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Mores

Anche quella mattina mi levai di buon’ora.
La routine della vita fatta di cadenze e scadenze aveva imposto al mio seppur giovane fisico di venticinquenne una stanchezza intrinseca che il dolce riposo notturno non accennava ad eliminare.
Percorro i circa trecento metri che dividono la mia misera stanzetta presa in affitto da più di due anni dall’edicola. Nemmeno il giornalaio mi degna di uno sguardo o, meglio ancora di una parola;
Con un gesto che ormai ripete ogni mattina mi porge il giornale, preleva i soldi, mi da il resto e riabbassa il capo su quel cruciverba che sembra sia sempre lo stesso da due anni.
Il bar della colazione è invece un posto un po’ più “in”, ed è lì che tra il cornetto ed il cappuccino riesco a leggere cosa è accaduto nel mondo il giorno prima. La televisione, sembrerà strano, non fa parte della mia vita.
Giovanni, il barista, ritira la tazzina dal tavolo e solo allora mi rivolge il consueto “Buongiorno dottò”. Da queste sole e uniche due parole che gli abbia sentito pronunciare mi sono accorto della sua origine napoletana.
A passi lenti mi avvio nelle “mie prigioni”, ovvero la funesta e triste biblioteca nazionale a tradurre antichi testi latini per conto del governo…. chissà poi che fine faranno le mie traduzioni….
La sala è abbastanza illuminata e , come capita in un posto pieno di cose interessanti per la mente e lo spirito, quasi semivuota. L’unica presenza, come al solito, è quella delle due bibliotecarie, la signora Luisa, addetta allo smistamento e la direttrice, la dottoressa Milena.
Entrambe sono, secondo me, sull’orlo della pensione, in quanto passano ore ed ore a far calcoli sul loro stato di servizio.
Non avevo particolarmente voglia, quella mattina, e allora mi spinsi verso il banco della direzione per cercare di scambiare qualche parola con le due signore.
“Chissà questo dottorino dinoccolato che passa il tempo a tradurre come mai si sia spinto fin qui… ” si saranno certamente chieste. Fatto sta che la meraviglia, chiara nei loro occhi, non la mostrarono con le parole.
“Mi scusi”- dissi con flebile voce, rivolgendomi alla signora Luisa-,
“avrebbe per caso da prestarmi una matita? ”
“come no”- fece lei seccamente porgendomi quanto richiesto.
Ringraziai e mi allontanai dirigendomi verso il mio posto.
Avevo notato, all’atto di sporgermi sulla scrivania delle due donne per prendere la matita, che quella mattina non indossavano il secco tailleur blue d’ordinanza: Milena aveva dei pantaloni chiari e Luisa una gonna violette penso abbastanza lunga.
Mi dispongo a tradurre una lettera pastorale degli inizi del dodicesimo secolo quando la visita poc’anzi resa alla signora Luisa è ricambiata. Mi si avvicina lentamente, a passi felpati, quasi con quella malcelata voglia che tutte le donne hanno di volersi far osservare. La prima cosa che noto è che , anche se l’età avanza, la signora se li porta proprio bene le sue sessanta primavere…. La seconda è che dalla gonna violette spuntano fuori, dal ginocchio in giù due belle gambe audaci infilate in calze velatissime nere che terminano in due scarpette dal laccetto lucido.
“scusi dottore…. Mi permetta la confidenza…. ma stamani la vedo un po’ soprappensiero…. posso aiutarla in qualche cosa? “.
” No… è che non ho proprio voglia di far niente… “.
“Ma allora venga al tavolo nostro…. almeno facciamo conoscenza…. “- fu il suo improvviso invio-.
Al loro tavolo le due mi rivolgono domande su quello che faccio e di come mi trovo in città, le solite cose di tutti i giorni…. con un’interessamento non da vecchiette quali sono, ma da persone che, seppur sessantenni, sembrano vivere la vita spensieratamente.
è in quell’occasione che vengo a sapere che sono entrambe singles per scelta e che vivono in due appartamenti posti l’uno di fronte all’altro in centro città a non molta distanza dalla biblioteca.
Dimenticavo di ricordare che Milena, al contrario di Luisa vestiva in maniera più sobria. La gonna lasciava il posto ai pantaloni e la camicetta di seta terminava in arzigogolanti risvolti stile nonna papera.
Indubbiamente il trend vestiario di Luisa era molto più vicino a quello delle mie coetanee che alle sue.
La discussione andò avanti sterile spaziando tra la mia professione, la politica estera e l’immancabile riferimento al diritto previdenziale.
All’ora di pranzo mi congedai dalle signore per andare a pranzo nella lurida trattoria sotto casa molto più contento delle mattine precedenti. Avevo avuto l’occasione, quella mattina che qualche essere umano si occupasse di me.
