Chi l’avrebbe detto che fosse così divertente un giro in scooterone?
Il nastro di asfalto che scivola sotto le ruote, l’aria fresca che fa sventolare i vestiti e s’intrufola sotto il casco (in tinta il suo, nero opaco il mio), il rombo rotondo del quattro tempi (me lo ha detto lui, io non ne capisco nulla), le conversazioni urlate che si spengono alle nostre spalle, a diradarsi come i gas dal tubo di scarico. I corpi vicini, a contatto, gli scossoni che ci uniscono, i seni contro la schiena, le gambe a stringergli i fianchi.
Ho indossato quella canottiera, di cotone, completamente bianca, che Luigi mi aveva fatto capire di gradire. Penso perché può avere un ottimo accesso al mio seno, vista la scollatura.
Lo cingo timorosa ai fianchi. Voglio sì toccarlo, ma non essere sfrontata.
Chissà se ha capito quanto mi piace? Ci fermiamo a fare rifornimento e il benzinaio guarda più Luigi che me. Anche lui se ne accorge e comincia a fare lo stupido. “Vai in palestra? ” gli chiede guardandolo lascivo. Io mi giro:
non posso evitare di ridere quando fa così. Il benzinaio risponde orgoglioso e iniziano a discutere di addominali ed esercizi ginnici. “Cinque serie da 20” confessa borioso Sandro. (Nel frattempo gli ha chiesto anche il nome).
“Posso toccare? ” lo provoca il mio amico; e si allunga a tastargli il petto. Mi chiedo come farà a rimanere serio. Lo guardo allibita e affascinata. Dopo che Sandro gli ha dato il numero del telefonino (di nascosto) rimontiamo in sella.
La strada fa una dolce piega, alla fine della quale s’inerpica leggermente per salire sull’argine del fiume. Ridiamo ancora del povero benzinaio e Luigi promette che andrà a fargli visita spesso.
Sostiamo a lato della carreggiata e sediamo sull’erba a fumarci una sigaretta. L’acqua del fiume è tranquilla, io un po’ meno. Ho paura e sono eccitata. Gli faccio notare il gracchiare delle rane e il cinguettio degli uccelli. Mi fa morire “il cittadino”, non saprebbe distinguere nemmeno una betulla da una pantegana!
La cosa che più mi piace è che mi fa sempre ridere, anche quando gli racconto le cose più tristi che mi sono accadute. Trova il lato ironico, divertente in qualsiasi cosa, senza risultare cinico. Sarà per questo che gli parlo proprio di tutto?
Sono proprio in uno di questi momenti, gli narro del mio primo amore, mi infervoro, non so come continuare….
Mi prende il volto, lo gira e mi bacia. Sono confusa e non rispondo al bacio, però piano piano mi sciolgo. Dischiudo le labbra dandogli completo accesso dentro di me. Sento la sua mano che perlustra curiosa e paziente.
Rotoliamo per la darsena, l’odore dell’erba è inebriante, gli steli secchi mi pungono il viso. Il sole abbaglia i miei occhi chiusi ad assaporare ogni sensazione. Mi morde, con decisione, la mano discende a disegnare il fianco, scorre sulla mia pelle. Avanza. Il leggero tocco mi distrae e lascio che mi baci come vuole. Il tocco diviene deciso, striscia su di me, arriva alla gamba. “Continua” penso “accidenti, continua” e gli succhio la lingua. La circumnavigazione della coscia è inesorabile. E lo sa anche lui. E lo sanno anche le mie mutandine. “Perché non ho indossato la gonna? “. Mi sfiora il ventre, affonda nell’inguine. Sospiro. Smette di baciarmi, si allontana leggermente e mi guarda fisso negli occhi. Richiudo i miei, avvinta e timida…
Un tuono non troppo lontano mi riporta alla realtà. Guardo l’orologio e vedo che è tardissimo. Devo tornare a casa prima che arrivi Adriano. Quanto tempo è passato? Come ho fatto a non sentire i tuoni prima? Mi guardo: sono piena di foglie e sterpaglie. Il cespuglio che ci ha celati è in condizioni pietose. La mia canottiera è inguardabile ma mi viene solo da ridere.
“Sembri uno spaventapasseri” mi dice. Ma anche lui non scherza.
