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Ossessione

La fredda notte, buia e profonda,
Rimbomba il ticchettio dei passi.
Dov’è la gente col suo frastuono?

Riversatevi qui, amo il rumore!
Strappate i pensieri alla mente.
L’ossessione si nutre del nulla.
Catullo Junior.

Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, tum, gneee. Perché non spostano quella testata dal muro?
Perché non comprano una rete nuova?
Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, tum, gneee. è notte fonda, è l’ora di agitarsi tra le braccia di Morfeo, perché non dormite? Perché avete aspettato quest’ora silente?
Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee.
Fate almeno presto, vi prego. è troppo orrendo il silenzio perché il cuscino soffochi il più lieve sospiro.
Tum……….. Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee.
Da quanto stanno andando avanti? Per quanto ancora non mi faranno dormire?
Tum, gnee. Tum, gnee.
Ormai esiste solo quel suono, ossessivo, invadente.
Dieci minuti? Un’ora? Il buio dilata il tempo. Come a un oggetto, ne nasconde la dimensione.
Tum, gnee. Tum, gnee….. Tum, gnee. Tum, gnee.
Tre sere. Tre sere di tormento…. E ora nel più orribile profondo della notte.
Ieri sera erano le undici quando mi sono coricata. Erano già lì. Orologio aritmico e ossessivo.
Sono dovuta scappare. Fuggire in salotto a scorrere i canali della televisione.
Tum, gnee. Tum, gnee.
La casa è antica, spessa. Impedisce le voci, ma non questo rumore di metallo e calcina che scuote il soffitto sopra la testa.
Aldo! Dove sei? Vieni tra le mie braccia. Aiutami. Sei tu che percuoti le mie reni.
Stasera sei caldo, appassionato. Affondi prepotente in me.
Tum, gnee. Tum, gnee.
Non sei mai andato avanti così a lungo. è il ritmo di questo tam tam che t’incita?
Come cigola quella porta sbattuta dal vento!
Ti prego, chiudila e torna da me.
Ecco, guarda, le mie cosce sono aperte e frementi. Ti attendono.
Vedo il tuo pene proteso verso di me. Affondalo in me! Fondi le tue carni con le mie.
Oh! Marco! Fratello mio!
Noooo!
Ecco! Ora sono sveglia, seduta e sudata sul letto.
Non posso continuare a stare qui. Devo immediatamente cercarmi un appartamento, un monolocale.
Anzi. Devo andare in una pensione, fino a che non lo avrò trovato.
Mio Dio! E la seconda volta che mi trovo a pensare d’essere io in quel letto sbattuto, tra le braccia di mio fratello.
è orribile!
Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, gnee.
Non posso restare qua nemmeno ora. Cosa posso fare?
Vado in cucina! Approfitto del tavolo sgombro per correggere i compiti dei miei alunni.
è incredibile! Pochi giorni fa ero felice.
Insegnante per un intero anno scolastico, con buone prospettive per quello successivo, se non sopprimono qualche classe.
Basta con le sporadiche supplenze.
A Torino. Proprio a Torino, dove abita mio fratello. Così felice di rivederlo, di stare un po’ con lui e non per il rapido volgere di una vacanza.
Così felice da non fregarmene niente di Aldo, della sua incapacità di comprendere, di capire il mio desiderio di avere un lavoro.
Lui non voleva che partissi, che andassi così lontano.
è stata dura rompere un fidanzamento durato tanti anni, dalla fine del Liceo.
Ora vedevo tutti i suoi egoismi, il costante pensare a se steso. Prima di tutto, sempre.
Mi sentivo felice di esserne uscita, di avere evitato il rischio di passare la vita legata a un individuo privo di comprensione. Incapace di tenerezze, se non legata a rapidi momenti di passione.
Eravamo come due vecchi coniugi, privi di interesse reciproco, prima ancora di sposarci.
La gioia era doppia: Rivedere una persona cara ed essere in una nuova città, lontana dai ricordi.
A 26 anni in un luogo nuovo, con un lavoro recente e una vita da ricominciare.
Ricordo il buffetto sulla guancia di mio fratello, il giorno che è partito.
“Sorellina, sei la persona che più mi pesa di lasciare. Pensare quanto ero geloso di te da piccolo. ”
Si. Era sempre stato geloso. Ero la sorellina che “rubava” l’affetto dei genitori.
La nostra infanzia è stata una sequela di dispetti e baruffe, mai feroci, ma sempre pronte alla minima occasione.
Era stata l’adolescenza ad avvicinarci.
Marco ha due anni più di me, ma sono pochi tra un ragazzo ed una ragazza.
Io mi sono sviluppata presto e la natura è stata molto generosa con me.
A 13 anni mi disperavo di vedermi crescere quel seno enorme e arrotondare in modo mostruoso i fianchi e il sedere.
A 14 anni ho cambiato opinione. Appena arrivata al Liceo, frotte di ragazzini si contendevano l’onore di portarmi a prendere un gelato. Ardevano per un mio si ad un ballo.
Quanti ne ho fatti soffrire!
Ero molto civettuola: mostravo, mi atteggiavo, ma non concedevo nulla.
Ora guardavo spesso il mio corpo allo specchio.
Non molto alta, unico mio cruccio, ma un seno dolce e morbido, da damina del settecento.
Un sederino ritto e birichino.
Due gambe slanciate, per l’altezza, e ben tornite. Sottili alla caviglia, affusolate al polpaccio e piene alla coscia.
Un paio di calze, una minigonna nera elasticizzata, una camicetta chiara, qualche bottone sganciato e… nessuna concorrente.
Mio fratello, un timido sedicenne, passò dalla gelosia all’invidia.
Non so come cominciò la nostra confidenza. Nacque rapida, ma non improvvisa.
Io tornavo sempre raggiante a casa e lui era sempre triste e solo.
Forse una sorta di istinto materno da parte mia e di curiosità e bisogno d’aiuto da parte sua. Iniziammo a chiacchierare sempre più a lungo. A scambiarci confidenze, dove ero di solito io quella che dava consigli.
Ad un certo punto divenne il “prezzo da pagare” per portarmi ad una festa. “D’accordo vengo, ma solo se viene anche mio fratello”.
Forse mi faceva anche comodo: potevo civettare senza che nessuno osasse andare oltre ciò che ero disposta a concedere.
La presenza di quel ragazzo, più grande di età per alcuni, ma più grosso anche degli altri, incuteva timore.
Mio fratello aveva sfogato la sua timidezza nello sport. Ha anche vinto tre gare di pentatlon!
Era diventato un ragazzo affascinante e atletico.
Portato in quella compagnia di ragazzine poco più giovani di lui, per le quali costituiva il “ragazzo maturo”, non ebbe nemmeno bisogno di sforzarsi per vincere la timidezza.
Le mie amiche se lo mangiavano con gli occhi. Erano loro a stuzzicarlo fino a che non si decideva a farsi sotto.
Per mio fratello ero diventata una specie di dolce fatta, ero oggetto delle sue adorazioni. Ne fece le spese uno stronzo che mi mise la mani addosso mentre eravamo in una discoteca. Se anche non fosse stato così atletico, lo avrebbe distrutto ugualmente.
C’era un furore nei suoi occhi già sufficiente di per se ad incenerire una persona.
Se non lo avessi fermato io, dicendoli di non compromettersi con una persona simile, avrebbe continuato a pestarlo mentre era già a terra.
In un certo senso continuavo io ad essere la “sorella maggiore”, il ruolo conquistato e che mantenevo.
Ricordo un giorno in particolare. Diversi anni più tardi.
Allora avevo 17 anni ed avevo un’amica ripetente di 18, cui da tempo piaceva andare fino in fondo. Era fidanzata, ma non disdegnò di appartarsi tra gli scogli con mio fratello.
D’improvviso me la trovo davanti, afferma che mio fratello è uno stronzo e l’ha violentata.