I giorni successivi mi trattenni sempre di più con Luisa e Milena, e, a dire il vero, qualcosa che ha a che fare con il mio testosterone cominciò a ribollirmi in corpo ogniqualvolta mi soffermavo a spiare le gambe di Luisa.
A circa dieci giorni accadde un fatto nuovo che fece maturare i rapporti tra me e le signore.
Si presentò difatti in biblioteca una professoressa della locale università chiedendo alle due, proprio mentre stavamo discutendo, se la biblioteca da loro gestita conservasse un vecchio volume di Muratori. Abbastanza bella, aveva una mini da far paura….
Il mio sguardo si fissò su quelle gambe così snelle che quando questa se ne andò rimasi ancora per un attimo stordito da quella celestiale visione.
Entrambe mi chiesero come mai fossi così incantato nel vedere un paio di gambe ed io- quasi istintivamente parlai in modo logorroico della mia passione per le gambe e per i collant.
Mi accorsi subito di aver fatto una figura da feticista pervertito. Cosa potevo pretendere? In fondo erano due vecchie di sessant’anni!
In effetti i primi sguardi furono di disappunto, ma poi Luisa, la più intraprendente tra le due cominciò a chiedermi quali sensazioni mi dessero un paio di gambe avvolte nel nylon.
Lì li mi sentii molto a disagio e provai a farfugliare qualche cosa… di lecito…. che quel precedente sfogo era solo la ripetizione di quanto avevo letto in un libro; Continuai a modellare le mie scuse su quel tipo di difesa. Le due , alla fine annuirono per convincermi di avermi creduto, ma in cuor mio sapevo che non l’avevano bevuta per niente.
I giorni che seguirono quell’evento furono per me, dal punto di vista morale, un vero e proprio tormento; Da un lato mi sentivo lo zimbello di due vecchiacce che nei loro discorsi ridevano a crepapelle delle mie discutibili anche se umane e lecite passion9i, dall’altro mi eccitavo al solo pensiero di un loro possibile coinvolgimento nella sfera sessuale. Sessantenni si, ma penso che chiunque se le sia portate al letto, visto il loro aspetto.
La mattina mi recai come al solito al lavoro, ma le confidenze con le due signore si limitarono ad un semplice “buongiorno e buonasera”. La cosa che invece mi colpì e dette inizio al mio paziente lavoro di intelligence fu il loro abbigliamento. Milena aveva smesso i soliti pantaloni per indossare gonne , se pur caste, ma che mettevano le gambe fuori, e Luisa sfoggiare sempre delle gonne colorate con delle calze in tinta. Vi assicuro che vederla una mattina con dei collant azzurri molto velati stava facendo venir fuori una violenza carnale.
Una di queste mattine, al mio ingresso in biblioteca fui colto subito dall’assenza di entrambe. Quel tavolo vuoto mi fece quasi pena. Mi avvicinai per prendere la mia abituale tazzina di caffè, che, tutti i giorni Milena mi lasciava accanto al suo computer e, vicino ad essa invece che il solito scontrino del bar, ve ne erano due.
Insospettito di ciò , lessi che uno dei due recava l’intestazione di una nota catena di negozi di biancheria intima, e, leggendo il tipo di prodotti acquistati non potetti credere ai miei occhi: la parola alla quale risaliva ogni tipo di capo acquistato era “calze”.
La data era quella del giorno corrente e l’ora era illeggibile, data una macchia di caffè. Comunque le due, pensai, si sono recate prima al negozio di biancheria e poi sono venute qui a portarmi il caffè ed a lasciare traccia dei loro acquisti…. pensai che stessero in bagno, e dopo un giro di ispezione mi recai all’entrata di questo, ma delle due nessuna traccia.
Cosa avrebbe dovuto significare la loro assenza?
Al momento non lo capii; Ero diventato la pedina di due signore che si divertivano a tirar fuori le mie recondite attitudini a fare l’agente investigativo.
Mi andai a sedere tranquillamente, almeno così cercavo di apparire agli astanti, e feci finta di buttarmi in una traduzione, ma la mente continuava ad analizzare gli elementi che in quel momento possedevo: gli atteggiamenti dei giorni precedenti, le gambe portate fuori, lo scontrino.
Mentre ripensavo a queste cose, dall’ingresso semibuio vedo apparire Luisa. Abito rosa antico con un paio di collant neri molto ma molto velati che terminano in un paio di scarpette intonate al vestito dal tacco alto e lucido.
Prima si avvicina alla sua postazione facendo rumore tra le carte presenti sul tavolo, penso io, per attrarre la mia attenzione, poi , appena alzo lo sguardo dal libro e lo volgo in sua direzione, mi fa cenno di avvicinarmi con un impercettibile segno con la mano.