I nembi si avvicinano velocemente, ormai prossimi a piombarci addosso…
Rimontiamo in sella e schizziamo via. Stavolta lo cingo apertamente, senza timori, la sua mano saltuariamente si poggia sulla mia e mi rende felice.
L’acqua ci investe improvvisa. È un temporale vero e proprio, Luigi fatica a tenere l’equilibrio e decelera vistosamente. Giungono sferzate tremende, il vento, a folate, rischia di buttarci giù da un momento all’altro, il casco sbatacchia e con esso la mia testa. La visibilità è minima e l’odore dell’erba, ormai bagnata, non presagisce nulla di buono. Solo i frequenti lampi rischiarano l’aria, ma rendono ancora più buia la loro assenza.
Il fiume adesso sembra piombo fuso. Mi chiedo con un sorriso dove siano andate a ripararsi le rane. Procediamo quasi a passo d’uomo, sulla nostra destra la pianura si perde indefinitamente, ma il velo acqueo ne mostra solo le più vicine propaggini. Le varie gradazioni di verde si sono amalgamate, smussate, confondendosi in grigi su grigi. Sembra quasi che qualcuno abbia ecceduto sui comandi di un televisore. Ma senza toccare il mute: lo scroscio è assordante, copre il rumore cupo del motore. Mi stringo forte a lui, la testa insaccata tra le sue scapole, voltata di lato a cercare un riparo. La strada è abbastanza alta da permettermi di intravedere oltre la coltre del boschetto che dilaga nella pianura, ma si scorge ben poco dietro il sipario liquido.
Vedo nel grigiore serale i merli di un antica costruzione, sembra quasi un castello. Faccio cenno a Luigi: “Là, da quella parte” urlo disperata. Lui la vede e, raggiunto un viottolo laterale, si inoltra nello sterrato. Schizzi di fango ci lordano ovunque, una buca quasi ci scaraventa a terra e urlo di paura. Il viottolo è quasi un sentiero. Accidentato, ma dà l’impressione di essere battuto regolarmente, anche se non di frequente: ci sono le classiche rotaie disegnate dai pneumatici, ma l’erba al centro è decisamente alta. Gli alberi si richiudono sopra di noi bloccando la poca luce e il faro dello “Scarabeo” taglia le tenebre quasi timoroso. Svela i mostri nascosti negli intarsi della corteccia dei fusti rugosi. Dopo una stretta curva, percorsa con circospezione dall’attento Luigi, quasi la conosca, il sentiero si allarga sfociando in un ampio spiazzo, prospiciente la costruzione.
è vecchia e fatiscente, l’edera ne ricopre una buona parte e grosse crepe denunciano la precarietà delle mura. Il prospetto è un quadrato imponente, con piccole feritoie che contribuiscono a darne un’immagine da orco addormentato. Sulla sinistra, quella che doveva essere una torre, è mezzo crollata. I merli sono fitti e al centro di ognuno si scorgono delle figure alate, ma non capisco cosa siano di preciso. “C’è nessuno? ” salto giù e grido con tutta la mia disperazione. “Vai alla porta, vedi se è aperta” urla lui. La porta cede con un tonfo quando la tocco e zompo indietro spaventata.
Ripeto il mio richiamo, ma nessuno risponde. Luigi chiede il mio soccorso “Aiutami a portarlo dentro”. Metto la porta come una rampa sui quattro scalini dell’entrata trascinandola con tutte le mie forze, accidenti quanto pesa! Poi spingiamo il grosso scooter all’interno. è tutto buio. La luce dei fulmini serve poco qui dentro, il portico non la fa entrare.
Quelle dello scooter si aprono a cono contribuendo ad accentuare l’atmosfera spettrale. Luigi gira il manubrio in entrambe le direzioni per illuminare gli angoli bui. La casa è vecchia ma l’arredamento è curato, intatto.