Mio fratello farfuglia dei “ma… veramente… “, ma io la conosco bene.
I miei amici mi hanno raccontato che temettero le saltassi addosso.
Avevo la bava alla bocca e le mani a uncino, come dovessi piantargliele in faccia da un momento all’altro. Le dissi:
“Sei una puttana! Te mio fratello non lo devi nemmeno nominare. Ero a pochi metri da voi, ma non ho sentito un solo grido. Lo so casa è successo. Vi hanno visto e hai paura delle reazioni di quel cornuto del tuo ragazzo! Ti sei scordata che so tutto di te! Te ne sei sempre vantata delle tue imprese! Di una parola contro mio fratello e altro che al tuo ragazzo! Ti sputtano con tutti lurida troia! Affiggo un manifesto a scuola con l’elenco dei cazzi che hai preso ovunque, anche nel culo! L’unico difetto di mio fratello è d’avere poco gusto a rischiare di prendersi qualcosa con una puttana sfatta come te! ”
Guai se qualcuno ci toccava. Ero orgogliosa di lui. Per il suo aspetto, per la sua intelligenza (uno dei rari casi di laureati in ingegneria elettronica nei tempi minimi previsti dal corso di laurea) e…. anche del suo successo con le donne… anche a letto, quello stesso successo che ora odio per non farmi dormire.
Figurarsi! Un giorno ero assieme ad una mia compagna di corso. Non sapevo nemmeno che era stata con mio fratello.
D’un tratto la ferma una sua amica: “Avevi ragione. Quel Marco non è solo un fustaccio. A letto è una forza della natura! ”
“Guarda che questa è la sorella! ”
Mi venne da ridere: “Nessun problema, vi diverte voi e si diverte lui. ”
Dio! Meglio non stare nemmeno a ricordare.
Mi ricordo ora cosa mi disse quella ragazza, certamente scherzando: “Come fai a resistere con un fratello così? Io commetterei incesto tutti i giorni! “.
Dio mio! Sono già due volte che mi viene davvero in mente quell’immagine: mio fratello che mi penetra, mentre io lo stringo felice a me. Basta.

è ora di colazione, seduta al tavolo, la tazza di caffè in mano, vedo arrivare mio fratello.
Mi turba la sua immagine ed il vederlo a torso nudo: dei semplici calzoncini di pigiama addosso. Il viso sempre così giovane, con quello sguardo profondo, nascosto; il torso largo e atletico cosparso di peluria, quasi un immenso triangolo, che, dalle spalle larghe, indica il suo basso ventre; poi le sue cosce e le gambe dai muscoli guizzanti, che ricordano le statue della Grecia classica.
Questa nottata mi ha proprio scombussolata.
Mi sorride ampio, felice. “Ciao Elena, dormito bene? ”
Come vorrei ci fosse ancora l’intimità d’un tempo per rispondergli: “Col cavolo che ho dormito bene! Mi hai ossessionato tutta la notte col cigolio del letto! ”
Invece rispondo mesta: “Abbastanza, devo ancora abituarmi al letto diverso. In ogni caso oggi pomeriggio voglio andare a vedere qualche monolocale, prima di farci l’abitudine…. Sto anche pensando ad una pensione per i prossimi giorni. Non voglio turbare l’intimità tra te e Giulia. ”
“Non fare la scema, con cosa lo paghi, che non hai ancora riscosso il primo stipendio? Poi mi offendi, mia sorella non toglie alcun’intimità, specialmente in una villetta grande come questa. ”
Tento di difendermi: “Tu sei mio fratello… ma Giulia… “.
“è una cara ragazza e viviamo insieme da due mesi, ma se non accetta la mia sorellina, una pedata nel sedere come alle altre. ”
“Fratellino! Sei sempre il solito maschio sciovinista di sempre! ”
Ma per fortuna mi sento tornata di colpo serena. Poche parole con lui e mi sembra di essere quella di un tempo.
Mi risponde imitando la voce di un ragazzino piagnucoloso: “Non è colpa mia se non riesco a trovare quella che mi fa battere forte il cuore! … In ogni modo, se tu ne trovassi uno stronzo come me, ti giuro che gli spacco la faccia! ”
“Non sarebbe la prima volta! ”
“Che ne trovi uno stronzo come me? ”
“No, che gli spacchi la faccia”
“Sai cosa ti dico? Sono contento che hai lasciato quel pesce lesso di Aldo. Non era degno neppure di legarti le scarpe. ”
“Ehi! Ora ti metti a fare il Fratello maggiore? Troppo tardi, hai venduto la tua primogenitura per un piatto di lenticchie. ”
“Per tante belle paia di piatti di lenticchie! ”
Tanti anni fa, fu lui il primo che mi chiamò “sorellina maggiore”, assicurandomi che gli avevo salvato la vita. Mi disse che le mie amiche erano i “piatti di lenticchie” che n’aveva avuto in cambio.
Riesco a sorridere. Lo saluto, raccomandandogli di salutare Giulia da parte mia ed esco.
La sera, a cena mi sento molto meglio. Rido e scherzo con Marco e Giulia. Almeno fino a che Marco non mi fa un lungo discorso sul suo lavoro e le sue aspettative.
Mi accordo, d’un tratto, che sono ipnotizzata da quelle labbra sensuali, piene per essere quelle di un uomo.
Sento come un senso di vertigine, come una persona sull’orlo di un baratro che, improvvisamente, si sente attratta dall’immensità del vuoto.
Nello stesso modo mi sento cadere verso quella bocca, per attaccarmi ad essa con la mia.
Mi riscuoto e mi riprometto di uscire la sera successiva.
Ho bisogno di socializzare, di trovare un nuovo amore: per sostituire Aldo e togliermi da quella carenza d’affetto che gioca scherzi così tremendi.
Questa notte, però, piombo in un sonno pesante, privo di sogni.
Per la prima volta, da che sono a Torino, mi sveglio solo al suono della sveglia.
Una volta mi devo essere svegliata, anche se non me ne ricordo. Sono andata a letto con la camicia da notte. Ora invece è scomparsa ed ho solo le mutandine (non dormo col reggiseno, che pure di giorno indosso solo per le camicette troppo trasparenti).
L’eccezionale caldo, per questo fine settembre, mi deve aver fatto spogliare nel sonno.
Non sarebbe la prima volta.
Anche stamani, però, sono affascinata da mio fratello, da quell’immagine di possanza esteriore ed interiore che pervade tutto il suo essere.
“è ora che vada. Ciao Giulia. Ciao Marco. Stasera non torno a cena. Esco con un’amica. ”
L’amica mi da “buca”, in impegno improvviso e tutto è spostato alla sera seguente.
Non me la sento di tornare a casa, ho voglia di passeggiare.
Non mancano certo quelli che cercano di abbordarmi, ma non è tra i pappagalli da strada che posso sperare di trovare la persona giusta. Anche a scuola due colleghi anno cercato di sedurmi. Entrambi sposati. Come se non avessi già abbastanza complicazioni dentro di me per doverne cercare delle altre!
Torino non è una città rassicurante la sera. Vedo le locandine di un film che non ho mai visto ed entro nella sala cinematografica.
Almeno non mi allontano da casa. Il ritorno sarà breve.
La pellicola non mi appassiona. Rimango in compagnia della mia solitudine. La mente vaga di continuo ed io cerco continuamente di portarla a seguire la trama del film.
Non faccio nemmeno caso ad un uomo che si è seduto accanto a me.
Non fino a quando una mano si posa sulla mia coscia, appena prima dell’orlo della corta gonna.
Mi si mozza il respiro e resto paralizzata.
In altri momenti sarei scattata su come una molla e gli avrei tirato un sonoro ceffone, un marchio visibile ed udibile per la sua cafoneria.
Ora, invece, la mia schiena torna a aderire al sedile. Non mi oppongo alla mano che, rassicurata, risale sollevando la gonna.
