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Matrimonio

Era ormai tutto pronto per il gran giorno. La chiesa, il ricevimento, gli invitati, il fotografo, il vestito da sposa. Il vestito da sposa!
Era stravaccata sul letto e lo osservava, poggiato sul divanetto adiacente. Le maniche in tulle, ricoperte di perline e delicati micro-schwarosky, penzolavano svogliatamente dai braccioli, come gli arti di un moribondo rassegnato alla propria fine. Pensava che di lì a poche ore l’avrebbe dovuto indossare, dando una forma consistente e tangibile a tanta indolenza. Si sarebbe, poi, prestata all’obiettivo di chi avrebbe immortalato il sorriso falso di quel giorno, mentre quel vestito, pesante come la condanna inferta ad Ercole da Nesso, le avrebbe fatto solo venir voglia di strapparselo di dosso rimanendo davanti all’altare in lingerie, la lingerie sexy che il suo futuro marito aveva scelto per lei. Si, perché tutto era stato deciso da lui e lui soltanto: la chiesa, il ricevimento, gli invitati, il fotografo, il vestito da sposa. Di certo Dio non avrebbe potuto condannare quel gesto, che forse sarebbe stato la cosa più vicina al Giusto fatta in tutta la sua vita.
Non amava Roberto, non l’aveva mai amato se non per un breve istante.
Non amava l’idea di sentirsi stretta in un legame che, dopotutto, non era stata neanche lei a decidere. Possibile che nel ventunesimo secolo esistessero ancora i matrimoni di convenienza e si potesse provare la sensazione che la tratta degli schiavi fosse rientrata in vigore? E possibile che la risposta sarebbe stata data proprio il giorno dopo all’altare, davanti a più di trecento invitati?
Certo i patti erano già stati fatti tra lei e Roberto. Ognuno avrebbe condotto la vita che desiderava e si sarebbe sentito libero di frequentare chi voleva, ma tutto nel massimo riserbo, perché “bisognava salvare le apparenze”. E questa formula poteva anche andare bene a Marina, dato che non era possibile rendere pubblica la relazione con l’unica persona che avrebbe desiderato avere accanto. Ogni cosa era incastrata alla perfezione nella sua vita, ma forse era proprio l’essere incastrata che le andava stretto. Odiava Roberto perché era stato lui l’artefice di tutto. Lui e la sua mania di ottenere tutto ciò che voleva, di tenerla in pugno, tanto da arrivare ad imporle il proprio amante come testimone di nozze. Un’ennesima infamia nei confronti della sua futura sposa.
“Non gli chiederò mai di farmi da testimone! ”
“Perché non vuoi che sia proprio il tuo amante a firmare la tua vendita? ” chiese con un sorriso di crudele soddisfazione. “Si dà il caso che sia io a decidere tutto. Erano questi i patti e tu li manterrai, altrimenti sai benissimo cosa succederà! ”
L’azienda del padre di Roberto voleva assorbire quella del padre di Marina, ma le cose cambiarono quando il giovane rampollo quella mattina la vide accompagnare il padre per gli uffici, continuando a chiedergli di farla entrare nelle questioni finanziarie dell’azienda.
“Non posso credere che mio padre mi sottovaluti, tanto da mettere tutto nelle mani di qualcuno che potrebbe infilargli volentieri un coltello nella schiena. Faresti qualsiasi cosa pur di non coinvolgere me! ”
“Mi dai dell’incapace, ragazzina? Credi che non sappia circondarmi delle persone adeguate? ” disse il padre chiudendole in faccia la porta del suo ufficio.
Marina la riaprì decisa a continuare la discussione.
“Non sono stata certo io a mandare in bancarotta l’azienda e a ridurci sull’astrico! ” gli ringhiò contro.
“Se sono sull’astrico, è per colpa di tua madre e tua, che non fate altro che volere, volere e volere! ”
“Sei tu che hai sempre voluto fare il super uomo, tenendoci al di fuori degli affari che erano anche nostri. Con un’economista come mia madre e una laureata in marketing come me, vai ad affidarti a persone esterne?
