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Frutta & Amore

Non la conosco.
Non so il suo nome né da dove venga.
Eppure non abbandona la mia mente, neppure per un istante.
Ogni giorno la vedo, ma lei sembra neanche sapere che esisto.
L’aria è profumata di primavera.
Si sente quasi l’odore dell’erba appena tagliata.
Un odore che mi ricorda l’infanzia.
Quando dietro casa giocavo sui prati appena rasati.
Chissà dove ha trascorso l’infanzia.
All’angolo della via hanno aperto una gelateria.
Ci andiamo spesso, con glia amici, il gelato è buono.
Adoro quello con la frutta.
Quello con le fragole. Amo le fragole.
Mi piace morderle gentilmente per romperle a metà.
Poi guardarle. Hanno la forma del tempio femminile.
Il succo che cola lungo il centro ricorda gli umori del desiderio.
La parte centrale, dove il colore è meno intenso, ricorda le labbra della vita. Chissà se a lei piacciono le fragole.
Spero di incontrarla un giorno.
Di portela fermare. Di conoscere il suo nome.
È alta, forse troppo. Il corpo magro, affusolato.
I capelli rossi come il tramonto le scendono sulle spalle.
Il viso sembra di quelli senza passato. Senza futuro. Immortale.
È primavera. Indossa gonne aderenti.
Quelle che disegnano i sogni. Il seno è proporzionato.
Non è piccolo, non è enorme.
Di quelli che resteresti a baciare per tutta la notte.
Le notti d’estate.
Quando il caldo è mitigato da una leggera brezza.
Quando il vino sposa la polpa delle pesche.
Le adoro con il vino rosso.
Mi piace addentare la polpa soda e vellutata delle pesche.
Mi piace sentirla sulle labbra. Mi piace succhiarla.
Come il seno di una donna. Come il suo seno.
La vedo quasi sempre da lontano.
Mentre il suo passo leggero disegna traiettorie rotonde sul selciato.
Ieri non sapevo chi fosse. Neppure oggi lo so.
Quando la incrocio abbasso lo sguardo. Non per timidezza.
Adoro le sue caviglie.
Mi piace guardare l’angolo che formano, seguire quel pendio che distrattamente precipita dentro una scarpa in pelle scura.
Strano, ora che ci penso indossa sempre scarpe scure.
Solo una volte ne ho catturato lo sguardo.
Gli occhi grandi e verdi. Il verde del mare.
A casa ho preso un kiwi.
L’ho sbucciato con cura. Come se stessi spogliando una donna.
La sua polpa fibrosa, il suo gusto che pizzica il palato.
L’ho baciato.
Come se baciassi lei.
Poi l’ho guardato.
Lo guardato ad occhi chiuso, vedendolo con le mani.
A volte indossa pantaloni. Di quelli stretti.
Fasciano le sue gambe come una pelle.
Le gambe sono lunghe.
Obelischi innalzati al cielo.
Vorrei percorrerle come in estate si percorre una strada tra i boschi.
Con i finestrini abbassati.
Vorrei respirarne la fragranza.
Come respiriamo gli odori del bosco.
Guardo una ciliegia.
Tenera miniatura del suo rotondo sedere.
Poggio le mie labbra sul frutto.
Le mie labbra toccano la sua pelle di rosa.
Mangio la ciliegia a piccoli morsi. Dieci, cento, mille.
La mangio come se stessi mordicchiando le sue carni.
Adoro il suo sedere. Profuma di ciliegia.
Ma non la conosco.
Qualche volta mi siedo sulla panchina vicina al suo portone.
Aspetto di vederla.
Chiudo gli occhi e aspetto. La sento.
Avverto le vibrazioni che trasmette. Ne sento il profumo.
Tengo gli occhi chiusi, allungando quel piacere strano del rischio.
Il rischio di attendere troppo e non vederla.
La seguo con lo sguardo. Seguo il suo profilo.
L’altra notte ho giocato con le prugne.
Le addentavo e ne succhiavo il succo.
Con la lingua raccoglievo le gocce abbondanti che la polpa seviziata dal morso rilasciava.
Sentivo il suo profumo. Lo immaginavo.
