Spesso il caffè è solo un pretesto per un incontro, per uno scambio, per rimanere un po’ assieme senza altre presenze.
A volte è proprio solo questo.
Quel giorno le telefonai, chiedendole: “Mi offri un caffè? “.
Alla risposta positiva, prendemo accordi per il momento in cui sarei andato a casa sua.
Quando arrivai, parcheggiai con cura in posizione tale da non lasciar presagire che la mia auto potesse indurre chiunque che lei avesse delle visite e mi diressi verso l’ingresso.
Il cuore mi pulsava oltre misura, un fremito acuto mi percorreva le nervature dei polsi, la saliva mi veniva meno: cercavo di darmi il massimo di contegno, di esternare la massima indifferenza, come se questa visita avesse una qualche seria motivazione, magari professionale.
Suonai il campanello, subito il comando di apertura lo apri, sorpassai il cancello rinchiudendolo alle mie spalle.
Salii le scale fino al pianerottolo.
Il portoncino si aprì, anzi si socchiuse con complicità ed entrai.
Lei aveva la mano sulla maniglia e mi sorrise.
La salutai, chiedendole come stesse.
Era banale, perfino scontato, ma non mi è riuscito di meglio.
Cominciò subito a preparare il caffè; nell’attesa, prese le tazzine, la zuccheriera, i cucchiaini e li dispose in un angolo del tavolo, così che avremmo potuto prendere il caffè abbastanza vicino, senza che lo fosse troppo.
Nel frattempo, parlavamo.
Del più e del meno, con la sensazione, apparentemente condivisa, che entrambi cercassimo pretesti in questo.
Quando il caffè fu pronto, lo versò con cura e lo prendemmo, continuando a parlare.
Mi alzai, presi le tazzine e le portai nel lavello.
Mi avvicinai, quasi alle spalle e appoggiai le mie labbra sulla sua spalla, per un bacio amichevole.
La sentii reagire, ma non disse nulla.
Le presi la mano e mi guardò, senza dire una parola.
Il suo sguardo sembrava coperto da una nebbia.
Allora, la portai verso di me e si lasciò condurre.
Sempre tenendola per la mano, la condussi verso il divano, dove ci sedemmo.
Non parlavamo più: mi avvicinai e la baciai sulla bocca, tra le labbra.
La mia lingua scivolava tra le sue labbra, i suoi denti si aprivano per lasciare che la mia lingua toccasse la sua.
Il bacio durò per un tempo non misurabile.
Intanto, lentamente, l’abbracciavo, ma, dopo poco, la mia mano cominciò a muoversi, cercando il suo seno, fino a che non lo sentii.
La baciavo e le toccavo il seno, sopra la maglietta.
Poi, quasi furtivamente, la mano scese, verso il basso, fino alla fine della maglietta, così da risalire fino al seno.
Al contatto della pelle, la sentii reagire, rilassarsi e rendersi disponibile.
Salendo con la mano, giunsi al seno, rilevando che aveva tralasciato di indossare un qualche reggiseno: il suo capezzolo era già ritto e turgido, così da riempire le due dita che lo circondavano.
Più che lo toccavo, più si induriva.
Lentamente, le mie dita si spostarono all’altro capezzolo, anch’esso già pronto a ricerverne il tocco.
Dopo pochissimo, cercai di sollevarle la maglietta, in modo da scoprirne il petto, ma senza toglierla del tutto, solo alzandola all’altezza delle ascelle.
Il mio viso abbandonò le labbra e si spostò lentamente a baciarle l’interno di un orecchio, sentendola reagire, agitarsi, aderire e partecipare a questa nuova intrusione.
Quindi, mi abbassai verso il seno e cominciai a baciarla su un capezzolo.
Poi, la mia lingua corse attorno, attorno al capezzolo formando dei cerchi e delle spirali umidi, con una lentezza che voleva essere senza limite.
Sempre con la lingua mi spostai lentamente nel solco tra i seni e poi risalii verso l’altro capezzolo.
Nel frattempo, una delle mie mani scorreva lungo la sua schiena, contando con l’unghia le vertebre, ad una ad una, mentre l’altra scendeva verso le sue gambe.
Anzi, partiva dalle sue gambe e risaliva con molta calma verso l’alto, passando sul dietro delle ginocchia ed indugiando con piccoli giri dietro ad essa.
La sua gomma era abbastanza ampia da non consentire difficoltà, i nostri corpi erano appoggiati sullo schienale del divano ed eravamo vicini come non mai, uno all’altra uniti.
Anche lei mi stava abbracciando, le sue dita tentavano di entrare tra l’abbottonatura della camicia per raggiungere il mio petto.
Poi rincorrevano i miei capelli, infilando un dito tra di essi fino all’orecchio,
attardandosi dietro.
