Mi chiamo Laura.
Per molti anni della mia esistenza sono stata considerata una persona poco incline a godere degli aspetti sensuali della vita.
Ho vissuto da fuorisede, ma sono sempre stata una studentessa modello, un po’ troppo seria e diligente per approfittare appieno della libertà che solitamente agli studenti fuorisede è concessa. Dopo la laurea in giurisprudenza, sono tornata a casa dei miei e ho cominciato a lavorare come praticante presso lo studio di un amico di famiglia, che in seguito divenne mio suocero. Suo figlio Marco infatti aveva qualche anno più di me ed io lo conoscevo fin da ragazzina. Avevamo seguito carriere professionali simili, per quanto lui avesse studiato in un’altra città e avevamo finito poi per ritrovarci nello studio di suo padre, dove lui lavorava già da qualche anno. Dopo essere usciti insieme qualche sera, con amici comuni, ci trovammo interessanti. Quattro anni dopo ci sposammo e col tempo acquisimmo la gestione dello studio legale. Per la gente eravamo la classica coppia belloccia, fortunata e di buona famiglia.
La nostra vita sentimentale, e con essa quella sessuale, era abbastanza tranquilla e soddisfacente. Poi un giorno, all’improvviso, qualcosa si spezzò. In un certo senso mi svegliai una mattina, trentacinquenne, sentendomi inesorabilmente una persona ibernata, congelata tra le pieghe dell’esistenza, con un debito di vitalità nei confronti di me stessa che mi sembrava inestinguibile. Mi sentivo, da un giorno all’altro, delusa di me stessa, spenta, poco partecipativa. Incappai, in parole povere, in una spirale depressiva, in una successione di amici con buoni consigli poi divenuti medici di famiglia dai saggi precetti e poi analisti con le loro interminabili sedute e persino, a volte, flaconi di antidepressivi nei periodi di emergenza.
Marco, mio marito, mi stava vicino come poteva, più che altro impotente e fatalista dinanzi a qualcosa per lui di assolutamente inspiegabile. La depressione fu una tappa fondamentale della mia vita. Oggi tendo a pensare alla mia vita come a qualcosa di diviso in due. In me esistono un prima e un dopo. La donna che uscì fuori da quel periodo era un’altra e di questo sono convinti in molti. Per due anni mi trovai a combattere la mia battaglia silenziosa, spesso dubitando di tornare a galla, finché un giorno, così come era arrivata, la depressione cominciò a scivolarmi via di dosso. Come una specie di marea, si ritraeva lentamente e lasciava su di me una scia di detriti, desideri inappagati, rammarichi, aspettative nuove.
Mi lasciava una vaga voglia di affrontare la vita in modo diverso, di petto, tutta la vita. In una parola, mi lasciò affamata come dopo un lungo periodo di privazioni. In seguito ritengo di essere diventata una persona equilibrata e tutto sommato felice. In quel periodo di rinascita, tuttavia, non tutto in me si ridestò contemporaneamente. La prima parte di me a risvegliarsi, fu quella che ha che fare con la sfera del sesso. Ricordo che cominciai a provare interessi sessuali, desiderio, molto più intensamente che in ogni altro periodo della mia vita. Sottoponevo Marco a nottate intere di sesso (non sembrava dispiacergli per la verità), a vere e proprie maratone infaticabili. Ma non era solo il mio corpo ad avere energie nuove, era soprattutto la mia fantasia. Fantasticavo di tutto e di tutti. Entrando in un autobus, cercavo subito con gli occhi le persone che potevano interessarmi. Immaginavo ad esempio di essere sola con l’uomo seduto di fronte a me, sola in tutto l’autobus, e di alzarmi, andare a sedermi a cavalcioni sulle sue gambe, cercandogli senza troppa premura l’uccello sotto i pantaloni o strofinandomi contro di lui. Immaginavo di essere presa da due uomini contemporaneamente, magari da Marco e da un suo amico. Erano sogni ad occhi aperti, privi di consistenza reale, come quello di scopare con qualcuno davanti agli occhi di Marco. Non avrei mai potuto farlo.
