Ho 28 anni, ho smesso di studiare da quasi 10 ma non ho avuto, finora, un lavoro fisso.
Ho fatto diversi concorsi: sempre tutto inutile. Finalmente all’inizio di quest’anno, grazie all’interessamento di parenti di mia madre sono stata assunta da un piccolo laboratorio di orafi.
è una azienda a conduzione famigliare: la madre, una donne energica e vigorosa di oltre 70 anni, vedova e tre figli:
Il più grande ha circa 40 anni, non sposato è l’orafo più esperto, quello che si occupa dei lavori più difficili. è un uomo molto alto robusto, con due mani enormi, sembra impossibile che con quelle riesca a fare gioelli piccoli e delicati.
Il fratello minore è un ragazzo di 30 anni, sposato da poco.
Quello di mezzo ha poco di più, anche lui è sposato ed ha un figlio.
I due fratelli più giovani si occupano più degli aspetti commerciali, vanno a prendere l’oro, portano i manufatti ai clienti.
La madre si occupa della contabilità e dirige tutto.
Quando fui assunta la signora mi spiegò che per ragioni di sicurezza alla fine della giorna, prima di uscire avrei dovuto passare nel suo ufficio, dove lei avrebbe controllato i miei indumenti per accertarsi che non vi fosse nascosto qualche prezioso: mi spiegò che avrei dovuto spogliarmi completamente, perchè con la precedente commessa avevano avuto una brutta sorpresa.
Io accettai senza problemi questa clausola, non scritta del contratto, che mi pareva più che logica, dato il tipo di lavoro, che consentirebbe di sottrarre qualunque piccolo oggetto prezioso con estrema facilità.
Inoltre la signora aveva un atteggiamente molto materno nei miei confronti, e quasi si scusava di dovermi proporre questo.
Iniziai a lavorare lì verso l’inizio di quest’anno, la signora alla fine della giornata mi faceva entrare nel suo ufficio e con molta delicatezza procedeva al controllo. Io mi abituai facilmente a questo aspetto insolito del lavoro e presto diventò un operazione routinaria alla quale non facevo più neanche caso.
Alla fine di giugno la Signora improvvisamente fu ricoverata in ospedale per una colica che richiese un intervento chirurgico in urgenza.
Il lavoro in laboratorio continuò regolarmente.
Per tutta la prima settimana di assenza della Signora nessuno si preoccupò di controllarmi all’uscita dal lavoro.
Dopo una decina di giorni che la signora era ricoverata si seppe che era fuori pericolo ed i figli, prima molto preoccupati per la salute della madre, apparvero molto più sollevati.
Il giorno successivo alla buona notizia, stavo uscendo al termine della giornata di lavoro, passai davanti all’ufficio della Signora, la porta era aperta e dentro seduto alla scrivania c’era il figlio più giovane che stava facendo dei conti.
Lo salutai, egli mi invitò ad entrare, e mi disse che doveva sostituire la madre in tutte le incombenze amministrative e quindi anche in quella di controllare me.
Mentre mi diceva questo aveva sul viso un sorriso che tradiva eccitazione ed impazienza.
Io, colta di sorpresa, rimasi interdetta ed esitante.
Lui mi disse che avevo capito bene: dovevo sottopormi al solito controllo previsto dal nostro accordo di lavoro, solo che anzichè sua madre a controllarmi , oggi , sarebbe stato lui.
Protestai e gli ricordai che sua madre aveva precisato che a controllare sarebbe stata Lei, e che mai nei mesi precedenti si era fatta sostituire dai figli le poche volte che non era venuta in ufficio o che per qualche ragione era uscita prima di me.
Lui non voleva sentire ragione, seduto dietro la scrivania continuava a ripetere che mi doveva controllare, quindi che mi sbrigassi.
Io risposi che non era nei patti e lo invitai a chiamare la madre al telefono per verificare quali erano gli accordi.
Lui fece una risata e disse che mai avrebbe disturbato la mamma in ospedale per una sciocchezza del genere.
Io ribadii che non si trattava affatto di una sciocchezza e che da lui non mi sarei mai fatta controllare.
Egli a questo punto prese da uno scaffale una cartellina intestata a mio nome dalla quale estrasse il contratto ed una lettera di dimissioni da me firmata al momento dell’assunzione: questo documento era stato voluto dalla Signora che mi aveva offerto in cambio di questo documento, che di fatto rendeva il mio contratto rescindibile in qualunque momento, un buon aumento sullo stipendio sindacale minimo.
Il significato del suo gesto era evidente: bastava che lui mettesse la data su quella lettera da me già firmata e sarei risultata immediatamente “dimessa”. Era un ricatto odioso.
Non riuscii a trattenere un accesso di pianto e gli gridai in faccia che il suo era un odioso ricatto.