Era come se la mia lingua percorresse la sua infinità.
Come se bevessi il suo piacere.
Ho preso un’altra prugna.
Con un coltello ne ho tagliato uno spicchio.
Piccolo, in modo che potessi solo insinuare la mia lingua. Sono andato alla finestra. Da dove posso vedere la sua.
Sperando di rubarle un momento.
Nell’attesa la mia lingua si insinua nel frutto che tengo in mano.
Sto leccando lei. Sto leccando il frutto. Un solo istante.
Si affaccia alla finestra. La vedo tendere il collo come catturata da un rumore.
Affondo la lingua nel frutto. Affondo la lingua in lei.
Rientra. In tempo perché io ne possa bere il piacere. Qui indisturbato.
Mentre la penso distesa su un letto di nuvole.
Appena coperta da un velo di petali.
Io la prendo piano, come fosse prezioso cristallo. Le sollevo appena il bacino, giusto quel poco.
Entro con la mia lingua nei suoi segreti.
Il tremito del suo piacere ricorda il fruscio delle foglie carezzate dal vento prima di un temporale.
La prugna è tutta nella mia bocca.
Ammorbidita dalla mia lingua e dal suo piacere. Insisto, fino a quando non c’è più polpa.
Solo il nocciolo. Fino a quando sento il gemito del suo profondo.
Succhio il nocciolo, come fosse la sua clitoride.
Lo succhio fino a quando mi duole la mascella, fino a quando la lingua sfinita non si abbandona nella bocca.
Oggi. Già il gran giorno.
Le ho scritto un biglietto. Anonimo.
L’ho invitata a prendere un gelato.
Lei non mi conosce. Io non conosco il suo nome.
Non sa neppure come riconoscermi.
Se verrà dovrò trovare la forza di rompere le catene che mi rinchiudono nel mio silenzio.
Le ho scritto una poesia.

“il sapore vellutato del profumo di primavera,
così spesso ed intenso da vivere a lungo.
È quello che respiro ogni volta che la tua vita incrocia la mia.
Vedo il tuo corpo galleggiare tra le nuvole della mia mente.
Ed il tuo sorriso aprire i cancelli delle mie illusioni.
Vorrei baciare i tuoi sogni, carezzare le tue paure, respirare i tuoi sospiri.
Ti offro il sogno in cambio del tempo, la luna in cambio del sogno me stesso in cambio del sogno… ”

Poi ho avvolto la poesia ed il biglietto in attorno al gambo di una rosa.
La più lunga che ho trovato.
Ad una ad una ho tolte le spine più grosse.
Come se stessi togliendo i suoi abiti.
Con i denti ho staccato la punta alle spine rimaste.
Così che non si ferisse.
Ho lasciato la rosa sul suo zerbino.
Chiusa in una scatola di plastica trasparente.
Che ne contenesse il profumo per regalarglielo in una intensa vampata.
Come un orgasmo improvviso.
Chissà se verrà. Io sono qui. Seduto ad un tavolo.
Aspetto che la mia vita riconquisti un senso nuovo.
La vedo dal fondo del viale.
Il mio cuore sale alla gola. Il mio respiro si infrange ad ogni suo passo.
Si avvicina.
Indossa una gonna elegante, di quelle appena sopra il ginocchio.
Adoro le sue ginocchia.
Vorrei carezzarle piano con un dito, fino a sentire il suo invito a salire
Ad abbandonare quella pelle per incontrare il suo desiderio.
Sopra la camicia appena scollata indossa una giacca leggera in renna.
Morbida, come la sua pelle.
È ad un metro da me, si siede ad un tavolo vicino.
Non sembra impaziente. È calma.
Come calmo è il conquistatore dopo una battaglia vinta.
Incrociando le gambe mi concede un tratto della sua coscia appena abbronzata.
I miei occhi si perdono nella risalita fino all’orlo della gonna.
Vorrei vedere di più.
Vorrei vedere il colore della sua fragola nascosta.
Forse devo fare qualche cosa. Rimango immobile.
Assorbito dal desiderio di toccarla con la mente. Ordina un gelato.
Lei un banana split. Io fragole e panna.
Rimane in silenzio, le capita di incrociare il mio sguardo.
