Da tempo vado leggendo racconti, spesso fantasiosi, che dicono di rapporti sessuali coi propri figli. è bene chiarire subito. Col proprio figlio! Sono andata anche a frugare nella infinita e contrastante letteratura che tratta di tale materia. Dissertazioni lunghissime, con riferimenti mitologici, biblici, di tante religioni, e come tali rapporti vengono considerati nelle varie parti del mondo. A me sembra, però, che si trascuri un elemento che ritengo fondamentale: in ogni caso si tratta di due esseri viventi, di diverso sesso, che per le immutabili leggi della natura si attraggono, e desiderano soddisfare, l’uno con l’altro, il loro altrettanto naturale ed istintivo appetito sessuale. Immagino già chi scuote la testa: ‘ma proprio con lui? ‘ Non ricorrerò neppure al paragone della fame di cibo, cioè ricordare che quando si ha fame si mangia quello che si trova, ma non ci si può impedire di avere l’acquolina in bocca quando si vedono certi bocconi ghiotti. Non solo, ma c’è il fascino del ‘fatto in casà, e soprattutto del ‘fatto da mè! Affinità elettive anche nel sesso? Ci sono cose che il destino si propone ostinatamente. Invano gli attraversano la strada la ragione e la virtù, il dovere e tutto ciò che c’è di più sacro; qualcosa deve accadere, che per lui è giusto, che a noi non sembra giusto; e possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che vince. Così pensa Goethe. Ma credo che sia proprio così. Cosa ci spinge ineluttabilmente, fatalmente, verso ciò che altri considerano tabù? Prima di tutto il convincimento che non può esserci tabù per ciò che natura vuole, e poi il complesso di attrattive: visive, tattili, auditive, olfattive. Sì, anche, e in certi casi soprattutto, olfattive. I feromoni, gli odori che attraggono i sessi, sono una prova. Ecco, provate a pensare, adesso, al succo di limone: a molti viene l’acquolina in bocca. Cercate di riportare alla mente l’odore del vostro partner prima, durante e dopo l’accoppiamento. Molti si eccitano. E qualcuno risente il sapore del sesso dell’altro. Per sapere se ‘luì (o ‘leì) sia l’irrinunciabile, bisogna pensarvi quando si è sazi. Insomma, se si sbava per avere rapporti con quella persona, anche dopo una scorpacciata sessuale, significa che è proprio il soggetto al quale non puoi rinunciare, indipendentemente da naturali o giuridici legami. Io, in effetti, non posso dirmi sessualmente insoddisfatta. Ho quarantacinque anni, tutti mi dicono che me li porto benissimo, e lo specchio me lo conferma. Gli uomini mi occhieggiano e… ci provano. Ho un marito saldo e robusto, che in materia non mi fa mancare niente, ma…
Ecco, devo riflettere sul ‘mà. Guglielmo, mio marito, io lo chiamo Mino, è un bel uomo, di carattere dolce, premuroso, mi colma di attenzioni, mi carezza, coccola, e certamente non mi lascia digiuna, sessualmente parlando, ed è anche diligente, impegnato a farmi raggiungere il piacere, ma… Ecco, è un po’, come dire, monotono, sempre uguale, ripetitivo. Per lui le fantasie erotiche non esistono. Ho trovato su un carrettino, a Piazza Fontanella Borghese, una vecchia copia del Kamasutra, con delle delicate miniature che rappresentano le infinite posizioni dell’accoppiamento, e le descrivono dettagliatamente, evidenziando i lati positivi e non tacendo le difficoltà. Lui mi ha ringraziato, ho visto che sfogliava il volume, ne osservava attentamente le figure e certamente leggeva il testo, perché prendeva anche delle annotazioni, ma… Tra noi tutto proseguiva sempre e solo nello stesso modo: sotto tu od io? E quelle rarissime volte che riuscivo a fargli comprendere il significato e l’invito del mio mettermi carponi, mi riempiva col suo poderoso fallo, stantuffava scrupolosamente, ma dovevo essere io a prendergli le mani, a condurle vicino al fremente clitoride e alle tette che imploravano di essere munte. Mi è anche passato per la mente che avesse un’altra donna, ma… Non credo, segue principi morali e religiosi ortodossi, conformi ai dogmi, fedeli alle dottrine, non li infrangerebbe mai. Io, invece, ho sempre un po’ fantasticato in materia di sesso. Sin da ragazza sono stata attratta dalla anatomia, con particolare riferimento, appunto, al sesso. Ho sfogliato libri, mi sono soffermata su tavole descrittive. Ho visto come diversi possono essere gli organi genitali, soprattutto i femminili. Mi sono attentamente guardata allo specchio, usando al meglio la luce e lo sgabello. E, non per presunzione, devo dire che il mio sesso è carino. Belle lunghe grandi labbra, carnose ma non pendenti, e quando mi… eccito divengono molto turgide. Dentro, poi, è tutto un ricamo, senza sfrangiatura di sorta, e il colore è rosa, bello, attraente. Il clitoride non è molto pronunciato, ma è sensibilissimo. Il tutto è contornato da una rigogliosa, lussureggiante foresta nera, che ho sfoltito solo minimamente, per evidenti motivi estetici, specie quando si va in piscina o al mare. Non so quanti racconti ho letto. Letteratura erotica, qualche volta proprio porno. Dai tempi antichi. Ero attratta dalle