Drin …. Drin …. Drin … suonò il campanello a casa di Silvia mentre stava uscendo dalla doccia. In fretta si mise un accappatoio ed andò alla porta per aprire, pensando che fosse in fidanzato Luigi.
Comminando in fretta mostrava tutta la bellezza dei suoi ventitré anni: capelli neri e lunghi, corporatura media, cosce e gambe snelle, occhi scuri e pelle chiara, un bel culo accentuato da un giro vita stretto, due splendide tette da sogno con capezzoli grandi e scuri.
Con la pelle ancora gocciolante, apri la porta e chiuse gli occhi, come aveva fatto tante volte, aspettando un bacio ed un abbraccio di Luigi.
Invece, si trovò circondata da tre brutti ceffi scuri di pelle, con baffoni neri e non troppo puliti.
Aprendo gli occhi cacciò un urlo, che nessuno poteva udire in quanto il palazzo dove abitava era vuoto e disse:
-Chi siete ? Che cosa volete ? Se volete i soldi prendeteli sono nella borsetta sul divano ! –
I tre uomini senza fiatare afferrandola, la legarono e le tapparono la bocca. Silvia piangeva e dimenandosi mostrava tutte le sue nudità.
Poi in uno stentato italiano dissero:
-Fame … Fame. Vogliamo mangiare ! –
Lei con gli occhi mostrò dove era la cucina,
i tre si precipitarono ed aprendo il frigorifero iniziarono ad ingurgitare tutto quello che c’era.
Dopo avere riempito la pancia ritornarono in salotto ed uno di loro iniziò a guardare con libidine la donna bianca ed europea, probabilmente un sogno proibito per lui.
I suoi compagni in arabo e concitati dissero:
-Mustafà andiamo via, non mettiamoci nei guai ancora di più! –
Silvia non capiva che cosa veniva detto ed aveva una paura terribile.
Il giovane turco appena sbarcato aveva già l’uccello duro e quella femmina li stesa e seminuda gli faceva proprio gola.
Si avvicinò le tolse l’accappatoio ed iniziò a toccarla tra le cosce, sui seni, sul culo meraviglioso.
Il corpo ed il profumo della donna lo arrapavano.
Lei si dimenava e strinse le cosce con forza, per evitare che la mano toccasse il suo intimo.
I compagni di Mustafà cercarono di dissuaderlo, ma lui fece notare loro che erano reduci da un lungo viaggio in nave e che da tempo non avevano visto né toccato una donna, quella era una grande occasione, un dono di Allah !
Inoltre, disse:
-Le donne italiane sono tutte troie e ci stanno! Le abbiamo viste tante volte in televisione seminude con le tette al vento, sembravano tante cagne in calore. Non sono come le nostre ! –
A questo punto il ragazzo si spogliò e gli altri lo imitarono.
Si avvicinarono a Silvia già nuda, la slegarono, ma le tennero tappata la bocca.
Lei si lamentava e tirava calci.
Fu messa in piedi alla pecorina davanti ad un tavolo.
In quella posizione mostrava: lo splendido culo e fianchi sinuosi, i capelli lunghi che le cadevano sulla schiena ed ai lati; le tette grosse e tonde con i capezzoli scuri, duro e leggermente in avanti.
Anche se a gambe strette, nella parte interna e più alta delle cosce si apriva un triangolo roseo, lucido e turgido circondato da peli neri.
I tre turchi avevano il cazzo duro ed erano pronti ad inforcare la povera Silvia, che a questo punto decise di assecondarli in qualche modo, per evitare il peggio.
Mustafà appoggiò la cappella umida tra le natiche della femmina e fece quello che tutti i turchi fanno alle donne ed anche agli uomini, ahimè; iniziò a prenderla nel culo.
Spinse la stanga sullo sfintere sino a quando cedette, una volta dentro iniziò a stantuffarla.
Silvia emise un grido soffocato di dolore.
Gli altri due la palpeggiavano e l’accarezzavano sino a quando uno di loro le tolse il bavaglio dalla bocca e subito dopo le infilò il suo membro, scuro, duro e nodoso.
La donna lo prese in bocca ed iniziò a succhiare, con lo scopo di farlo sborrare in fretta.
Quando gli uomini capirono che lei ci stava, la lasciarono più libera nei movimenti.
Mustafà continuava a trombarla nel suo bel culo, non vergine.
Infatti, anche il fidanzato amava prenderla in quel modo e normalmente Silvia gradiva molto.
I turchi sono abili inculatori, per cui la nostra amica iniziò a godere. Inoltre, si stava realizzando una sua fantasia erotica inconfessata ed inconfessabile, ossia quello di essere presa da più uomini.
Dopo un po’ il ragazzo in preda ad un orgasmo incontenibile e cosciente di godere di un frutto praticamente proibito per la sua gente, sborrò abbondantemente dentro le viscere della donna gridandole in arabo:
-Troia, vengoooo ….. Infedele, cagna bianca… ti riempio con il mio seme caldo per purificarti .. !! –
Lei eccitata pur non avendo capito nulla disse:
-Si, si, si, …. sfondami tutta, godimi dentro, fammi sentire il suo miele caldo, pisciami la sborra dentro … ! –
L’uomo che aveva in bocca iniziò a masturbarsi sfregando la cappella sulla lingua di lei.
Dopo qualche istante le schizzò in faccia, sulle labbra e sulla lingua il suo liquido denso biancastro ed appiccicoso.
Silvia gli ripulì la cappella leccandola e succhiandola avidamente.
Il terzo arabo, che sino a quel momento aveva solo baciato e mordicchiato le tette della fanciulla e si era toccato, la mise in ginocchio ed afferrandola per i fianchi, anche lui la inculò.
Lei disse:
-Ma non sapete fare altro, porcaccia ….. ! –
Lui non capì e continuò a pompare lo sfintere ormai largo e ben lubrificato. Insomma, ai turchi piace il culo, non c’è che dire!
Ed il culo che avevano scelto era un “must”.
Quasi al culmine dell’orgasmo sfilò l’uccello da quel caldo nido e rigirando Silvia a pancia in su, iniziò una spagnola tra quelle tette dure e svettanti anche da stesa.
Venne tra grida e i mugolii di Silvia.
La donna si ritrovò imbrattata in viso, in bocca, nel culo, sulle tette e sulla pancia di sborra copiosa, con un odore maschio ed animale che si mescolava al fresco profumo della sua pelle.
Il tutto rendeva tangibile la violenza e gli accoppiamenti tra razze e culture diverse.
Dopo un po’ i turchi si dileguarono.
Silvia rimase stesa sul pavimento ripensando a quello che era successo.
Si vergognava per avere provato piacere.
Un sottile piacere che aveva annullato la paura.
Anzi, avrebbe voluto un’attenzione per la sua micina, che nel frattempo si era bagnata.
A questo avrebbe provveduto Luigi, più tardi, ignaro dell’accaduto. FINE