Certo che sei stato un incapace! ”
“Ma che vuoi saperne tu! L’unica cosa che potresti fare è sperare di farti ben volere da Roberto prestandogli qualche favore” le disse malignamente “sperando di essere abbastanza brava da convincerlo a concederci un po’ di tempo in più per riuscire a trovare i prestiti! ”
Marina era abituata al modo di parlare del padre e al disprezzo che aveva sempre mostrato nei suoi confronti. Ma lei sapeva qual’era il motivo. Era l’unica figlia, mentre lui avrebbe voluto un maschio da crescere ed addestrare, che avrebbe dovuto piegarsi a tutte le sue volontà, fargli da fidato leccapiedi per diventare il suo “degno erede”, una sua squallida fotocopia. Lei, invece, rappresentava tutto l’opposto di ciò che desiderava. Vittorio non aveva mai fatto niente per nascondere i suoi sentimenti, che oramai non la toccavano più di tanto.
A quelle ennesime considerazioni non le restava che reagire come sempre: andare via con il consueto sguardo disgustato. Nel girarsi, però, incappò nel sorriso di Roberto, poggiato allo stipite della porta e capì dal ghigno del padre, che l’allusione era stata fatta di proposito.
“Era un’offerta, Vittorio? ” disse Roberto subito senza toglierle gli occhi di dosso “Perché se è così potrei anche decidere di accettare! ”
Marina uscì dalla stanza rossa di rabbia. Nessuno l’aveva mai umiliata tanto. Diventare una merce di scambio! E poi “avrebbe potuto anche decidere di accettare”? “Avrebbe potuto” era un modo verbale troppo lontano da un desiderio per poter essere accettato di buon grado. Come se Roberto avesse dovuto valutare se gli conveniva o meno. Come se si fosse dovuto accontentare di avere una donna come lei!
Ma mai avrebbe immaginato cosa sarebbe successo quella sera stessa, quando fosse tornata nel suo appartamento.
Era andata a vivere per conto suo per non dover sopportare il padre, ma certo era sempre grazie a lui che poteva permetterselo. Se non fosse stato per l’assegno di 2. 000, 00 euro mensili che le versava, non avrebbe mai potuto reggere lo stile di vita che conduceva. Certo non avrebbe potuto vivere con i 670, 00 che guadagnava, lavorando con Andrea nell’ufficio marketing della sua azienda. Rinunciare al benessere sarebbe stato più duro che dover sopportare l’idea di essere mantenuta dal padre. Poi era solo una cosa temporanea, finché non avrebbe trovato un lavoro più prestigioso. Oltretutto quel bastardo non poteva vivere in eterno. Prima o poi sarebbe morto e le avrebbe lasciato l’azienda da portare avanti. Ma quale azienda se la stava mandando a rotoli?
Era stanca, depressa e arrabbiata. Aveva considerato l’opportunità di andare da Andrea a farsi consolare, ma poi sentì che non sarebbe stata dell’umore per fare sesso, cosa inevitabile quando s’incontravano.
Rientrò in casa e trovò la porta blindata chiusa senza la doppia mandata. Pensò di essersene dimenticata e si diresse verso il bagno per rilassarsi con un bel bagno caldo. Aprì l’acqua ed andò in camera a spogliarsi. Era buio e riuscì a sbottonare solo il primo bottoncino della camicetta di seta nera, quando si sentì afferrare per il braccio.
Spaventata, credette si trattasse di ladri d’appartamento, ma alla fine distinse la voce di Roberto e si tirò indietro.
“Che ci fai qui? Come sei entrato? ” urlò ancora con il cuore in tumulto, dopo aver acceso la luce dell’abat-jour sul comodino.
“Tuo padre mi ha dato le chiavi! Sai, siamo giunti ad un accordo, Marina! ” disse girandole attorno come un leone che punta la preda.
“Quale accordo? ” chiese allarmata.
“Te in cambio della salvezza dal crollo finanziario! ”
“Ed io dovrei. voi siete pazzi se pensate che io. ”
“Adesso basta! ” gridò Roberto prendendola per il collo e premendola contro il muro “Credo di averti pagata abbastanza da non farti sentire umiliata. Lo sai che mi costerai trentasette milioni e mezzo di euro? Ma non puoi credere che lo faccia solo per il tuo bel visino! L’azienda si fonderà con la mia. Tuo padre manterrà la sua immagine di dirigente, ma sarò io, suo vicepresidente, a prendere tutte le decisioni. Quando sarà arrivato all’età della pensione, si godrà tutti i benefici del suo lavoro. Io diventerò direttore unico e tu mia moglie in modo da mantenere la ricchezza in famiglia! ”
“Non sarò mai. tua moglie! ” rispose con disprezzo.
