Quella volta ero stato proprio stronzo! Dovevo riconoscerlo!
Ero sempre stato un po’ stronzo con i miei scherzi, ma quella volta avevo esagerato. Il mio amico-vittima ci aveva persino rimesso dei soldi per porre rimedio agli effetti di quel mio diabolico scherzo (anche se io non l’avevo previsto), e quando mi ero offerto di risarcirlo, lui mi aveva detto: – Questo è sicuro! Ma se credi di cavartela così ti sbagli! Vengo lì e te la faccio pagare, pezzo di merda!
Naturalmente pensai che mi aspettava una qualche vendetta. Al diavolo, se mi guardavo allo specchio mi vergognano per quello che avevo fatto. Mi meritavo una bella ripassata. Avrebbe dovuto darmele di santa ragione, e pure così avrebbe avuto diritto di sentirsi ancora incazzato.
C’era andata di mezzo persino Luana, la sua ragazza. Così, rassegnato a dover subire la sua ira, mi misi ad aspettarlo, sinceramente un po’ inquieto. Ma il senso di colpa era piuttosto forte, per cui da una parte vedevo il suo imminente sfogo come una liberazione. Forse dopo mi sarei sentito meglio. D’altronde che poteva farmi? Picchiarmi? Non era un violento, per cui, sicuro che i miei annessi e connessi erano in salvo, mi feci una doccia, per poi vestirmi e dispormi all’attesa.
Qui non vi dirò di che razza di scherzo si era trattato.
Non è importante.
Era pesante, questo è importante. Ma già sapevo che aldilà del mio pentimento iniziale, se più in là mi fossi visto nelle condizioni di poter replicare il numero colpendo qualcun altro, non avrei resistito alla tentazione.
Hector, così si chiama il mio amico, era di un paio d’anni più giovane di me. Di genitori francesi era nato e cresciuto in Italia. Era più alto e più grosso di me, e avevamo fatto amicizia subito. Io lo avevo aiutato ad affrontare lo shock iniziale dell’università facendolo ambientare nella casa dello studente, dove abitavamo e presentandogli delle persone con le quali fece amicizia.
Fra le quali la bella Luana.
Luana era sempre stata il mio amore segreto. è cretino parlare di amore segreto all’età di ventitré anni, lo so, ma non avevo mai avuto il coraggio di dichiararmi. In sua presenza la snobbavo un po’, ma quando non guardava io la occhieggiavo a lungo, e pensavo spesso a come sarebbe stato bello stare con lei, andare a letto insieme.
Pensieri un po’ banali, lo confesso. Ma su queste cose il discorso è sempre banale! I desideri sono sempre li stessi…
Avevo avuto altre ragazze, ma Luana era un punto di riferimento, un traguardo irraggiungibile. E mi piaceva, sotto sotto, vivere quella specie di segreto struggimento per lei. Le sue gambe fasciate di collant, perennemente esibite dalle sue innumerevoli minigonne avrebbero perso tutto il loro fascino se avessi potuto mettervi le mani sopra.
Hector, all’inizio stupidotto e impacciato, nel giro di qualche mese aveva subito una autentica metamorfosi, diventando il ragazzone sicuro di se era adesso. Era diventato un Fighetto, vale a dire una categoria che cordialmente disprezzo. Non era più imbarazzato dalla sua mole, anzi la esibiva. Ora camminava a testa alta, mentre quando l’avevo conosciuto teneva le spalle un po’ ingobbite. Sorrideva volentieri, e aveva sostituito le sue felpe deformi e i suoi jeans incredibilmente troppo larghi per uno della sua statura, con un nuovo look al quale teneva molto, e che aggiornava con attenzione. Era disinvolto e audace, e in poco tempo si era assicurato l’affetto di Luana.
Ora erano inseparabili, e io, sotto sotto, ardevo di una invidia che non aveva molte ragioni d’essere, a ben guardare. Avrei potuto corteggiare Luana, e non l’avevo fatto. Tutto qui. Ero stato coerente con i miei pensieri. Perchè recriminare?
Ma l’animo umano è una piovra, incontrollabile, e ora nutrivo quella forma di sottile, nascosta, perfida invidia che era probabilmente stata all’origine dello scherzo che gli avevo combinato.
Quando udì bussare alla porta andai ad aprire. Era Luana, con Hector dietro di lei. Luana non disse nulla, bella come sempre (anche lei più alta di me, indossava stivali, minigonna, calze nere, camicia nera di raso a maniche lunghe aperta su una dolcissima scollatura rosea), mi assestò uno schiaffo sonoro.
