Domenica 4 luglio.
Caro diario, si comincia così, vero?
Non ho mai tenuto un diario in precedenza, ma ho bisogno di scrivere, di avere un campo base per i miei pensieri.
Sono anni che vivo con un pensiero nella mente e, lungi dall’appannarsi col tempo, ramifica, scende dalla mente lungo il corpo, come una pianta in un vaso troppo stretto nasconde la terra nell’indissolubile intrigo dei suoi sottilissimi fili bianchi. Il pensiero ricorrente diviene l’ossessione che ti avvelena lentamente l’esistenza.
Da venerdì sono in ferie e oggi sono arrivato a Marina di Pisa, in casa di mia zia Lara.
Lei mi ha subito portato in spiaggia ed io sono qui, con le spalle infuocate che stanotte mi impediranno di dormire.
La colpa è sua: tutto questo tempo passato sdraiato al sole, supino per nascondere la mostruosa erezione che non riesco ad impedire.
La zia ha indossato un bikini indecente. Non ha mutandine, ma una serie di fili neri che reggono un triangolo di tessuto sulla passerina. Quel tessuto nero, con la sua forma e il suo colore, fa solo immaginare quell’identica forma sottostante, composta di morbidi peli ricciuti.
Vista da dietro espone impudicamente i suoi glutei, così tondi, così lisci, così ritti da sembrare in perenne offerta.
Là, nel solco delle natiche, scompare uno di quei sottili fili, come a ricordare la penetrabilità di quella carne.
Un’analoga serie di fili regge, in alto, due altri triangoli neri, che appaiono ridicoli, nella loro dimensione, rispetto al prorompere maestoso di ciò che dovrebbero coprire.
è bello il seno della zia. Sembra scolpito in calda materia plastica, come se dietro la sua forma celasse la mano di un’artista che ha giocato con le potenzialità della materia: lo ha costruito grande, fino al limite che, se superato, avrebbe stretto i seni tra loro, impedendo agli occhi di poterne gustare la perfetta rotondità.
Quell’artista ha raggiunto, inoltre, il limite concesso dalla forza di gravità, montando quella materia fino all’estremo della sua capacità di resistenza alle forze descritte da Newton.
I seni si ergono imperiosi, sfidando le leggi della natura, in attesa del palmo di una mano che li colga.
Da quando ho volto il capo, curioso, ai riposti segreti dell’altro sesso, la presenza nella mia famiglia di quella femmina, che altro termine più appropriato non esiste, a turbato le mie notti ed è stata l’unica e incontrastata presenza nei miei sogni ad occhi aperti: colei che cingeva, al posto mio, la verga protesa nelle tante masturbazioni della mia gioventù. Fino a quando non ho giunto le mie carni con giovani e reali donne, sempre a lei era dedicato il mio seme.
Ora la rivedo ritta davanti a me, vedo le sue gambe da modella, slanciate e tornite, dalle cosce morbide e invitanti.
Quante volte le ho sognate per carezzarle e palparle, prima che si dischiudessero, come i petali di un fiore, per accogliere il mio pungiglione. Infinite sono le volte che ho gridato nel sonno: “Si! Si! Richiudile su di me, fammi sentire la tua stretta calda sui fianchi! ” Sognavo di stringerle con la mano, mentre la penetravo, magari ancora ricoperte da quelle calze scure che tanto mi affascinavano.
Ora si è voltata nella mia mente, offre le natiche al mio sguardo, mi chiamano, parlano mentre cammina verso la battigia, m’invitano a seguirle e coglierle. Sono il punto di attrazione di quella stupenda forma a violoncello.
Mi ricordo la prima volta che ho posseduto analmente una donna. Confesso che nel momento dell’estasi ho chiuso gli occhi ed ho afferrato quella ragazza per i fianchi, in basso, la dove i glutei iniziano la loro corsa verso l’alto, ed ho sognato lei. Erano le natiche di mia zia quelle contro le quali sbattevo nell’impeto della sodomia. Suo era il guanto che mi avvolgeva, suo il fiore che forzavo.
Il suo volto è racchiuso in una raggiera di morbidi riccioli neri che scendono fino alle spalle dalla bella e dolce curvatura, sono capelli birichini, come lo sguardo che parte dai suoi occhi scuri e profondi.
Ora vedo la zia mentre mi parla, sta dicendo qualcosa, ma fatico a seguire il senso dei suoi discorsi.
Sono attratto dalle sue labbra piene e ben modellate. Sono tinte di un rosso vermiglio che spicca sulla pelle abbronzata e il suo vello nero. Mentre parla eseguono una danza sensuale, cui partecipano i rapidi lampi dei suoi denti candidi e la lingua, piccola e umida, si affaccia a tratti per mandarmi segnali d’amore, rapide promesse di baci e di delizie orgiastiche.
Mentre le sue parole stentano a trovare posto nel mio cervello, la mia mente sogna quella massa di capelli scuri che cala a seppellirmi il ventre, togliendo allo sguardo la sua bocca, come un invito a spegnere gli altri sensi per concentrare tutto il mio essere sullo avviluppo della sua lingua attorno al mio glande paonazzo. Vorrei sentirle, quelle labbra accese, scorrere morbide per l’intera lunghezza del mio pene.
Rivedo le piccole gocce di sudore che le scendevano lungo il solco tra i seni. Vorrei carpirle, mentre scorro la lingua sulla sua pelle delicata, e vorrei pure lei sentisse un gusto salato, quello del mio seme appena accolto dalla sua bocca.