Quando mi sembrò di avere leccato i suoi capezzoli abbastanza, per il momento (ma contavo di ribaciarla ancora lì), la mia lingua cominciò a scendere, fino a raggiungere l’ombelico, dove mi attardai a leccare, incuneandovi la lingua umida.
Una delle sue mani mi accarezzava tra i capelli, di tanto in tanto raggiungendo il lobo delle mie orecchie; con un’unghia le aggirava e, dietro, faceva sentire la sua presenza.
La mano, intanto, era ormai risalita lungo le gambe, aveva raggiunto le cosce, era vicina, vicina agli slip.
Le dita si incunearono sotto gli slip, sentendo la sua peluria riccia e morbida.
Ora, dovevano cercare quelle labbra e le trovarono subito.
Aperse le gambe per favorire la ricerca ed il ritrovamento, così che fu facile toccare, sentire la morbidezza della sua fica, avvicinarsi al clitoride, farlo crescere, ancora di più con movimenti regolari e senza fretta.
In quel momento, mi sembrava importante che provasse il massimo di quanto, in quella posa, potesse avere, che sentisse che ero li per lei, non per me.
La mia mano si muoveva sulla sua fica, dal clitoride alle labbra, avanti ed indietro, ripetendo il movimento, per quanta libertà me ne consentisse la presenza degli slip.
Un suo dito cercò un passaggio per entrarmi nell’orecchio, quel tanto che bastava per una leggera rotazione e uno stimolo sottile.
Allora, con un movimento quasi non percettibile, lasciò i miei capelli e si sollevò la maglietta fino alle ascelle.
Ne approfittai per risalire a baciarla sui capezzoli, prima l’uno poi l’altro.
A quel punto si scostò e si piegò verso di me: dapprima con una mano corse sopra i miei pantaloni, massaggiando con forza, poi cercando di abbassare la zip.
Ma, subito, lasciò perdere.
Erse il busto, mi fece appoggiare allo schienale del divano e con entrambe le mani slacciò prima la cintura dei pantaloni, poi i bottoni superiori, poi abbassò del tutto la zip.
A quel punto poteva raggiungere gli slip, cosa che fece con una mano, tastando il mio cazzo attraverso la stoffa, in parte già umida, ma per poco.
Subito, si spostò così da potere sganciare la gonna e la zip, perchè potesse
scivolare giù, pur restando ancora seduta sul divano.
La sua mano tornò a me, ma si intrufolò attraverso l’elastico degli zip fino a
raggiungere direttamente il mio cazzo: corse un po’ avanti ed indietro, fino a
raggiungere i peli del pube, afferrando i testicoli per massaggiarli.
Si alzò così da fare cadere sul pavimento la gonna e si passò una mano tra i capelli: il suo visto era illuminato di una luce strana, bella, piena di pace e di
disponibilità.
I suoi occhi sembravano appena velati guardandomi.
Completò l’opera sfilandosi gli slip e lasciandoli cadere a terra: la sua fica era
nascosta tra i peli, che disegnavano un triangolo molto regolare tra le sue cosce e il basso ventre: era semplicemente bellissima.
Si risedette sul divano, spostandosi all’indietro in modo da potere sfilarmi i
pantaloni.
Subito completò l’opera, sfilandomi gli slip e la sua testa si chinò verso di me, prendendo nella bocca il mio cazzo.
Sentivo la sua lingua che girava attorno al cazzo, mentre le labbra lo succhiavano con un lento movimento in avanti ed indietro, così che esso veniva prima a sparire nella sua bocca, poi usciva per una parte, poi rientrava profondamente, per un tempo senza misura.
Dopo un po’ smise, alzò la testa verso di me, sorridendo: i suoi occhi erano ancora più velati e dolci.
Si rialzò, mettendosi di fronte a me, aprì le gambe e si sedette a cavalcioni delle mie.
Con la mano destra afferrò il mio cazzo, fece alcuni movimenti dall’alto al basso, dal basso all’alto, poi lo diresse verso la sua fica e lo guidò ad entrare.
Entrò senza alcuna difficoltà, trovando un ambiente umido e caldo, preparato ad accoglierlo, forse anche desideroso di accoglierlo.
Si mosse, un po’ verso l’alto, un po’ verso il basso, poi cominciò a muoversi facendo un cerchio, con tutto il mio cazzo dentro.
Assecondavo i suoi movimenti, cercando di far pulsare il più possibile il mio cazzo,
in modo che sentisse queste pulsioni, questo gonfiarsi ritmico che imprimevo alla mia cappella e a ciò che la seguiva.
Si fermò, così con il cazzo dentro e mi guardò, con uno sguardo sorridente, quasi pago.
Disse, anzi sussurrò imprecettibilmente: “è bello sentirti”.