Resto immobile, appena mordo il labbro inferiore quando, raggiunto il fondo della gamba, la mano scivola verso l’interno, cercando rifugio tra la calda giunzione tra le mie gambe.
Ho bisogno di non pensare, quello che conta è solo svuotare la testa dalle sue angosce.
Ho sentito quella mano esitare, felice e sorpresa, incontrando la fine delle calze.
Il pensiero di uscire con un’amica, andare in luoghi più felici e giocare alla conquistatrice, mi avevano spinta ad un abbigliamento seducente.
Giunta nel tepore, senza alcun’opposizione, la mano preme contro il tessuto delle mutandine, al centro del monte di venere.
Ora le dita cercano l’orlo, lo scostano. Si addentrano, frugano e trovano.
Un brivido mi percorre al tocco delle dita sulle mie mucose, la mia vagina è pronta.
La trova e la penetra.
Finalmente la mente è vuota. Godo di questo, più che delle sensazioni.
Il suono sommesso di uno zip.
L’altra mano afferra la mia sinistra e la porta con se, fino al caldo contatto con il suo pene, già proteso fuori dei calzoni.
Docile serro quell’asta. Non sono qui. è il mio corpo, non sono io.
Ubbidiente scorro la mano e il percorso sembra non finire mai.
Non è solo il tempo che si è dilatato.
Lo sconosciuto ha un pene molto lungo, mentre la sua larghezza appare più comune.
La mano ha abbandonato la mia intimità. Si porta alla mia testa e spinge, vuole che vada a raggiungere il suo pene.
Solo allora mi avvedo che è un uomo di colore.
Strano come la mia mente pensi, con scientifica indifferenza, “allora è vero che il pene degli africani è mediamente più lungo di quello degli europei, sarà anche vero che quello dei giapponesi è più corto? “.
Giunta vicina ho un’esitazione. Cerco di oppormi con la testa.
Non è questione di colore, di razza. Per me è solo una droga, un bicchiere di liquore forte. è indifferente che si tratti di rhum o di vodka.
Non mi va di mettere nella bocca quell’umore sconosciuto.
Lui preme deciso, quasi violento.
Con disgusto chiudo la bocca su quella cosa. Con ripulsa ne accetto sconfitta il contatto con la lingua e il palato.
Il sapore asprigno non è diverso dal solito. è la mia anime intera ad essere nauseabonda.
è l’ultima resistenza.
Insalivo quel membro scorrendo la testa, scevra d’ogni problema. Lo aspiro, come una bambina disperata userebbe il suo succhiotto.
Mi meraviglio che, prima d’aver goduto, mi faccia sollevare e si ricomponga.
Mi prende per mano e le mie gambe molli lo seguono.
Usciamo. Una vecchia auto gigantesca, tipo telefilm americani.
CI SONO ALTRI DUE UOMINI A BORDO.
Il cuore ha un tuffo. Mi ribello, strattono.
Non ho nemmeno il tempo di urlare, la sua mano è rapidamente sulla mia bocca.
Sento l’adrenalina scorrere a fiumi nelle mie vene, scalcio e cerco di mordere quel bavaglio di carne.
Qualcosa brilla davanti ai miei occhi. Ruota lentamente.
La lama lucida e sottile di un coltello a scatto.
Appartiene ad uno degli altri due uomini, sceso dall’auto.
La paura. Le viscere che formano un gomitolo dentro di me, l’ano che fatica a trattenere il suo contenuto, mentre l’orina inumidisce le mie mutandine.
Sono sospinta nell’auto. Si parte. Ho un uomo ad entrambi i lati.
Mi palpeggiano cosce e seni, cercano il mio sesso. Il terzo guida.
Sono nerissimi ed enormi. Forse nigeriani.
Piango dimenandomi per evitare, inutilmente, le loro mani.
“Marco, perché non sei con me? Eri sempre tu a proteggere la tua sciocca sorellina! Marco, ho paura! Marco! Ho fatto la stupida per sfuggire il tuo pensiero, ora la mia incoscienza mi porta a invocare, inutilmente, il tuo nome. ”
Un viale deserto e buio. Torino è immensa e sconosciuta per me.
Scendono. Mi trascinano fuori.
Di nuovo l’uomo col coltello lo brandisce.
Gesti decisi, perentori, indicando con la punta acuminata e poche parole in italiano stentato. “Togli”: via la camicetta, il seno vibra ai loro occhi.
“Tirare su”: devo tirare su la minigonna, la lama vibra a scatti verso l’alto fino a che non è arrivata dove vuole.
Ad eccezione delle autoreggenti e delle mutandine, sono esposta ai loro volti nuda, con una fascia nera attorno alla vita, sopra i fianchi.
La lama indica le mutandine.
“Togli”: ultimo atto prima del martirio, devo togliere io stessa quell’ultimo irrisorio baluardo tra me e le loro voglie.
L’auto ha lo sportello posteriore aperto. Vengo fatta sdraiare sul sedile, il sedere al suo inizio e le gambe, divaricate, fuori, coi piedi poggiati al terreno.
Sento l’odore caldo e stantio di quell’auto e il fresco che guizza sulla parte alta e nuda delle mie cosce e sul sesso.
Il primo gigante si avvicina.
La sua enorme massa occupa tutta la mia visuale. Non vedo ne testa né spalle.
Vedo invece i vestiti che scendono e l’organo per la mia esecuzione proteso.
Sputa nella sua mano. La scorre sul membro.
Ora la spada color dell’ebano, lucida di saliva è pronta.
Sembra allontanarsi, ma è il movimento compiuto dall’uomo per entrare con la testa nell’abitacolo: spingendo indietro il bacino per curvarsi.
Mi schiaccia col suo peso, le mani intente all’inizio dello stupro.
L’alito m’arriva sul seno e sul collo.
Ecco la punta. Si muove. Centra.
Mi sventra bestiale con un colpo solo.
La mia impassibilità, iniziata quando mi avevano fatto spogliare cessa.
Urlando no, con tutto il mio fiato, torno a vivere e soffrire.
Piango come una fanciulla, chiamando Marco nello stesso modo che altri, in terribili frangenti, invocano la madre.
Non mi dà alcun godimento, quella mazza invasiva.
Solo al suo vibrare ed eiaculare sono ridestata, l’angoscia è finita.
Il mio sollievo è irrisorio.
Il secondo attende, l’uccello in mano, già lustro di saliva o dei suoi naturali umori.
Forse si stava masturbando.
Mi è dentro. L’umido dell’altro lo fa scivolare di colpo, urtandomi il collo dell’utero e dandomi una fitta.
Quell’agitarsi frenetico e ridicolo, sopra di me piangente, riprende e dopo riprende di nuovo.
Sto ancora piangendo mentre mi fanno rialzare. è finita, ma non per la mia anima.
Mi girano, nell’identica posizione, ma a pancia in giù. Le mie natiche sporgenti dal sedile e le ginocchia che non riescono a toccare il suolo.
No, questo no!
è troppo terribile che l’incubo non volga al termine, ma addirittura così, offesa nel modo peggiore.
Prona, succube dell’assalitore, in quella posizione di sudditanza totale dove nemmeno posso vedere, picchiare coi pugni.
Posso solo subire.
Ecco già il primo dardo che cerca e trova. Preme e non posso sottrarmi, incastrata dal sedile.
Non posso avanzare in avanti nemmeno di un millimetro mentre, con foia ancestrale, mi slarga le viscere, entra nelle mie budella.
è stato meno brutale di chi, per primo, si è servito di quella vagina che era mia.
L’onta è dolorosa più dello scempi delle carni, per fortuna non vergini.
Già una volta scaricato, nonostante la stretta che gli afferra il membro, dura a lungo, e così il secondo.
Le mie carni bruciano, per il lungo strofinamento, quando il terzo penetra.