Roberto le strappò la camicetta mostrando il completino di pizzo nero finissimo e le alzò la gonna, scoprendola fino alla vita.
“Ti piacciono le cose raffinate, eh? è naturale. Un corpo come il tuo non può essere svalutato con biancheria da poco. Pizzi, calze di seta. costano parecchio, non è vero? Se vi riducessi sull’astrico, e potrei farlo facilmente e con grande soddisfazione di mio padre, saresti costretta a rinunciare a tutti i tuoi piccoli e grandi capricci. Allora vedila così: con me queste cose non ti mancheranno mai. Non voglio che mia moglie si trascuri e ti voglio sempre elegante e pronta ad eccitarmi! ” disse mollando la presa al collo e lasciandola scivolare a terra scompostamente.
Marina si alzò e si diresse verso il bagno.
“E adesso dove pensi di andare? ” chiese parandosi davanti.
“Vado a chiudere l’acqua del bagno. Tanto credo non sia il momento giusto per farmelo. Non sei venuto qui a provare la merce che hai comprato? ” disse astiosamente, mentre considerava il sorriso lascivo di Roberto una risposta sufficiente.
Cercò di ricomporsi per quanto poteva ed uscì dalla camera trattenendo per orgoglio le lacrime. Non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione simile e all’umiliazione della mattina si aggiunse anche il senso di angoscia, dato dalla consapevolezza di essere in trappola.
Ritornò poco dopo. Si era liberata della camicia strappata e la stringeva con rabbia nella mano, mostrando il corsetto di pizzo nero che le fasciava un addome piatto e la vita sottile senza sforzo. Si avvicinò fredda su quei tacchi alti. Si muovevano decise le gambe ben tornite il cui profilo, definito dalle calze scure, sembrava disegnato da una matita esperta.
“Mi era costata una cifra! ” disse irritata lanciandogliela contro.
“Ne avrai quante ne vorrai. Dipende solo da quanto sarai brava! ”
Perché quella frase suonò così dura alle orecchie di Marina? Ci pensò solo un attimo prima di arrivare alla giusta conclusione. Si stava vendendo per soldi. Certo era una montagna di soldi, si parlava del proprio benessere, ma cosa la rendeva diversa da una qualsiasi puttana?
Niente! Dopotutto anche il padre da buon ruffiano avrebbe tratto benefici dalla sua vendita.
“E allora? Questa merce me la fai provare o vuoi restare l’impalata a farti guardare come una bella statua? ”
La voce di Roberto la fece trasalire, ma restò ugualmente immobile, impietrita, priva di qualsiasi capacità di reagire. Roberto si vide costretto a prendere l’iniziativa. Le prese la mano e la tirò sul letto.
Le sfilò le mutandine e si chiuse il viso tra i bordi di pizzo delle autoreggenti che odoravano ancora di nuovo, facendole sentire la lingua tra le labbra, tenute aperte tra pollice ed indice. Marina cominciò a sciogliersi ed il piacere ad occuparle la mente, abbandonando quello stato di annichilimento. Roberto non era di molto più grande eppure insieme all’ardore e all’irruenza dei suoi poco più di 27 anni, trovava mista una dose d’esperienza, capace di farle perdere la testa. Il desiderio cominciò a bruciarle dentro quasi più della rabbia. Voleva poter urlare se non per sfogarsi, almeno per il piacere in modo da liberarsi da quel groppo che le premeva sullo stomaco. Con i piedi poggiati sulle spalle lo spinse indietro.
Lo sguardo interdetto di Roberto e la consapevolezza che, se non l’avesse compiaciuto, avrebbe potuto compromettere il proprio benessere, la portò ad alzarsi di scatto e a giustificarsi, dicendo “Sei tu che devi provare la merce, non io! ”
Lo spinse sul letto, gli sbottonò la cintura e gli abbassò i pantaloni con un’abilità tale da non fargli rendere neanche conto di essere rimasto in slip. Gli carezzava l’addome perfetto e scese con la mano fin tra le gambe, insistendo sul sesso ancora floscio.
“Finalmente ti sei riscaldata! Avanti, fammi vedere cosa sai fare! ”
Si liberò anche dell’ultimo ostacolo tra lei e quel membro di cui non conosceva ancora niente, ma che avrebbe dovuto imparare a soddisfare quanto prima. Cominciò a stenderci su lunghe leccate, poiché con le sole carezze non aveva dato grossi segni di ripresa. Ne osservava ogni piccola reazione, per assicurarsi che arrivasse all’erezione piena in maniera lenta. Voleva che assaporasse ogni più piccola sensazione e mostrare tutta la sua abilità nel far godere un uomo. Mano a mano che si eccitava, Marina prendeva consapevolezza delle reali dimensioni di quel membro. Sembravano di tutto rispetto, nonostante non fossero eccessive.