Non riesco a sostenerlo che per il tempo di un respiro.
Le sue labbra, carnose ma non grosse, sono socchiuse.
L’aria che vi penetra lo fa con dolcezza. Vorrei essere aria.
Accoglie con un sorriso il cameriere.
Ammira la scultura che le hanno servito.
Inebetito pronuncio un grazie al uomo con la giacca bianca.
Ma in realtà non ho detto nulla.
Con malizia ed eleganza raccoglie un poco di panna con il dito.
Se la porta alla bocca e vedo quel dito scomparire e riapparire.
Ripete il gesto più volte. Lentamente.
Non sembra accorgersi del mio osservare.
Rimango sospeso nell’oblio del mio desiderio. Restituisco la malizia.
Prendo una fragola tra le dita e raccolgo con essa un ricciolo di panna.
Prima succhio la panna.
Prima di mordere gentilmente la sua carne.
Prima di vedere la fragola martoriata dal mio morso.
È un gioco. Crudele.
La mia eccitazione sale.
Dopo avere gustato tutta la panna con le dita si serve del cucchiaio per concedersi il piacere del gelato. Cioccolata.
Si porta il cucchiaio alla bocca.
Chiude le labbra e piano se lo fa scivolare fuori.
Continua fin quando non c’è più gelato sul cucchiaio.
Lo consuma piano.
Io immagino la sua lingua mentre tiene premuto il cucchiaio contro il palato. Vorrei essere cucchiaio.
Vorrei essere gelato consumato da lei.
I suoi gesti lenti mi uccidono.
Vorrei alzarmi ed afferrarle la testa.
Riempirmi la bocca di gelato ed usare la mia lingua come cucchiaio.
Addento la fragola. L’ultima.
Lo faccio piano. Che lei veda.
Ammiro il frutto. Raccolgo il succo con la lingua.
Lei si china sul tavolino.
Con le labbra cattura la punta della banana.
Siamo uguali. Siamo diversi.
Lei avida del suo gelato. Io avido di lei.
Non mangia la banana. Ne strappa piccoli pezzi con la pressione delle labbra.
Come fosse la mia carne che si lacera dentro il suo piacere.
Non mangio la fragola, ne succhio l’essenza.
Come se fosse la sua fessura, calda e profumata.
Sono troppo eccitato.
Devo distogliere la mente e lo sguardo.
Ma lei continua, come se non esistessi.
Come se il mio mondo ed il suo fossero su orbite distanti.
Improvvisamente un tuono.
Potente come un urlo di battaglia.
Violento al punto di far vibrare la vetrata del negozio.
Solo allora mi accorgo che siamo soli nel locale.
Il mio progetto di essere clandestino si infrange sul sorriso di lei.
Non sorride, ride di me. Lo sento.
Sento il cuore stretto in una morsa.
Ho perso la sicurezza di chi conduce il gioco e mi scopro burattino.
È lei il mio burattinaio.
Si alza e si avvicina. Ogni suo passo una pugnalata.
È di fronte a me, in piedi.
Generale che ha vinto la battaglia.
Come un giudice prima di emettere la sentenza.
“ciao, mi chiamo Federica…. ”
La sua voce, per la prima volta sento la sua voce, più forte del tuono
“cia… ciao… io… io mi chiamo Roberto.. ” quasi balbetto, mi sento privo di forze, abbandonato nella tempesta.
“grazie per la rosa e per la… poesia, molto dolce” chiaro che aveva capito tutto, la sua voce dolce ma sicura mi scuote
“ma.. io cioè credo che… non penso di… ” non oso dirle la verità, non oso mentirle.
Ride, con contegno, come ad una storiella di quelle giusto simpatiche.
Entro nel suo sorriso per nascondermi. Ma è inutile.
“sei davvero così timido? Sono mesi che ti vedo, che ti incrocio.. che mi spii” sono perso, sa tutto ed io nulla.
“è che io, cioè tu… insomma sei troppo bella… ” per un attimo il silenzio mi torna amico.
Solo un attimo.
Mi alzo per pagare il conto.
Voglio scappare via da lì. Correre a casa.
Ma lei non si muove, mi guarda.