Io barcollai all’indietro, sorpreso dalla violenza di quella sberla. Mi aveva fatto male! D’accordo, me lo meritavo ma mettere le mani addosso… che cazzo! Odiavo che mi si mettessero le mani addosso, anche per scherzo. E se poi era una ragazza a permettersi…
– Hey! Ma che… – cominciai a dire. Fui interrotto.
– Non dire una parola, – fece Hector, entrando. Chiusero la porta.
– Ragazzi, mi dispiace… – cominciai io. Di nuoco non mi fecero concludere.
– Ti ho detto di non parlare! Ma lo sai che cazzo di stronzo che sei? Questa è l’ultima volta che mi combini un casino del genere! Quanto è vero Iddio ti faccio passare la voglia!
Da una parte mi sentivo irritato per essere trattato così male da lui davanti a Luana. Dall’altro lato mi sentivo un po’ ilare, come se sotto sotto trovassi comica quella loro furia (che stronzo! ).
– E levati quel sorriso da fesso dalla faccia! – urlò Hector, venendomi addosso. Solo ora, vedendolo da vicino, mi rendevo conto di quanto era incazzato. E cominciai ad averne abbastanza.
– Ora te lo facciamo noi uno scherzo, lo sai?
– Posso dire una cosa sola? – provai io.
– Hai un minuto – annunciò Hector.
– Mi dispiace. Se potessi tornare indietro non ti rifarei quello scherzo, giuro. E mi dispiace che ci sia andata di mezzo Luana. Non posso risarcirvi per questo, e avete tutto il diritto di essere incazzati ma…
– Tempo scaduto.
– Hey! Avevi detto un minuto.
– Si ma sembri un disco rotto. Luana…
La ragazza, bellissima amazzone, con rapide falcate mi fu davanti, mentre Hector mi afferrava le braccia portandomele dietro la schiena. Prima che avessi tempo di rendermi conto di quello che succedeva, mi ritrovai seduto sulla mia sedia girevole con le ruote, con Luana che mi fasciava i polsi di nastro adesivo da pacchi.
– Ma che volete fare? Oh, non facciamo scherzi! Ragazzi! Smettetela…
Le dita dolcissime di Luana mi infilarono in bocca qualcosa. Uno straccio, o un fazzoletto. Poi con rapidi e dolorosi giri di nastro mi fasciarono la testa, fino a sigillarmi le labbra, dalle narici al mento. Mi era impossibile muovere la mascella, con quella palla in bocca. Realizzai con ritardo che ero legato e imbavagliato! Era la prima volta in vita mia che mi trovavo legato e imbavagliato, e la sensazione non fu piacevole. Sopra a tutto c’era la vergogna che quello stava accadendomi sotto gli occhi della mia dolce Luana, la quale, peraltro, pareva divertirsi.
Continuarono a legarmi anche le caviglie, e poichè con un po’ di sforzo, avrei potuto alzarmi dalla sedia e saltellare via, utilizzarono altro nastro adesivo per bloccarmici su, fasciandomi strettamente le braccia e il petto, e bloccando il tutto allo schienale.
Quando ebbero finito ero legato talmente stretto che non riuscivo a muovere altro che le dita e il collo. Ero un tutt’uno con la sedia. Avevo i piedi legati alle aste sotto le quali erano montate le ruote. Non potevo muovermi in alcun modo.
Non avevo idea di cosa avessero in mente, e cominciavo ad avere paura. Non ero un esperto, ma sapevo che il nastro adesivo non è come una corda. Una corda si può sciogliere, se è una legatura è fatta male puoi anche arrivare a sfilare i polsi, ma il nastro adesivo non ha nodi. è un unico blocco, e non si può slegare. Si può solo tagliare. Per cui se avessero avuto intenzione di lasciarmi lì e andarsene, speravo si rendessero conto che non avrei in alcun modo potuto slegarmi da solo.
Ma come facevo a chiedergli che cosa avevano in mente?
Se fossi stato sicuro che dopo un tempo determinato mi avessero liberato, mi sarei lasciato legare docilmente, subendo la loro giusta ira. Ma se non si rendevano conto delle difficoltà che avrei avuto? Se dopo avermi legato se ne fossero semplicemente andati, lasciandomi lì? Un conto è una vendetta, che mi meritavo. Un conto era morire disidratato perchè nessuno è venuto a slegarti.