Avevo alzato la voce, anzi avevo detto questo gridando: la mia voce alterata fece accorrere nell’ufficio gli altri due fratelli che furono rapidamente informati di quanto stava accadendo.
Entrambi dissero che il fratello più giovane aveva ragione, già avevano incautamente omesso i controlli nei dieci giorni precedenti, distratti dalla malattia della mamma, ma certamente non si poteva continuare così.
Mi dissero che se non mi andava più bene potevo da domani non venire più a lavorare, ma anche in quel caso quella sera non sarei uscita senza prima essere stata controllata : ormai ne facevano una questione di principio , ed il più giovane dei tre, quello che aveva preso la iniziativa, diceva che un così ostinato tentativo di sottrarmi al controllo era estremamente sospetto e faceva loro pensare che nascondessi qualcosa quindi il controllo doveva esserci, anche se fosse stato l’ultimo giorno di lavoro e sorridendo sarcasticamente aggiunse che sarebbe stato estremamente accurato.
Io ero davvero furibonda: il fatto che dubitassero di me, come dicevano, mi indignava, ed il fatto di farmi controllare da uno di loro mi sconvolgeva.
Rimasi in piedi al centro della stanza, piangente, mentre loro tre si erano seduti due sul divano che stava di fronte alla scrivania ed il più giovane alla scrivania e si erano accesi una sigaretta, come se fossero disposti ad una lunga attesa. Quando il più giovane dei tre fratelli, che mi pareva il più impaziente ebbe finito la sua sigaretta mi chiese se allora mi decidevo a spogliarmi o se dovevano farlo loro.
Io che per tutto il pomeriggio non ero andata in bagno sentii la necessità impellente di urinare e chiesi ai tre fratelli di poter andare in bagno.
Il più giovane mi disse che allora avevo proprio nascosto qualcosa ed andando al gabinetto avrei potuto facilmente sbarazzarmene, ma lui non era nato ieri e non ci sarebbe cascato, quindi prima il controllo poi avrei potuto andare dove volvo, io che mi sentivo di poter resistere non più di qualche minuto senza farmela addosso, richiesi di andare in bagno dicendo che era urgente, che non riuscivo a trattenere oltre la pipì e li implorai di lasciarmi andare al gabinetto.
Il fratello più anziano, si alzò, andò in laboratorio e dopo un attimo riomparve con in mano un grande catino d’argento me lo porse e disse che potevo fare tutta la pipì che volevo ma li, davanti a loro, senza allontanarmi, perchè in effetti il mio comportamento era molto sospetto, prima cercavo di sottrarmi al controllo dovuto poi chiedevo di andare in bagno con urgenza, sembravo proprio una che deve disfarsi del mal tolto.
Ero li in piedi con il prezioso bacile in mano e sentivo che stava per scapparmi la pipì.
Mi accovacciai a fianco della scrivania, in modo da non essere direttamente visibile ai loro occhi e feci una quantità immensa di pipì.
Loro assistevano impassibili.
Finito di urinare mi rialzai, tornai al centro della stanza: mi tolsi il camice e lo porsi al più vecchio dei tre che cominciò ad esaminarlo accuratamente svutando le tasche poi esaminando accuratamente gli orli, mi sentivo quasi svenire, il cuore batteva forte forte me lo sentivo in gola.
Il più vecchio dei fratelli posò il camice sulla scrivania e porse verso di me la mano destra in attesa del prossimo indumento.
Sotto il camice da lavoro indossavo una maglietta bianca di cotone e dei calzoni anch’essi bianchi: chiusi gli occhi sforzandomi di immaginare che davanti a me ci fosse la vecchia signora invece dei suoi tre figli: con gli occhi chiusi mi tolsi la maglietta e gliela porsi, lui la controllò velocemente e la posò sulla scrivania con il camice, e tornò a porgere la sua mano in attesa di un nuovo indumento.
Io non sapevo cosa togliermi se il reggiseno o i calzoni, dopo qualche incertezza scelsi questi ultimi, li levai e gleli diedi.
Li controllò accuratissimamente tasca dopo tasca risvolti orli e posò anche questi sulla scrivania.
Quindi tornò a porgere la sua mano verso di me in attesa del reggiseno che gli porsi con la mano sinistra che non ostante cercassi di controllare tremava vistosamente.
Il fratello anziano prese il reggiseno e lo posò sulla scrivania senza quasi guardarlo così fece anche con le mutandine.
Adesso ero nuda in mezzo all’ufficio in attesa che i tre, constatato che non avevo nascosto nulla se ne andassero e mi consentissero di rivestirmi, la signora faceva sempre così.