Quando il sesso cominciò a prendere più spessore, lo lubrificò con la lingua, lasciando un sottile strato di lucido tutto attorno. Si abbassò le spalline e scoprì i seni sodi e svettanti dalla preziosa lingerie.
Prendendoseli con le mani, li strinse attorno all’asta e chiudendoli perfettamente attorno, cominciò a strusciargli tra le gambe.
Provò un sottile piacere, quando vide Roberto alzarsi sui gomiti per osservarla mentre si dava da fare. Doveva essere eccitante ammirare il glande purpureo spuntare dai seni bianchi e luccicanti dei propri umori.
L’espressione del viso di Marina era cambiata e le labbra, prima tese per la rabbia, erano morbide e pronte ad accoglierlo. Dovette aspettare solo poco perché l’odore del sesso le facesse provare la voglia di sentirne anche il sapore. Dischiuse i seni, completamente bagnati, e chiuse il membro in una nuova e più calda guaina. Ma appena lo sentì crescere nella bocca, fino a riempirla, ne venne allontanata dalla mano di Roberto.
“Cazzo, se sei brava! ” affermò Roberto. “Adesso montami su, ma non provare a godere. Sono io che devo provare la merce, non tu! ” ordinò sadicamente, sedendosi sul letto, con le spalle alla testiera. “Non ti toglierti le scarpe! ” aggiunse, vedendo che se le sfilava.
Rimase in tacchi alti ed autoreggenti. Non riusciva a sentire la sensazione tattile che poteva dargli la mano di Roberto, mentre la invitava a mettersi cavalcioni su di lui prendendola per i fianchi.
Avrebbe voluto sbottonarsi il bustino, ma aveva letto un chiaro diniego nella sua espressione. Si sentiva completamente isolata nel proprio desiderio, mentre era costretta a soddisfare quello di Roberto, che come un padrone intransigente impartiva ordini senza parlare. Gli portò i seni alla bocca, ma non le era concesso neanche questo. L’allontanò con la mano poggiata sull’addome, per non farle provare la sensazione di essere palpata.
Sentiva quel groppo sullo stomaco crescere a dismisura e la disperazione era amplificata dalla consapevolezza che quella sera non ci sarebbe stato niente per lei. Cercò di accontentarsi all’idea di poter per lo meno provare la sensazione di quel cazzo dentro di sé. Si accovacciò cercando di trovare la giusta inclinazione che gli permettesse di penetrare nella voluttuosa fessura. Roteava il bacino tenendo la cappella tra le labbra finché la sentì scorrere dentro, inghiottita in un vortice di sensi. Il sesso era abbastanza largo da riuscire a strofinarla in tutti i punti della vagina, stretta attorno a lui dalle contrazioni dei muscoli del basso ventre. Voleva potersi godere almeno quel poco che le era concesso.
“Brava! ” apprezzò Roberto.
Marina si muoveva profondamente ed aprì tanto le gambe da sentire il clitoride strofinare contro il pube di Roberto. Si strinse a lui, avvertendo finalmente un contatto che le facesse irrigidire violentemente i capezzoli. Immediatamente si sentì prendere per il collo ed allontanare e spingere con l’altra sul ventre per mantenere le distanze tra i sessi. Le sensazioni di piacere furono crudelmente
troncate.
“Non posso distrarmi un attimo che cerchi di godere come una puttana vogliosa? Cosa ti ho detto prima? ” disse stringendo la presa alla gola, mentre Marina non accennava a smettere di cavalcarlo “Cosa? ” ripeté.
“Che sei tu a dover provare la merce! ” mugolò con voce soffocata.
“Brava! ”
La prese alla base della schiena per portarla sotto e montarle addosso.
Mentre si sentiva presa con tanta passione, pensava che forse si sarebbe potuta innamorare di uno come lui. Era ricco, bello e sarebbe stato sicuramente capace di farla godere, anche se era solo uno sporco bastardo. Ma non le ci volle molto per rendersi conto che quell’individuo non sarebbe riuscito a stimolare alcun sentimento in lei se non disprezzo.