Da questi dubbi scaturiva la mia paura, e anche dalla determinazione con cui mi stavano bloccando. Si erano portati il nastro da casa, è evidente che avevano preparato tutto. Era logico chiedersi cosa avessero in mente.
– Mmmm! Mmmnghh! Mmmmphf! – facevo io dimenandomi. Oggi mi rendo conto che con tutto quel dimenarmi, dal momento che ero tanto preoccupato della figura di merda che stavo facendo davanti a Luana, non facevo che peggiorare la mia situazione. Fra l’altro ad ogni strattone il nastro mi torturava i polsi. E meno male che avevo indossato una camicia a maniche lunghe… il tessuto attenuava la morsa del nastro sulla pelle, ma faceva comunque male.
Mi dimenavo e mi dibattevo, e Luana ed Hector parevano divertirsi un modo a vedermi in quelle condizioni. Mi vergognavo, ma era nulla in confronto a quello che mi aspettava, e loro lo sapevano. Glielo leggevo in faccia.
– Che dici Luana?
– Bellissimo. – fece lei.
Poi, con mosse ostentate da troia, parlando nell’orecchio di Hector ma in modo che potessi sentire: – Stasera lo faccio a te, ti va?
– Abbiamo finito il nastro – fece Hector, palpandole una natica foderata di pelle nera, tonda e soda. Luana rise.
– Usiamo la corda. Poi potrai farlo tu a me.
Non capivo molto di quella surreale conversazione, anche se Luana non aveva mai fatto gran segreto delle sue piccole manie. Per quel poco che capivo l’idea di legare qualcuno le piaceva, e un paio di volte, in cui era un po’ brilla, si era lasciata sfuggire qualcosa a proposito del fatto che non le sarebbe dispiaciuto farsi legare al letto dal suo amante. Personalmente l’idea di Luana legata al letto mi eccitava, ma immagino che l’idea di legare la propria amante entusiasmi molti. Non avevo però mai indagato a fondo su queste miei oscure pulsioni, figurarsi quelle di Luana!
Vidi Hector prendere il mio blocchetto dei post-it e scrivere qualcosa. Poi staccò il foglio e lo passò a Luana, la quale me lo applicò sulla fronte, ridendo. Quello era troppo. Avevo sempre trovato intollerabile lo scherzo del bigliettino attaccato addosso a qualcuno. Persino io, nella mia cattiveria, me l’ero sempre risparmiato, quello scherzo là. E che cosa avevano scritto?
Ora ero furente. Scuotevo la testa, e mi sentivo il viso rosso e infuocato. Era vergogna, rabbia, umiliazione. Mi sarei alzato per strapparmi via quel bigliettino, ma non mi potevo muovere. Era tremendo. Non avevo mai sperimentato niente del genere. Minuto dopo minuto scoprivo la terrificante realtà di essere completamente immobilizzato alla mercé di qualcuno.
– Andiamo? – Fece Hector. Io pensai che volesse dire che ora andavano via. Scossi la testa: “non lasciatemi qui! ” volevo dire. Niente da fare. Parlare era impossibile.
– Guardalo, ha già capito! – risero. In realtà, come scoprii in seguito, non avevo capito nulla.
– Andiamo dai! – disse Luana. – Apri la porta.
Hector aprì la porta della mia stanza, e Luana prese a spingere la mia sedia. Solo allora mi resi conto, e ripresi a divincolarmi, stavolta con un vigore molto maggiore. Mi irrigidivo, mi allungavo sulla sedia, ululando, mugolando come un dannato. Mi stavano portando fuori dalla mia stanza! Chissà chi c’era in corridoio. Oh, era già abbastanza umiliante farmi vedere così da loro due. “Vi prego! ” invocai nella mia mente.
Si fermarono davanti all’ascensore. Se avessi avuto meno orgoglio mi sarei messo a piangere di frustrazione e di umiliazione.
Chiamarono l’ascensore, che per fortuna era vuoto, e mi ci spinsero dentro. Rigirarono la sedia, in modo che potessi guardare verso la porta.
Io continuavo a sbatacchiare, come colto da convulsioni. Sentivo la vergogna che mi mandava a fuoco il volto, e il sudore che mi gocciolava dalla fronte. Sperai che il post-it, a causa dell’umidità della pelle si staccasse, ma dovevano averlo attaccato su qualche ciocca di capelli, perchè non cadeva. Me lo vedevo come una macchia gialla pendere vicinissimo agli occhi, alla sommità del campo visivo.