Ora il dolore è forte. Mi si mozza il pianto in gola per le fitte.
Gemo come una bestia ferita e tale m’hanno fatta sentire.
Quando, finalmente, sento l’ultima scarica nell’intestino, mi posso rialzare.
Mi brucia l’ano, mi duole la schiena e le gambe stentano a tenermi ritta, dopo il lungo supplizio. Unica soddisfazione non aver mai goduto.
M’invitano a salire. Non voglio. Partono rombando.
Infilo la camicetta, tiro giù la gonna, ma le mutandine le tengo in mano.
Cerco di ripulirmi con dei fazzoletti che avevo nella borsetta.
L’hanno lasciata, quello che gli interessava era rubarmi la dignità.
Ridurmi da persona ad oggetto. Farmi sentire violabile, insicura, schernita.
Il loro sperma cola dalle mie ferite, m’imbratta anche le calze.
Quando pulisco l’ano ho una forte fitta. Sotto la lunga e ripetuta penetrazione è rimasto socchiuso. Capisco che non posso tergermi.
Metto le mutandine, utilizzando alcuni fazzoletti come dei salva slip. Tolgo le calze e le getto. Come dice Claudia Cardinale in quel vecchio film? Una vasca calda e torno come prima.
Non credo che sia vero, ma una vasca calda è quanto più ardentemente desideri al mondo.
Una vasca calda e le braccia di Marco.
No. Può darsi che adesso desideri la sua stretta protettrice, che la sorellina cerchi chi l’ha sempre difesa. Ma non posso raccontargli niente.
Ne soffrirebbe e basta.
Poi che dirgli? “Un uomo mi ha chiesto di fargli una sega ed un pompino al cinema. Ero depressa e per passare il tempo l’ho accontentato. Quando mi ha chiesto di seguirla in un luogo deserto per fare meglio i suoi porci comodi l’ho seguito, ma erano in tre e tre non mi andava. ”
Passa un taxi. Mi sento salva. Si ferma.
Sembra che trovare di notte una donna scarmigliata, sola per strada, sia la cosa più normale del mondo. Forse pensa che sia una prostituta che ha finito il turno.
Devo stare a sedere sghemba, poggiando il peso ora su una natica ora sull’altra.
Gli do il nome di una strada vicina. Mi vergogno.
Sono riusciti a farmi sentire colpevole. Perché?
Se una sera devo aver voglia di una follia, di stare con uno sconosciuto, chi dà il diritto ad altri di usarmi? Come una prostituta. Anzi. Anche lei è una donna. Finito il suo lavoro è obbligata ad aprire le gambe a chiunque incontri e lo voglia? No! Non voglio sentirmi colpevole: subire e sentirmi puttana. Uno l’ho scelto. Tre no. Sono una persona, non un oggetto.
Questi, se li beccassero, forse li condannerebbero. Sono estranei.
Ma chi è italiano come me? La cosa non mi aveva mai toccato, ora che l’ho subita sento in me tutta la rabbia. Se fossero stati italiani qualcuno avrebbe preteso di vedermi un occhio nero, lividi sul collo, meglio un due o tre tagli da suturare.
Il taxi è arrivato. Finalmente sono a casa.
Corro nel bagno. Butto mutandine e fazzoletti nel cesso. Mi strappo i vestiti di dosso.
Acqua! Finalmente acqua pulita e calda sul corpo.
Sono nel letto, cullata dal tam tam e dal cigolio del letto di sopra.
Sogno d’essere tra le braccia di mio fratello. Mi possiede e, lungi dal sentirne l’orrore dell’incesto, ne colgo la stretta amorevole e purificatrice di chi ti ama e ti possiede attento curandosi di sentire che tu ti stai donando a lui.
Mi addormento così, tra le lacrime.
Il mattino dopo ho voglia di normalità, voglia di mettere alle spalle un incubo.
Distolgo la sguardo dal petto villoso di Marco, ma non me ne turbo.
Non siamo tutti, secondo Freud, perda di mille inconsci desideri?
Non è il provarle che conta, è il farle.
Poi che è l’incesto? Un portatore di sventure e tragedie, per i Greci, ma un normale atto per i Faraoni egizi, che si sposavano anche tra fratelli e sorelle, come la stessa Cleopatra. Scientificamente un rischio per la prole. Un atto portatore di tare ereditarie nella discendenza.
Non è il desiderio ad essere pericoloso. Specialmente se desiderio rimane. Più pulito di quello che può avvenire tra perfetti sconosciuti.
è la sopraffazione, quando c’è, dell’uno sull’altro. Del grande sul piccolo. Di chi lo sceglie su chi non lo accetta.
Questi sono gli elementi che lo rendono turpe. Non il fatto in se per se. Non quel gusto particolare che gli danno le proibizioni.
L’erotismo del goloso frutto proibito e voluto, atteso. Come in D’Annunzio e in Anais Nin.
Sono una giovane donna e lui è un giovane uomo, ci amiamo, come non capire che vi possa essere una componente di attrazione sessuale? Va accettata dentro di se, perché esiste, e rifiutata nelle azioni.
Chi sa se anche Marco, sessualmente, prova qualcosa nei miei confronti.
Questo non va fatto. Non devo indagare e stuzzicare.
Stasera devo uscire con la mia amica. Mi rifiuto di non averne voglia.

è passata una settimana da quella tragica sera.
Gli incubi tornano spesso. La notte mi fa paura.
Il letto cigola in prima nottata.
Mi dà meno fastidio da quando ho accettato di sognare Marco con me.
Solo un episodio mi ha turbato.
Ieri, quando sono tornata dal lavoro, credevo non ci fosse nessuno in casa. Mi sono accorta di aver finito la carta igienica e, data l’ora, mi sono recata a cercarla nel bagno al piano di sopra.
Solo quando stavo per spalancare la porta socchiusa mi sono accorta che c’era qualcuno.
Dallo spiraglio ho visto che era Marco. Doveva aver appena finito la doccia.
Se ne stava ritto di profilo, di fronte allo specchio, aggiustando due sottili baffi che si è fatto crescere.
Era completamente nudo.
Sono rimasta incantata a guardarlo. Le natiche muscolose, come la statua di un dio pagano, le forti cosce, il membro grande, pur nel suo riposo.
Mentre ero lì, paralizzata dal fremito erotico di quella visione, il pene si drizzato.
Lungo, grande, vibrante nella sua posizione parallela al suolo. Sono rimasta ancora di più incantata. Il pene di mio fratello era lungo, paragonabile a quello che mi aveva adescata al cinema, ma più robusto, tanto da apparire regale al confronto.
Mi accorsi della natura dei miei pensieri.
La soddisfazione che mio fratello avesse un pene più grande di quelli che avevano abusato di me. La speranza di sentirlo dentro. Quasi che, con la sua larghezza, potesse raschiare via, come l’attrezzo di un falegname, il ricordo dello stupro.
Cercai di riacquistare il controllo di me. Così facendo mi resi conto che rischiavo di essere vista. Bastava che mio fratello volgesse leggermente la testa verso la porta.
Mi allontanai, mentre un dubbio mi assaliva. Se mio fratello avesse guardato io, intenta a contemplare le sue intimità, le uniche parti che non conoscevo, non me ne sarei accorta.
Ebbi immediato il timore che mi avesse vista e la speranza che l’improvvisa e forte eccitazione fosse scaturita proprio dall’avermi vista.
Un dubbio da portare dentro e da non approfondire.
Forse mio fratello si eccitava all’idea di espormi il suo corpo nudo.

Il letto inizia a cigolare e a sbattere sulla parete. Quasi mi mancherebbe, ormai.
Ha smesso.
Non è passato che qualche minuto e ha smesso. Non è mai successo.
Ormai so che il letto non può smettere prima di un’ora o due, talvolta di più.
