Una lama di sole riscalda la mia schiena dalla finestra socchiusa.
“Sei un’artista…” mormoro ancora sognante.
“Grazie tesoro.”
Lidia si rialza dal pavimento sorreggendosi piano dal mio braccio.
La attiro a me per baciarla sulla bocca. Geme intrecciando la lingua con la mia. Tra le sue labbra sento il sapore del mio seme. I suoi capelli lunghi mi nascondono il viso come sotto un salice fitto.
Ci stacchiamo ansimando. Lei mi guarda coi suoi occhi verdi stupendi.
“Prepari tu la colazione? Io devo farmi una doccia.”
“Credevo l’avessi già fatta.” Le ribatto.
“La colazione o la doccia?”
“La colazione, amore. Te ne ho già data abbondante.”
“Schifoso.” ride tirando pugni sul mio petto nudo.
“Non ti è piaciuta?”
“Sì ma ho ancora fame.”
“Ne vuoi ancora?”
“No, scemo! Piantala! Voglio pane, burro e marmellata. E anche un caffè caldo.”
“Agli ordini!”
“Non mi lavo la bocca. Stai tranquillo. Mi piace lasciare il sapore. I denti me li lavo dopo colazione.”
“Ti amo, Lidia.” Le grido mentre si allontana verso il bagno con la vestaglia indosso.
“Oppure li lavo più tardi ancora.” Prosegue ormai nascosta alla mia vista “Dipende se mi fai ritornare la voglia.”
“Io ne ho sempre!” Le assicuro rimettendomi su le mutande e il pigiama.
“Non ho dubbi sulle tue riserve.” Insiste mentre si spoglia e apre piano l’acqua “è che sono curiosa di vedere quando ti si esauriscono le scorte.”
“È domenica, amore. Non dobbiamo andare a lavoro quindi ho tutto il tempo che vuoi per farmi misurare.”
Non mi sente più. Dalla doccia arriva la fragranza del sapone. Dopo pochi minuti il caffè gorgoglia sul fuoco inebriando l’aria dell’aroma di arabica. Mentre tosto il pane sento ancora l’erezione che spinge contro il pigiama rigonfio.
Alla fine della mattinata sono disteso sul letto mezzo morto, nudo, le gambe ancora spalancate. Stavolta è Lidia che spentola in cucina. Sta preparando il pranzo. Ancora sognante mi godo gli echi di tutto il piacere goduto. A più riprese tra una chiacchiera e l’altra mi ha fatto raggiungere l’orgasmo cinque o sei volte. Alla quarta non mi sorreggevano le gambe. Alle ultime due le sono venuto in bocca stando a letto. Ci si è messa ancora di lena, succhiando e aiutandosi con le dita dietro il sedere, scientifica e insaziabile, ma ho dovuto supplicarla di sospendere. Non ha voluto sentire ragioni. Doveva verificare fino in fondo se non ce ne fosse ancora. Il mio pene non ne voleva sapere di crescere di nuovo. Dopo avermi ridotto a una sorta di palloncino sgonfio, mi ha strappato l’ennesima vocale sgraziata dalla gola. Ho rivisto le stelle senza poterle contare ma di sperma non ne è uscita più neanche una goccia.
Ora il profumo del pomodoro fresco e del basilico è arrivato alle mie narici come un richiamo che accende già il morso della fame. Temo però che per un bel pezzo non riuscirò a rimettermi in piedi.