Quello che invece avrei potuto realmente fare -e la sola idea mi faceva eccitare, diavolo se mi faceva eccitare- era farmi corteggiare da qualcuno con Marco poco lontano ad assistere, come un perfetto sconosciuto, alla scena. Mi sembrava però una cosa impossibile da proporre a mio marito, non ne avrei mai avuto il coraggio, quando un pomeriggio, tornando dal lavoro, trovai nella posta dei depliant pubblicitari di una agenzia di viaggi. Ebbi l’idea di proporre a Marco una vacanza un po’ insolita: potevamo prenotare due posti in un club, indipendentemente l’uno dall’altra. Avremmo fatto finta di non conoscerci, tranne la notte, di nascosto oppure di conoscerci sul posto. Avremmo insomma permesso a noi stessi di fingere di essere liberi, di farci desiderare da altri, di flirtare, mentre l’altra era a pochi passi da noi, sotto gli occhi l’una dell’altro. Non ci avremmo concesso niente ad altre persone, naturalmente, ma… l’idea che qualcuno potesse invitarmi a cena o a uscire o tentare di baciarmi, mentre Marco era lì… Decisi che avrei dovuto mettere in atto una strategia ineccepibile per convincere Marco. Non avevo alcuna intenzione di lasciare una possibilità di fallimento e la notte stessa passai all’azione. Lui mi aveva preceduta a letto. Io mi ero attardata un po’ con la scusa di rigovernare la cucina. Dopo una ventina di minuti lo raggiunsi. Non dormiva ancora, come avevo immaginato, ma leggeva una rivista. Io non avevo lasciato nulla al caso. Avevo ancora addosso la gonna e la camicia bianca con cui ero andata in studio. Non amo vestirmi in modo appariscente, sono convinta che la seduzione sia qualcosa di molto sottile e silenzioso. Entrando in camera da letto, andai verso l’armadio voltando le spalle a Marco. Poi iniziai a spogliarmi con finta noncuranza. Ancora oggi il mio fisico regge bene all’età. La mia vita e il mio sedere continuano a far bella figura. Il mio seno non è prosperoso, ma non è certo piccolo e gli uomini lo hanno sempre trovato notevole.
Quando lasciai scivolare giù la lampo della gonna, sentii Marco sollevare la testa dalla sua lettura. Io non lo degnai di uno sguardo. Con ancora la gonna su, sfilai uno ad uno i bottoni della camicia e scopersi leggermente le spalle (Marco ama le mie spalle ed il mio collo). Da sotto comparivano le spalline del mio body. Mi voltai verso Marco, sempre continuando ad ignorarlo, ma percependo comunque l’insistenza dei suoi sguardi su di me. Per qualche istante gli offersi la visione del mio corpo, coperto dal body e ancora semiavvolto nella camicia aperta sul davanti. Lasciai scivolare a terra la gonna e la camicia e detti nuovamente le spalle a Marco. Stavolta lo senti emettere un sospiro di approvazione, che, naturalmente, ignorai. Lo sentii chiedere con voce “interessata” se stavo cercando di farlo eccitare. Continuai deliberatamente ad ignorarlo. Gli offrivo adesso la vista del mio corpo in body, slip e calze autoreggenti. Sapevo che quegli slip mi donavano un bel culo e feci in modo che lui lo notasse chinandomi in avanti per aprire un cassetto. Presi la camicia da notte (una camicia di raso che lui trovava molto sexy) e andai in bagno senza ascoltare i suoi commenti. Dopo qualche secondo tornai da lui e mi infilai nel letto, dandogli giusto il tempo di darmi un’ultima, profonda, occhiata. Spensi la luce sul mio comodino, gli voltai le spalle e gli dissi buonanotte.
Ci volle molto poco perché cominciassi a sentire la sua mano scivolare lungo la mia schiena, cercare le mie spalle, accarezzarmi con desiderio. Borbottai un mugugno di insofferenza. Lo sentii avvicinarsi a me con tutto il corpo, sentendo il calore che emanava. Le sue mani scivolarono ovunque sul mio corpo, mi sfioravano le gambe, la testa, di nuovo la schiena. Allora bruscamente mi voltai e gli dissi che ero stanca, che avevo ancora sonno. Lui mi disse che avevo fatto di tutto per eccitarlo. Gli risposi che non era vero, e che se involontariamente l’avevo fatto mi dispiaceva. Dissi che magari avremmo potuto parlarne l’indomani. La discussione andò avanti ancora un po’, poi lui si voltò e spense la luce leggermente offeso. Dentro di me ero soddisfatta e dominata da un malizioso senso di potenza. Non avevo neanche un briciolo di sonno e, di più, ero profondamente eccitata dal piccolo escamotage che stavo ordendo. Attesi poco più di mezz’ora per essere sicura che lui si fosse addormentato del tutto, cullandomi in vaghe fantasticherie erotiche sulla nostra vacanza da estranei, mi immaginai spiata da lui mentre facevo l’amore in spiaggia con due uomini (ma questo non avrei mai avuto il coraggio di farlo).
