivo. Tra l’altro, negare sarebbe stato inutile, perché lei stessa era perfettamente cosciente di aver infranto ripetutamente i severi regolamenti dell’istituto.
“Mi dispiace signora Highsmith, non era mia intenzione venir meno alle regole. Prometto che metterò tutto il mio impegno nel migliorare il mio comportamento in futuro”.
“Non ci sono scuse che tengano” rispose l’altra perentoria,
“io credo sia giunto il momento di farle chiaramente capire che questa istituzione, fondata da mio nonno più di settanta anni fa, è nata con l’obbiettivo di educare signorine dell’alta società, e non come albergo per sgualdrinelle teppiste come lei! Avanti, venga qui vicino a me. ”
Quell’ordine, così insolito (eppure Evelyn era ormai abituata ai lunghi sermoni nell’ufficio della signora Highsmith) gelò il sangue di Evelyn.
Alcune sue compagne le avevano raccontato che in quel collegio, in passato, erano in uso addirittura punizioni corporali, ma da quando lei vi era ospite, non aveva mai avuto occasione di subirne, ne di sapere che qualche sua compagna le avesse subite. Evelyn temette che la direttrice avesse deciso, in suo onore, di riportare di moda quell’usanza.
“Avanti! Cosa aspetta? Venga qui dietro la scrivania, vicino a me! ” ripeté la direttrice. Evelyn, che era rimasta imbambolata e ferma in mezzo alla stanza, scattò allora con passo sicuro ma cuore incerto, cercando di dissimulare tutta la sua inquietudine, e si portò a fianco della sua direttrice, che arretrò di poco la sedia su cui sedeva.
“Ora, ” riprese la signora Highsmith, “la pregherei di avere la cortesia di inginocchiarsi qui di fianco a me, e di appoggiare il suo busto sulle mie gambe”.
La posizione che la direttrice le chiese di assumere cancellò gli ultimi atroci dubbi di Evelyn. L’ansia che le aveva invaso violenta il cuore, ma che aveva finora perfettamente nascosto, venne prepotentemente a galla, facendola rabbrividire tutta. Come un automa la cui volontà risiede in un telecomando nella mani della direttrice, Evelyn si inginocchiò, poggiò il proprio busto sulle gambe della direttrice, e siccome la sua posizione era instabile, si aiutò reggendosi con le mani alle gambe della sedia.
La direttrice sentì gli acerbi ma già sodi seni della ragazza comprimersi sulle sue gambe, schiacciati dal peso del busto della ragazza stessa. Con fare metodico ed efficace, la signora Highsmith si rimboccò le maniche dell’austero tailleur che indossava, rialzò la gonna della ragazza fin sopra le reni, e infine le abbassò bruscamente le candide mutandine di cotone.
Evelyn ebbe uno scatto d’orgoglio. La sua ragione ebbe per un attimo il sopravvento sull’immaginario telecomando che la guidava, e tentò di rialzarsi.
“Lei non può… non ha il diritto! Non può umiliarmi così… ! ” tentò disperatamente di proclamare. La forza bruta delle braccia eppur apparentemente esili della signora Highsmith ributtarono tutto il corpo della giovane ragazza nella posizione di prima.
“Non si azzardi mai più a ribellarsi! ” urlò la direttrice,
“La sua situazione è già abbastanza grave, non le conviene spingere oltre la sua insolenza! ” e detto questo, alzò il braccio, con il palmo della mano ben aperto, e lo lasciò cadere violentemente sul culo di Evelyn, meravigliosamente esposto e offerto a quel primo colpo.
Uno spasmo attraversò la schiena della sciagurata, mentre la sua testa, per un breve istante, si rizzò verso l’alto, per subito ricadere penzoloni come prima. La sua bocca emise un soffocato “arghh! ” lamentoso, mentre con sorprendente rapidità la pelle dei suoi glutei assunse un colore rosa acceso.
Senza lasciare a Evelyn neanche il tempo di riprendersi, la arida mano della direttrice si era nuovamente alzata verso il cielo, e si abbattè con un colpo secco sul culo di Evelyn, provocando uno schiocco che riempì la stanza, presto coperto dall’urlo, ora più acceso e deciso, di Evelyn.
Ad ogni colpo, il collo irrigidito della ragazza la costringeva ad alzare la testa; ogni muscolo del viso era contratto in una smorfia dolorosa, e i palmi delle sue mani si aprivano per un istante lasciando la salda presa delle gambe della sedia a cui si reggeva.
La terza sculacciata colpì un po’ più basso, dove la carne si faceva più nascosta ma anche più tenera e sensibile. Evelyn avvertì come una scossa dolorosissima partirle dalle natiche e salirle fino al collo, che si contrasse ancora e più di prima.
I colpi seguenti si fecero sempre più bassi e violenti, tanto che all’ottava sculacciata, la direttrice colpiva la sventurata non più verticalmente, dall’alto in basso, ma orizzontalmente.