Erano le prime parole che diceva da quando eravamo sul divano.
Rimase così ancora un po’, quindi riprese lenti movimenti verso l’alto e verso il basso, alternandoli con movimenti circolari, nei quali sentivo le sua chiappe toccare le mie cosce.
Intanto, mi davo da fare con la lingua sui suoi capezzoli e sul suo torace, senza fermarmi molto nello stesso punto.
Dopo un po’ si alzo da questa posizione e si risedette sul divano appoggiandosi sullo schienale.
Scivolai sul tappeto e mi diressi verso la sua fica, che cominciai a leccare, passando dal clitoride alle grandi labbra, cercando qui di entrare con la lingua più profondamente che fosse possibile, tornando sul clitoride, muovendola qui con lenti movimenti circolari, lenti, ma progressivamente più veloci.
La sentivo ansare, le sue mani nervosamente mi scompigliavano i capelli, scendevano a cercare, sotto la camicia, i miei capezzoli.
La sentii fremere, agitarsi.
Si stava comportando in modo da non lasciare perdere nulla, ma contemporaneamente sembrava ritrarsi, rendendo ancora più bello il nostro gioco.
All’improvviso, mi scostò e disse: “Siediti”.
La sua mano corse ad afferrare il mio cazzo, prima stringendolo, poi accarezzandolo,
poi ancora gradualmente, con un crescendo regolare e deciso, facendomi una sega studiata e gonfia di partecipazione e sensazioni.
Sembrava godesse più di quanto non provassi piacere io, sembrava che le mie sensazioni si moltiplicassero in lei.
Continuò fino a farmi sborrare, dirigendo il liquido sul mio ventre, avendo cura che non andasse sui vestiti o altro, ma solo ed esclusivamente sulla pelle del mio ventre.
Quando sborrai, il mio corpo vibrò tutto, profondamente, e, dopo il primo schizzo, sussultai.
Lei continuò rallentando il ritmo, ma continuò in modo da portarmi ancora ad una maggiore sensazione di benessere.
Notando le mie convulsioni, il digrignare dei denti dal piacere, mi chiese: “Ti faccio male? “, cosa a cui risposi negativamente con un cenno del capo, invitandola a continuare.
Sborrai ancora, un po’, meno sperma del primo schizzo, ma ancora un po’.
Non lasciò il mio cazzo, finchè non lo sentì ammorbidire.
Mi guardò, guardò le sue mani bagnate un po’ del mio sperma, mi guardò di nuovo.
Sorrise, debolmente.
Non so come, nè da dove l’avesse preso, ma mi porse un fazzoletto di carta, poi si appoggiò allo schienale del divano e respirò a fondo.
Una frazione di secondo, si alzò così, nuda, con la maglietta arrotolata alla ascelle e si allontanò: la guardai camminare, ammirando le sue chiappe, segnate dall’abbronzatura leggera, in cui non si notava traccia di slip o simili.
Aveva un culo meraviglioso e, forse, se ne accorse, o semplicemente lo sapeva, che poneva in evidenza in tutta la sua bellezza camminando, quasi esibendolo, quasi per dire
“è per te”.
Si era allontanata solo per prendere della carta da cucina, perchè potessi meglio accogliere il mio sperma e pulire il mio ventre.
Finchè mi pulivo, indossò gli slip e la gonna, risistemò la maglietta e si passò una mano tra i capelli, non la mano ancora umida del mio sperma, l’altra.
Mi fece cenno di rivestirmi e mi guardò intensamente mentre lo facevo.
Mi guardò ancora, sorrise quasi timidamente e disse: “Siamo stati dei matti … Fumiamo una sigaretta? “.
L’accendemmo entrambi, in silenzio, la fumammo così, vicini l’una all’altro, senza parole.
Finita la sigaretta, mi chiese se volessi andare in bagno per sistemarmi, cosa che feci velocemente.
Mi chiese se volessi altro e le risposi negativamente, ma dicendole come oramai fosse il caso che la lasciassi.
Annuì e si offerse di accompagnarmi alla porta.
Premette il pulsante per il cancello esterno, al piano terra, prima di aprire la porta.
Mi guardò, l’abbracciai e la baciai nella bocca.
Le nostre lingue si ritrovarono, giocarono tra loro in un bacio infinito, erotico,
partecipato, senza fine.
Aprì la porta quel tanto che fosse necessario per uscire, assicurandosi che non vi fosse alcuno sulle scale, poi disse: “Ciao”.
“Ciao, … e a domani”, risposi.
“Si, e … grazie”, disse sottovoce.
Scesi, presi la macchina e ritornai.
Pensavo tra me quanto fosse stato bello, libero, spontaneo e mi chiedevo se fosse stato un episodio o un inizio.
Era presto per qualsiasi risposta. FINE