Quando fui sicura che stesse davvero dormendo e che il suo sonno fosse abbastanza profondo, scivolai lentamente accanto a lui, scostai con attenzione le coperte e lo ammirai nel suo sonno indifeso. Dalla finestra giungeva la fioca luce di un lontano lampione, regalando alla stanza una gentile penombra. Mio marito è un bell’uomo di quarant’anni. Ha un fisico vigoroso, delle belle labbra piene, occhi profondi e neri e capelli sempre un po’ arruffati da ragazzino. Non ho mai capito perché fu così facile averlo per me. In quel momento portava una T-shirt bianca e i pantaloni di un pigiama leggero. Sotto quei pantaloni si intravedeva ancora un residuo della sua erezione di poco prima. O forse era l’indizio di qualcosa che stava sognando. Accarezzai leggermente, col palmo della mano, il rigonfiamento tra le gambe e gradualmente cominciai a stringerlo mentre cominciava a diventare sempre più grosso. Feci scivolare giù i pantaloni del pigiama e lasciai che il suo pene si liberasse.
Non era ancora duro abbastanza da sostenersi da solo. Infilai una mano sotto la T-shirt e cominciai ad accarezzargli il petto, mentre con l’altra continuavo a stringergli il pene, a muoverlo delicatamente accarezzandolo sulla punta o per tutta la lunghezza, sentendolo gradualmente inumidirsi e indurirsi. A questo punto non so quanto realmente stesse dormendo, ma era arrivato il momento di guadagnarmi la mi vittoria. Cominciai a baciarlo dappertutto. Sul petto, sui capezzoli, sulle braccia, sulle mani. Lo sfioravo con le labbra, a volte con la punta della lingua, scivolando sempre più verso il basso. Arrivai alle gambe e lo baciai sui muscoli sodi (correva ancora due o tre volte la settimana). Risalii verso l’alto, avvicinandomi sempre più, e sempre più lentamente, al centro delle mie attenzioni e del suo desiderio. A volte lo sfioravo con la mano e lui si inarcava impercettibilmente. Lasciate che vi dica una cosa. Non mi piace prendere in bocca il cazzo di un uomo, per quanto, credo, a loro piaccia moltissimo. Neanche mi fa piacere essere presa analmente.
Diciamo che da questo punto di vista sono piuttosto tradizionalista. E sono piuttosto rare le volte in cui ho concesso a Marco di prendermi in modo meno convenzionale. Però, in quel momento, l’idea di portare mio marito a fare quello che volevo io, di controllarlo e dominarlo oltre i normali limiti di interdipendenza di una coppia, quell’idea mi eccitava. Mi eccitava da impazzire. Al punto che il pensiero di prenderglielo in bocca e regalargli un pompino per ottenere il mio scopo mi sembrava desiderabile, di più, entusiasmante. Mi eccitavo e mi bagnavo all’idea di fare un pompino a mio marito non perché mi piacesse la cosa in sé, quanto piuttosto perché trovavo eccitante lo scopo che con ciò mi prefiggevo.
Per questo, quando mi resi conto che ormai era sveglio, feci avvicinare i miei baci e la mia lingua sempre più intorno al suo cazzo ormai rigidamente eretto. Quando mordicchiandogli la gamba senti il contatto caldo dei suoi testicoli contro la mia guancia, sentii anche il gemito di Marco. Allora sollevai lo sguardo verso di lui e affondai i miei occhi nei suoi, stupiti e semiaddormentati. Inclinai leggermente la testa, sempre continuando a fissare mio marito negli occhi, e sfiorai i suoi testicoli con le labbra. Poi dischiusi la bocca. Li baciai e cominciai a risalire fino alla base del pene, la leccai, leccai il cazzo in tutta la sua lunghezza, ripassandolo più volte sulle labbra fino a bagnarlo tutto, passandomelo poi sulla faccia e sul collo, di nuovo sulle labbra, come sapevo che gli sarebbe piaciuto. Di tanto in tanto lo accarezzavo con due dita sulla punta, scoprivo il glande, ma senza ancora concedergli di entrare nella mia bocca.. Sentivo intanto le sue mani sulla mia schiena salire su, a volte fino al collo, mai oltre, timoroso, ubbidiente al patto che una volta avevamo fatto.