figlie di Lot, interpretavo il più materialmente possibile il Cantico dei Cantici, l’erotismo dell’antica Cina, dell’India, di Ovidio, e mi sentivo particolarmente attratta dagli amori all’interno della famiglia, non tanto tra fratelli, di cui i Faraoni erano vessilliferi, quanto in linea retta, e principalmente tra madre e figlio. Rimanevo incantata a pensare l’irresistibile attrazione tra Giocasta ed Edipo. E mi immaginavo il piacere, i giuochi erotici, che i due realizzavano. Nessun uomo era stato più appagante di Edipo, nessuna femmina lo aveva deliziato come Giocasta. Non lo sapevano, dice il mito, ma erano madre e figlio. Lei si é ‘riappropriatà del figlio; lui è ‘tornatò alla madre. Il cerchio si chiude. Chissà cosa ha provato Giocasta sentendo ‘tornarè in sé la sua creatura. Ogni tanto ci ripensavo. Quel giorno fu il monitor di Dino, mio figlio, a sorprendermi. Era oscurato, ma non spento, come toccai la testiera, per spolverarlo, si accese, e apparve l’immagine di una locandina: Lunga Notte di Giocasta di e con Leopoldo Mastelloni da P. P. Pasolini, T. Russo, G. Patroni Griffi regia Leopoldo Ma stelloni Mi venne da sorridere, guardando. Dino era curioso quanto me. Dino! Sto ragazzone che ormai ha venti anni! Mi sembra ieri che l’ho messo al mondo. Lo ricordo perfettamente, avevo ventuno anni, ma sapevo tutto sul parto. E mi piaceva il termine francese, ‘accouchement’, mi riportava alla posizione che mi avevano fatto assumere: ‘allarghi le gambe, si afferri alle caviglie e le tiri a sé’. Mi coprirono col lenzuolo verde e agli occhi dell’ostetrico e dell’infermiera rimase la esposizione del mio sesso dal quale stava per sorgere una vita. E gliela davo io. Dino, un bel ragazzo. Il fatto era che da qualche tempo lo consideravo soprattutto ‘un bel ragazzò, e poiché non mi era mancata occasione per vederlo, anche in epoca abbastanza recente, non proprio vestito… sapevo della sua perfezione fisica, che si accompagnava a un carattere allegro e socievole, ed avevo notato che madre natura (e forse un po’ io) non era stata avara con lui. Che poi fosse mio figlio, era solo un dato secondario. Era un bel maschio. Dio se lo era. Niente di male che una femmina ammiri un maschio e indugi a considerarne gli attributi virili. Tutto naturale. Ma mi accorgevo che era anche ‘naturalè eccitarsi a quello spettacolo, ed ora che ci ripenso… è peggio di allora. E che diamine, osserverà qualcuno, ma sei proprio infoiata. Ma da quanto tempo… ? Questa mattina, ed anche… razione abbondante… ma (sempre questi ‘mà) il collegamento Giocasta, Edipo, io, Dino… Lo capite? E qualcuno seguitera: ‘insomma vuoi scoparti tuo figliò! Alt. Cerchiamo di puntualizzare le cose. Io cerco di non usare questa parola così diffusa, ‘scoparè, per indicare tutti i rapporti sessuali, perché essa, a mio parere, si adatta solo a quelli che privilegiano il puro evento materiale. Un pene in una vagina, per raggiungere l’orgasmo, lo svuotamento delle seminali. Una semplice confricazione, lo sfregamento di un fallo nel sesso femminile. Bello, certamente, a volte sembra appagante, ma è solo la sensazione della sete tolta, e per non molto. Io con Dino desidero fare l’amore. No, non è facile spiegarlo, ed ancor meno, per alcuni, è comprenderlo. Un rapporto sessuale compiuto con ‘amorè, coinvolge non solamente la parte anatomica interessata, ma origina dal cervello, e coinvolge ogni minima cellula del corpo e della mente. Fa capire l’Aretino, nei suoi Ragionamenti, che allorché c’è di mezzo l’amore è ben diverso da quando basta dire: ‘fà-che-io-fò! Spensi il monitor, e cercai di pensare al altro. Presi una rivista e andai in salotto, per sfogliarla. Mi ero seduta su una sedia, perché a volte non gradisco sprofondare nelle poltrone. Giravo le pagine, ma non vedevo nulla. Anzi, vedevo Giocasta ed Edipo, intenti a perpetuare la specie. Sì, perché la leggenda dice che ebbero due figli e due figlie, e una di esse fu Antigone. Mi piaceva immaginarli nelle più svariate posizioni. E vedevo Giocasta mentre godeva piaceri sconosciuti e non se ne rendeva conto, perché non sapeva che quel maschio che entrava nelle sue viscere da quelle viscere era uscito. Il mio grembo era in tumulto . Mi muovevo sulla sedia, in un lento, voluttuoso dondolare. All’improvviso sentii abbracciarmi, un bacio sul collo, e due mani che, forse involontariamente, avevano ghermito il mio seno. Altrettanto involontariamente i miei capezzoli divennero duri come pietra, e mi mossi per sentirli strofinare alla stoffa, per gustare meglio quell’inatteso, ancora ignoto, ma delizioso palpeggiamento.
“Mamma. Cosa fai? ” Mi voltai appena. Era Dino, di ritorno dalla palestra, fresco dopo la doccia. Si chinò su me. Di solito mi baciava sulla guancia, ma io mi mossi…. maldestramente… e sentii le sue labbra sulle mie. Mi sembrò, inoltre, che, indugiando sulle mie tette, le strizzasse. ‘Niente male, Edipo. ‘ Fu questo il mio primo pensiero. Mi venne in mente di farlo sedere sulle mie ginocchia, ma era di sedermi sulle sue che desideravo.