Sento invece delle voci. Non distinguo le parole. Le sento perché sono urla. Rumori di cassetti rovesciati a terra, sedie cadute.
Sono terrorizzata da un evento ignoto.
Non posso non alzarmi e non affacciarmi alla porta di camera.
Piedi nudi sulle scale. Sbuca Giulia, completamente nuda. Ha una busta gialla in mano e l’agita in preda ad una crisi isterica.
Mi vede. “Giusto te! ”
Non aggiunge altro. Giove in persona, possente e nudo, la raggiunge e la strattona per un braccio, mentre gli occhi mandano le sue folgori.
Le rovescia di colpo la faccia dall’altra parte con un ceffone: “Guai a te! ”
La voce è minacciosa, di quelle che incuterebbero timore a qualsiasi uomo.
Senza minacce, ma secche come un comando, sono le parole che mi rivolge: “Torna in camera! Non ti riguarda! ”
Giulia si ribella: “Si che la riguarda! ”
La strattona brutalmente per il braccio, agitandola come un fuscello: “Torna su, o finisci nuda in mezzo alla strada!
Ti sbatto fuori da casa mia! ”
Mi chiudo terrorizzata in camera mia e mi stendo tremante sul letto.
Non capisco: “Proprio te”; “non ti riguarda”; “ti riguarda”. Cosa succede?
Poi non ho mai visto mio fratello alzare un solo dito su di una donna, mentre ora sembrava una belva inferocita.
Anche sul suo volto brillava fiammante il segno di uno schiaffo.
I rumori di una litigata continuarono a tratti.
Dopo molto tempo udì la porta sulla strada aprirsi e richiudersi sbattuta violentemente.
Un auto che si accende e parte sgommando stizzita.
Il silenzio. Attendo, raggomitolata in posizione fetale, che qualcuno mi cerchi, ma arriva prima il sonno.
Il mattino dopo è domenica. Mi alzo in camicia da notte.
Non penso nemmeno alla sua leggera trasparenza. Tutto è silenzio.
Sorpresa trovo mio fratello in cucina.
Sembra la statua del pensatore, dove lo sgabello è la sedia e l’appoggio per il gomito è costituito dal tavolo.
Sembra svuotato. Sicuramente in crisi.
Lo saluto, la mia voce è esitante: “Ciao. Non ho capito casa sia successo. So che, in qualche misura c’entro io. Non voglio rovinarti la vita. Oggi stesso me ne vado. ”
Mi guarda e il suo volto si illumina, sorride. Gli angoli della bocca manifestano un suo dramma interno, ma è felice di vedermi: “Non essere sciocca. Non crederai che stia male per quella cretina! Sono contento che si sia levata dai piedi.
Ho solo alcune preoccupazioni, ma guai se mi abbandoni anche te! ”
Ne sono felice. Cerca il mio conforto: “Posso fare qualcosa per te? ”
“Bhe! Intanto potresti uscire a far colazione con me. Le ho promesso che dalle dieci a mezzo giorno la casa sarebbe stata vuota e sarebbe potuta venire a prendere la sua roba…. Poi mi devi fare un favore. Se viene qui sbattile la porta in faccia. Se l’incontri per strada evitala. Soprattutto non starla a sentire. ”
è strano questo volermene tenere fuori nel modo più completo e assoluto.
Però mi piace l’idea di una passeggiata con mio fratello e corro a vestirmi felice come una ragazzina.
Mi faccio proprio carina, non provocante.
Un tailleur bianco candido che, senza fasciarmi, si adegua perfetto alla mia linea.
Lo scollo è adatto a mostrare ciò che ho di bello, senza esporre troppo.
La gonna è corta, per lasciare la visione delle mie gambe.
Calze bianche e scarpe con tacchi alti e sottili lacci, di vernice bianca, completano il tutto.
Un colpo di rossetto vermiglio, un trucco leggero agli occhi. Un cappellino civettuolo comprato proprio per quel tailleur. La borsa uguale alle scarpe. Sono pronta!
Niente di provocante, ma sfido a non girarsi per guardarmi.
Forse ho esagerato perché, se non fosse mio fratello, giurerei che quello sguardo sognante è quello di un innamorato.
Un innamorato che ti mangia con gli occhi; infatti, seduti al bar, le sedie di fronte ed il tavolino a fianco, mi accorgo che getta a tratti lo sguardo sulle mie gambe.
Nel sedermi la gonna è risalita troppo lasciando le cosce scoperte quanto una mini.
Non la tiro giù.
Non per civetteria, ma perché, facendolo, sarebbe dirgli che mi sono accorta del suo sguardo.
Non voglio metterlo in imbarazzo. Per me il suo sguardo è una carezza.
Ha voglia solo di parlare del più e del meno. Ride e scherza solo quando cominciamo a dare il via ai ricordi.
Quando mi scompongo per alzarmi, il suo sguardo cerca di catturare quanto può.
Mi torna in mente la sua improvvisa erezione. Mi trovo a guardargli il davanti dei pantaloni.
Mio Fratello è eccitato!
Povero fratellino mio. Anche lui prova le mie stesse pulsioni?
Penso per un momento di andar via da casa sua, ma mi ha detto di aver bisogno di me.
Cercherò di essere più discreta nel vestire.
Mi lascia a casa. è mezzogiorno passato: va a prendere due pizze.
L’auto è andata via da poco.
Suona il campanello, come se qualcuno aspettasse solo che se ne fosse andato.
è Giulia.
Prima che possa dire qualcosa mi mette in mano una busta gialla. Sembra chiaro che è quella della notte scorsa: “Queste ti riguardano e come! E non sono quelle che hanno scatenato tutto. ”
Mi guarda con ostilità e fa per andare.
Disobbedisco a mio fratello, in fondo la “maggiore” sono io.
L’agguanto, aiutandomi con le unghie ad artiglio, il polso: “Ferma! Sono abituata a andare in fondo nelle cose! ”
Il tono è secco e duro. Mi ha sempre visto gentile e educata. Non sa che belva divento se si tocca mio fratello. Rimane impietrita.
Apro la busta. Mi basta vedere la prima foto.
Sono io, nuda sul letto.
Sono coricata dormiente a pancia in giù. Indosso solo le mutandine, tirate giù, alla base delle natiche. Più che coprire, sottolineano, un evidenziatore per il mio sederino tondo.
Quella notte non mi ero tolta la camicia.
Mio fratello mi ha dato del sonnifero e mi ha fotografata.
Scorro rapida. Tutte posizioni di quella notte. Compresa la più oscena: Senza niente, le gambe divaricate e la vulva in mostra; una mano languidamente posata sul pancino, quasi protesa verso il mio sesso; l’altra racchiusa a pugno, il pollice eroticamente in bocca.
Non so ancora le mie reazioni a tutto questo.
Prima voglio sapere: “E questo non sarebbe il motivo del litigio? ”
“Le avevo già trovate. Lui mi aveva giurato che era uno scherzo. Ve ne eravate fatte altre anche da ragazzi per prendervi in giro. Me le ha mostrate e gli ho voluto credere. ”
“Mostrato cosa? ”
“Le altre foto di te nuda da ragazza. ”
Mi gira la testa: “cosa ha scatenato il litigio? ”
“prova te a sentirti chiamare col nome della sorella dal tuo ragazzo mentre state scopando! ”
“Addio, grazie e a mai più rivederci. ”
Le sbatto la porta in faccia.
Corro in camera di mio fratello. Frugo da per tutto.
Le trovo. Analoghe foto di me. Prima che partisse per Torino.
Un tuffo al cuore. Mi scordo completamente di essere sua sorella.
Mi ama! Mi desidera!
Non sono minimamente arrabbiata per le foto.
Ne aveva bisogno, aveva bisogno di me. Ha preso un ricordo, non mi ha stuprata in quel letto.
Se lo avesse fatto non avrebbe resistito al desiderio di fotografare con l’autoscatto.
