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Una prova

La porta era chiusa.
La porta lungo quel coridoio lungo, anonimo, di quel palazzone moderno, che metteva tristezza.
Un posto che se entri ti mette desolazione.
-Farò bene ad entrare? fece le spallucce, bussò.
-Avanti!
Era una voce femminile.
Monica aprì la porta.
Era una piccola stanza, arredata con mobilio semplice.
Un tavolo, quattro sedie, dietro una libreria.
Sulla sinistra una porta che dava a un’altra stanza.
Dentro una donna ben fatta, con i capelli lunghi, mora.
Sui quarant’anni, non grassa ma con le curve giuste.
Guardò Monica.
-Desidera?
-Mi ha dato questo indirizzo Circo.
Circo era il suo contatto su Internet. Con lui aveva parlato delle sue voglie, del desiderio di provare un’esperienza di asservimento totale, della sua inesperienza.
della sua decisione.
La donna la guardò più attentamente.
-Ho capito, adesso. Di solito e donne vengono qui accompagnate. Da un padrone.
Monica sentì una fitta al ventre.
-Io sono sola.
-Vedo. Non so se la potrò accontentare. Noi cerchiamo di esaudire tutti, ma lei capirà, i giornalisti, i curiosi,
dobbiamo difendere la nostra privacy.
Monica annuì.
-Mi aiuti. Cosa posso fare per conquistare la sua fiducia?
-Semplice. Esca da qui e vada nelle cantine con l’ascensore.
Si guardi, troverà quello che le interessa.
Monica annuì. ringraziò e uscì.
“è naturale che mi vogliano mettere alla prova. ”
Prese l’ascensore e scese nelle cantine. erano tante, pareva un labirinto e provava un filo di paura.
-Monica!
La voce veniva da dietro l’angolo. Si diresse lì.
-ciao Monica!
Chi le parlava era un nero molto alto. Uno di tre. Ebbe paura.
-Vieni qui, Monica.
Era arrivata. Se si avvicinava era fatta. Si avvicinò.
La mano del nero le brancicò una tetta.
-Bella Monica!
Gli altri ridevano. Lasciò fare.
le sollevò il maglione, aprì la camicetta facendole saltare i bottoni. Le strappò il reggiseno. Gli altri due si erano tirati l’uccello fuori dai pantaloni e se lo toccavano.
-Fatti vedere ai miei amici, Monica!
L’aveva spinta verso di loro, che cominciarono a palparle le tette. Lui intanto, era arrivato alla vagina. Le aveva sollevato la gonna e infilato la mano tra le mutande.
L’unica cosa che aveva fatto Monica era stata quella di allargare le gambe.
Le piaceva restare passiva.
– è bagnata la cagna!
Non era vero, ma non disse nulla. Se questo li faceva divertire andava bene così.

I due le avevano messo l’uccello vicino alla bocca. Le arrivò una forte sberla in faccia.
-Apri e succhia vacca!
Obbedì. La puzza di quei corpi era tremenda. Di indumenti sporchi, di sudore, di uccelli non lavati da chissà quanto tempo, e con avanzi di sperma e di piscia.
Prese in bocca quello più vicino. Sentì i suoi capezzoli tirati e strattonati.
Sentì il cazzo dell’altro, quello che l’aveva esposta agli amici, che le entrava nella vagina. Allargò le gambe.
Non ci mise molto a venirle dentro.
Pure l’altro le riempì la bocca di sperma. Mandò giù tutto poi pulì con la lingua l’uccello.
Il terzo era già nella vagina e le palpava le tette.
-è larga, chissà quanti ne ha presi!
Allargò ancora di più le gambe.
Era finita.
Il capo la fece rialzare e la palpò tutta.
-Sei una troia. Lo si sente da come fai.
La portò in una piccola cantina male illuminata. In terra un materasso sporco.
-Chiama gli altri, è tanto che hanno fame.
Risero tutti e tre.
Non era finita.
Sentì delle voci fuori. Il capo parlava ad alta voce, per farsi sentire anche da lei.
– Potete fottere una bianca fino a scaricarvi i coglioni. è una troia. Poi la mandiamo a battere, ma deve imparare a obbedire. Trattatela male, godetevela.
Se ne avete voglia e volete farlo ancora rimettetevi in fila. Se rompe picchiatela, ve lo dico io.
Il primo che entrò non la guardò nemmeno. le mise l’uccello nella vagina e si scaricò subito. Era basso di statura. Il secondo, un quarantene con la pancetta, la guardò un pochino. Lei stava a gambe larghe, con le mani dietro la nuca, offerta a chi la voleva.
L’uomo le sputò in faccia e le diede un fazzoletto.
-Pulisciti troia!
Monica annuì. Si tolse con il fazzoletto lo sperma che usciva dalla figa e mise il fazzoletto a lato, per le prossime volte.
-Va bene così?
-Signore!
-Va bene così, Signore?
L’uomo le sputò ancora in faccia e la chiavò, con disprezzo.
Quando ebe finito a Monica venne spontaneo dirgli:
-Grazie, Signore.
Stava entrando nella parte.
Gli altri la usarono come si usa una fogna.
Si coricavano su di lei e fottevano.
Per fare più presto mentre uno chiavava gli altri la palpavano, e si sostituivano subito a chi si alzava.
Tutti però pretendevano che si pulisse la figa e dicesse:
“grazie signore”.
Li eccitava.
Lei stava con le gambe larghe, l’unica mossa era quella di pulirsi la vagina sporca di sperma e rimettere la mano dietro la nuca.
Alla fine rimasero solo i tre. soddisfatti.
Le vennero ancora tutti e tre in bocca, e li pulì accuratamente.
Poi il capo le mise all’orecchio un telefonino.
-Non sei una giornalista, bene!
Era la donna che avesse incontrato che le parlava.
Torna a casa, ti chiameremo noi.
Monica annuì.
Si rivestì.
Lasciò lì mutande e reggiseno.
-Devi abituarti a vestirti per quello che sei!
Prese l’autobus e tornò a casa. FINE

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