Ogni volta che quella mano si abbatteva sul culo di Evelyn, era tutto il corpo della ragazza a spostarsi in piccoli brevi spasmi in avanti e indietro. Perline di sudore le rotolavano lungo la fronte e le gote, mentre i suoi seni, compressi e imprigionati tra il suo stesso peso e le gambe della direttrice, ad ogni minimo movimento del corpo dovuto alle sculacciate sembravano doversi lacerare come tessuto troppo tirato.
Giunta alla decima sculacciata, soddisfatta della sua disciplina, la signora Highsmith fece rialzare Evelyn, che a fatica riuscì a stare in piedi, sfregandosi il culo, che aveva ora assunto un vivo color porpora, cercando in qualche modo di darsi sollievo.
La direttrice stava per congedare la sua allieva ora riportata sulle rette vie dell’ordine e della disciplina, quando si accorse di una macchia, piccola ma ben distinguibile, sulla gonna del proprio tailleur. Vi passò il dito sopra… i suoi occhi assunsero un’aria interrogativa… annusò… assaggiò con la punta della lingua…
Con uno scatto felino, la signora Highsmith si alzò, allungò il braccio verso la passerina ancora scoperta di Evelyn, e fece scorrere il suo dito lungo tutta la figa, prima che la ragazza riuscisse a portare le sue mani tra le gambe per difendersi da quell’umiliante e invasiva ispezione.
La direttrice, sbalordita, con l’orrore negli occhi, guardò Evelyn dritto negli occhi. “Lei… Lei! Come ha osato! Una cosa simile non si è mai vista in questo collegio! Lei è una svergognata! ”
E mentre la direttrice sputava quelle parole in faccia alla sua studentessa ribelle, Evelyn riconobbe, almeno a sé stessa, che la sua passera era tutta bagnata, anzi gocciolante. E gocciolante di vero piacere, che persino a lei parve incredibile, aveva provato durante quelle terribili dieci manate sulla sua pelle sensibile e morbida.
La signora Highsmith, che si era appena ripresa dalla scandolosa scoperta, spintonando malamente Evelyn, la costrinse di nuovo ad avvicinarsi alla sedia. Con gli stessi gesti di un generale infuriato e ferito nell’onore, strappò letteralmente di dosso a Evelyn la divisa del collegio, lasciandola completamente nuda. La ragazza tentò di coprirsi come meglio riusciva, con le mani e le braccia, terrorizzata e tremante, umiliata e piangente.
“Si inginocchi sulla sedia! ” ordinò la direttrice, con un tono violento e spaventoso.
“La prego…. ” singhiozzò Evelyn, mentre lacrime come torrenti le colavano lungo la guance rotonde e carnose,
“la prego… mi lasci andare… le giuro che… : ”
“Basta! ” urlò l’altra,
“Si inginocchi sulla sedia, con la faccia rivolta verso lo schienale. Obbedisca subito, o sarà peggio per lei. ”
Evelyn impaurita e singhiozzante, le gote bagnate di lacrime come una bambina a cui è caduto per terra il gelato, si inginocchiò sulla sedia, mentre la direttrice estrasse una lunga corda da un cassetto della scrivania.
Con durezza, la signora Highsmith legò prima assieme le caviglie della ragazza, poi legò i polsi alle gambe della sedia. Evelyn si ritrovò in ginocchio sulla sedia, il busto reclinato in avanti appoggiato sullo schienale, e le braccia dolorosamente protese verso il basso e legate alla sedia.
Ora la ragazza si trovava immobilizzata e indifesa più ancora di quanto
non lo fosse stata prima, e la direttrice approfittò subito di questa situazione. Si avvicinò alla lavagna che troneggiava in un angolo della stanza, e afferrò saldamente una lunga e flessibile canna che la signora Highsmith usava per le spiegazioni alla lavagna.
Sferzando prima l’aria pesante e densa della stanza per un brevissimo ma interminabile istante, questa si abbatté sul culo ancora in fiamme di Evelyn. L’urlò che la sua gola emise fu così forte, così strìdulo, che probabilmente lo udirono persino le allieve che in quel momento si trovavano all’ultimo piano dell’edificio. Una lunga stria viola si disegnò sulle due natiche già rosse della ragazza.
Non soddisfatta per nulla del suo colpo, la direttrice ne inferse immediatamente un altro, e mirò con cura le sporgenti labbra della vulva di Evelyn.
L’urlo fu ancora più impressionante. Sul viso di Evelyn si disegnò una smorfia di dolore che mai quel tenero adolescenziale faccino aveva provato prima. Lo spasmo che contrasse ogni più recondito muscolo del suo corpo rischiò addirittura di rovesciare la sedia a cui la sventurata era legata.