Poi lo conosco, so che non farebbe mai niente contro di me.
Sento che mi ama. So si è sentito un ladro, si è vergognato per quelle foto, pensando mi scandalizzassi e non capissi.
Sicuramente si è preso quello schiaffo sulla guancia silenzioso, a testa china; solamente quando lei ha deciso di farmele vedere si è infuriato.
Non per la sua vergogna, ma perché pensava mi turbasse essere desiderata da mio fratello.
Era feroce perché mi difendeva!
La porta si apre. Nascondo le foto nel tailleur e scendo.
Devo indagare, ora si.
Io desidero ardentemente giacere con mio fratello. Non mi importa delle convenzioni ed altre cose. Io lo amo e lui mi ama.
Devo appurare se devo salvarlo, se può evitare di giacere con me; soprattutto se il farlo lo turberebbe, al di là della soddisfazione iniziale.
Grido: “Arrivo subito”
Corro in camera e il tailleur vola via.
Indosso un gonnellino corto plissettato, un vero invito a introdurvi le mani; una camicetta al limite della decenza senza il reggiseno sotto: vedo non vedo e dallo scollo vedo tutto.
Calze auto reggenti scure (agli uomini piacciono di più), che devo stirare bene perché l’ampio bordo trinato non si intraveda che quando mi chino.
Corro: “Lascia stare, apparecchio io! … dove sono i piatti da pizza? Dentro il forno? ”
Mi chino. Sono conscia dello spettacolo che do.
So anche sculettare quel tanto per catturare lo sguardo, senza esagerare, come non lo facessi apposta.
Mi alzo e mi giro.
Il suo guardo è ipnotizzato, fiso su di me. I suoi calzoni sono tesi sul davanti. Incredibilmente tesi.
Il sederino tondo ha turbato i sogni di molti, deve essere la sua parte preferita; sento un languore nella pancia al pensiero di essere sodomizzata da mio fratello. Non mi dispiace di essere penetrata analmente, ma mai ero arrivata a desiderarlo così ardentemente.
Reggendo al desiderio di gettargli le braccia al collo, gli dico, con faccia e voce seri: “Marco. Bisogna che cerchi una casa per conto mio. Lo vedi come ti conci? ”
La mia testa indica il cavallo dei suoi pantaloni.
Diventa rosso: “No, … che vai pensando… un pensiero che avevo, ma non ti riguardava… ”
Colpo di scena. Estraggo le foto e le deposito sul tavolo: “E queste allora? ”
Diviene bianco come un cencio. Si accascia. Mi spiace, ma devo andare in fondo: “Ti voglio bene, sei mio fratello. Non credi che, se me ne vado, riesci a non pensarmi e a stare meglio? ”
Parla con una voce fonda. Sembra giungere dagli inferi: “Perché credi che sia venuto a Torino? Avevo offerte di lavoro più vicine. è stato inutile. Ogni donna non era te. Te eri la pietra di paragone e nessuna andava bene. Qualcuna, come Giulia, si è incaponita. Voleva avermi a tutti costi e si è piazzata in casa mia. Quando sei arrivata, la tua presenza mi eccitava e lei ha pensato di aver fatto breccia. Poi ha trovato le foto… ”
“E l’hai chiamata Elena mentre facevate l’amore. ”
“Ti ha parlato! … No. Scusa. Non rispondere. Mi sono approfittato di te. Ti darò io i soldi per prendere una casa, sarebbe il minimo per rimediare. Se non li vuoi me li restituirai con calma. Ti voglio bene. Perdonami se puoi”
“Alzati Marco… Ti amo tanto. ”
Mentre gli dico queste parole, lui probabilmente sta pensando ad un perdono.
Ora, però, mi sollevo sulle punte dei piedi; poggio le mie labbra sulle sue e… comincio ad aprirle lentamente, toccando le sue con la punta della lingua.
Passato un attimo di sbalordimento, mi stringe forte e mi penetra con la lingua.
Il bacio più bello della mia vita. La prima forma di intrusione da parte di mio fratello in me.
La sua mano scende lenta, scorrendo con una carezza la mia schiena, viaggia verso i miei glutei.
Ho visto, in più occasioni, come bacia mio fratello.
Presto palperà il mio sederino per sentirlo; lo premerà forte, per farmi sentire la sua virilità.
La mano cala, ma è esitante, timorosa.
Con un sospiro gli faccio capire la mia ansia di sentirlo.
Finalmente palmo e dita afferrano rapaci la mia natica sinistra saggiandola a lungo.
Ecco! Mi spinge contro di se: sento la sua mazza, enorme e tesa, incavarmi il ventre.
Con un gemito, accompagnato da una premuta carezza del mio bacino al suo pene, gli dico che non aspettavo altro.
Si stacca e mi guarda stupito, interrogandomi con lo sguardo.
“Ti lascio il primato. Mi desideri da prima di partire. Però desidero fare l’amore con te dal primo giorno che sono arrivata qui. Non sono abituata ad attendere così tanto con un uomo, lo sai. Quindi datti da fare. ”
Rido, sono colma di felicità: “Non fare quella faccia. Ho detto la verità. Mi sono frenata perché avevo le stesse paure per te che tu avevi per me. Amo Giulia. Venuta per ferirci entrambi, e mandata a farsi fottere per la forma, mi ha dato l’informazione più bella che potessi avere. Voglio: esse, ci, o, pi, a, erre, e, ci, o, enne, ti, e. ”
“Ti amo. Ti amo da impazzire. ”
“Per ora sento che hai una voglia di scopare da impazzire! Vedremo se se lo ripeti, dopo che ti sarai levato lo sfizio di fotterti la sorellina. ”
Mi guarda serio e corrucciato.
“Dai! Scherzo. ”
Gli tocco la punta del naso appoggiandovi l’indice: “Poi non ne hai mai conservata una. Sono davvero la più fortunata? ”
“Le altre non contavano un cazzo. Ho sempre amato te, e siccome non potevo avere te mi sono fatto tutte le tue amiche.
Persino quelle che non i piacevano! ”
“Ah si? Preparati. Le amiche decantavano grandi lodi di te. Che hai un bel pisello l’ho visto e lo sai. Che è duro lo sento col pancino. Però decantavano come lo sapevi usare. Sono femmina e curiosa, voglio un’accurata dimostrazione.
Attento, però, non sai di cosa è capace una donna innamorata. ”
“Vuoi dire che se guardo un’altra mi cavi gli occhi? ”
“Questo è sottinteso. Voglio dire che una donna innamorata da tutta se stessa per il suo uomo, non gli nega nulla”.
Do una intensa carica erotica a quel “nulla”.
Inghiotte. Qualcosa immagina, ma è ancora lontano.
“Elena, vuoi mangiare qualcosa? ”
“Che sciocco. Voglio solo quel lettone del piano di sopra. ”
Arrochisco la voce, socchiudo gli occhi. Faccio le fusa col corpo.
Il fratellino deve cancellare anche il ricordo delle altre. Dopo aver fatto l’amore con me deve pensare di aver avuto a che fare solo con sciocche collegiali: “Però ho sete. ”
Gli sbottono la camicia. Gioco con la lingua sui suoi capezzoli. Li stringo fra i denti finché non freme quasi di dolore. Lecco il suo petto villoso beandomi dei suoi sospiri. Scendo giù piano, la lingua su di lui e lo sguardo sul suo volto. Scavo il suo ombelico.
“E non chiamarmi più Elena: solo sorellina. ”
So cosa eccita gli uomini. Sono esperta nello stuzzicare. Solo che non concedevo mai.
Ora voglio l’oscar della provocazione, ma voglio dare tutto: lo amo.
Ora sono in ginocchio. Sbottono i suoi jeans e lo aiuto a toglierli.
Non ho fretta.
La fretta è sesso, la calma erotismo.
Non abbasso i suoi boxer, vi introduco, un millimetro per volta, la mano.