Quando glielo prendevo in bocca non doveva assolutamente posare le mani sulla mia testa e men che meno spingermi contro il suo cazzo. Se lo avesse fatto gli avrei negato per sempre quel genere di piaceri. Ho la tendenza a porre limiti, siglare patti, è nella mia natura. Ma lui mi conosceva quando mi ha sposata. Le sue mani correvano su di me, mi prendevano i seni e mi li schiacciavano, mi stringevano i capezzoli (che ho molto sensibili). Ma non era quella la fonte della mia eccitazione in quel momento.
Devo proporti un patto – dissi.
– Ancora? – fece lui ansimando.
All’improvviso, lo feci entrare nella mia bocca. Lo inghiotti di colpo, per metà della sua lunghezza, avvolsi il glande con la lingua e cominciai a leccarlo succhiandolo con avidità. Mi sembrò che lui impazzisse. “Quello che vuoi” ansimava “tutto quello che vuoi”. Sollevai per un istante la bocca dal suo cazzo:
Ti lascerò venire nella mia bocca – dissi
Poi lo ripresi di nuovo in bocca, meno bruscamente stavolta, facendolo prima giungere sulle labbra, poi dischiudendole lievemente e infine lasciandolo scivolare dentro, riprendendo a carezzarlo con la lingua, inghiottendolo più che potevo, fino a tre quarti della sua lunghezza (mi venne in mente proprio questo particolare matematico, ricordo). E per un pelo lui fu per venire davvero. Allora me lo feci uscire di bocca (con leggero sollievo) e gli proposi la “nostra vacanza”. Avrebbe accettato di tutto in quel momento. Quando disse di sì lo ripresi in bocca per l’ennesima volta, felice, eccitata, bagnata. Lo leccai, succhiai, sentendo il suo bacino spingersi verso di me, il suo cazzo cercare di affondarmi in gola, sempre più freneticamente, sempre più convulsamente, finché non esplose e mi sembrò quasi di poter venire con lui con la semplice potenza dell’eccitazione mentale. Sentii il primo fiotto di seme raggiungere l’interno della mia guancia. Lo deglutii con decisione, per evitare di sentirne il sapore, vincendo un istintivo moto di repulsione, appigliandomi alle mie fantasticherie erotiche. Il secondo getto mi raggiunse sulla lingua, caldo e denso, e non riuscii a non percepire che gusto avesse, poco definibile, dolciastro forse. Deglutii anche questo con convinzione e gli strinsi il cazzo tra le mani per spremerlo fino in fondo, per portare a compimento la mia opera.
Quando ebbi succhiato anche l’ultima goccia, sorrisi pensando al nuovo mondo che mi si apriva.
In maggio partimmo per la nostra vacanza. Una volta nel villaggio le cose avevano cominciato a correre molto in fretta. Il mio bungalow era piccolo ma confortevole. Partecipando ad alcune delle attività di intrattenimento avevo avuto modo di conoscere un po’ di gente. Marco aveva scelto, solitamente, attività diverse dalle mie. Aveva preferito il tennis al windsurf e il giro di persone in cui eravamo entrati era leggermente diverso, ma non era comunque possibile non conoscersi in un posto così piccolo. Davanti agli altri, noi due fingevamo di esserci visti per la prima volta sull’isola. Avevo avuto l’impressione che una ragazza un po’ più giovane, giunta con alcune amiche, gli ronzasse intorno.
Dal mio canto potevo godermi d’altra parte un discreto successo personale. Il maestro di surf aveva un modo tutto particolare di dedicarmi le sue attenzioni a lezione e avevo stretto amicizia con due ragazzi olandesi (uno era piuttosto carino) che mi cercavano con discreta insistenza. Una sera, Stefano, il surfista, mi invitò a cena in paese, con la scusa di portarmi in un posto famoso per il pesce. Feci modo di farlo sapere a Marco. Mi turbava la sensazione che provavo nel dire a mio marito che quella sera sarei uscita con un uomo che cercava di corteggiarmi. Alle nove di sera Stefano passò a prendermi al bungalow e mi portò fuori. Aveva un fare piuttosto accattivante (doveva essere anche piuttosto “rodato” a quel genere di uscite), era piacevole nel conversare e sembrava credere di avere tutto il tempo che voleva per farmi cadere nelle sue braccia. In paese andammo prima a prendere un aperitivo. Di tanto in tanto, Stefano posava una mano sulla mia schiena nel mostrarmi un panorama o uno scorcio caratteristico. Mi piaceva.