“Vado un po’ a studiare, mamma. Ciao. ” Quella sera Mino restò attonito di fronte allo spettacolo che gli offrivo. M’era venuto in mente di assumere la posizione che avevo durante il parto. Di traverso sul letto, nuda, col sedere sulla sponda, le mani che afferravano le caviglie, le cosce divaricate al massimo. Mino era in piedi, col pigiama, ma si vedeva chiaramente che quella visione non lo aveva lasciato indifferente.
“Dai, Mino, togli tutto… vieni… ” Si avvicinò a me, inarcai il bacino, sentivo che il mio sesso bolliva, la mia vagina fremeva, e quando lui entrò in me non riuscii a soffocare un grido: ‘.. ino! ‘. Ero riuscita, però, a sopprimere l’iniziale. Quella insolita mostra, la posizione che avevo assunto, e certamente le contrazioni del mio grembo, ispirarono a Mino una delle sue migliori performance sessuali. Ce la mise tutta. Affondava con dolce decisione, si ritirava, tornava a penetrarmi, fino in fondo. Le gambe dilatate, e il bacino proteso, lo favorivano. Sentivo i suoi testicoli battere contro me. Era eccitante, certo, e anche saziante. Io, però, ad occhi chiusi, ripetevo silenziosamente, tra un gemito e l’altro, il nome che mi ossessionava: Dino… Dino… Ecco, stava per giungerle l’orgasmo, lo sentivo avvicinarsi rapidamente e sentivo che anche lui era sul punto di… Infatti, il mio grembo sussultò sempre più freneticamente, e sentii invadermi dal tepore del suo seme che si diffuse in me. Ma questa volta più che favorire la distensione mi eccitava. Ero piena, ma non sfamata, appagata. Abbassai le gambe, le intrecciai sul suo dorso. Si era riversato su me. Sempre con gli occhi chiusi gli carezzavo i capelli, e sussurravo la parola che mi ossessionava: ‘Dino! ‘ Giacevo supina, Mino s’era assopito, accanto a me. Eravamo rimasti nudi. Avevo gli occhi aperti, nella penombra, e guardavo il soffitto. Allungai la mano. I miei peli erano impiastricciati. Ecco, da quel seme era nato Dino. In me. Lo avevo conservato a lungo, poi nutrito al mio seno. Ne ricordavo il lungo, goloso ciucciare. Che alleggeriva il turgore delle mammelle… E mi sarebbe piaciuto, ora, sentire di nuovo quelle labbra, quel succhio che mi svuotava… ma soprattutto avevo bisogno di essere ‘riempità. La nascita di Dino aveva svuotato il mio grembo. E la brama della mia natura era che ‘luì dovesse riempirlo. Poi i pensieri divennero sempre più confusi. Succhiare i capezzoli, come se fossero piccoli falli. Ma io, per la verità, non sentivo proprio l’attrazione per accogliere nella mia bocca un organo maschile. Sì, il desiderio di baciare Dino, dappertutto, c’era, e lo avrei baciato anche ‘lì’, ma il resto no. Non era la mia bocca a volerlo ‘sentirè. Era il mio sesso. Prepotentemente.
Mi andavo sempre più impaniando in questa smania che diveniva tormentosa, quasi ai limiti della patologia. Mi tornavano all’orecchio le parole della mia vecchia tata. ‘Quando te duol una fissa, cava la fissa e via e duol. ‘ Saggio proverbio, che, tutto sommato, è seguito anche dalle moderne psico-terapie: una smania è come un chiodo, una volta toltala sparisce il chiodo. Belle parole, ma c’era solo un modo per uscire dal mio tormento! Uno solo, senza alternative o surrogati. Non volevo un maschio, ma ‘quel’ maschio. E sono convinta che solo per lui nutrivo un ‘amorè indescrivibile, assoluto, che non potevo avere per nessun altro. Con lui ero certa che avrei potuto perfino realizzare l’utopistica fusione di due che formano un solo corpo e una sola anima. Avremmo ‘creatò qualcosa di nuovo, non ci saremmo ‘trasformatì. Ero preoccupata perché sentivo che potevo precipitare nella paranoia esteriore, apparente, perché ben sapevo ciò che mi stava angosciando. Avevo paura di guardare Dino, di parlare con lui, per tema che il mio tumulto interiore potesse esplodere. Avevo perfino pensato, ma solo per un momento, di provocarlo platealmente, al fine di farmi saltare addosso e… Ma dopo? Era ‘solò quello che volevo? No, io volevo ‘amorè! E intanto, raccoglievo delle briciole. Un suo abbraccio, un suo bacio… ma erano solo occasioni per profittare, per indugiare nella stretta, per porgergli… distrattamente… le labbra… per strofinarmi a lui. Ero perfino giunta a farmi insegnare il tango, da lui che conosceva solo balli afro-americani, per sentirlo stretto a me, perché il mio grembo godesse del contatto con la sua patta. Ed ero certa, cortissima, che quello strofinìo non lo lasciava insensibile. Caspita se lo sentivo! Pensavo a tutto questo mentre cercavo un posto dove parcheggiare. Cosa non facile nei dintorni del Campidoglio. Guidavo lentamente. Bastava uno spazio minimo… E seguitavo a rimuginare. Interpellare uno psicologo? Già immaginavo l’interrogatorio e il giro di parole che non approdavano a nulla. Confidarmi con un sacerdote? A parte le mie infinite perplessità in materia di religione, cosa mi avrebbe detto? Sono le tentazioni di satana, il principe del male, il nemico, lo ‘sceitan’ aramaico. E la conclusione sarebbe stata quella di pregare.. pregare… pregare… Incredibile, proprio accanto alla chiesa c’era posto. La chiesa della Consolazione. Indipendentemente dalla fede, una piccola chiesa, alquanto appartata è un luogo ideale per riflettere, meditare. Parcheggiai, salii le scale, entrai. Penombra, solo una figura scura era inginocchiata nel primo banco, a sinistra. Mi fermai, invece, all’ultimo banco. Sedetti, e seguitai a pensare, riflettere, rimuginare, ma mi rendevo conto che non ‘ragionavò, non cercavo di ragionare. Non volevo farlo. Non era questione di ragionamento la mia. Era invasamento, esaltazione, accanimento, potrei dire ‘furorè, e contro il furore la ragion non vale. Ero smarrita, come dice Shakespeare, nel labirinto del mio furore. Mentre ero così assorta, quasi non mi accorsi che qualcuno s’era seduto accanto a me.