– Arrivederci, burlone! – Mi salutarono. Luana mi spedì un bacio con la mano, e le porte si richiusero. L’ascensore cominciò a salire.
Ero solo. Legato e imbavagliato ed addobbato con quel post-it con scritto su chissà che cosa, dentro un ascensore che saliva.
Non capivo perchè trovavo quella situazione così profondamente umiliante. In fondo ero solo legato. Qualcuno mi avrebbe visto, certamente. Magari qualche anima santa mi avrebbe persino aiutato a slegarmi. Eppure mi vergognavo a morte, manco mi ci avessero legato nudo, su quella sedia. Strano a dirsi, ma era proprio così che mi sentivo. Nudo ed esposto. E avrei voluto essere ovunque, ma non lì.
Quando sentì delle voci, fuori dalla porta, avevo lo stomaco pieno di ghiaccio. Ma mi rendevo conto che quale che fosse la portata della mia vergogna (ormai simile alla paura, anche se non correvo rischi, a parte la figura di merda), ero pur sempre soltanto legato su una sedia.
Umiliante, ma sopportabile, con un po’ di buona volontà! Per cui cercai di assumere una posa dignitosa. In realtà ero sudato e spettinato, e respiravo concitatamente dal naso.
Le porte si aprirono, e fuori c’erano due ragazzi ed una ragazza. La ragazza la conoscevo di vista, una gnocchetta niente male che occhieggiavo spesso. Trasalì, quando mi vide.
Mi parve di vedere i punti interrogativi spuntare sulle teste dei ragazzi. Uno di loro fece: – Ma che… – poi si protese a leggere il post-it, e rise.
– Che c’è scritto? – chiese la ragazza, mentre i tre entravano.
– Dice: Non slegatemi. è solo una scommessa fra amici. Se mi slegate perdo.
– Bho. Io mi fermo al terzo! – fece la ragazza, mentre l’ascensore riprendeva a scendere.
– Bello scherzo del cazzo. – fece uno dei due ridendo.
– Lo facciamo anche a Mauro, domani? – disse l’altro. Risero tutti e tre.
La ragazza scese al terzo, e l’ascensore proseguì fino al piano terra. I ragazzi uscirono, salutandomi, e augurandomi buona fortuna. Non mi sembrava vero che non mi avessero slegato. Ma d’altronde non avrebbero potuto, senza delle forbici o un coltello.
L’ascensore rimase fermo per qualche minuto al piano terra, poi arrivò una coppietta. Lei non era granché, a dire il vero, ma stavolta fu il ragazzo a trasalire.
– Che razza di scherzo di merda! – fece lui, mentre l’ascensore saliva. Protese le mani per liberarmi, e la ragazza lo fermò. – Non vedi che c’è scritto? Lascia stare.
– Si! Vorrei vedere te. – rimbeccò lui.
– Ma pensa hai fatti tuoi! è solo uno scommessa fra amici. Magari si sta divertendo.
– Mmmm! Mmmngh! – feci io, scuotendo il capo.
– Vedi? – fece la ragazza. – Non vuole che lo sleghi. Andiamo, dai.
Salirono fino al nono piano. Il ragazzo guardava con evidente imbarazzo il pavimento. La ragazza mi guardava sorridendo. Io mi ero stancato di dimenarmi. Per quanto mi vergognassi non ne potevo più di sforzarmi di comunicare il mio disappunto per quella situazione, per cui, pur continuando a sudare di vergogna, me ne stavo buono buono, legato, a guardare il vuoto.
Scesero. Subito entrarono due ragazze, una mora, bellissima dallo sguardo penetrante, ed una bionda, meno bella ma ugualmente sensuale nel modo di muoversi. Anche loro le conoscevo di vista.
– Ma che ti hanno fatto? – mi chiese la mora. Pareva che nessuno facesse caso al bavaglio.
La bionda mi avrebbe slegato, ne ero sicuro. Mugolando cercai, con lo sguardo, di farle capire che desideravo la libertà, che non mi stavo divertendo. Probabilmente invece che uno sguardo supplichevole mi venne fuori una faccia da cretino.
– Che carino! – fece la bionda sorridendo.
– Mmmmngh! Mmmmphf! Mmmmpmmpfh! – scuotevo le braccia, per quanto possibile. Strattonavo lo scotch che non accennava minimamente a cedere. Ero disperato. La bionda, nella quale avevo riposto tante speranze, stava per scendere dall’ascensore senza avermi slegato!