Sospira fondo, è solo il polpastrello del medio che lo ha sfiorato.
Le prime falangi, solo esse, vi passano sopra; piano lo attraggono al palmo e, finalmente, lo cingono. Il morbido e duro cazzo è mio.
Dolcemente lo massaggio. Si appoggia alla parete, l’emozione è troppa.
Con la mano libera, un lato per volta e a più riprese, calo i boxer.
Il membro svetta nell’aria, conturbante nelle sue venate forme e nei suoi contrastati colori: la pelle col suo colore, circondata dalla rossastra aureola della pelle tesa che, precedentemente, copriva il glande violaceo.
Vi porto la mia bocca sopra, ma mi limito a scendervi un filo di saliva.
Ora il massaggio si può fare ampio. Trastullo il glande con la punta delle dita.
Grazie alla saliva, che verso ancora, scivolano senza attrito, dando solo piacere.
Ansima. è il momento di accendere i sensi con i suoni: “è bello, maestoso. Mi piace da morire. ” “Oh! El… sorellina. ”
Finalmente dice sorellina con voce giusta: il tono del peccato che accende i sensi.
“Si. Tua sorella. Una sorellina innamorata, che vuole essere anche troia per il suo uomo, perché sa che gli piace.
Nessun uomo mi ha fatto sentire abbastanza puttana da bere il suo succo. Ora quella ciuccia cazzi di tua sorella ti vuole bere, impazzisce dalla voglia di sentire il tuo sapore. ”
Inghiotto la sua asta, accompagnata da un gemito tremendo di mio fratello.
Mi piace. è suo. Ne sono ghiotta.
Metto me stessa in quel ritmo. Assecondo i suoi lamenti. Deliziosamente lo gusto, fino al momento che esplode.
Non gli ho detto il falso: ho morso, senza conseguenze gravi, un ragazzo che aveva tentato di trattenermi la testa.
Ora aspetto. Ecco il primo prorompente flusso, ampio e immenso. Quasi mi soffoca.
Forse riuscirei a non perderne una goccia, ma lascio che parte mi esca sulle labbra e sul mento.
So che così sarò più eccitante per lui.
Il secondo, ancora abbondante, è più denso; impastoia la lingua.
Il terzo e gli ultimi sono piccoli, ma densi come nutella, da suggere.
Succhio e lo mungo con la mano, per essere sicura di averlo bevuto tutto.
Mi stacco e, rimanendo in ginocchio. Lo guardo con un grande sorriso, conscia del bianco che m’incornicia le labbra.
Ho trattenuto dello sperma sulla lingua e lo mostro, prima di inghiottirlo.
Raccatto quello sul mento e sulle labbra col dito e lo lecco: “Amo il tuo sapore. Sono stata brava? ”
“Molto, moltissimo, la migliore di tutte”
“Non mi basta”
“Insuperabile”
“Non ci siamo per niente”
“La più grande… ”
“Si? ”
Dal mio si capisce di essere nel giusto e la paura gli passa.
“La più grande pompinara del mondo. ”
“Oh! Finalmente! ”
Mi alza e mi bacia.
“E le altre? ”
Mi spoglia, levando camicia e gonna. Rimango in mutandine e calze: “Solo delle cagne in calore, squallide e incapaci. ”
Mi masturba le tette. Mi fa impazzire: “Togliti le mutandine. ”
Ci metto tutta la mia malizia nel farlo.
Ho appena terminato che mi arriva un sonoro scapaccione, capace di strapparmi un urletto.
“Fila a letto. Voglio fotterti, sorellina puttanella. ”
Gli do un bacio sulla guancia e corro: “Obbedisco”.
Arriva. Mi solleva. Mi pone faccia in giù sulle sue ginocchia e mi sculaccia.
Mi piace. Cerca di imprimere voluttà al colpo: forte da frizzare, senza dolore eccessivo.
Ma io urlo e scalcio. Lo vuole il gioco.
Mi sdraia pancia in su. Porta i miei talloni a toccare le natiche, in posizione al limite del doloroso. Divarica le mie cosce. Il sesso è esposto e la sua lingua lo penetra.
Scorre ovunque. Si tuffa, morde coi denti. Succhia. Il soffitto prende a ruotare e lui non smette. Nemmeno quando ho goduto: non smette fino a che non lo supplico.
“Basta! Non ne posso più. Voglio sentirti. ”
“Non sento”
“Ti voglio dentro di me”
“Non capisco”
Non ne posso più… Già! … Mi rende la pariglia!
“Fottimi fratellino. Dammi il tuo cazzo duro. Lo voglio! Fotti la tua sorellina che si sente porca. ”
Mi è sopra. Lento si appoggia e spinge. Vedo la volta celeste, la stanza si è disgregata.
Scorre. Mio fratello scorre dentro di me e io m’ubriaco di sensazioni.
Mi ritrovo sopra di lui, non so come, e cavalco secondo i comandi delle sue mani sui miei fianchi.
Ruoto il bacino, col pene imprigionato, mentre lui strofina i miei seni.
Lo massaggio coi muscoli della vagina, mentre un suo dito titilla il mio ano.
Dopo un tempo infinito sono sotto di lui. I suoi colpi sono ampi e lenti.
Tum, gnee. Tum, gnee. Tum, tum, gneee.
Il suono più bello del mondo, perché il ritmo lo detta la sua verga dentro di me.
Volevo aspettarlo, ma non ce la faccio.
Guardando le sue labbra e i suoi occhi inizio a gemere e contorcermi.
Si tratteneva anche lui. Sentiti i miei gemiti si inarca; dà colpi spasmodici.
M’inarco anch’io, per venire incontro ai suoi colpi.
Urlo la liberazione dei miei sensi e, ancora sollevata dalle lenzuola, tesa come un arco su testa e talloni, sento invadermi dai suoi spruzzi caldi.
Stiamo stesi un poco. Senza volerlo mi sono messa a pancia in giù.
Mi carezza la schiena, scende alle natiche e le carezza a lungo. Penetra nel solco. Un dito mi stuzzica il forelino nascosto. Gli sorrido.
Marco mi dice: “Cosa fa ora il fratellone alla sua sorellina? ”
“Il fratellone sfonda il culetto di questa puttanella della sua sorellina, che ha tanta voglia di sentirsi una grandissima troia. ”
Le sue dita vanno in basso, catturano il succo del nostro idillio precedente.
Lo portano, a più riprese, nel tenero forellino. Un dito entra e io socchiudo gli occhi per gustarlo. Spengo gli altri sensi per concentrarmi su quel dito impertinente. Ora divengono due. Indice e medio.
Il pollice raggiunge la vagina. Scorre. Insieme, alternativamente, gioca a sentirsi le dita attraverso la parete sottile.
Sto godendo! Con le sue dita in entrambi gli orifizi. Godo e la tortura continua.
Lo supplico: “Inculami! Incula tua sorella! ”
“Come vuoi che t’inchiappetti? ”
“Come preferisci. Dolcemente facendomi gemere; a sangue, facendomi urlare. Ma voglio la tua verga dentro di me! Voglio sentire il cazzone di mio fratello scorrermi dentro il culo! ”
Mi è sopra. Punta il pene al mio piccolo ingresso.
“Chi è il primogenito? ”
“Io”
Di botto le mie carni s’aprano sotto l’impeto della sua spada. S’arresta solo sbattendo sul mio sederino. Una fitta tremenda e urlo. Piano si sfila fino ad uscire. Il pene resta in posizione sull’ano appena aperto.
“Chi è il primogenito? ”
Persino il dolore non mi è spiaciuto. L’ho incitato io, così come sono io a porgergli la terga, ad offrirmi succube per scelta consapevole.
So che giocherà fino a quando lo permetterò, poi si fermerà.
Gli piace, ed io continuo il gioco. Non mi arrendo.
