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Come la prima donna ha creato l’uomo

Mi dicono che un essere divino abbia creato la donna da una costola dell’uomo. Ma se esistesse un’altra versione della storia?

In principio era la donna. Non si chiamava Eva perché non aveva un nome e non ne aveva neppure il bisogno, visto che era l’unico essere umano ad abitare la terra. Quando si svegliava al mattino nella grotta che si era scelta come rifugio per la notte, usciva e vagava da sola nella natura selvaggia. Raccoglieva i frutti più succosi e dolci e si faceva scaldare la schiena dai raggi del sole ardente. Si arrampicava scalpicciando agile come una cerbiatta sulle rocce e arrivata in cima all’altipiano osservava ammirata il panorama. Non sentiva la solitudine. Non si annoiava perché era come una bambina e il suo nuovo mondo tutto una sorpresa da scoprire.

Un giorno tirava molto vento e la donna udì un canto provenire da lontano. Era come un coro fatto da tante voci. Ne seguì il suono lungo e e multiforme che si accordava con il soffio gagliardo del vento. Così discese fino a scorgere un laghetto dall’acqua cristallina. Al centro un canneto vi ondeggiava. Sembrava proprio che il canto provenisse dai giunchi. Doveva essere l’aria a farli suonare. La donna entrò nell’acqua. Era un po’ fredda all’inizio ma a poco a poco vi si abituò. Man mano che procedeva verso il canneto, il pelo dell’acqua saliva, dapprima alle caviglie, poi sulle gambe, fino a raggiungere le cosce. Quando le sfiorò la vulva ne ebbe un brivido.

Allargò i piedi piantati sul fondo del laghetto e restò lì ad ascoltare l’acqua che la accarezzava tra le gambe. Sentì che le piaceva e cominciò a muovere piano il bacino mentre piegava un poco le ginocchia per godersi meglio la stimolazione dell’acqua. Intanto le canne continuavano ad agitarsi e a cantare sbattute dal vento. Guardava il cielo e sospirava, finché non gemette estasiata. Decise in cuor suo che sarebbe scesa nel lago tutti i giorni. Abbassò gli occhi verso la propria immagine riflessa nello specchio d’acqua sotto di lei e si vide per la prima volta. Non comprese subito di trovarsi di fronte a se stessa. Era incantata dalla propria figura.

Quando si riconobbe si amò. Era bellissima, capelli biondi dalle venature ramate che le arrivavano lunghissimi ai fianchi. Vide il proprio volto, l’espressione sorpresa degli occhi verdi e la luce meravigliosa di un sorriso nella bocca perfetta, le labbra semichiuse. Si toccò i seni liberi e si stropicciò i capezzoli. Si portò una mano tra le gambe, dove l’acqua del lago si era mescolata ai suoi umori facendosi più densa. Gemette ancora di piacere. Poi decise di riprendere il cammino e raggiungere in pochi passi il canneto.

Ormai il lago la ricopriva fin quasi alle spalle. Passò in rassegna le canne. Ciascuna emetteva un suono diverso. Ancora eccitata, ebbe un pensiero improvviso. Con le mani cercava tra i giunchi uno che le andasse a genio. Erano quasi tutti troppo alti e difficili da sradicare. Fece un gran respiro e si immerse con tutta la testa sott’acqua sperando di trovarne uno più giovane. Lo vide. Lo afferrò con una mano mentre con l’altra smuoveva la terra alla radice. Ce l’aveva fatta. Il giunco era della grandezza giusta.

Cedette presto agli sforzi della donna che tornò a respirare con urgenza in superficie. Il giunco che aveva raccolto era lungo ma non in modo esagerato. Non aveva mai suonato perché era rimasto fino ad allora quasi tutto in acqua, emergendone solo per poco con la sommità cava. Fu allora che la donna realizzò la sua prima fantasia. Fece qualche passo per tornare indietro verso riva finché l’acqua non le arrivò sotto le ginocchia. Aprì le gambe e si accostò l’estremità della canna alla vulva. Con la mano cominciò a spingerla più dentro, con delicatezza, penetrandosi e muovendola appena in tondo nell’intimità bagnata.

Reclinò il capo estasiata e vide soltanto le azzurrità del cielo immenso. Non avrebbe saputo contare quanto tempo era riuscita a trascorrere così. Adorava sentire la forma di quel legno leggero colmare ogni vuoto, ogni spazio delle sue carni fin dove era possibile sospingerlo. Alla fine non riuscì più a resistere ed eruppe nel primo vero orgasmo. La sua voce echeggiò sopra il lago. Riavutasi dalla troppa beatitudine, la donna lavò con cura il giunco sciacquando e risciacquando via le tracce dei suoi umori. Quella sera pose la canna accanto a sé sul giaciglio che si era preparata dopo aver acceso il fuoco all’ingresso della grotta per tener lontani i predatori.

Ancora sognante e stremata dalla dolce esperienza vissuta, si addormentò con una seconda idea in mente.