I mobili sono grossi e pesanti, ma rifiniti con stile. Vasti arazzi rivestono le pareti, il pavimento è ricoperto di tappeti di ottima foggia, purtroppo ne abbiamo già infangati alcuni. Tutto ciò mi infonde la speranza che la casa sia abitata. Cerco l’interruttore ma non ce ne sono. Luigi recupera delle candele da un candelabro in stile ebraico. Mi colpisce la mistura di stili, c’è di tutto: statuette nere dai volti africani, sculture in avorio ingiallito, monili di chiara provenienza europea. Una matrioska. Strane pietre corrose. La parete a sinistra della porta è nascosta da una libreria enorme, con centinaia di volumi. Volumi grossi di pelle marrone. Non un libro è fuori posto, sono tutti allineati come cadetti sull’attenti.
Defilata, illuminata solo di riflesso dal faro, c’è un’armatura. Non è che ne capisca molto, ma giurerei, anzi ne sono certa, che sia originale. è chiara, lucida, anche se, con mia grande sorpresa, si rivela essere d’argento. Sono sempre più fiduciosa che il luogo sia abitato: qualcuno la dovrà pure lucidare… è bellissima, ci sono pietre verdi e gialle (ma non posso esserne sicura) disposte a fare una croce celtica. L’elmo è sontuoso, decorato, come i gambali e il corpetto, da rifiniture dorate. Ha la forma della testa di un uccello. Il becco è allungato e lavorato come se avesse denti aguzzi. Incute un certo timore.
“C’è nessuno? “, tento un’ultima volta. Inutilmente. Per fortuna l’accendino funziona e dopo un paio di tentativi le candele spandono il loro lieve barlume. Un ulteriore pensiero mi preoccupa:
“Accidenti cosa dirà adesso Adriano? ”
“Non tormentarti, la verità sarà sufficiente”.
“Che stavo con te ad amoreggiare? ”
Mi dà un bacio leggero “No, stupidina, che ti ha bloccata il temporale”.
“Cavoli ho lasciato il cellulare in macchina, tu? ”
“Io a casa, non volevo essere disturbato” e mi sorride dolce come sempre.
Alcune stanze sono quasi vuote, altre arredate come la prima, le imposte sbattono continuamente a celare l’ululato del vento. La speranza vacilla e le stranezze del luogo m’infondono angoscia.
“Mi fa uno strano effetto questo posto” dico.
“Hai paura? ”
“Un po’” ammetto sfidando la sua espressione (un sorriso leggermente di sbieco).
“Io lo trovo eccitante” e mi mette una mano sul sedere.
“Stupido “gli dico, ma mi giro e lo bacio profondamente.
è strano come mi senta, come reagisca. L’ho conosciuto poche settimane fa.
Benedetto ICQ. Dopo una settimana ci siamo incontrati ed è cominciata la danza del corteggiamento. Altre volte eravamo stati vicini al baciarci, ma prima l’uno poi l’altra, qualcuno s’è sempre tirato indietro. E adesso mi tocca il culo. E a me piace. Avrei voglia di fare l’amore con lui. Di nuovo.
L’acqua non è riuscita a lavare via il piacere di alcune ore prima. Ondeggio ancora a pochi palmi da terra, dove la tensione cerca di trascinarmi. Ma lui è ancora qui a ridarmi quota.
Percorriamo uno strano corridoio fatto di muri in pietra e muffa negli interstizi, c’è una puzza indefinibile, “Torniamo indietro ” dico a Luigi che imperterrito continua. è proprio un bambino. Le scarpe faticano a staccarsi dal pavimento, come ci fosse chewingum, e un refolo d’aria mi fa intirizzire. Mi stringo a lui e ne sento i muscoli in movimento, inspiro il suo odore. Ho i vestiti inzuppati che aderiscono alla pelle. Mi guarda e sorride “Senti freddo? “, “Non lo so” rispondo. Sento freddo, ho paura, sono eccitata. Luigi si ferma e mi abbraccia “Stai tranquilla”, infila la mano sotto la canottiera e mi tocca un seno. Lo soppesa nell’incavo della mano, che riempie. Lo stringe, si abbassa a succhiare il capezzolo dell’altro. Non so come faccio, non so se sono veramente io a comandarle, ma le mie dita toccano la sua erezione. La stringo attraverso i pantaloni di lino bagnati, praticamente inesistenti. Ansima sorpreso e mi morde il capezzolo, una fitta di piacere e dolore fa scattare in perfetta sincronia tutte le mie vertebre.