“perché non mi accompagni? ”
“certo… volentieri, abitiamo sulla stessa via.. ”
“lo so, uno di fronte all’altro… ti vedo dalla finestra, mentre mi osservi” sa anche questo.
Io non so nulla di lei.
Lei sembra sapere tutto di me.
Uscendo lei afferra una ciliegia.
La tiene tra le dita, la gingilla.
Poi decisa ne afferra un piccolo morso..
Sento quel morso come fosse sulla mia carne.
Mi porge la metà rimasta.
Come se mi invitasse a gustare la sua carne.
Poggio prima la ciliegia sulle labbra.
Per sentire da vicino il suo profumo.
Poi la prendo in bocca.
Come fossero i suoi capezzoli.
Sono pochi metri.
Anche se il mio passo è il più lento che posso, quel tratto di strada che mi separa dalla disperazione si consuma.
Siamo arrivati sotto casa sua ed io non so cosa dire, ne cosa fare.
“vuoi salire… da me? ”
“si” pronuncio quel si prima ancora di avere capito cosa lei dicesse.
Non credo neppure di avere capito le sue parole.
In ascensore abbasso lo sguardo, non per guardarle le caviglie, ma per timore di incrociare il fuoco dei suoi occhi.
Entriamo in casa.
Mi fa accomodare in soggiorno.
Un grande divano nel mezzo.
Come se fosse il sole attorno al quale ruotano i pianeti.
Torna con un vassoio di frutta, due bicchierini, di quelli lunghi.
Ed una bottiglia gelata di Vodka al melone. Versa il liquore.
Mi guarda e sorride.
Poi si inchina, prende il bicchierino tra le labbra.
Potrei straziarle il corpo a morsi tanto è alta la mia eccitazione.
Con uno scatto alza la testa e beve.
Poggia il bicchiere e ride.
“l’ho visto fare in televisione… divertente no? ”
Bevo la mia dose di sorpresa. La guardo.
Sto già facendo l’amore con lei.
La desidero così tanto che il solo averla lì, vicina mi fa provare l’emozione di possederla.
Le poggio una mano sulla gamba.
Lei si ritrae e si alza. Ho sbagliato tutto.
Ho rotto l’incantesimo. In piedi di fronte a me.
Ho paura di sentire le parole che mi aspetto.
Silenzio. Si slaccia la camicia.
Un bottone alla volta. Poi la gonna.
La cerniera scende lenta e leggera come la pioggerella di primavera.
Muove appena le anche e la gonna cade a terra, si lascia scivolare la camicia dalle spalle che si affloscia sopra la gonna.
Rimane in piedi, vestita dei miei sguardi e dalle mutandine in pizzo. Rimane a guardarmi.
Mi alzo e mi spoglio in fretta.
Corro con la mente tra l’imbarazzo ed il desiderio.
Resto nudo.
Il mio sesso eretto che punta verso di lei.
Non si avvicina. Allunga una mano e mi carezza.
Quel tocco leggero è più inebriante che mai.
Sento la sua mano afferrare la mia mente.
Si inginocchia di fronte a me.
Continua a carezzarmi, poi scopre la cima dei miei pensieri.
Sento le sue
labbra su di me.
Sento la sua bocca accogliere mesi di desiderio.
Le poggio una mano sui capelli, guidando i movimenti lenti del suo capo.
Mi sento bollente.
Sarà il calore della sua bocca, lo strofinare della sua lingua, sarà la mia mente impazzita.
È come de avessi un dardo in fiamme al posto del mio pene.
La voglio. Lei capisce.
Si allunga sul divano, un poco di traverso.
Le sfilo piano le mutandine.
Le bacio, le premo contro la mia bocca ed il mio naso.
Ne sento il sapore ed il profumo.
Finalmente è lì. Davanti!
a me.
Comincio a baciarle le ginocchia.
Lentamente mi avvicino alla sua essenza.
Piano le allargo le gambe ed arrivo dove il mio desiderio si riaccende.
La bacio piano sulle grandi labbra.
Poi con la lingua le allargo piano la fessura.
Un piccolo gemito di piacere rompe la musica dei nostri respiri.
Dal vassoio prendo una fragola.