Non erano italiane, e le sentivo bisbigliare in greco, e ridacchiare. Ogni tanto mi occhieggivano e indicavano. Era chiaro che parlavano di me.
Alla fine, come avevo previsto, le ragazze uscirono senza neppure prendersi il disturbo di salutarmi.
La sfortuna mi perseguitava, perchè era ancora più umiliante farsi vedere in quelle condizioni da ragazze, specie se belle, piuttosto che da ragazzi. Di loro me ne fregava poco, ma le donne… come potevo presentarmi in quelle condizioni davanti a delle donne? Fra l’altro erano tutte ragazze che conoscevo di vista (ero un grande estimatore di figa), e presumibilmente loro
conoscevano me.
Infatti scese le due ragazze, salì un figa stupenda, mulatta, che non si vedeva molto spesso, ma mi era rimasta nel cuore sin dalla prima volta. Era molto alta, capelli acconcianti in una miriade di treccioline nere, forse un po’ magrolina tutto sommato, e con una seconda abbondante di seno, ad occhio e croce, ma con un culo da favola. Indossava calze a rete e stivali con la zeppa talmente alta che quasi stonavano su una figura così longilinea. Fu l’accesso in ascensore di quella bellissima donna a causare una specie di curioso e inspiegabile mutamento.
Mi lanciò una occhiata sdegnata. Non lesse il bigliettino, e non accennò a slegarmi. Non mi guardò nemmeno. Entrò con sicurezza in ascensore, e mi diede le spalle.
Ed io mi accorsi che d’un tratto la mia scomoda posizione era diventa ancora più scomoda. Solo qualche secondo dopo mi accorsi di essere eccitato.
Le sue calze… i suoi polpacci perfetti, scuri che ammiccavano da sopra la linea degli stivali.
La gonna era nera, di stoffa elasticizzata e notai che non c’era la classica linea delle mutandine, a rilievo sulle rotondità ininterrotte delle sue meravigliose natiche. O non portava le mutande, ma mi sembrava assai improbabile, o aveva sù il perizoma. Il solo pensarlo dietro quella stoffa elasticizzata, infilato con grazia nello spacco del suo culo divino e color caffèlatte mi faceva girare la testa. Mi vennero pensieri strani, e cosa ancora più strana, li trovavo fottutamente eccitanti!
Mi vedevo legato dentro una camera da letto, completamente nudo. Imbavagliato con quella specie di bavaglio a palla che avevo visto in “Pulp Fiction”, e lei, vestita così com’era ora, con la sua gonna nera, i suoi stivali, ma con una camicia di seta con il colletto alzato, annodata sotto il seno, le spalle dritte e armoniose, che mi sovrastava brandendo una frusta.
Che mi prendeva? Non avevo mai avuto pensieri così. Eppure in quel momento avrei pagato per poter essere suo schiavo per una notte intera. Avrei fatto tutto per lei, qualunque cosa mi avesse chiesto.
Tutti questi pensieri mi volarono nella mente nel mezzo minuto che impiegò l’ascensore per arrivare al piano terra. Quando la ragazza scese, senza voltarsi e facendo risuonare i tacchi, provai un grandissimo vuoto. Ma quei pensieri, quelle immagini, persistettero nella mia mente, come rimane impressa nella retina il balenare verde di un flash sparato negli occhi. Ad un tratto non facevo più resistenza. Ero abbandonato sulla sedia, i polsi incrociati dietro lo schienale abbandonati e appesi nella morsa del nastro adesivo. Non strattonavo. Volevo solo rivedere quella bellissima donna.
L’ascensore rimase fermo ancora per un po’ e mi accorsi che la mia mente non smetteva di lavorare. Ad un tratto nella mia fantasia le donne erano diventate due. Una era la bellissima nera, l’altra la stupenda Luana. Erano in due ad infierire con crudeltà sulla mia persona, costretta da legacci impossibili, catene pesanti. Ed entrambe erano come quei bambini che si divertono a torturare un insetto, senza rendersi conto del dolore che gli procurano. Vedevo fruste, e segni di frusta sul mio corpo. E se le due ragazze mi offrivano uno spettacolo di indicibile sensualità, l’immagine di me stesso mi sconvolgeva. Mi vedevo, come ho già detto, incatenato e imbavagliato, ma anche eccitato, implorante, reverente. Baciavo i loro stivali, leccavo le loro mani (come facevo con il bavaglio? Bhà, scherzi della fantasia). E ad un certo punto vedevo Hector arrivare, a sua volta incatenato con le mani dietro la schiena, nudo, con una specie di collare, tenuto al guinzagli da Luana, e la mulatta diceva: – Inculalo!