Lara, passione segreta dei miei sensi, tormento delle mie notti. Perché mi strazi? Da sogno ti stai trasformando in incubo. Mi perseguiti anche attraverso le altre. Mi rendo conto che cerco te, le tue somiglianze, siano esse una natica o un modo di sorridere, un seno morbido e pieno o un aspetto del carattere. Dovrei trovare un tuo sosia per essere felice, ma probabilmente non mi contenterei neppure allora. Non sopporterei una voce diversa e neppure di ascoltare una frase non identica a quella che mi aspetterei da te.
Rischio di odiare le mie partner se parlano, se mi distraggono dall’illusione di essere con te.
Sono con una qualsiasi di loro, ma la mia lingua s’insinua tra le tue cosce, lecca frenetica la profumata fica e l’asprigno ano.
È il tuo corpo quello su cui mi catapulto, per farti godere scorrendo il cazzo turgido nella fica calda e umida. È tuo il culo che defloro, godendo del battito ritmico contro i tuoi glutei.
Ti vedo soffrire e supplicare, mentre impassibile ti sfondo con lo scettro del mio dominio, fino a che cedi e, nel giacere vinta, continui a gemere di dolore e piacere, sentendoti succube e dominata.
Perché questo ormai voglio.
Ecco! Sono venuto nella mia mano, masturbandomi eccitato da questi pensieri, rinnovatisi nello scriverli.
Voglio la tua resa completa e incondizionata per poter infierire su di te prona e sottomessa.
Coscientemente so che non hai colpe, ma non posso evitare di vedere la tua bellezza come una spada, che brandisci per scempiarmi le carni. Ti sento causa dei miei spasmi, come una strega che ha deciso di distruggermi per tramite di una malia.
Da mesi non sogno più la tua dolce micina, penso invece alla tua bocca che fella la mia bandiera protesa, in segno di omaggio al vincitore. Sogno le tue natiche, protese in supina offerta, su cui infierisco intento al saccheggio della tua dignità. Ti sogno urlante, disperata, come vendetta per il male da me subito. Solo dopo, distrutta come nemica, giaccio con te, nel tuo ventre accogliente, impietosito dalle lacrime della sconfitta e offesa.
Quando ero adolescente vedevo crescermi, quasi di giorno in giorno, il pene e pensavo che fosse un dono che la natura mi donava per fartene a mia volta regalo. Lo vedevo crescere, diventare più grande di quello degli altri ragazzi con cui gareggiavo per gioco. Credevo fosse nato per te, per la ragazza più bella del mondo.
Ancora oggi mi appari tu la causa, come se quel continuo tendersi, prodotto dalla tua immagine reale od onirica, lo avesse fatto dilatare, portandolo ad essere così grande e mostruoso.
Tu sei la causa della sua abnorme dimensione, tu stessa ai creato l’arma con cui compirò lo scempio che la vendetta esige.
Ho visto molte donne impaurirsi di fronte alla mia torre ed ogni volta ho desiderato di vedere la stessa espressione sul tuo volto.
Non ho mai forzato alcuna donna, ma con te non reggerò a lungo al desiderio di violentarti.
Se tu non fossi mia zia te lo sbatterei sotto il naso e ti costringerei a rendergli omaggio. Purtroppo sei la sorella di mia madre, succederebbe un gran casino in famiglia.
Però accadrà, lo sento; non sono in grado di resistere. L’unica alternativa è che tu ti conceda a me, accetti spontaneamente d’essere posseduta.
Poco fa le tue mani mi spalmano l’olio sulla schiena infiammata! “Che sciocco, ti sei tutto ustionato”. Eppure non riuscivo a sentire il dolore mentre le tue dita scorrevano su di me!
Baciami zia! E dopo dedica le tue labbra al mio bastone. Oppure fuggi lontano. Non mi stare così vicino mentre mi parli, non resisto. La tua bocca è un magnete potente, non riesco a starti lontano, le mie labbra cadono sulle tue! La lingua agogna questa prima penetrazione del tuo splendido corpo. Ma tu ti sei allontanata ed io sono rimasto lì, imperlato di sudore.
Vedi, mi rendo conto che sto descrivendo un delirio. Farnetico nere parole su queste pagine bianche.
Da quando mi hai invitato nutro un piano.
Sono sei mesi zia che metto da parte tutti i miei risparmi, da quando ho iniziato a lavorare.
Sai perché ho voluto lavorare? Per te, per il mio piano, per esplodere tutto l’ardore dei miei vent’anni nel tuo magnifico corpo di trentenne.
“Michelino, i primi quindici giorni di luglio sono sola, tuo zio deve recarsi in California, alla ditta madre per la quale lavora. Fatti dare le ferie e vieni a farmi compagnia, così ti puoi fare un po’ di mare senza spendere niente. ”
Lara delle mie passioni, in fondo tra me e te ci sono undici anni di differenza, la stessa che divide te da tua sorella. Non puoi certo dirmi “potresti essere mio figlio”. Ho avuto donne più grandi di te, sai? Proprio per quella ricerca della somiglianza, ho disdegnato le ragazze ed ho cercato donne.
Donne: il corpo formato, vigoroso, esperto. Non riesco più a godere con le ragazzine, per altro subito intimorite quando vedono la dimensione del mio organo.
A goderci presto zia.