In poco tempo cominciò a sentire il membro di Roberto sussultarle dentro. Non si era mai sentita così male per il piacere non soddisfatto, ma si sarebbe dovuta presto rassegnare a quello stato.
Vide lentamente cambiare l’espressione del viso di Roberto e quando il respiro cominciò a farsi più forte, prima di liberarsi in un urlo di piacere, lo sentì tirarsi indietro. Si prese il membro nella mano e prese a masturbarsi, incurante del desiderio di Marina, che adesso voleva solamente finisse presto quella tortura. Insieme all’urlo di Roberto si liberò uno spruzzo di sperma che le imbrattò il bustino, mentre uno meno intenso lo fece arrivare alle sue labbra, orinandole di berlo e di pulirlo da qualsiasi residuo. Marina non reagì ed eseguì silenziosamente. Come una gattina tirava fuori la lingua per distenderla su quel membro che perdeva consistenza nella sua mano, fin quando Roberto l’allontanò e prendendo la camicetta da terra si finì di asciugare.
Raccolse i vestiti e li indossò, mentre Marina, girata di schiena sul letto sentiva il proprio piacere violato bruciarle ancora dentro.
“Sei stata veramente brava. Questo completo è sudicio. Non voglio più vederlo. Prendi, così te ne compri uno nuovo! ” disse gettandole sul letto due biglietti da 200 euro, ma allo sguardo di rifiuto di Marina riprese per reiterare il suo ordine “E prendilo nero. Il nero mi eccita!
Gli altri sono per la camicetta! ” Si sedette accanto a lei sul letto e prendendole il viso tra le mani, in un gesto falsamente affettuoso, le sussurrò “Come vedi, provvederò io a te, ma non t’illudere che le cose potranno cambiare. Da me avrai solo soldi e mai piacere! Sei solo la mia puttana! Una bella e servizievole puttana! Puoi farti sbattere da chi vuoi, ma se ti azzardi anche solo una volta a negarti, ti giuro che ti rovino! ”
Marina stavolta non poté trattenere le lacrime e, prima che uscisse dalla camera, gli diede anche il gusto di vederle solcare il viso tristemente rassegnato.
Quando finalmente fu sola, si gettò sul letto di schiena. Prese a palparsi i seni, facendo riguadagnare al proprio desiderio quel poco di intensità che aveva perso. Allora si sprofondò le mani tra le gambe, penetrandosi con le dita e strofinandosi il clitoride sensibilmente gonfio. Adesso non c’era nessuno che glielo potesse impedire. Lo sentiva talmente grosso che fu costretta a stimolarlo con due dita. Pensava ad Andrea. Pensava a tutte le volte che si era spaccato in quattro per darle piacere. Aprì di più le gambe e poggiandosi sul talloni, cominciò a spingere verso l’alto come per andare incontro al bacino di qualcuno che la sovrastava. Avrebbe voluto sentire i seni palpati, i capezzoli picchiettati da una lingua ansiosa di farla arrivare all’orgasmo, ma purtroppo le mani erano già impegnate. Si mise in ginocchio con il petto contro la testiera del letto e lasciò che i capezzoli ne sfiorassero delicatamente la stoffa. Continuava il suo gioco di dita dentro e fuori di lei senza fermarsi, senza mai perdere il ritmo. Il respiro finalmente si fece più forte e, durante le ultime spinte, il tono della voce aumentò, prima cominciare ad urlare come una cagna in calore.
Urlava. Urlava senza ritegno. Urlava per liberarsi di quel piacere che le pesava sulla coscienza come un macigno, per liberarsi dalla frustrazione dei sensi insoddisfatti, ma non bastò per liberarsi dalla consapevolezza di essere solo una puttana. Le urla si trasformarono in un pianto isterico e, sprofondando il viso tra i cuscini, si perse in un sonno dal quale non avrebbe voluto mai svegliarsi.
Ed ora eccola invece su quello stesso letto ad osservare il vestito candido, come quello di una vergine pronta all’olocausto. Ma lei non era altro che una sgualdrina pronta a sacrificarsi al Dio Denaro e non c’era niente di onorevole in ciò.
Continuò ad osservarlo in uno stato di completa atarassia, ripetendo il copione che avrebbe dovuto recitare il giorno dopo, finché si addormentò, stavolta senza la speranza di risvegliarsi da quell’incubo in cui era abituata a vivere. FINE

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