Mentre ancora Evelyn cercava di recuperare la sua lucidità inspirando profondamente, un terzo colpo affondo nella carne martoriata, e poi un quarto, un quinto…. e ogni colpo era sempre più basso, sempre più pericolosamente vicino al clitoride che la direttrice cercava insistentemente di colpire.
Alla fine, con sua piena soddisfazione, la direttrice signora Highsmith riuscì a centrare il bersaglio più ambito.
Questa volta nemmeno si sentì il grido di Evelyn, che strozzata dal dolore, quasi soffocò e rimase in apnea per un paio di secondi. La sua bocca, spalancata, pareva voler urlare tutte le grida del mondo, ma rimaneva straziantemente muta. I suoi occhi, stretti stretti, quasi chiusi, rovesciarono sulle sue guance lacrime incontenibili di dolore e disperazione. I suoi seni, schiacciati dallo schienale della sedia, divennero paonazzi; le labbra della sua vulva martoriata e infine il clitoride si erano gonfiati e inturgiditi a dismisura, assumendo un violaceo colore.
Soddisfatta, la direttrice slegò Evelyn, che sfinita, libera dai legacci, si afflosciò per terra sulla moquette.
Di ciò che accadde dopo, Evelyn non conservò nessun ricordo. Quando riprese coscienza, si trovava già nel suo letto, nella sua spartana stanza, che mai le erano parsi così accoglienti. Tuttavia, solo il peso delle leggere lenzuola sulla sua pelle infiammata le procurava ancora dolori e fastidi insopportabili. Vicino a lei, in attesa del suo risveglio, stava sorridente e piena di compassione Kathia, la compagna di stanza di Evelyn.
“Bentornata fra noi” le disse amorevole Kathia.
“Grazie” trovò appena la forza di dire Evelyn.
La bionda Kathia avvicinò un piatto dentro cui era stata servita la cena di Evelyn, e con dolcezza aiutò la sua amica ancora sfinita a mangiare, imboccandola amorevolmente come si fa con un bambino piccolo.
“Hai visto cosa ti succede a fare la ribelle? ” fece notare Kathia a Evelyn,
“lo sai che nessuna in questo collegio era mai stata punita così cruentemente prima di te? ”
Evelyn non aveva ancora la forza per rispondere. Si accontentava solo di ingoiare a piccoli bocconi quello che la sua compagna le offriva, ritrovando a poco a poco le proprie forze.
Terminata la cena, le due udirono il solito campanellino che annunciava la chiusura di tutte le luci, regola la cui infrazione era valsa a Evelyn la terribile punizione.
Kathia si infilò a sua volta sotto le lenzuola nel suo letto, e spense le luci.
Evelyn intanto tentava di darsi sollievo massaggiandosi le parti doloranti, convinta di dover passare la notte in bianco a causa del dolore.
Dopo alcuni minuti, nel buio più totale, Evelyn udì un fruscio di lenzuola. Pochi secondi dopo, le sue stesse lenzuola si sollevarono, e lei rimase stesa sul letto solo con la camicia da notte. Una mano delicata e leggera (Evelyn capì che si trattava di Kathia) le sollevò anche la camicia da notte, esponendo tutto il suo corpo per la seconda volta quel giorno alle sferzanti carezze dell’aria di aprile.
Quando infine la morbida e carezzevole lingua di Kathia cominciò a massaggiare con cura ogni cicatrice lasciata dalla canna dalla signora Highsmith, finalmente Evelyn trovò il riconforto che andava cercando. La saliva di Kathia ricoprì presto tutte le cicatrici violastre di Evelyn, che subito bruciavano insistentemente, ma poi si ammorbidivano e il dolore presto era lenito da quelle umide carezze.
Kathia non risparmiò alle sue cure nemmeno quel bottoncino di carne ancora gonfio nascosto nell’intimità più profonda di Evelyn, e la sua lingua dal tocco leggiadro ma deciso non tardò a far godere la sua compagna, che malgrado il suo sfinimento, sull’onda del piacere, inarcò la schiena, lasciandosi andare a tutte le deliziose sensazioni di dolore e di piacere di cui sembrava fatto tutto il suo corpo.
“Cosa posso fare ora per te? ” sussurrò Kathia.
“Accendi la luce” disse con un filo di voce Evelyn.
“Ma… lo sai benissimo cosa succederà se accendo la luce ora. Cosa succederà a tutte e due… ” notò Kathia.
“Sì” rispose laconica Evelyn.
“Temevo che tu mi chiedessi una cosa simile” rispose Kathia.
Il braccio di Kathia si allungò allora sopra al letto, alla ricerca dell’interruttore.
“Sei sicura di volere questo? ” si accertò Kathia.
“Sì, sono sicura” rispose infine Evelyn,
“e tu, sei sicura di volerlo fare? “.
Kathia non rispose più.
L’interruttore fece un breve “tic”, e la luce invase la stanza. FINE