Quando sentivo la sua mano sulla mia pelle, provavo un brivido, dovuto più all’eccitazione della situazione, probabilmente, che alla cosa in sé. Ma era una bella sensazione. Quando entrammo al ristorante uno dei camerieri fece mostra di conoscerlo. Non era strano, c’erano trecento abitanti in tutto il paese. Ci condussero ad un posto appartato e cominciarono a portarci dei leggeri antipasti prima ancora che decidessimo cosa ordinare. Stefano mi raccontava aneddoti divertenti sulla vita locale. Il vino si faceva bere tranquillamente. Era una bella serata. E poi all’improvviso vidi comparire Marco con la ragazza che gli girava attorno (Barbara, credo si chiamasse). Il cameriere che aveva servito noi li condusse ad un tavolo poco distante dal nostro e per un istante i nostri sguardi – il mio e quello di Marco – si incrociarono. Stefano li vide e li salutò con un cenno della mano avvisandomi che c’erano altri turisti del villaggio:
“State cominciando a scoprirlo anche voi turisti questo locale” disse. Barbara e Marco ci salutarono e si rivolsero agli antipasti che arrivavano anche per loro. La vista di un’altra donna che civettava con mio marito -lo dico con sorpresa- mi scosse profondamente. Per un attimo, una rabbia del tutto inaspettata mi assalì, come se in qualche recesso della mia mente pensavo che il diritto a rilasciare formalmente i nostri legami fosse valido solo per me. Credo che avvampai, perché Stefano mi chiese se mi sentivo bene e colse l’occasione per toccarmi il volto con una carezza sulla guancia.
“Sembri scottare” disse. Io a quella carezza mi ci aggrappai come baluardo contro la mia rabbia. Raggiunsi la sua mano con la mia e la imprigionai a contatto con la mia pelle, sul mio volto. La tenni leggermente e lui mi mosse lievemente le dita in una piccola carezza. Io affondai gli occhi, selvaggiamente, negli occhi di mio marito e mossi impercettibilmente le labbra a raggiungere le dita di Stefano. Mi rendevo conto di come tutto questo suonasse come una dichiarazione di guerra, ma ero posseduta da una furia indomabile, desideravo fargli del male, a costo di farne a me stessa e permettere a lui di farmene. Marco non ci mise molto a recuperare terreno. Vidi le sue mosse sempre più intime, i suoi sorrisi sempre più suadenti e dopo un po’ lo intravidi posare la mano sulla mano di lei, entrambe sul tavolo. Vidi le loro dita intrecciarsi, mentre lei affondava distratta lo sguardo nel suo bicchiere. Odiai il seno generoso di quella donna e odiai me stessa per aver cominciato quel gioco al massacro. Ma non ero più in grado di fermarmi. Presi col dito un po’ di salsa dal mio piatto e la porsi sorridendo a Stefano, con uno sguardo che era tutto promesse. Lui mi prese la mano tra le sue e si portò il mio dito alla bocca. Lo succhiò delicatamente e di nuovo mi accarezzò la faccia, mentre io baciavo le dita. Ero furiosa, ancora più furiosa, ma gradualmente tra la rabbia ricominciava a prendere forza l’eccitazione.
Vidi Marco avvicinare la sua bocca al collo nudo di Barbara e sfiorarla con una bacio. Lei sollevò leggermente la testa poi la reclinò di nuovo cercando le sue labbra e infine si baciarono, le labbra di mio marito su quelle di un’altra donna, le loro lingue che si toccavano. Mi venne in mente un’idea perversa. Proposi a Stefano di chiamare anche loro. Lui mi chiese se non preferivo magari che restassimo soli. Gli promisi che saremmo restati comunque soli più tardi. Stefano si alzò per andare a invitare Marco e Barbara (che strano unire il nome del proprio marito a quello di un’altra donna) e dopo un po’ tornò con loro. Il cameriere si preoccupò di unire i nostri tavoli e portò altre due bottiglie di vino. Per tutta la serata la guerra invisibile di carezze, baci, abbracci tra me e Marco continuò, mentre la rabbia e l’eccitazione aumentavano di pari passo. A fine serata, ormai così brilli da essere quasi ubriachi, Barbara propose di andare in spiaggia. Stefano propose di andare con la sua auto in una caletta più distante e, a suo dire, disabitata e partimmo.