Poi un lungo ululato. Famelico, improvviso. “Cosa è stato? ” guardo atterrita in ogni direzione. Rigida, tesa. Luigi mi guarda divertito e mi sento stupida “è stato il vento”, “Non era il vento, era un grido!! ” ribatto.
Scoppia a ridere, mi abbraccia, mi bacia dolcemente le labbra “Sei soltanto scossa” Scossa? Ho proprio paura adesso, fifa pura, anche se la sicurezza di
lui mi dà animo. E poi non potrei mica tornare indietro da sola. Però potrei fare una bella scenata, mettermi a piangere e urlare. “Ah Ah Ah Ah Ah” delle
cose viscide mi svolazzano attorno. Luigi sventaglia le candele. “Via, andate via ” scacciando i pipistrelli a centinaia.
“Amore ho paura , torniamo indietro” piagnucolo.
“Ma sono solo pipistrelli e poi me l’aspettavo”.
“Cosa? “, “La senti questa puzza? è guano di pipistrelli, guarda a terra, ne è pieno”. Abbassa la candela a illuminare macchie vomitevoli.
Inorridisco ancora di più e lo abbraccio, non osando chiedermi che cavolo ne sappia lui di guano di pipistrelli. Imperterrito mi trascina per il corridoio, che pare non abbia fine. Ripenso alla frase di poco prima, a quella parola “Amore”. Ma cosa ho detto? Deve essere stata la disperazione, la tensione, il temporale. O forse i suoi baci, le sue mani, il suo modo di darmi piacere. O forse qualcosa di più pericoloso. Forse è vero, probabilmente lo amo, ma solo l’idea mi mette in subbuglio. La scaccio decisa.
Giungiamo in un vicolo apparentemente cieco, ma a ben guardare ci sono due porte. Luigi apre quella di destra. “Ecco! ” esclama. La camera è ampia, immensa, con un sontuoso materasso circolare di almeno tre metri di diametro, alla luce incerta delle candele sembra rosso, tutta la stanza sembra dello stesso colore. Le pareti sono ricoperte di larghe falde di velluto che cadono dal soffitto a cassettoni intarsiati con scene mostruose, che la tenue luce rende ancora più terribili. Il pavimento è ricoperto di tessuto rosso, pelle di ottima qualità, il mobilio è praticamente assente, a parte un comodino, in un angolo, a forma di uccello accartocciato. L’aspetto del tutto è funereo. Immagino scene orgiastiche, intrecci di creature informi, riti pagani e strane diavolerie. Quel comodino poi… mi ricorda qualcosa. Mi è stranamente familiare.
Ho voglia di scappare via , Luigi mi cinge e mi bacia. Mi sgancia il reggiseno.
“No, qui no, ti prego” lo supplico. Ma lui continua a baciarmi, la sua lingua mi toglie le forze per reagire e mi lascio cadere sul letto. Adesso realizzo! è lo stesso uccello dell’elmo d’argento. Tento di rialzarmi ma la sua mano è più rapida. Mi blocca e comincia a spogliarmi, le dita precise.
Le affonda dentro di me e mi dichiaro sconfitta. Descrivendo una piccola parentesi orizzontale. In un batter d’occhio la sua lingua gioca con i miei capezzoli, mentre mi dedico a sbottonargli i pantaloni. Glielo tiro fuori e sembra enorme, con l’atmosfera strana, lo ingoio e fatico a imboccarlo tutto. “Sei eccitato! ” dico guardandolo, “Succhialo! ” L’insolita scortesia del mio ingegnerino mi eccita. Sento un incendio tra le gambe, penso che avrei bisogno anche io di una pompa per spegnerlo e mi viene da ridere.
Luigi mi monta sopra, con le mani mi blocca la testa premendomi sulle guance e mi scopa la bocca con violenza, sono stupita, ma mi bagno come una fontana. Ironizzo che non ho più bisogno della pompa. Lo guardo, si volta.
