Abito in un tranquillo paese di campagna, di dimensioni alquanto modeste. In tutto non arriviamo ai duecento abitanti, e perlopiù si tratta di persone anziane o comunque abbastanza in là con gli anni. Siamo abbastanza lontani dalla città e dunque le possibilità di svago per i più giovani, anche se a dire il vero quasi tutti posseggono l’automobile, sono alquanto ridotte. Questo per far capire come anche le occasioni di incontro a scopo d’amicizia, d’amore…o altro siano abbastanza limitate, e circoscritte al più ai piccoli paesi limitrofi al nostro. Non è difficile allora, stante questa situazione, immaginarsi come una ragazza non molto carina, timida, con un fisico non super, oberato da qualche chilo di troppo, richiusa in sé stessa e nella sua casa, possa arrivare fino a un’età inoltrata senza l’aver avuto uno straccio di fidanzato o corteggiatore in tutti gli anni della sua esistenza.
Era questo che era accaduto alla Agnese, che a trentacinque anni aveva abbandonato qualsiasi speranza o illusione di conoscere un uomo.
Accadde proprio in quel periodo che, come da tradizione, anch’io, che avevo da poco compiuto diciotto anni, venni inserito nell’organizzazione della festa del paese, come era destino di tutti i giovani del luogo, senza distinzione alcuna. Furono giorni di lavoro e d’impegno nell’allestire al meglio la festa, curandola nei minimi particolari, finchè tutto fu pronto per l’inizio della “Sagra delle fragole” e io venni assegnato alla gestione del chiosco ove si vendeva il vino, oltre alla specialità locale preparata con vino, fragole e altri piccoli ingredienti che è tradizione non svelare a persone di fuori paese. Nel chiosco fui inserito in un gruppo già collaudato, che comprendeva fra gli altri proprio Agnese. La sagra durava quattro giorni, e furono serate di intenso affacendarsi. Il tempo era buono, faceva già caldo pur essendo appena alla fine della primavera, e l’afflusso di gente fu davvero consistente. Nel nostro chiosco era tutto un viavai frenetico, eravamo tutti accaldati e sudati. Pur nel continuo correre da una parte all’altra del bancone, non potei fare a meno di notare, alla terza giornata, la scollatura di Agnese, che indossava una maglietta di cotone a “V” che si apriva sullo scenario delle sue splendide tette, che erano enormi, e minacciavano di sfondare la maglietta elastica che le pressava e ne risaltava le forme. Anche la gonna, contrariamente al solito, pur non essendo una mini, era decisamente corta e attillata e metteva in risalto il suo rotondo sedere e i suoi larghi fianchi, lasciando scoperte le grosse coscie, fasciate da sottili calze nere. Certo non avevo potuto fare a meno di notare l’abbigliamento assai libero che Agnese indossava quella sera, e in particolare il mio occhio continuamente cadeva sulle tette, inducendo un principio di erezione che non accennava a placarsi nemmeno a causa di tutto il mio correre avanti e indietro a servire gli avventori del chiosco. Ci trovammo, come accadeva sempre, più volte a incrociarci, a passare nello stretto del chiosco una volta davanti l’altra dietro. Non c’era nulla di strano, era la normalità in quella situazione, e pensavo che gli sguardi assai poco puri cui mi ero lasciato andare sulle forme di Agnese non fossero stati notati da nessuno, e tanto meno dall’interessata. Invece, accadde proprio che distogliendo uno sguardo che a lungo aveva indugiato sulle sue dolci colline, i nostri occhi si incontrarono e la Agnese sorrise, facendomi chiaramente capire che s’era accorta dei miei sguardi indiscreti.
La sagra anche quella sera terminò, riassestammo il chiosco per averlo pronto e pulito per la sera successiva, quindi ci salutammo e ognuno fece per incamminarsi per ritornare a casa sua. Fu in quel momento che Agnese si avvicinò e mi chiese se poteva parlarmi. Fortunatamente aveva aspettato che gli altri se ne andassero e poi mi era corsa dietro, così che la cosa non era stata notata da nessuno, altrimenti figurarsi… con le chiacchiere che si facevano su tutto in paese!
Agnese non tergiversò nel venire subito al nocciolo della questione per cui le premeva di parlarmi:
“Ho notato che mi guardavi questa sera”
Arrossii fino alla radice dei capelli, tentando di balbettare qualche scusa che non riuscivo ad articolare bene in parole.
“Non preoccuparti…” aggiunse Agnese “sono talmente poco abituata a piacere agli uomini, che qualsiasi sguardo mi fa piacere… anche di un certo tipo”
Tacque un istante, quasi per raccogliere in sé il coraggio di parlare, poi continuò:
“Vuoi venire a casa mia questa sera? Nessuno se ne accorgerà, se tu lo desideri…”
“Volentieri” balbettai.
Agnese mi introdusse in casa sua, facendomi entrare dal tinello che dava sull’ingresso posteriore della casa. Salimmo in silenzio le scale che portavano al piano superiore e, percorso in punta di piedi il corridoio, entrammo nella sua cameretta. Agnese mi prese la testa e cominciò a baciarmi sul viso. Poi mi baciò sulla bocca, facendo uscire la lingua che intrecciò alla mia in un voluttuoso abbraccio. Nel frattempo mi toccava da sopra i pantaloni, tastando la consistenza del mio cazzo che si era indurito ai soli baci della ragazza. Cominciò a spogliarmi degli indumenti, togliendomi la camicia e la maglietta di cotone che portavo sotto, poi slacciò la cintura e i calzoni, lasciandoli cadere sul pavimento e facendomi rimanere in mutande, con il cazzo mezzo fuori.
