Tutto di me anelava la tua presenza, le tue mani leggere, sapienti.
Ogni tuo arrivo era un treno in corsa dentro di me, che si fermava sopra sui tuoi seni, sulle tue labbra.
Ci sedevamo sul letto, mettevo un CD tranquillo, e restavamo un po’ a parlare, scrutandoci, studiandoci.
Niente era definito, ma l’aria si elettrizzava, il magnetismo tra noi era palpabile.
Poi io mi sdraiavo, mani dietro la nuca, continuando a chiacchierare.
Tu dopo attimi infiniti ti sdraiavi accanto a me, poi nell’impeto di un discorso galeotto alzavo il busto verso di te, e accadeva il destino.
Due bocche avvinghiate, rabbiose, disperate, lingue saettanti che uniscono gli umori, fiati torridi che si respirano congiunti.
E il tuo corpo, che
Dio mi perdoni, era il vero senso del creato, così sodo e carnoso, pieno della voglia di darsi, di essere altro da sè.
Eri così, incollata a me, che cominciavo ad ansimare, ad eccitarmi, e così anche tu.
Con le mani ti sfioravo la schiena, poi più giù verso il sedere tornito, lungo lo spacco, e poi ancora su, in attimi interminabili di brividi e languori.
Poi ti prendevo di peso, ti mettevo sopra di me, ti allargavo le gambe e cominciavamo a strusciarci, sempre più torbidi, voluttuosi,
ll tuo bacino prendeva a muoversi ritmicamente come posseduto dal demone del sesso, e dentro i calzoni il mio membro scoppiava.
Poi, mentre con la lingua ripulivi la mia faccia dalle frustrazioni del giorno, mi slacciavi la lampo, e usciva fuori trionfante il centro dei pensieri di tutti. Lo prendevi in mano, ti muovevi, io mi inarcavo, ansimando.
Stavo per venire quando, immancabilmente ti fermavi.
Ti alzavi in piedi, fissandomi.
Ti spogliavi. Nuda.
La tua fica era splendida, pelosa, il centro del mondo e la sua origine bagnata, quanto tu eri dolce tanto lei era possessiva, sconcia, fremente.
Ti sedevi proprio sopra di me, per sentirmi tutto dentro, per sentirti finalmente oggetto del mio desiderio, accogliente rifugio dei miei sogni notturni di animale maschio.
E cominciavi a danzare, non trovo un altro termine adeguato.
Danzavi sul mio cazzo, su e giù , giù e su, e bagnavi sempre di più la capiente fessura che mi ospitava. Io infilavo le mani sotto il tuo maglione, toglievo l’ormai inutile reggiseno, e ti stringevo entrambi i seni, grandi, densi, dai larghi capezzoli che terminavano con la rigida punta.
Che stropicciavo, stringevo, nell’impeto del coito, dell’atto d’amore eterno ridotto ormai a una monta, un accoppiamento ferino.
E quello che mi dicevi… le parole più oscene, che neanch’io immaginavo nelle mie solitarie seghe.
Ti confessavi troia, la mia cagna, ti aprivi ai tuoi desideri erotici, comuni ad ogni ragazza, di essere nient’altro che merce, oggetto di violente scopate dal primo che capitava.
E io ti scopavo, sissignore, ti tiravo verso di me, mentre con una mano cercavo il tuo buchetto di dietro, in cui infilavo un dito, due dita.
Che dolore, perchè mi fai male dicevi.
Perchè sei troppo bella, mi devo vendicare contro la natura, contro questi ormoni impazziti, che devastano ogni cosa, anche questo letto sfatto.
E ti toglievo di peso dal mio cazzo, che rimaneva eretto, ancora rosso e vibrante, fradicio.
Allora ti inchinavi, coi grossi seni penzoloni come una vacca, lo prendevi in bocca mentre con la mano mi toccavi, veloce frenetica dai su e giù così…. e venivo, oh Dio, venivo per ore, così credevo, ti scaricavo sulle labbra altrimenti sacre litri di sborra calda, vischiosa.
Un vero schifo, e questo schifo ingoiavi, leccavi avidamente , sporcami mi sospiravi, ti spalmavi tutto il liquame sul seno, eri mia, un animale in calore, libera per alcuni istanti preziosi dal clichè che questo cattolico mondo di merda vi ha imposto.
Godevi, si, alla fine godevi proprio come me, come una cavalla, una mucca, un’asina, una cagna.
Una Troia.
Godevi mentre la tua anima aspettava disgustata in un cantuccio.
Eri mia.
Ora passo le notti a pensarti, a toccarmi al ricordo di te.
Era un grande amore, finito ormai.
Ma so che ancora qualcosa ci lega.
Anche tu lo sai. FINE