è assatanato. I muscoli del ventre scattano veloci e un filo di sudore bagna il suo petto villoso. Mi gira all’improvviso e si mette alle mie spalle. Non mi piace essere sodomizzata, ma non oso contraddirlo e non ne ho neanche l’intenzione. “Si lo voglio, lo voglio dentro”. Faccio un piccolo sforzo di volontà “Mettimelo lì”, ancora un altro “Nel culo”. La cappella è a pochi centimetri dal buco. La poggia lì. Sento la pelle tendersi, allargarsi per accoglierlo. Spinge forte e godo. Dolore e piacere. Ma l’urlo che mi muore in gola è solo di terrore: un uomo enorme mi sta di fronte con il membro eretto, non posso muovermi (Luigi mi tiene saldamente per i fianchi). L’uomo ficca il suo pene nella mia bocca spalancata, spegnendo sul nascere le mie grida. Luigi che mi dice di stare tranquilla, che è tutto ok.
Non comprendo cosa stia accadendo, penso sia un suo amico. È assurdo, lo so.
Da dove è sbucato? Che ci fa qui? Sono anche eccitata come mai prima e non ammetto minimamente che Luigi smetta di affondare. Potendo pensare a freddo non potrei mai capacitarmi di farlo, ma nel momento, pur nell’assurdità della cosa non trovo di meglio che iniziare a succhiare. In ogni caso le mie rotelle non hanno nemmeno il tempo di girare tanto. Lo pompo brevemente e l’uomo viene subito. Viene e viene, poco dopo Luigi si vuota dentro il mio retto con un gemito basso e rauco, entrando con forza, tenendomi con le unghie a sangue per i fianchi. L’altro continua a eiaculare, sembra non finire mai e io ingoio a fatica. Ormai non ce la faccio più e lo sperma mi cola agli angoli della bocca. Mi allontano continuando a smanettarlo e il flusso non si arresta. Impazzisco letteralmente, mi spalmo il viso dei suoi umori, sul seno, lo succhio come una cannuccia. Il suo sapore è fantastico, strano. Poi realizzo: è sangue! è sangue e sperma. Passo il braccio sulla bocca per ripulirmi, mi libero, salto al centro del materasso come una bambina indifesa.
“Cosa succede? ” dico inorridita. “Chi è lui? ” Come fosse spuntato solo adesso.
“Non preoccuparti, è giunto il momento”.
“Ma di che cazzo di momento parli? ” riconosco l’isteria nella mia voce.
“Calmati, vieni con me”.
Mi raccoglie dal letto, non mi aiuta ad alzarmi, mi raccoglie proprio.
Eccitazione, terrore e stordimento formano un liquido singolare che galleggia nel mio petto. Mi abbraccia e mi sussurra di calmarmi, che adesso mi spiegherà tutto. Mi bacia, mi carezza, prende la mia mano accompagnandomi fuori dalla stanza. Abbarbicata a lui cammino guardandomi indietro, osservando l’uomo enorme con il membro ancora eretto. La sua espressione seria è inquietante. Entriamo dall’altra porta. Ci accoglie una stanza fredda, spoglia. Corde e catene sono attaccate ai muri nudi. In fondo un’inferriata blocca l’accesso ad un cunicolo che scende a perdersi nell’oscurità. L’odore di umido è misto a qualcosa di indefinibile, un afrore pungente e sensuale che m’infonde un senso di morte. Scostato sulla destra, un tavolaccio di legno è colmo di terribili strumenti aguzzi, brillanti della luce tenue della fiammella. Addossata alla parete alla mia sinistra c’è una rastrelliera. Intasata di tenaglie, forbici ed altre amenità di cui non oso immaginarmi l’utilizzo. In un angolo c’è una “Vergine di ferro” dal volto egizio, stupenda pur nella sofferenza che il suo uso evoca. All’angolo opposto una lettiga imperniata ad una ruota, con strani ingranaggi rigorosamente di legno. Sono più confusa di prima, se fosse possibile, ancora più spaventata. “Ma è una stanza delle torture! , dove siamo Luigi? ” comincio a piangere disperata. Mi riaccompagna di là. Non offro la minima resistenza, sono svuotata, senza forze. Quello che sembrava un comodino si è trasformato in una sedia dall’aspetto mostruoso. Con i braccioli piumati e la spalliera che termina nella famelica testa di Pterodattilo. Ecco cos’era! E mi sento stupida della laconica gioia di avere finalmente capito che non si tratta di un uccello. A tradimento Luigi mi ci fa sedere e non ho il tempo di reagire che l’altro uomo mi blocca le mani con dei ganci.