“Mamma, cosa fai qui? ”
“E tu, Dino? ”
“Ero in motorino, ti ho vista passare per San Teodoro, ti ho seguita… Io faccio spesso questa strada per evitare il traffico caotico, ma tu? ”
“Dovrei andare a Monte Caprino, questione di imposte comunali che tuo padre ha rifilato a me… non è stato facile parcheggiare… mi sono quasi stancata… sono entrata un momento per riposare… e riflettere. ” Mi pose una mano sulla gamba.
“Hai riflettuto? ” Quella mano cancellava di colpo ogni possibilità di riflettere. Annuii senza parlare, e posi la mia mano sulla sua che mi strinse un po’ la coscia. Meravigliosamente. Mi guardava con infinita tenerezza.
“Senti mà. Dì a me cosa devi fare all’Ufficio Imposte Comunali, e tu vattene a casa. Hai un volto preoccupato, un’aria che mi sembra un po’ distratta, trasognata… ”
“Sono bruttissima, vero? ” Mi carezzò dolcemente il volto.
“Non scherzare… che dici… sei sempre bellissima. Anzi questa espressione come di persona indecisa, smarrita… ti rende ancora più bella. Non ne hai bisogno, ma ti ringiovanisce… anche troppo. ”
“Vuoi dire che mi… rimbambisce? ” Strinse forte la coscia.
“Lo vedi… sei proprio un po’ capricciosa. Se non fossimo in chiesa ti darei un bacio. ”
“Perché in chiesa un figlio non può baciare la madre? ”
“Ma non lo sa nessuno che sei mia madre… ”
“Quindi passerei per una tardona che cerca di … rimorchiare… perfino in chiesa… ” Si avvicinò e mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia. La donnetta del primo banco, che già si era voltata, prima, sentendo il nostro bisbigliare, si alzò, fece il segno della croce e si avviò lentamente verso l’uscita, facendo un lungo giro per passare vicino a noi. Ci fissava e certo si poneva interrogativi, e tra i più perfidi. Proprio mentre era accanto a noi, Dino si alzò.
“Allora, mamma. Tu va a casa, al resto ci penso io. ” Il volto della donna si distese, ci sorrise e accennò a un saluto, perfino confidenziale. Detti a Dino il foglio con la convocazione, gli accennai qualcosa in merito alla pratica per cui eravamo stati chiamati. Mi accompagnò all’auto. Mi abbracciò, deliziosamente stringendomi, e attese che entrassi, mettessi in moto mi avviassi verso casa. Ero un po’ stanca, pur senza ragione. Mi misi in vestaglia, presi un plaid e andai a sedere su una poltrona, in salotto. Poggiai i piedi su uno sgabello, e mi distesi per seguitare a pensare……… qualcosa sfiorava il mio viso… una carezza leggerissima… poi alla mano si sostituì un ché di più caldo… si poggiò sulla fronte, sugli occhi… sulle labbra…….. Mi ero assopita, aprii gli occhi. Dino, curvo su me, mi carezzava e baciava.
“Ciao caro… mi sono addormentata… ”
“Avrei voluto fotografarti, mentre dormivi, mammina, chissà cosa sognavi, perché avevi un’espressione estatica, beata, sembravi ‘la bella addormentata… in salottò. Più bella di quella ritratta da Picasso! ” La sua mano era sulla mia guancia.
“Siedi un momento… cosa hai fatto in Comune? ”
“Tutto a posto, solo un chiarimento. Ma tu, dimmi, stai bene? ”
“Perché, come mi vedi? ”
“Non so… un po’ tesa… ”
“Ubbie senili, caro, non ci badare… ” Era di fronte a me, su un pouf. Lo trascinò più vicino a me e poggiò entrambe le mani sulle mie ginocchia. Ero ancora semisdraiata, con i piedi sullo sgabello.
“Adesso smettila piantala con ‘sto ritornello dell’età. Sei bellissima, affascinante, attraente, ammaliante, e non c’è uomo che non sbaverebbe per te. Io so quanti anni hai, ma ne dimostri dieci di meno. Sei ‘la megliò” Si era accalorato nel dirlo, e le sue mani si muovevano nervosamente sulle mie cosce. Lo guardai sorridendo, e volutamente provocatoria.
“Perché, tu, come hai detto? … ‘sbaverestì per una tardona? ” Strinse forte le mani, stizzito ed eccitato.
“Non ho parlato di ‘tardonè, ma di te, mamma, di te… ” Lo aveva quasi gridato. Gli tesi la mano.