Mi ridestai da quella fantasia come se mi riprendessi da un sogno, un po’ sudato. Che cosa cazzo ero andato a pensare. Ero legato in un ascensore ormai da quasi un’ora, solo, e andavo a fantasticare su simili stupidaggini? Inculalo? La sola idea mi faceva inorridire. Che umiliazione tremenda sarebbe stato essere sodomizzato davanti agli occhi divertiti di quelle due dee. Già era una situazione improponibile di per sè, figuriamoci al cospetto di due donne! Cercai di scacciare quel pensiero come si scaccia via un moscone insidioso. Ora c’era un nuovo sentimento che faceva da contrappunto a quel minestrone che provavo. A quel misto di umiliazione, sconcerto, rabbia, frustrazione, eccitazione (che ormai andava affievolendosi, a dire la verità, ora che la moretta era andata via), si aggiunse la paura. Come potevo trovare eccitanti quelle cose?
Le porte dell’ascensore si richiusero, ed io trasalì, strappato dalle mie elucubrazioni.
Evidentemente qualcuno stava chiamando l’ascensore dai piani alti. Pregai che non si trattasse si un’altra ragazza, perchè ora provavo anche l’assurda sensazione che quei pensieri, quelle fantasie, fossero in qualche modo leggibili sul mio volto, come il menù di un ristorante.
Invece l’ascensore si fermò al secondo piano, e le porte si aprirono sulla imponente figura di Hector.
Ringrazia il cielo. Ora sarei stato slegato, finalmente. Qualunque fossero i suoi propositi di vendetta, ora doveva pur ritenersi soddisfatto, o no?
Senza dire una parola mi condusse in camera mia, ma non accennò a slegarmi. Io mugolai, implorandolo con gli occhi. Luana era seduta a gambe accavallate sul mio letto. E teneva qualcosa in mano. Con orrore indicibile mi resi conto che era una delle lettere che avevo scritto a lei, nel mio romantico, platonico infatuamento, e che non le avevo mai fatto leggere.
– Senti questa! – fece Luana, ed iniziò a leggere ad alta voce.
“Cara Luana,
mi scuserai se mi rivolgo a te chiamandoti cara, ma non hai idea di quanto l’uso di questa parola mi riempia di gioia. Forse è arrivato il momento che io ti dica cosa provo per te. Se sconvolta? Spero di no. Non ho mai fatto mistero della mia attrazione nei tuoi confronti, anche se forse il mio carattere un po’ stronzo può avere travisato il senso di certi miei gesti. La verità è che io provo per te un sentimento molto intenso. Ma non temere… non oserei definirlo amore. Perchè non dire le cose come stanno”
– Qui c’è una parte cancellata! – si interruppe Luana. Ora ricordavo quale lettera fosse (era difficile distinguere perchè gliene avevo scritte una decina e cominciavano tutte nello stesso modo), e la mia disperazione aumentò. Avrei dovuto strappargliela dalle mani. Mi maledissi per avere conservato quelle lettere. Perchè non le avevo distrutte, perchè?
– Ecco, qui riprende: ” Non posso nasconderti la natura crudamente carnale della mia infatuazione. Io ti desidero con ogni fibra del mio essere, e senza mezzi termini. Ma penso che se questa mia attrazione dovesse trovare in te riscontro, la magia svanirebbe. Voglio vederti così, controluce, stupenda e irraggiungibile. Come un idolo. Nondimeno saprei renderti felice”.
Da questo punto in poi mi ero lanciato in una confessione a dir poco pornografica, tanto sapevo che non l’avrebbe mai letta. Come preso da un raptus di grafomania e di ispirazione mi ero lanciato in uno sfogo simile ad una eiaculazione.
“Ti leccherei le gambe, lentamente. Oh, non sai quanto lento saprei essere, risalendo le curve dolcissime della tua fisionomia, palmo a palmo. Gusterei ogni goccia del tuo essere succhiandotela direttamente dalla pelle, in una sua levigata perfezione. E tu sarai lì, distesa e bellissima.
Illuminata da un fuoco poco lontano, respirando talmente piano da sembrare una creatura che non ha bisogno di respirare. Un attimo prima di raggiungere il tuo sesso, cambierei obiettivo, aggredendo in dolci morsi di labbra”
– Mammamia! – fece Luana.