“Lasciatemi! “. Cerca di bloccarmi anche i piedi ma stavolta sono preparata, lo colpisco alla bocca, che comincia a sanguinargli, ma ben presto la sua forza ha la meglio. Guardo Luigi furiosa.
“Liberami stronzo! non mi diverto per nulla”
“Guarda amore” mi dice sorridendo” forse non hai ben capito la gravità della tua situazione”
“Ma” cerco di controbattere
“Ma, un cazzo! ” si avvicina per una carezza che rifiuto.
“Adesso apri bene le orecchie” continua “E cerca di capire, se vuoi alzare il culo da lì da viva. Culo che ho avuto il piacere di scopare da poco. ” E scoppia in una risata ironica e odiosa. Sono furente. “Stronzo! “, ma lui neanche pare accorgersi del mio moto d’orgoglio:
“Lo Pterodattilo è il nostro simbolo”
Così dicendo abbassa la testa del dinosauro mentre l’altro mi tiene per le spalle. Ho il volto coperto e non riesco a vedere che per un raggio strettissimo da sotto la maschera, per fortuna degli appositi fori all’altezza delle narici e della bocca mi permettono di respirare e parlare.
“Ma simbolo di cosa? ” domando spaurita
“ZITTA!! “, non l’ho mai sentito urlare così, in verità non l’ho mai sentito urlare. è duro ammetterlo, ma in fondo non so praticamente nulla di lui a parte il poco che mi ha detto, cui adesso neanche credo.
“Devi solo ascoltare” intima “Non devi dire nulla. Ascoltare e memorizzare”
Faccio segno d’aver capito, disorientata da tutto, non ultimo il buio quasi totale cui sono costretta.
Finiscono di legarmi con delle cinture e realizzo solo in questo momento di essere completamente nuda.
“Come dicevo lo Pterodattilo è il nostro simbolo: dinosauro e uccello, una porta tra passato e futuro, tra un mondo e un altro. Il mondo che ci è stato promesso e che otterremo. Un mondo senza impedimenti, dove saremo liberi di volare, non più dinosauri, ma uccelli. E tutto ciò lo otterremo anche grazie a te”.
Ci sono strani rumori, come tanta gente che si muove. Da dietro i teloni si avvicina un folto gruppo di persone. M’impongo di non parlare, ma tremo, tremo disperata. Un uomo mi si para davanti, ne vedo le gambe pelose. è nudo. Dal foro all’altezza della bocca introduce qualcosa. Un pene eretto.
Razionalmente ho l’impulso di morderlo, ma l’istinto (quello di sopravvivenza) m’impone di arrestarmi. “Se vuoi alzare il culo da lì….. se voglio rimanere viva”. Comincio a pompare il cazzo che mi sta di fronte.
L’uomo lo muove ritmicamente e, paradossalmente, mi eccito. Mi sento sporca, troia, usata, schiava, umiliata, ma mi eccito.
“Tu sei una pedina fondamentale perché la profezia non si blocchi, perché si compia ciò che è stato scritto”
L’uomo mi inonda, inghiotto tutto, e poi se ne va, il foro viene occupato da un altro pene turgido. Delle mani mi infilano lentamente, sensualmente un paio di calze di nylon.
“In braccio al non uccello, donna pazza
Mondata dal passato a corpo puro
Sarà chiave alla porta del futuro
Quando ivi tornerà, nella corazza.
Recita il penultimo passo. Tu sarai la donna pazza. Tu sarai la nostra
chiave”
Una lingua si immerge nei miei umori e capisco che è una donna, ne intravedo i capelli lunghi e la schiena efebica. è nuda. Mi concentro sul delirio di Luigi e lascio libero accesso al piacere che m’invade prepotente. Sono dissociata: al di fuori del mio corpo a prendere nota di tutti i vaneggiamenti del mio, direi ex, amico, osservando la mia materialità squassata da forti sensazioni. Si sono dati il cambio altri due uomini e una donna quando sento arrivare il primo orgasmo, me lo prendo tutto fino in fondo, lasciando che il mio corpo lo esaurisca. Le donne e gli uomini continuano ad alternarsi, le une leccandomi, gli altri eiaculandomi in gola.
La bocca ormai indolenzita, la testa vuota, le gambe molli.