“Vieni qui, piccolo mio. è proprio vero che come ogni scarafone è bello a mamma sua, ogni mamma è bella al suo figliolo… ” Scosse la testa, decisamente.
“Non c’entra niente. Ricordi i versi di De Amicis, quando si riferisce alla madre? : .. più la guardo e più mi sembra bella. ”
“Si, tesoro, ma quella madre aveva sessanta anni, era rugosa… ”
“Tu invece sei giovanissima, e in quanto a rughe… ” Mi carezzò il volto con entrambe le mani, il collo e iniziò a entrare nella scollatura… fermandosi subito, però. Gli misi una mano sulla nuca per baciarlo sul volto. Perse l’equilibrio, cadde lungo su me. Lo abbraccia, lo tenni così, dandogli tanti bacetti, come quando era bambino. Ricambiò l’abbraccio, scosso da un tremito, e mise le sue labbra sul mio collo, ricambiando i baci: piccoli, tantissimi. Gli carezzavo i capelli.
“Il mio bambino… ” Alzò la testa, mi guardò, con occhi accesi.
“Non sono un bambino, mamma… lo capisci? ” Il suo corpo premeva su me, spingeva sul mio grembo. Lentamente, sotto le mie carezze, andò calmandosi, rilassandosi. E rimase così, come un bambino aggrappato alla mamma. Che confusione di sensazioni. Infinita tenerezza. Come quando Dino, di pochi anni, si rifugiava tra le mie braccia allorché, impaurito da qualche brutto sogno, correva nel mio letto e si sdraiava su me. Ma anche crescente esaltazione provocata da quell’inebriante contatto. Ondulavo mollemente, come a cullarlo… ma era per ‘sentirlò. E ‘lò sentivo. E quel cullare che una volta faceva assopire il mio piccolo bambino, ora aveva ben diversi effetti. Dino s’era leggermente spostato, s’era ‘sistematò meglio… per lui e per me, e il mio quasi impercettibile dischiudersi delle gambe aveva creato una nicchia nella quale aveva sistemato il sempre più palese gonfiore dei suoi pantaloni. Anche lui, ora, si muoveva. Cautamente, quasi con indifferenza, ma la ragione era sempre più comprensibile, naturale. Ora mi abbracciava, sempre più stretta, e la sua bocca, sul mio collo, respirava forte… ebbe un fremito, come percorso da una scarica elettrica, lo sentii spingere… spingere… rilassarsi…. Lo tenni così, su me, senza muovermi. Dopo un po’, senza guardarmi, si alzò, a fatica e con movimenti strani per nascondere qualcosa… ma la mia vestaglia recava la traccia dell’accadimento. Fu come una folgorazione. Dino aveva raggiunto il piacere con me, ed era stato sufficiente quello strano e disordinato … abbraccio. Non ero solo io, allora, a pensare qualcosa! Che fare? Raggiungerlo, dirgli cosa sapevo che ci accomunava? E se, invece, fosse stato solo la reazione di un corpo giovane dopo una lunga astinenza? Guardai la vestaglia. Anche io dovevo cambiarmi.
Più rimuginavo e meno mi era chiaro come dovessi comportarmi. Il fatto era che la fredda razionalità non mi conduceva a concludere che ero una maniaca e, quindi, dovevo scacciare questa ‘insanà bramosia. Nello stesso tempo, però, mi avvertiva che potevo avere sopravvalutato un istinto naturale, e che, tutto sommato, un rapporto sessuale vale l’altro. Ma non s’arrestava qui il ragionamento. Seguitava col ricordarmi che il ‘piacerè del sesso ‘è unico e parte dal cervellò. Avrei dovuto, logicamente, togliermi Dino dal cervello. Non lo ritenevo possibile. Stavo sempre più orientandomi sull’esperimento di ‘una volta solà per constatare, come avevo letto in qualche testo, che il mio era un puro e semplice desiderio di maschio giovane. ‘Una volta solà, d’accordo. Ma come, quando, dove? Non potevo certo dire a Dino che la sua mamma aveva bisogno di una scopata terapeutica con lui! Soprattutto perché non volevo ‘scoparè con lui. Volevo farci l’amore! Va ripetuto, ribadito, fino all’infinito! Avevo tolto la vestaglia e messa nel cesto dei panni da lavare. M’ero data una rassettata ai capelli. Lo specchio mi adulava sempre. Anche nel semplice abito a portafoglio che avevo indossato. Stavo per tornare in salotto. A proposito. Come dovevo comportarmi con Dino? Meglio non parlare di quanto era accaduto. Un momento di debolezza, per lui e per me. Uscii dalla mia camera per tornare in salotto. Lui era già li. Cambiato nel vestire, con un volto serio, un po’ pallido. Sul divano. Gli sedetti accanto. Teneva gli occhi bassi, guardava il tappeto. Le mani sulle ginocchia.
“Mamma? ”
“Si, Dino. ”
“Credo che devo parlarti. ”
“Ti ascolto. ” Parlava sottovoce, quasi a scatti.
“Non credi che c’è qualcosa di strano in me? ”
“Strano? Tesoro, ma in che senso? ”
“Forse è più esatto dire anormale…. ” -Cercai di prendergli la mano. – “… no, per favore, già è difficilissimo così… ”
“Ma che parole usi, Dino, mi fai preoccupare. ” Strinse le labbra.
“Mamma, io nutro per te qualcosa che non dovrei… ” Cercai di alleggerire la tensione con una battuta che, forse, fu infelice.