L’indomani prese la canna e si incamminò verso la roccia più alta da cui ammirava tutta la landa verdeggiante. Udì gli uccelli cantare. Ripensò al vento nel canneto e si avvicinò i bordi del legno concavo alla bocca. Riempì per bene i polmoni e soffiò dentro. Dapprima riuscì a produrre soltanto un suono debole. Man mano che provava a insufflare il proprio fiato si rese conto che il giunco iniziava a cantare un’unica, profonda e lunga nota la cui eco si spandeva negli spazi immensi sotto di lei.

Felice, pensò di essere diventata potente come il vento. Anzi, lei era il vento! Suonò per quasi tutto il giorno, fermandosi solo per cercare del cibo nella valle sottostante. A un certo punto si stancò di quell’unica nota. Voleva fare di meglio, essere più potente del vento. Tornata alla grotta, recuperò alcuni degli utensili di selce che si era fabbricata e praticò dei fori stando ben attenta a non fare crepe nel legno delicato. Era troppo impaziente per aspettare l’indomani e sperimentò il suo nuovo flauto nella grotta.

Si emozionò quando si accorse che l’invenzione funzionava. Coprendo e scoprendo i fori con le dita riusciva a ottenere note differenti. Suonò rapita fino a notte fonda. Poi crollò dal sonno tenendo sempre il giunco accanto a sé.

Nelle mattine seguenti si divertì a creare melodie nuove ogni volta, sfidando gli uccelli canterini. Ora era più potente del vento.
Un giorno se ne stava in piedi nel lago a lasciare che l’acqua la accarezzasse in mezzo alle gambe. Tra le labbra teneva l’estremità del giunco cavo. Con gli occhi chiusi suonava e si commuoveva colmando il cielo di musica. A poco a poco si accorse che qualcosa di insolito stava succedendo. Iniziò a percepire una presenza incombente avanti a sé ma non volle aprire le palpebre.

Sentiva il flauto ancora duro tra le mani ma sotto le dita la sua consistenza assomigliava sempre più a quella della sua stessa pelle. Era diventato caldo, era vivo. Spinse la lingua in avanti e si accorse che tra i bordi il giunco non era più cavo ma morbido. Non suonava più come prima. Si accorse che persino il suo sapore era cambiato. Era come salato. Lo sentì pulsare tra le labbra e spaventata aprì gli occhi. Attorno al flauto adesso c’erano due cosce e sotto una sacca di pelle. Allungò una mano per toccarla.

Mentre teneva la nuova creatura tra le labbra, l’istinto la indusse a succhiare e a muovere la lingua sulla sommità inumidita. Allora il flauto suonò ancora. Dall’alto le giunse il gemito di un essere vivente. Sentì che le assomigliava molto. Il pelo dell’acqua le accarezzava ancora la vulva. Allora la donna comprese cosa stava provando la creatura che le stava innanzi. Era piacere.

Sollevò lo sguardo e vide un altro essere umano, come lei ma diverso da lei. Aveva capelli e barba incolti. Gli occhi rapiti guardavano giù verso il suo viso. La donna si sentì avvampare le guance. Il volto della creatura era turbato, i lineamenti più duri e spigolosi di quelli che aveva visto nel proprio riflesso in acqua tempo fa. Aveva le labbra schiuse e respirava di gola.

Lo sguardo della donna si posò poco più giù, sulle spalle maestose del compagno e sul torace villoso in cui le pareva di perdersi. Lo amò. Capì che lo aveva creato lei stessa e che in quel momento dipendeva in tutto da lei e dalla sua bocca. Gli sorrise e poi tornò a contemplare le sue cosce che circondavano quel che era rimasto del flauto. La donna iniziò ad avanzare con la testa per inglobare tutta l’erezione nel palato. Poi retrocedeva succhiando fino a tenere tra le labbra solo il glande. Lo sentì pulsare ancora in bocca.

Gli stuzzicava la cima e tutta l’asta con la lingua. Non aveva tolto le dita della mano destra da sotto lo scroto. Tornò a guardare il suo amante dritto in volto. I loro occhi rimasero immobili, gli uni immersi in quelli dell’altra. La creatura cantava il suo piacere gemendo a ogni risucchio, a ogni carezza, al contatto del palato caldo di lei. Alla fine cedette.

La donna avvertì il pene gonfiarsi e tendersi di più, le pulsazioni farsi più intense tra le labbra finché l’orifizio si allargò ripetutamente liberando un liquido caldo e denso che le inondò la bocca. Dall’alto il compagno emetteva vocali strozzate crollando il capo all’indietro. Era suo. L’aveva fatto lei e da quel giorno la donna non fu più sola sulla terra. Se questo sia stato un bene o no io non so dirlo.

Intanto adesso tutti conoscono un’altra favola su come è nato l’uomo.

About Antonio

Antonio è un poeta di poesie erotiche. Scrive poesie molto coinvolgenti, è praticamente impossibile interrompere la lettura se non arrivati alla fine della poesia. E quando si arriva alla fine, ci si guarda intorno alla ricerca di un seguito.

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