Era la prima volta che andavo con una donna, e non avevo avuto altre esperienze con l’altro sesso, neppure limitate a rapporti poco spinti, così che mi riusciva difficile sapere cosa fare. Intuivo anche la scarsa esperienza d’Agnese che, pur più intraprendente di me, risultava altrettanto impacciata sul da farsi. Si spogliò, con gesti affrettati, pure lei, rimanendo in mutande e reggiseno. Le sue tette erano enormi e a quella vista ravvicinata di tanto bendiddio, il mio cazzo ebbe un ulteriore sussulto, ingrossandosi fino allo spasimo. Agnese si avvicinò a me e prese le mie mani appoggiandosele al petto. Io strinsi quei globi di carne e li palpai con delicatezza, mentre Agnese armeggiava con le mani dietro le spalle sulla chiusura, che riuscì con una certa fatica a sganciare. Il reggiseno cadde per terra e io ebbi tutta intera la vista di quelle splendide tettone, con i larghi capezzoli eretti per l’eccitazione. Agnese prese la mia testa e se la portò fra le tette e io cominciai a baciarle i capezzoli, a leccarli sulla punta e succhiarli nella mia bocca. Lei se ne stava ad occhi chiusi, infilando le sue dita fra i miei capelli e premendo con forza con le mani per obbligarmi ad affondare nella sua morbidezza.
A un certo punto si staccò e mi disse di attendere un attimo. La sentii percorrere il corridoio, poi un’aprirsi di porta che fece un certo rumore. Ero alquanto impaurito: Agnese, che era figlia unica, abitava con i suoi genitori e c’era il pericolo non tanto remoto che il cigolio svegliasse qualcuno del resto della famiglia.
Agnese ritornò dopo qualche minuto e, con mia grande sorpresa, era accompagnata da sua madre, una donna di circa 55 anni che in paese si vedeva poco fuori, preferendo alla compagnia degli altri l’intimità delle mura domestiche. Agnese si diede a rassicurarmi:
“Non preoccuparti Francesco, ho chiamato io la mamma. è la prima volta per me, e penso lo sia anche per te. Lei ci insegnerà come fare…”
Vidi la donna sorridere e fissare lo sguardo sul mio pisello, che nel frattempo si era mezzo ammosciato.
“Dai Agnese, piglialo in mano e faglielo ritornare duro, che vediamo…”
Agnese obbedì alle istruzioni della madre, che le spiegò per bene come farmi una sega, facendosi dire da me quale era il ritmo che più mi era di gradimento.
“Ha un bel bastone…non molto lungo, ma grosso sì… adesso inginocchiati Agnese e prendilo in bocca. Devi andare su e giù con la testa e stimolarlo di lingua…”
La ragazza fece quello che le veniva suggerito dalla madre, e io andavo godendomi ad occhi chiusi quello che era il primo pompino della mia vita. Agnese era poco pratica, ma l’eccitazione della situazione da sola bastava a portarmi al limite dell’orgasmo.
“Attenta a non farlo venire… è giovane e non ci vorrà molto…basta adesso ragazzo, sdraiati sul letto… e tu Agnese sali sopra di lui con le ginocchia a cavallo”
Me la trovai sopra, secondo i dettami della madre, impacciati entrambi e senza sapere bene cosa fare. Poi la donna si avvicinò a noi e da sotto prese il mio cazzo, puntandolo in direzione della fica della figlia. Le disse di abbassare il busto, di appoggiare le palme delle mani sul letto e di allargare il più possibile le gambe. La ragazza ubbidì e si trovò con la fica spalancata proprio sopra il mio uccello.
“Adesso abbassati Agnese e prendilo dentro… sì così… dai forza un pochino per rompere l’imene… dai… brava… ecco, adesso non sei più vergine… brava… comincia a muoverti su e giù, come fossi a cavallo… sì brava… così…. ti piace? …”
Agnese si muoveva frenetica, cavalcandomi come un’amazzone. Le tette ballonzolavano all’ondeggiare della ragazza ed eccitavano in modo fantastico i miei sensi già al limite. Sentivo che Agnese stava provando piacere, mugolava fra i denti parole il cui senso non mi riusciva di cogliere. Erano poi le parole della madre a stimolare ancor più il nostro piacere:
“Guardala come se lo gode la porcellina… tutto dentro… che bello sentire l’uccello lì dentro, vero? … e tu, ragazzo, attento a non venire, che me la lasci incinta! …”
Le parole della madre diedero corpo a una preoccupazione che già avevo sentito precedentemente, con il progredire del godimento. Quando allora sentii che Agnese stava venendo e mugolava in modo sconnesso in preda all’orgasmo, avvisai la madre che anch’io ero al limite e avevo paura di non riuscire a controllarmi.
“Dai Agnese, smonta… la festa è finita, per questa volta… ora vediamo di occuparci del signorino… torna a lavorarlo di bocca…”
Agnese si sdraiò di traverso al letto, prese in mano il mio cazzo e lo imboccò di nuovo, ricominciando il fantastico pompino interrotto precedentemente. Fui presto pronto a venire e di questo avvisai la ragazza:
“Agnese, sto per venire”
“Non importa…” rispose la madre “continua Agnese… fallo sborrare nella tua bocca… brava così… guardalo il porcellino come viene… manda giù Agnese, manda giù…”
Ero venuto nella bocca di Agnese, una venuta abbondante che la ragazza aveva in parte inghiottito e in parte lasciato uscire dalla bocca, facendosela colare sul mento e da lì sulle lenzuola.
L’orgasmo mi aveva stravolto. La madre di Agnese ci porse delle salviette, con le quali ci ripulimmo alla meglio, poi mi rivestii e salutai le due donne.
“Bello, eh? ” mi chiese la signora.
“Sì” risposi.
“La prossima sarà ancora meglio, vedrai…” FINE