“Odio? ” Mi guardò con le nari dilatate.
“Non scherzare, ti prego… ” Si torturava le mani.
“Dino, non vuoi che ti tocchi, sei pallido… ” Quanto ero ipocrita, io lo sapevo cosa nutriva per me. Lo avevo constatato! Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Mi tese le mani. Le afferrai. Quasi singhiozzava.
“Mamma… tu… tu… accendi in me desideri lascivi, sensuali, peccaminosi… ” Gli strinsi le mani.
“Dino, bambino mio, calmati. Sei un uomo, ed ora vedi in me, oltre che la mamma, la donna… ma certe cose sono istintive, naturali, non definirle peccaminose lasciandoti influenzare dal perbenismo ipocrita che ci circonda… ”
“Il fatto è, mamma, che io vedo la donna, come dici tu, e che tu sia quella che mi ha messo al mondo, mi eccita ancora di più… ”
“Buono, bimbo mio, buono. Ne dobbiamo parlare quando sarai più calmo, e ricorda, comunque, che io ti sono e ti sarò sempre vicino. Sempre. ” Parlavo a lui di calma! Io stavo per scoppiare. Ero io che dovevo dominarmi. Gli avevo assicurato che gli sarei stata sempre vicino. Lo avevo pronunciato quasi con accento sacrificale, come per dirgli che… se fosse stato risolutivo ero pronta a… offrirmi in olocausto. Tenevo in serbo un’altra ‘perlà di ipocrisia: eventualmente lo avrei fatto per dimostrargli che la sua era solo infatuazione, e che avrebbe potuto constatare come farlo con una bella ragazza era tutt’altra e ben più gratificante cosa. Quasi quasi mi stavo autoconvincendo… dell’immolazione. Mi autoglorificavo. Cosa mai non fa una mamma per un figlio! In fondo -andavo riflettendo sempre ipocritamente- potevo mettere a repentaglio la salute mentale di mio figlio per una cosa del genere? In questo incensarmi, santificarmi, si fece strada il tarlo del dubbio: e se effettivamente fosse rimasto deluso? Sarebbe stato un bene per lui… ma che sconfitta, per me. Come donna. Che delusione! Forse la sua era solo una passione momentanea, l’attrazione del proibito, la prospettiva seducente di una trasgressione. Il vanto di essere penetrato nel ‘sancta sanctorum’, di aver sfidato un tabù. E per me? Nulla di tutto ciò, non sarei stata orgogliosa di niente. Era un tormento che sentivo fisicamente: nella testa, nel grembo. Io amavo Dino, totalmente, e questa globalità non escludeva nulla, tanto meno la fisicità. Forse sarebbe stata l’unica volta, conquistata con la scaltrezza, il raggiro, contrabbandata addirittura per sacrificio, quasi immolazione. Una sola volta? Meglio di mai. Ora, si trattava di realizzare il piano. Sapevo che agivo subdolamente, viscidamente. In un certo senso mi sentivo la cacciatrice, non la preda. Dino era vicino a me. Lo abbracciai e lo avvicinai a me, feci in modo che il suo capo si posasse sul mio seno. Lo carezzai.
“Te l’ho detto, bimbo mio, sono sempre vicina a te. Come puoi immaginare che la tua mamma non comprenda la tua pena, del resto più che naturale, normale, e che rimanga insensibile, passiva? Io sono convinta che sia una specie di capriccio, voglia improvvisa, passione momentanea, in un certo senso un desiderio irragionevole. Ma i capricci sono così, e se non li soddisfiamo ci sembra di morire. Puoi mai credere che la tua mamma voglia farti soffrire, morire? ” Alzò il volto verso me, e mi guardò con occhi attenti, interessati. Abbi fiducia in me. Devi avere fiducia. ” Mi chinai a baciarlo sulle labbra, lungamente. Non sapevo quale altro messaggio trasmettergli.
Richard Wiseman ha tentato di interpretare la fortuna, in una sua pubblicazione, ed asserisce che fortunati non si nasce, si diventa! La buona sorte non è scritta nei geni né nel libro del destino, dipende da noi e dal nostro atteggiamento mentale, dalla capacità di individuare e cogliere le opportunità più favorevoli. Inconsapevolmente, i fortunati reagiscono alle sollecitazioni della vita di tutti i giorni obbedendo a quelli che l’autore definisce i quattro principi della fortuna: semplici comportamenti quotidiani che possono essere ‘imparatì e adottati da tutti per ingraziarsi la dea bendata e aumentare il numero di occasioni propizie. In sintesi, si può ‘allenarè la mente per ottenere un ‘cervello fortunatò. Se poi volessimo riflettere su cosa sia il destino! Quello che consideravo, invece, era il tempo. Perduto è tutto il tempo che in amor non si spende. (Torquato Tasso) A risolvere il problema ‘destino-fortunà ci pensò Mino, mio marito, dicendo, sottovoce e quasi scusandosi, che gli sarebbe piaciuto accettare l’invito a una partita di caccia, in riserva, in maremma, che gli era stato rivolto da un vecchio compagno d’università. Si sarebbe trattato di partire il venerdì sera, cioè l’indomani, e tornare la domenica pomeriggio tardi. Ci guardò con aria interrogativa, ma prontissimo a rinunciarvi se avesse notato delle ostilità nei nostri volti. Dino seguitò a mangiucchiare la macedonia di frutta, con gli occhi bassi. Io mi sentii folgorata e illuminata. Folgore dell’imprevisto, luce di una soluzione. Non mi precipitai a rispondere, seppi controllarmi.