“Adesso leggerò il diario di mio nonno, alla data che tutti voi conoscete” un brusio basso conferma.
“Ora ascolta con più attenzione, perché è l’ultima occasione che hai per uscire viva da questa storia. Forse non normale, ma viva. Hai capito bene? ”
Grugnisco un sì, il meglio che mi riesce di fare con una lingua tra le gambe e un cazzo in bocca. “Dovrai fare tutto ciò che sarà letto. Cominciamo”.
Il mio corpo continua a sussultare per gli orgasmi continui. Spossato. La mia mente è lucida, tutte le facoltà convogliate ad intendere e memorizzare.
Ne va della mia vita. “Forse non normale ma viva…. ”
La voce di una vecchia principia a leggere:
«« Nell’anno 1052 del Signore, giorno 17 del mese di genuario.
Finalmente è giunto il momento di quella strana donna. Dopo due settimane nel loculo assieme a scarafaggi e topi è dimagrita solo leggermente. I topi sono molti meno. Abbiamo trovato le carcasse sepolte, almeno le prime, poi non si è più presa la briga. Le abbiamo riservato il rituale più drastico:
da bere il nostro e il di lei piscio, per lavarsi sangue di capra e sperma di cavallo. Francisco asserisce di averla vista bere lo sperma mentre si titillava le pudende. La cosa che più ci affascina sono quei calzettoni, stretti di un materiale sconosciuto, elastico e trasparente o opaco a seconda dell’elongazione a cui è sottoposto. Quando l’abbiamo trovata era piena di lividi, sperma umano e sangue, nuda, se non per i sopraccitati calzettoni. Il suo ritrovamento ha dell’inspiegabile come i fatti accaduti questa notte. Era seduta sullo Pterodattilo nelle condizioni che ho descritto. Ma nessuno di noi l’ha portata qui dentro. Francisco sospetta di Leonardo, il nuovo garzone, ma io e Maximus conveniamo che sia lo strumento della profezia L’abbiamo prelevata oggi dal loculo. La puzza di feci e decomposizione era indicibile. Maximus l’ha sodomizzata con un bastone e guidata con esso fino alla stanza degli esperimenti. La donna ha eseguito provettamente. L’abbiamo distesa e procuratole abrasioni e intacche a braccia e gambe, voltatala abbiamo disegnato tutti i nostri simboli sulla sua schiena con ferro e fuoco. L’abbiamo posseduta con vari oggetti dilatatori. Non ha urlato una sola volta. L’abbiamo incatenata alla parete e inserito cimici sotto la sua pelle, tirato le unghie una per una dai piedi e dalle mani, nessun dolore evidente da parte sua. Francisco ha perduto la testa e con un colpo d’ascia le ha mozzato una mano. Non un filo di voce ha emesso la donna. Ci guardava calma, quasi impaziente. Con le lacrime agli occhi ma senza un solo lamento. Si è accasciata guardandosi il moncherino, Maximus l’ha presa per le spalle e l’ha distesa sul tavolaccio. Le abbiamo cauterizzato la ferita perché non si dissanguasse. Quindi l’abbiamo vestita dell’armatura per il sacrificio. Movendosi lentamente si è seduta nuovamente sullo Pterodattilo. Eravamo stupefatti: sappiamo che alcuni uomini non riuscirebbero nemmeno a farla vacillare. Lei, nelle sue condizioni, ha percorso almeno 2 metri. Francisco ha sussurrato: “Ommioddio!! ” e la donna si è voltata per guardarlo, poi ha detto chiaramente: “Ho fatto tutto. Riportatemi avanti”. Ed è svanita. ««
Non si è ancora dissolta del tutto l’eco rauca della voce gracchiante che Luigi ricomincia a parlare (nel frattempo le donne e gli uomini avevano smesso di alternarsi):
“Adesso cara Raffaella; amore mio adorato… ”
“Quanto è stronzo” penso
“… sarai inviata nell’anno 1052, lì verrai, come dire… presa in custodia”, risa sommesse mi fanno sentire ancora più livorosa.