Appena arrivo ad una distanza tale da permetterle di parlare senza farsi sentire dagli altri presenti mi dice secco: “Io e la dottoressa stiamo catalogando dei manoscritti del trecento appena arrivati. Poiché la merce è sotto la responsabilità di Milena fino a quando non sarà stipulata l’assicurazione, abbiamo deciso di tenerle a casa, tra dieci minuti verrà qui Leopardi, un nostro sostituto, se ti occorre qualcosa chiedi pure a lui. “.
Detto questo prende la borsetta e fa per andarsene ma si ferma un attimo e mi dice di soppiatto: “se vuoi venire a casa di Milena a vedere in anticipo tutto quel ben di Dio che è appena arrivato…. vieni quando vuoi”.
“Potrei venire anche subito….. ” rispondo all’istante.
Guidava molto lentamente la Luisa, facendo particolarmente attenzione, ogni volta che schiacciava la frizione a che la gonna salisse più del dovuto così da mettere in mostra le sue lunghe gambe.
Giunti nel parco dove le due abitano, la tensione mista ad eccitazione cominciò a pervadermi. Salire al fianco di Luisa in ascensore mi dette la sensazione provata quando risalii le acque del tirreno da una profondità di trenta metri. Ero sicuro che le troie avevano preparato tutto a puntino.
Fummo accolti sulla porta da una Milena raggiante, che vestiva un tubino verde con calze marroni velate e dei sandali dal tacco alto.
Dopo i convenevoli di rito e i complimenti per la casa aspettai che una di loro facesse il primo passo per lanciarmi, ma costoro si dimostrarono alquanto impassibili, fredde qualcun altro avrebbe detto.
Stemmo tutti e tre ad osservare quei dannati manoscritti talmente impegnati che si fece l’ora di pranzo.
In modo del tutto strano per una signora di sessant’anni, Milena alzò svogliatamente il telefono e ordinò un pranzo per tre in un noto fast food che consegna a domicilio, senza peraltro chiedere ne a me ne a Luisa se avessimo voluto onorare il suo parco desco.
Il fattorino consegnò con un’inaspettata velocità, e noi tre, deposti pandette e pergamene, ci accingemmo al pranzo. Appena finito e sparecchiato, o meglio buttato nella pattumiera tutta la montagna di carte avvolgenti, Milena annunciò che si sarebbe ritirata in camera a recuperare un po’ d’energia per continuare a lavorare dopo. Luisa poteva seguirla mentre io avrei potuto passare il mio riposo a mia scelta tra il divano e la televisione. Il tutto, sia chiaro senza lasciar la minima possibilità di controbattere.
Appena si chiusero dietro le spalle la porta della stanza da letto, non resistetti dal non avvicinare l’orecchio alla porta per sentire cosa stessero dicendo. Dall’altra parte non veniva nessun rumore, e la cosa mi insospettì. Dopo alcuni secondi, i chiari rumori tipici di chi si bacia me lo fecero venire ritto. La pressione dell’orecchio sulla porta la fece aprire a metà. Entrambe stavano abbracciate, con i soli collant addosso mentre si scambiavano un appassionato bacio. Milena teneva la bocca aperta, mentre la lingua di Luisa la attraversava in un vortice di piacere. Mi avvicinai lentamente, ed entrambe mi tesero una mano, senza peraltro staccare le loro bocche.
Le abbracciai entrambe all’altezza della vita, con i loro palmi che schiacciavano il dorso delle mie mani appena sotto l’elastico dei collant. Pian piano le loro bocche coinvolsero anche la mia, mentre a piccoli, cadenzati passi, ci avvicinavamo al letto. Quando fummo stesi, io al centro, fui rapidamente denudato da quelle mani esperte. Luisa, appena lo ebbe ben saldo lo porse rapidamente a Milena, che cominciò a strofinarci su, la gamba sinistra. Anche Luisa vi ci portò su la sua gamba in modo da cominciare una sega. Impazzivo dal piacere; Notai che entrambe, senza mutandine, avevano tagliato il tassello all’altezza del buco delle pelose fiche. Le pregai di andar piano con le gambe, altrimenti sarei subito venuto, quando, con scatto felino (io ero disteso) Luisa mi montò con la figa sul cazzo cominciando a stantuffarmi. Milena invece (in un innaturale silenzio interrotto solo da quasi impercettibili gemiti) si sedette cavalcioni sulla mia faccia, facendomi assaporare tutto il succoso nettare che le usciva dalla vagina. Quei peli che ogni tanto lasciavano spazio al liscio del nylon mi fecero venire nella figa di Luisa.
Estratto il pene dalla figa di quest’ultima, anche Milena si sporse in avanti ed insieme all’insaziabile amica lo lasciarono solo quando lo videro lindo.
Ridemmo a crepapelle.
Da quel giorno passo molti pomeriggi a casa delle due vecchiette. L’unico handicap è che non potò mai penetrare Milena. Dice di essere lesbica e di fare solo un favore alla sua amante.
è una donna dai retti principi morali. FINE

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