“Se ti fa piacere, visto che non vai a caccia da anni, se non ti stanca, fai bene ad accettare. Ma riguardati, non buscare malanni. ” Mino mi rivolse un sorriso grato e chiese al figlio cosa ne pensasse. Pino seguitò diligentemente a gustare la sua frutta.
“Caccia a… pelo? ” Non si capiva se la sua domanda fosse maliziosa o meno. Il padre si affrettò a risponderli.
“A pelo, certamente a pelo. Al cinghiale! ”
“Se si tratta di pelo non devi rinunciarci. ” Mino ci ringraziò, e si propose di tornare con un carniere ben pieno. Quando l’indomani, verso le sedici, passò il suo amico, con l’elegante fuoristrada ultimo modello. Mino caricò il tutto sull’auto, abbracciò me e Dino, e partì. Rientrammo in casa, Dino ed io.
“Che fai, questa sera, Dino, esci? ” Il suo sguardo era di ghiaccio, la sua bocca quasi una ferita esangue.
“Tu cosa mi consigli? ” Scossi la testa e mi avviai verso la mia camera.
Ci incontrammo a cena. Quindi, era restato a casa. Franceschina aveva apparecchiato e, come di solito, se ne era andata, perché pensavo io a portare a tavola quanto era pronto e un po’ tutto a sparecchiare e mettere piatti e vasellame in lavastoviglie. Niente di eccezionale: insalata mista, vitello tonné, e un ottimo strudel. Poco vino bianco e frizzante, come piaceva a me. Parlammo del più e del meno. Soprattutto della caccia di Mino. Scherzandoci sopra. Dino mi aiutò a rassettare e mi chiese se gradissi un cognac, da gustare mentre vedevamo la TV. Ci doveva essere uno spettacolo di varietà. Dissi che ero d’accordo e che l’avrei raggiunto tra qualche minuto. Andai in camera. Restai pensosa. In effetti, avevo tutto chiaro nella mia mente. Freddamente, irrevocabilmente. I francesi dicono: à la guerre comme à la guerre! Logico, quando c’è da sciogliere un nodo non ci sono mezzi termini. Indossai una vestaglia su reggiseno e mutandine, controllai allo specchio che tutto fosse in ordine. Scesi. Dino era sul sofà, e sul tavolino, dinanzi, due bicchieri col cognac. La TV trasmetteva i primi quadri dello spettacolo. Andai a sedere vicino a lui. Prese un bicchiere, me lo porse. Lui alzò l’altro.
“Alla tua, mamma! ”
“Alla tua, tesoro! ” Feci un sorso e accostai il mio volto al suo. Un bacio, non lungo, ma sulle labbra. Guardavamo lo schermo ma credo che il pensiero fosse ben altrove. Trillò il telefono. Era Mino. Tutto bene, tutto in ordine. L’indomani ci sarebbe stata la battuta. Lo rassicurai che anche da noi tutto procedeva nel migliore dei modi. Volle salutare Dino. Eravamo al primo intervallo. Dino mi guardò.
“Credo che andrò a letto, mamma. Hai bisogno di qualcosa? ”
“Vado a letto anche io. Ma prima farò una breve doccia. Per favore, puoi portarmi “The Paradise”, la rivista che è sulla tua scrivania? Ma non ti affrettare, io ci metterò un po’. ”
“Buon riposo… ”
“Me lo darai dopo. ” Andai in camera, mi spogliai, rimasi dinanzi allo specchio, a lungo, a guardarmi sotto ogni possibile angolazione. E se il mio corpo, non più nei vestiti, non gli fosse piaciuto, lo avesse disincantato? Dovevo indossare una camicia che non rivelasse le realtà dell’età. Seguitavo a scrutarmi. In fondo, a mio parere, non c’era nulla che mi facesse sfigurare. Il seno era sodo e sostenuto, il ventre piatto, le gambe non recavano tracce di cellulite, il glutei non erano appesi e mantenevano rotondità niente affatto sgradevoli. Il triangolo inanellato del mio grembo, che rifilavo appena per evitare antiestetiche… fuoriuscite dal costume da bagno, sembrava una freccia che indicava chiaramente il ‘locus voluptatis’ , ad evitare… di perdersi… ! Mi piegai appena sulle gambe, con le mani divaricai le grandi labbra. Ma sì, erano disegnate benissimo, ed anche il loro interno di un gradevole, invitante e palpitante rosa. Soprattutto impaziente. Quanta cura et quanta sollicitudo! Con quale preoccupazione e attenzione. Neppure la prima volta… La ‘prima voltà. Ma questa era la vera prima volta, in assoluto. E con moltissima probabilità l’unica volta. La volta che valeva l’attesa di tutta una vita. Volta conclusiva. La chiusura del cerchio. Da qui era partito l’alfa, e qui si concludeva l’omega. Lui, la mia creatura, tornava in me. Mi lasciai percorrere dal tepore dell’acqua della doccia, un lieve tocco di profumo, la velatissima camicia da notte rosa, tornai a rimirarmi nello specchio. Sembravo una adolescente impaziente e timorosa. Fu spontaneo compiacermi con me, ma anche sussurrarmi sottovoce ‘vecchia pazzà. Entrai nel letto. Semiseduta, poggiata sui cuscini. Un lieve bussare alla porta.
“Mamma? ”
“Entra. ” Era già in pigiama e mi portava ‘The Paradisè. Si fermò sorridendo compiaciuto.