– Mi sto eccitando – mi derise Hector. – Brava la merda. Da una parte mi fai l’amico, dall’altra ti fai e seghe pensando alla mia ragazza. Bella merda. Bella merda. – E fui raggiunto da uno schiaffo. Non mi fece male, per niente. Primo perchè ero imbavagliato da tutto quel nastro, che attutì il colpo. Secondo perchè ero ormai del tutto insensibile. Avrei voluto essere morto. Mi sarei messo a piangere.
Ma la cosa più assurda era un’altra. Non era stato lo schiaffo di Hector, non era il fatto che Luana stesse deridendo cose che non avrei fatto leggere nemmeno al più intimo dei miei amici. La cosa più assurda era che avevo il cazzo duro. Ebbene sì, mi vergognavo di me stesso, ma dentro i jeans stretti che indossavo, costretto fra la gambe tenute attaccate da quel nastro adesivo, dopo essere stato legato, umiliato, schiaffeggiato, deriso, avevo il cazzo duro.
Ogni tanto, siccome non se ne parlava di guardarli in faccia, l’occhio mi cadeva sulle scarpe nere di Luana. Ebbene, sono sicuro che in quel momento (ma posso affermarlo solo ora, a distanza di tempo), se mi avessero chiesto in che modo avrebbe dovuto proseguire la mia umiliazione, avrei scelto che mi si lasciasse legato, se era questo che volevano, ma che mi si desse la possibilità di poter succhiare il tacco alto della sua scarpa. Oh, Luana! Quella stronza stava violentando il mio intimo in un modo animalesco, bestiale. Eppure non mi era mai sembrata così bella.
Ah, avrei avuto tempo, forse, in seguito, per tornare con i pensieri su quelle strane sensazioni.
Ma ora l’urgenza era un’altra. Vale a dire che mentre io pensavo a chiedermi come mai fossi sessualmente eccitato, pur in quella assurda situazione, Luana stava continuando a leggere la mia lettera per lei. Ora la descrizione era diventata molto meno poetica, e Luana, pur con visibile imbarazzo continuava a leggere. Hector sembrava allo stesso tempo furente e divertito.
Io non riuscivo a guardare nessuno dei due. Me ne stavo a testa bassa, inchiodato sulla sedia, ormai rassegnato a subire qualunque cosa. Cosa avrebbe potuto esserci di peggio?
Ebbene, scoprì che c’era.
Vidi Hector alzarsi di scatto dalla sedia sulla quale nel frattempo si doveva essere seduto (ma non ricordavo quando), e raggiungere la porta della mia stanza. Lo vide chiudere a chiave, poi accendere la luce, e dopo avere attraversato tutta la camera in tre falcate, chiudere gli scuri delle finestre.
– Stai per avere una lezione, testa di cazzo!
Luana mi stava guardando. Il suo sguardo era indecifrabile. Avrei voluto leggere pietà, in quello sguardo, ma non mi pareva che ce ne fosse. Eppure mi sembrava visibilmente toccata da quanto aveva letto.
Ma in che modo ne fosse stata toccata, bhè, questo non l’avrei saputo ancora per un bel pezzo.
Perchè avevo altro di cui preoccuparmi.
Ci tengo a spiegare una cosa, prima. Con il senno di poi, e alla luce di quel poco che vollero spiegarmi tempo dopo, capì che tutta quella era stata una messa in scena organizzata. C’erano stati degli imprevisti (come probabilmente la lettera, di cui non potevano sapere), ma per il resto tutto rientrava in una sorta di piano. Quello che fecero l’avevano già pensato, e se in quel momento lo avessi saputo forse sarebbe stato meno shockante.
– Ti piace, Luana! – mi chiese Hector, sedendole accanto. – Ti piace? Le sue gambe ti piacciono, vero?
Appoggiò una mano sulle sue cosce stupende, muscolose, fasciate di nylon nero. Lo vidi far scorrere le dita sulle sue cosce, fin dentro la minigonna. E Luana non guardava me, non guardava Hector. Non diceva una parola.
Se ne stava immobile, mentre quello stronzo la toccava in quel modo rude, con un mezzo sorriso sulla faccia. Sapevo che non correva alcun pericolo, che comunque era il suo ragazzo, e che Hector non era decisamente il tipo che poteva aver plagiato Luana fino al punto da costringerla al silenzio. Quindi Luana voleva che succedesse quello che stava succedendo. Ma io sentì scattare dentro di me un antico istinto di protezione, e mi ritrovai ancora più furente di quello che ero, tornando a martoriarmi i polsi nel tentativo patetico di liberarmi.