La succhio appena, per prepararla.
La poggio sulla sua fessura.
Che si impregni di lei e del suo piacere.
La tolgo e ne addento la metà.
L’altra la poggio sulle sue labbra e gliela spingo in bocca.
La vedo scomparire come prima ero io a scomparire dentro quel labirinto di lussuria.
Prendo altre fragole.
Le mordo e gliele strofino sui seni, fino a consumarle.
Poi con la lingua raccolgo il succo rossastro, avido di quel sapore mescolato al profumo della sua pelle.
Le lecco i seni, le succhio i capezzoli, mentre con la mano le carezzo la passione.
Con la bocca colma di polpa e di succhi la bacio.
Le nostre lingue si contendono frutto e desiderio.
Lei mi afferra il membro pulsante.
Mi vuole suo prigioniero. Ma è tardi.
Gode e mentre lo fa perde il controllo della mia anima.
Dal vassoio prendo una banana.
La sbuccio, mentre lei avida di piacere e di voglia di godere mi carezza il pene.
Con le dita le allargo le grandi labbra e con l’altra mano le penetro con il frutto.
Vedo la polpa cambiare colore, impregnata dal suo umore.
Lentamente la faccio scorrere dentro di lei.
Cerco di tenerla frema, che non spezzi il frutto.
Ma il piacere intenso la scuote ed il frutto si rompe.
Le infilo in bocca il pezzo che mi è rimasto nella mano.
L’altro lo catturo, grammo per grammo, con la punta della mia lingua che fruga dentro il suo corpo.
Ansima, geme ad ogni affondo della mia lingua.
Dalla sua fessura colano umori, succhi e piacere.
È bagnata fino al fiorellino nascosto tra le natiche di pesca.
Voglio assaporare anche quel segreto prelibato.
La lecco. Alterno passate di lingua sulla sua fessura, affondi e leccate al suo orifizio più privato.
Si abbandona.
Le dita affondano nella mia carne.
Il suo piacere sale, fin oltre lo spazio tra la mente ed il corpo.
La sua fessura ed il duo orifizio sono aperti.
Gli umori intensi sono come oli preziosi che preparano il corpo alla gioia suprema.
Afferro un’altra banana, la punto sull’ingresso del suo vulcano nascosto.
Piano, facendola ruotare e poi entrare la penetro con il frutto.
Sembra essere creato per il godimento.
La sente. La sento.
Lecco la sua fessura, gioco dentro di lei con lingua e con le dita, mentre accompagno il ritmo della lingua con il leggero affondare e riemergere della banana.
Il suo respiro si rompe. I gemiti si susseguono.
Accelero il ritmo.
Ormai la mia lingua, le mie dita ed il frutto sono una cosa sola.
La sento vibrare e finalmente esplodere.
Prima un rantolo, poi un gemito lungo come la notte e poi l’orgasmo.
Intenso ed implacabile.
Non le lascio respiro, mi sollevo un poco, le sposto il bacino e la penetro fino in fondo.
Urla di piacere. La sento mia. Mi sento suo.
Mi afferra le anche, come a volermi ancora più dentro di lei.
Il suo calore e la sua foga mi accendono, moltiplicando le mie forze.
Entro ed esco da lei come il sole che squarcia la notte, come il tuono che rompe il silenzio, come il lampo che illumina il cielo.
Il suo orgasmo sembra senza fine. Io mi sento senza fine.
Frenesia. Lussuria. Desiderio.
Affondo con più forza e velocità. Lei lo vuole, io lo voglio.
Pochi interminabili attimi.
Giungo alla soglia della follia.
Incatenato al mio desiderio di inondare la sua vita ed alla voglia inumana di non finire mai.
Lo sento, lei lo sente. Mi vuole dentro di se.
La voglio dentro di me. Godo.
Come fiume in piena.
Sento il mio liquido irrompere in lei come un torrente furioso di montagna.
Dura solo pochi istanti, ma è come se fossero tutta la mia vita.
Rimango in lei.
Mi spengo in lei. Rimango dentro il mio sogno fino a quando i sensi non placano.

“Roberto… sei così dolce… è come se tu… ”
“è come se….. è che… ti amo” FINE

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