“Dio, quanto sei bella, mamma! ”
“Dammi un bacio, piccolo. ” Si chinò su me. Lo abbracciai. Cadde su me, e le mani, mentre lo baciavo, si sorressero al mio seno. Come lo sentirono, quasi nudo, lo artigliarono, e andavano dolcemente palpeggiandolo, strusciando il palmo della mano sui capezzoli impazziti. Lo stringevo a me, lo baciavo sulla bocca e la mia lingua dovette solo poggiarsi sulle sue labbra, per sentirle schiudere e poi richiudersi vorace e golosa sulla mia che andavano ciucciando golosamente. Una sua mano era scesa sul mio grembo, mi carezzava. La mia voce era roca, insicura.
“Vieni vicino a me, Dino… ” Si allontanò un po’, scosse la testa.
“No… mamma… no… ” Sentii che tutto stava crollandomi intorno.
“… no… no… mamma… voglio vederti… vederti… incantarmi di te… ” Scostò la coperta, mi tese la mano e mi fece alzare. Eseguivo come un automa. Si avvicinò, abbassò le spalline della camicia e la fece cadere a terra… prese una mia mano, la sollevò, si allontanò un po’…
“Dio, mamma, come sei bella… più di quanto immaginassi, più di quanto ti abbia sognato… ” Si avvicinò e mi baciò il seno.
“Qui mi sono sfamato… ” Si inginocchiò, mi baciò tra le gambe.
“Da qui ho tratto la vita… ” Gli carezzavo la testa.
“… adesso posso pure morire, mamma, sono felice…. Grazie… ” Mi abbracciò i fianchi. Restò così. Gli misi le mani sotto le ascelle.
“Alzati, amore, alzati… vieni… ” Mi sdraiai sul letto, le gambe fuori della sponda, divaricate.
“Togli tutto, tesoro, sei nato nudo… ” Gli tremavano le mani mentre cercava di liberarsi del pigiama. Era nudo, col suo sesso vibrante, certamente smanioso. Alzai le gambe, afferrai le caviglie, e le dilatai al massimo.
“… sì, amore, da qui sei venuto al mondo; in me sei stato per tanto tempo… torna a provare come si stava… ” Si avvicinò, quasi esitante, scuotendo debolmente la testa. Allungò una mano, mi carezzò. Sentì l’umido tepore del mio sesso, il tremolio del clitoride, il pulsare della vagina… e mi guardava… Gli feci cenno di sì con la testa. Prese il fallo, alla base del glande, e lo accosto timidamente all’ingresso impaziente della mia vagina… inarcai il bacino, gli andai incontro, gli cinsi il dorso con le gambe, le intrecciai, lo attrassi a me, e fui io che iniziai, bramosamente, ingordamente, a ‘fare l’amorè, per la prima volta. Perché non c’era nessun precedente a quello che provavo, e non era possibile nessun paragone. Sì, quella volta era ‘unicà e valeva tutta la vita. Dino andava infervorandosi sempre più, mi afferrava dappertutto, mi penetrava profondamente, come se volesse trapassarmi da parte a parte, ed io lo stringevo, lo mungevo, mi illudevo che avrei potuto svellere il suo sesso e conservarlo in me per sempre. Non sapevo dove ero, solo con ‘chì ero. Stavo raggiungendo un piacere, un godimento, una voluttà che è miseramente riduttivo chiamare orgasmo. E non so descrivere la sensazione che mi travolgeva. Sì, bastava quella per dire che avevo vissuto una vita. Tremava in me, vibrava… si fermò un solo istante, poi un colpo più imperioso degli altri, e in me dilagò, inebriante, la linfa del mio frutto. Non può esistere estasi, incantesimo, ebbrezza, più appassionante di quella che mi avvinse in quel momento, e a lungo. Lui era su me, disfatto ma felice.
“Che cosa divina, mamma…. Divina… ” Non riuscivo a uscire da quel languore, ma non ero stanca, né totalmente appagata. Era stata una cosa molto, ma molto superiore a quella vagheggiata. Lo carezzai, e mi veniva spontaneo muovermi dolcemente per sentirlo ancora in me.
“Sei contento, bambino mio? Hai visto…. È tutto qui… ” Alzò il volto e mi guardò, con occhi lucidi, un sorriso beato…
“Tutto qui? Per te è ‘tutto quì? Ma allora, quello che ho provato ed ho sentito che provavi tu… ” Seguitavo a carezzarlo a cullarlo col corpo.
“Ma no, tesoro, per me è stato bellissimo, mai provato e insuperabile, ma tu sei giovane… ”
“E cosa c’entra ‘tutto quì, allora? Io, adesso, posso morire tranquillo è sereno, ho realizzato l’unico sogno della mia vita. ” Mi muovevo sempre più eccitata, e sentivo che era rifiorito in me.
“Morire… sciocchino… non dirlo neppure…. ” Strinsi la vagina, significativamente.
“… non dirlo nemmeno per scherzo… perché non continuiamo a vivere? ” Allargai le gambe. Lui si sistemò meglio, e riprese a stantuffarmi anche con maggior lena, mentre ogni tanto si chinava a mordicchiarmi il seno e a ciucciarmi i capezzoli. Ed io gli stringevo le natiche, e lo stringevo a me. Fu ancora più bello di prima. Ed anzi che fu l’alba la nostra conoscenza si ripeté, ogni volta più voluttuosamente, come se non avessimo domani. Avevo ben ragione a dire che con lui non avrei avuto un rapporto sessuale, ma avrei ‘fatto l’amorè. Me l’ero fatto per questo, il mio Dino. E quando entrava in me lo sentivo in me, come allora. FINE