Ed ora si stavano baciando. Si baciavano con una foga che non conoscevo, passandosi le lingue sulle labbra e affondandosele in gola l’un l’altro, ognuno avido dell’altro. Le loro mani servivano a tenere ferma la testa dell’altro, mentre si schiacciavano l’uno il viso sul viso dell’altra. Luana ansimava, rossa in volto, e pareva già in preda ad un orgasmo. Ora Hector non aveva più nulla nei suoi gesti della rudezza di poco prima. Adesso c’era una dolcezza accesa da una passione della quale non ero mai stato spettatore diretto (sicuramente non in quelle condizioni).
Avrei voluto che smettessero. Avrei voluto che smettessero perchè sapevo che Luana era la donna di Hector, che era sua e sua soltanto, e che facevano senz’altro nella loro intimità quello che stavano facendo davanti a me. Ma per nulla al mondo avrei voluto essere lì a guardarli.
Eppure non riuscivo a staccare gli occhi.
In qualche modo Luana ora era priva della minigonna. Hector si stava togliendo la camicia, e fui colto dal terrore. Dio, volevano scopare lì davanti a me? No, questo no. Questo no!
– Mmmm! Mmmnnnn! Mmmgh! – cercavo di dire, frenetico, scosso. Mi scuotevo e mi dibattevo sulla sedia, agitando la testa con vigore. Avrei dovuto chiudere gli occhi, solo quello. Oh, se almeno mi avessero bendato! Perchè non riuscivo a chiudere gli occhi?
Vide Hector sfoderare un cazzo non molto lungo, ma decisamente grosso, con un glande rosso simile ad una pesca. Vidi con orrore le labbra piene di rossetto di Luana che vi si chiudevano attorno, avide. Vedevo i suoi movimenti, in un su e giù da film porno.
Il cazzo mi faceva male, ora. Proprio male. Rinchiuso laggiù era un tormento così eretto. Hector teneva la testa buttata indietro, una mano sulla testa di Luana. Ne guidava l’andamento.
– Dio! Sei una puttana… sei una puttana! – diceva Hector, ma sarebbe stato chiaro a chiunque che non lo pensava affatto. Avrebbe potuto essere una di quelle frasi che si dicono, perchè si sa che in quei momenti ci stanno bene. Sapete, quel codice segreto fra amanti.
Lei pompava con foga, e se ci fossi stato io al posto di Hector sarei già venuto da tempo.
Quando Hector estrasse il cazzo dalla bocca di Luana, lei aveva il rossetto un po’ in disordine (il che le conferiva una espressione indicibilmente eccitante! ), e tracce di rossetto erano rimaste anche alla base del cazzo di Hector.
Luana si girò, offrendo il culo a Hector (e a me), e vidi che Hector la costringeva a stendersi invece sul letto. In un attimo le fu sopra, e tenendole ferme le braccia le diceva nell’orecchio, con un tono chiaramente falsificato: – Eh, no! Lo sai cosa voglio.
Dopo qualche secondo Luana parve ricordarsi della battuta successiva: – No. No, ti prego. – e vidi Hector puntare la cappella sul buchino di Luana e cominciare ad affondare. Luana cominciò a lamentarsi, ed Hector le mise la mano sulla bocca. Ora era Luana a mugolare, come avevo mugolato io qualche minuto prima. Mugolava forte, rossa in volto, con una vena che le pulsava sulla tempia.
Poi Hector cominciò a penetrarla senza pietà, affondando quel cazzo tozzo dentro quel culo meraviglioso. La sodomia non era mai stata una delle mie cose preferite. Credo che la figa sia, in tutta franchezza, insostituibile. Ma aldilà delle reazioni di Luana, delle sue lamentele, del suo dimenarsi sotto il corpo gigantesco di Hector, dei suoi mugolii simili ad urla imbavagliate da thriller, leggevo, nella cedevolezza del suo ano, una lunga pratica.
Ed Hector fu dentro completamente, iniziando a muoversi di nuovo con dolcezza. E il dolore di Luana parve sciogliersi, perchè Hector le tolse la mano dalla bocca e lei non si lamentava più.
Aveva una piccola ruga sottile, bellissima, verticale fra le due sopracciglia. I denti stretti.
Eppure la sentì dire: – Rime… ah… rimettimi la ma-hano sulla bocca! Rimettimi la mano sulla bocca! Mi p FINE