Stefano guidava, io sedevo avanti accanto a lui, Marco e Barbara dietro. Mentre Stefano affrontava una curva mi voltai di sfuggita verso i sedili posteriori e incrociai lo sguardo di Marco. Lui mi sorrise con sfida, impercettibilmente, poi si voltò verso Barbara, la trasse a se e le leccò la punta delle labbra. Non ebbi la prontezza di riflessi di ritrarmi. Presa dall’alcol e dalla miscela di emozioni restai incollata a quella vista, mio marito che infilava la lingua nella bocca di un’altra donna. Marco dovette assaporare un attimo di trionfo, perché continuò il bacio in modo sempre più passionale e, con la mano sinistra (quella davanti ai miei occhi -non era casuale) raggiunse il seno di Barbara e cominciò ad accarezzarlo. Mi sembrò di esplodere definitivamente. Avevo bisogno di qualcosa che lo schiacciasse. Marco sussurrò qualcosa a Barbara che, ancora più ebbra di me, sprofondò in una risata fragorosa e un seno le scivolò fuori dal vestito. Marco si chinò e le prese in bocca il capezzolo. Io mi ripresi. Portai con decisione la mano sulla patta dei pantaloni di Stefano, che sussultò mentre guidava e invocò un attimo di pace per arrivare salvi in spiaggia. Io non gli diedi ascolto. Gli tirai fuori il cazzo dai pantaloni e presi a toccarglielo, ad accarezzarglielo, davanti agli occhi di mio marito, poi mi chinai verso di lui e baciai quel pene eretto. Stefano accostò, fermò la macchina, mi fece sollevare dal suo cazzo e mi baciò sulla bocca.
“Siamo quasi arrivati” sussurrò e aveva uno sguardo che prometteva il cielo.
Dopo un paio di minuti eravamo in spiaggia. Marco e Barbara non fecero neanche la fatica di scendere dall’auto. Lui la fece distendere sul sedile posteriore e le infilò le mani sotto la gonna. Stefano mi prese in braccio e mi portò sulla sabbia, mi fece sdraiare a terra e cominciò ad accarezzarmi su tutto il corpo, a spogliarmi lentamente, a baciarmi ovunque, sul collo, sulla bocca. Sganciò delicatamente il mio reggiseno e lo tolse, prese in bocca uno dei miei capezzoli e lo mordicchiò delicatamente, mentre con una mano mi strofinava gli slip contro il pube. Portai una mano tra i suoi capelli e lo accarezzai mentre mi baciava e mi toccava. Poi cominciai a spogliarlo. Di là sentivo le urla di Barbara e quelle, meno evidenti, di Marco. Immaginavo le mani di Marco sui seni di lei e il suo cazzo dentro di lei. Ormai quasi denudato, feci sdraiare Marco sulla sabbia, gli presi il cazzo tra le mani, salii a cavalcioni su di lui e me lo infilai dentro. Cominciai a muovermi, a cavalcarlo ed ebbi la soddisfazione di vedere le ombre di Barbara e Marco venire verso di noi mentre io ero impalata sul cazzo di un altro uomo. Poi, d’improvviso, Stefano mi fece scendere, mi schiacciò sulla sabbia e salì su di me, entrandomi di nuovo dentro.
Con la schiena a terra vedevo bene Barbara e Marco poco distanti, mezzo nudi, avvicinarsi, poi sentii le dita di Stefano cercare qualcosa dentro di me, accompagnando il suo cazzo e cominciai silenziosamente, rabbiosamente a venire, con un godimento selvaggio che mai avevo provato nella vita e urlai “anche tu” a Marco che si avvicinava gli urlai di venire a scoparmi e quando lui si inginocchiò sulla sabbia accanto a me glielo presi in mano (si rizzava di nuovo quel bastardo) sporco di seme che aveva infilato nella figa di quell’altra. Barbara si avvicinò per prendere parte anche lei alla situazione: prese in mano insieme a me il cazzo di Marco offrendogli le sue tette da succhiare. Venni e mi sembrò che fosse la prima volta nella mia vita. FINE
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