Passarono due o tre minuti che a me parvero molti di più, non mi dicevano nulla, allora aprii gli occhi e chiesi se potevo riprendere i miei abiti ed andarmene: “solo un momento”disse il più vecchio, io notai che nell’ufficio erano rimasti solo i due fratelli più vecchi il più giovane era sparito, poichè io tenevo gli occhi chiusi non mi ero accorta che era uscito.
Mi sentii sollevata perchè era il più antipatico e quello che aveva iniziato tutta la faccenda.
Mi stupiva il fatto che se ne fosse andato proprio lui che sembrava il più interessato al controllo.
Dopo qualche attimo la porta che separa l’ufficio dal laboratorio si aprì: entrò il fratello più giovane: teneva in mano un guanto di gomma di quelli bianchi da chirurgo che usano per proteggersi le mani quando lavorano i metalli con sostanze tossiche e nell’altra mano un barattolo contenente del grasso. I due fratelli più vecchi si erano seduti sul divano, uno accanto all’altro. Il fratello più giovane venne avanti, si diresse verso la scrivania, io era li nuda in piedi fra il divano sul quale erano seduti i due fratelli più vecchi e la scrivania, quasi senza accorgermene mi ero voltata verso la scrivania per seguire i suoi movimenti dei quali ancora non mi era chiaro il senso.
Il fratello giovane con molta calma e lentezza si pose davanti alla scrivania, vi posò sopra il barattolo di grasso, vidi che dopo aver posato il barattolo di grasso sulla scrivania si era voltato verso di me, mi era di fronte ad un metro circa di distanza. Mi guardava negli occhi e sorrideva: lentamente si infilò il guanto nella mano destra poi con la sinistra prese il barattolo di grasso e vi infilò il dito indice della mano destra sulla quale aveva indossato il guanto, quando ebbe terminato la lubrificazione dell’indice destro posò di nuovo il barattolo sulla scrivania , quindi rivolto ai fratelli che stavano seduti dietro di me disse loro di seguire attentamente e di imparare: quindi rivolgendosi a me mi disse di girami verso i due fratelli, lo feci dando a lui le spalle: sentivo che le gambe mi tremavano ed il cuore mi batteva forte: vidi le facce dei due fratelli seduti sul divano molto rosse con gli occhi fissi. Il giovane che mi stava adesso dietro, mi disse di divaricare bene le gambe, eseguii, poi egli mi disse di chinarmi in avanti fino ad appoggiare le mani davanti ai piedi, lo feci ma nell’assumere quella posizione barcollai leggermente ma appoggiando le mani davanti ai piedi recuperai l’equilibrio, lui per sorreggermi mi passò la sua mano sinistra attorno al mio fianco sinistro posando il suo palmo aperto sul mio ventre all’altezza dell’ombelico, dopo avermi bloccata in quella posizione senza alcun preavviso introdusse repentinamente e molto profondamente il suo dito indice, prima accuratamente lubrificato, nel mio ano. Non avevo mai sperimentato una sensazione del genere e se non mi avesse trattenuto con la sua mano sinistra sarei probabilmente caduta in ginocchio, più per l’emozione, la vergogna e la rabbia che per il dolore che in verità fu molto modesto grazie alla accurata lubrificazione. Egli indugiò a lungo spiegando ai fratelli che quello era un nascondiglio ideale per perle, pietre preziose o altri oggetti da rubare, e mentre parlava muoveva il dito esploratore dentro di me, mentre con le altre dita rimaste fuori mi stimolava sapientemente.
Poi terminata la esplorazione, invito il fratello più vecchio a completare l’opera cercando se nascondevo qualcosa nell’altro nascondiglio.
Il fratello maggiore mi disse di fare un passo avanti e di rialzarmi, mi rimise dritta, ero tutta tremante e confusa per l’inaspettato trattamento che mi aveva procurato sensazioni sconosciute.
Il fratello maggiore restando seduto sul divano mi passò la sua mano sinistra attorno al fianco destro e con questa mi fece andare ancora avanti in modo che la sua gamba destra fosse inserita fra le mie moderatamente divaricate. Essendo il divano sul quale erano seduti molto basso ed essendo io piuttosto alta il suo viso era all’altezza del mio ventre.
Sempre tenendomi fermo il fianco destro con la sua sinistra, portò la sua mano destra in mezzo alle mie gambe cercò a tentoni poi quando trovò la strada infilò il suo enorme dito dentro di me.
Non provai dolore ma i accorsi che ero fradicia, lui se ne accorse, ne fu sorpreso e compiaciuto al tempo stesso ed indugiò a lungo finche i due fratelli gli dissero che aveva fatto un buon lavoro, che non nascondevo nulla e che potevo andare.
La notte non chiusi occhio ed il giorno dopo mi presentai puntuale al lavoro.
FINE