Le comprai finalmente, mi decisi e le comprai. Un euro gli elastici colorati per legare i capelli e cinque per il collarino di pelle nera con piccole borchie di metallo. Erano le cose che mi mancavano per farmi bella, per Luca. Con gli elastici avevo in mente di farmi le trecce e darmi un’aria da monella, mentre il collarino mi avrebbe involgarita e resa più vicina al “ruolo”, più porca. Volevo fargli vedere che non avevo paura di mettermi in gioco. Sarei andata per gradi, certo, piano piano, ma senza fretta sarei riuscita a fare qualsiasi cosa per lui. Anche “quello”. Da parecchio tempo ormai, ogni volta che facevamo l’amore, si parlava di “quello”. Era un’idea che mi eccitava moltissimo. Spingersi al limite del gioco. Saggiare il mio coraggio. Volevo, mi stimolava, ma avevo dei crampi allo stomaco quando ci pensavo a freddo. La cosa migliore era arrivarci piano, piano. Infondo, per ogni mestiere ci vuole tempo per impararlo, ed il fatto che fosse il mestiere più antico del mondo, non lo rendeva certo più facile. Anche quella sera mi vestii in modo sobrio, in apparenza, per non destare sospetti. Salutai tutti e volai via. Attesi un po’ il suo arrivo mentre mi illuminavo, di tanto in tanto, dei fari delle auto che sbucavano, senza un ordine né ritmo preciso, da dietro il muro che delimitava il parcheggio. Poi, ad un tratto, arrivarono i suoi fari ed invasero l’abitacolo della mia Pandina e mi trapassarono l’anima, scuotendola. Scesi senza prendere le cose, non volevo che sbirciasse e scoprisse la sorpresa prima del tempo. Saltai giù dalla macchina, corsi verso di lui e spalancai in un attimo il suo sportello ed i suoi occhi. Li vidi aprirsi tutti, poi richiudersi accompagnati da un sospiro e da un sorriso. Uno di quelli speciali, uno di quelli per le cose eccezionali, improvvise e belle. Quello era per me, per le mie treccine e finalmente tutta la preparazione del pomeriggio aveva avuto un premio: quel suo sorriso. E capii che per un sorriso così, avrei potuto fare di tutto, molto di più. Intanto, per quella sera, quel sorriso fu un tassello in più per il mio “puzzle del coraggio”. Ci allontanammo un po’. Non mi portò al punto panoramico, voleva trovare un posto nostro, senza panorama, pazienza, ma nostro… e lo amavo per questo. Infondo eravamo noi lo spettacolo. Ci serviva solo un posto, il resto lo avrebbero fatto i nostri corpi e le stelle. Era un concerto, sempre, ogni volta. Dove gli strumenti, accordati perfettamente, prendevano a vibrare sotto i colpi sapienti di un abile direttore d’orchestra. Ma quella sera ci fu “una prima”. Cominciammo a danzare uno dentro l’altra, caricando la nostra libidine con quell’idea che ci piaceva così tanto. Lo cavalcavo. Era meraviglioso quando mi chiedeva
– cosa faresti per me? – ed io, tra i baci,
-la puttana! – , scossa dal crampo che puntuale mi raggiungeva lo stomaco, ma non mi aspettavo che si andasse oltre. Ed invece, quella sera, sotto quelle stelle, con la bocca piena della sua lingua, sentii un ordine. All’improvviso aggiunse
-alzati ! Non devi godere ! Io sono il tuo cliente, fammi godere con la bocca ! – Non avrei voluto alzarmi, avrei perso qualcosa che mi piaceva da morire, ma dovevo ubbidire, era il gioco. Lo guardavo negli occhi mentre mi alzavo da lui. Lo lasciavo scivolare fuori dal mio ventre e continuavo a guardarlo negli occhi mentre gli scendevo giù, tra le ginocchia. Ero a terra, stretta tra i due sedili, scomoda, ma le puttane non devono stare comode ! Ero eccitata, bagnata, e impaziente di farlo felice. Si faceva sentire lui con i suoi gemiti ed io prendevo fiducia in me stessa e ci mettevo sempre più passione. Lo amavo, lo adoravo, e quella era l’immagine esatta di quello che volevo essere: la sua “troia”, carponi ai suoi piedi, che lavorava per lui. Una geisha portata all’esasperazione dall’erotismo e dall’amore. Ancora due colpi con la lingua e la mia bocca s’inondò di lui, caldo ed abbondante, tanto che non riuscivo a contenerlo tutto. Chiusi gli occhi. Li avevo chiusi, li chiusi di più e mandai giù il mio Luca ed il mio amore per lui. Mi trasbordò dalle labbra. Mi colò sul pugno chiuso ancora stretto attorno a lui. La cosa più bella a quel punto era sentire la sua spossatezza mista a soddisfazione di uomo; la cosa più dolce era continuare a leccare e succhiare fino all’ultima sua goccia. Ma era davvero tanto quella sera, troppo. Avevo bisogno di un fazzolettino e mentre pensai di chiederglielo, sentii Luca muoversi per prenderlo e mi venne un sorriso. Si piegò in avanti per raggiungere la tasca dei pantaloni spinti a fisarmonica contro i suoi piedi, ancora ormeggiati attorno le caviglie. Alzai lo sguardo pronta a ricevere dalle sue mani il fazzoletto, ma non fu questo. Vidi che in mano non aveva il pacchetto dal quale estrarre il fazzoletto di carta. Nella mano teneva il suo portafogli. Dio ! Capii. Cercò e tirò fuori un biglietto da cinquanta euro.
-No! – gli gridai
-No Luca, stai scherzando? ! – e mi tirai su dritta sulla schiena,
-Shhhhhh-, mi fece, -sei stata brava! – mantenendo un’espressione del viso seria, impassibile.
-No Luca, ti prego… – ed abbassai la testa. Non sapevo cosa pensare: era il gioco che continuava o mi sarei dovuta offendere? Ma lo amavo e lui amava me e capii che era il gioco che continuava. Allora lui mi prese il mento con le dita e lo tirò su verso il suo sguardo dicendomi…
-è la tua prima “marchetta” e l’hai fatta con me. – FINE