“Dai nostri confratelli e dovrai subire ciò che hai ascoltato. Verrai ipnotizzata per non manifestare il tuo dolore, ma, ahimè, il dolore ci sarà, tesoro mio. Potremo anche evitare che tu lo percepisca, ma voglio essere sicuro che farai tutto ciò che abbiamo letto”
Altre risa, Luigi sghignazza apertamente. Mi sento morire al pensiero delle torture che dovrò subire, ma non ho altra scelta, devo ascoltare.
“Nel bracciolo di sinistra, sotto la sporgenza che trovi all’esterno, c’è un pulsante” muovo le dita e lo tocco “Brava, proprio quello, ma se lo premi adesso non succede nulla. Quando Francisco avrà detto Ommioddio i dettami del diario saranno rispettati, ti sveglierai dalla semisonnolenza che l’ipnosi t’indurrà e potrai premere il pulsante. Soltanto a quel punto lo Pterodattilo entrerà in funzione. Raccoglierà la nostra energia (noi rimarremo qui a pregare) e sarai riportata qui. Più o meno sarai di ritorno tra un’ora, anche se per te saranno passati alcuni giorni” fa una pausa “A questo punto puoi parlare, hai capito tutto? ”
La mandibola mi fa male, raccolgo tutte le mie energie per dare spessore alla mia voce e prego che mi sostenga, non voglio dare ulteriori motivi di divertimento:
“Sì, ho capito tutto. Posso chiederti solo un piacere? ”
“Dimmi zuccherino” mi schernisce
“Devo perdere per forza la mano? ”
“AHAHAHAH… accendete la macchina”
“Stronzoooooo”
Ma non mi guarda neanche. La vecchia si pone davanti a me e comincia a sussurrare parole che non capisco. Lentamente perdo le forze, mi rendo conto di starmi assopendo. Lo Pterodattilo sotto di me comincia a sussultare ed ho paura, ho pura. Lotto contro me stessa, ma il terrore è più forte di me:
“Aiutatemi, aiutoooo!!! Luigi salvami…. aiutatemi… liberaaaaaatemi….. ”
Sento caldo. Il poco che scorgo da sotto la maschera perde consistenza, sembra l’effetto del vapore che si alza dall’asfalto rovente, fatico a vedere le mie gambe, la testa comincia a turbinarmi. Gira, gira, si arrotola, non so come spiegarmi, ma si arrotola su se stessa, sento tirarmi dalle spalle, spingere dalle gambe. Ho le caviglie all’altezza degli avambracci, il busto in un punto qualsiasi attorno alla mia testa. E poi vento. Vento gelido, particelle calde mi punzecchiano le guance, gli occhi lacrimano, volteggio nel caos, ma sono ancora legata alla sedia, sento i legacci che mi tengono ancorata. Ma mi sposto. Perdo contatto, spiralizzo verso un punto verde e arancio che diventa sempre più grande, più mostruoso.
Mi mangia, mi acceca…..
Riprendo conoscenza dove l’ ho perduta. Sono intontita, i miei riflessi sono anestetizzati ed anche i miei pensieri si srotolano come al rallentatore. Ma sono ancora in quella maledetta stanza e immagino ad uno scherzo ignobile, ma ben fatto. Devo darne atto, realizzato magistralmente. Poi mi rendo conto che posso vedere! La maschera non copre più il mio viso. Mi guardo attorno.
Qualcosa è diverso. La luce. Sul soffitto di pietra, un lampadario di ferro battuto, con decine di bracci a forma di serpenti, sparge il bagliore di grosse candele rosse. E poi tutto sembra… tutto sembra nuovo. Come se avesse mille anni in meno!!! Si apre la porta. Tremo di paura. Entra un ragazzo. è alto, bello, vestito di una lunga tunica rossa, all’altezza del cuore ha uno stemma. Uno Pterodattilo con le ali spiegate. Una donna cavalca il suo dorso. Lo guardo atterrita ed anche il suo sguardo manifesta terrore, terrore e sorpresa. Fa per scappare, ma io lo chiamo “Ragazzo, aiutami!!!! ”
Sparisce dietro la porta, ma le sue dita sono ancora ferme sullo stipite.
Rimangono lì per alcuni, interminabili secondi, la mia speranza aumenta.
Spunta una spalla, poi entra del tutto.
“Come ti chiami? ” gli chiedo
“Francisco” si avvicina “Ommioddio!! , ma come sei conciata? ” FINE