“Vigliacco. Sono io. ” Sente che non cerco di sottrarmi.
Affonda in me con violenza e , dato ch’è più largo, da una seconda botta. Sento tutto il suo grosso pene nel mio pancino. Urlo di nuovo. Una lacrimuccia scende dai miei occhi per le fitte. Estrae ancora.
“Chi è il primogenito? ”
“Non mi arrendo”
Le staffilate sono tre. E mi esce un grido per ognuna.
Lacrimo ancora. Sento d’aver raggiunto la soglia del dolore. Un colpo ancora e non riuscirei più a sentire il gusto perverso della sodomia.
“Chi è il primogenito? ”
“Tu. Io sono la sorellina piccola, succube e inerme, che il cazzo del fratellone possiede. T’offro il culo, fratellone prepotente. ”
Quella verga immensa s’immerge lentamente dentro di me, scorre tenera, per quanto lo può un siffatto attrezzo in un tenero forellino.
Mi piace, e a lui piace saperlo: “Mi piace questo affare grosso nel pancino. ”
Lentamente, aiutata dalla sua mano sulla passerina, arrivo all’estasi.
“Ora vai veloce. Rompi il culo a tua sorella! ” E godo, mentre lui esaudisce i miei desideri.
Schizzi immani riempiono il mio intestino.
Sono rannicchiata fra le sue braccia, stretta contro il suo petto forte. Mi sento proprio la sua piccola sorellina, ma più ancora la sua piccola donna. Solo un dubbio mi assilla.
“Ti sei tolto lo sfizio? Non gli hai lasciato niente di intatto alla tua sorellina. ”
“Ti amo. Impazzisco se solo mi sfiora il pensiero che questo possa finire. ”
“Sicuro? Sono tua sorella. Non occorre che tu menta per farmi contenta. Mi hai avuto e ne sono contenta. Ci siamo sempre detti tutto, continua a farlo. Ti prego. ”
“Ti amo. Tremo per le conseguenze. A me non importa che siamo fratello e sorella. Credo che neppure a te interessi. O sono io uno sfizio per te? Ma la gente ci guarderà con sospetto. Giulia spargerà mille voci. Non abbiamo scampo e la cosa mi fa torcere dentro. Appena avevo fatto l’amore con una donna l’interesse si sgonfiava. Con te sono felice di essere scarico, per poterti baciare e carezzare solo con amore. Così come, carezzandoti, mi ecciterò e sarò di nuovo felice di fare l’amore e di giocare con te.. ”
Gli do un bacio appassionato.
“Ti amo e non ti lascerò mai. Se lo vorrai staremo insieme tutta la vita: sono la sorella minore, ma continuano a venirmi delle belle idee, come sempre. ”
Mi guarda curioso.

Sono passati due anni. Grazie alla potenza e all’anonimato della rete, sono riuscita a contattare altri casi di fratelli e sorelle che si amano.
Non è stato facile: trovarli, agire con cautela e discrezione, contattare e scegliere le persone giuste. Ora io sono la signora T. e anche mio fratello è sposato. Viviamo nella nostra villetta bi-familiare. Solo che, chiusa la porta di casa, corro tra le braccia di mio fratello, mentre mio marito corre tra le braccia di sua sorella.
Otto mesi fa, quando ci siamo sposati, sono stata la donna più felice del mondo.
Ma sei mesi fa mi sono resa conto che c’era ancora un problema da risolvere.
Anzi, per raggiungere la felicità completa, i problemi erano due.
I nostri consorti sono due bellissimi ragazzi, ovviamente grosso modo nostri coetanei. Nell’intimità della casa giriamo spesso in modo libero. Sono sicura che mio Marco ama me, ma avere sotto gli occhi costantemente Serena, una graziosa morettina sottile e armoniosa dai grandi occhi di cerbiatta, non può lasciarlo indifferente.
Anche Claudio, mio “marito”, non riesce ad essere indifferente alle mie notevoli grazie.
Sono due uomini innamorati e resistano all’eccitazione che, talvolta, irrigidisce il loro membro, rivolto col pensiero alla persona sbagliata.
Per quanto mi riguarda vedere l’effetto prodotto su Claudio mi lusinga e mi eccita, forse anche Serena prova la stessa cosa.
Gli uomini sono portati a tenersi tutto dentro, ad agire in modo nascosto.
So che mi è venuta un’altra delle mie buone idee (la modestia non è il mio forte).
Non voglio che l’ossessione si impadronisca di mio fratello, arrivando a tradirmi sentendosi colpevole. Non voglio nemmeno che soffra resistendo.
Per fortuna Serena ed io ci siamo trovate subito simpatiche, e due mesi di coabitazione non hanno creato alcuna tensione fra noi. Abbiamo subito trovato il modo per far convivere le abitudini dell’una con quelle dell’altra.
Vado diretta al punto. L’idea le piace e, quando le espongo anche la seconda parte, mi salta addosso baciandomi (Non avrà anche qualche tendenza particolare? Sarebbe un’esperienza nuova da provare). Ci troviamo così d’accordo che tutto diviene un gioco. Un tiro birbone ai nostri fratelli.
Quella sera siamo in salotto tutti e quattro. Abbracciati sui divani, a fronte a fronte, tranquilli come una vecchie coppie.
Serena e io siamo in minigonna e nessuna delle due ha indosso le mutandine.
Ci siamo disposte in modo da offrire lo spettacolo al rispettivo marito, seduto di fronte con la sorella. Occhieggiamo con le gambe. Il primo a cadere in trappola è Claudio.
è attratto dal continuo aprirsi e chiudersi delle mie ginocchia e d’improvviso diventa pallido. Lascio le gambe dischiuse. I suoi pantaloni si tendono davanti.
Aiuto Marco a guardare dalla parte giusta con una finta carezza.
Una prepotente erezione mi indica che il bersaglio è raggiunto.
Tocca a me: “Tesoro, guarda Claudio. Mi guarda le cosce e si eccita. è proprio un maiale come te: non hai levato un istante gli occhi da Serena. ”
Gelo e due facce rosse come pomodori maturi.
“Ma… ” Fa Marco. “Che dici! ” aggiunge Claudio.
Ora tocca a Serena: “Ha ragione! Me ne sono accorta anch’io! Ci state guardando le cosce e fate a gara a chi l’ha più duro! Siete due maiali! Giurate amore e fedeltà e sbavate sul primo paio di gambe inesplorate che vi trovate davanti.
Così non può continuare! ”
Loro iniziano a giurare che ci sbagliamo e noi li redarguiamo immediatamente a non essere spergiuri.
“Almeno continuate ad essere sinceri” Poi chiamo Serena: “Mettiamoli alla prova! ”
Siamo in piedi, tra i due divani e ci spogliamo. Sudano, cambiano posizione in continuazione.
Ci stendiamo sul tappeto, una vicina all’altra, e chiamiamo i rispettivi fratelli. Corrono tra le nostre braccia e ognuno cerca di guardare unicamente la propria sorella. Io mi impossesso di una mano di mio fratello, Serena fa la stessa cosa con Claudio.
Gli porto la mano sul seno di Serena: “Toccale il seno e giurami che non ti ecciti, ma guarda che ti sto guardando proprio lì. ”
Serena: “Toccala qui, tra le cosce e fammi vedere il tuo pisello. ”
Il primo che si ribella è Marco: “Basta! Siete delle belle donne. Fareste eccitare qualunque uomo in questo modo! Da qui a pensare che vi tradiremmo il passo è lungo”
Poi è folgorato da un’idea e mi alza la gonnella: “Stronze! Vi siete messe d’accordo! Ma perché vi siete tolte le mutande e ci eccitate? ”
“Perché voi uomini siete dei gran cretini. ” Dico io e mi sporgo verso Serena. Le nostre labbra si uniscono in un bacio competo. Non c’è grande differenza rispetto a baciare un uomo, tranne che gli uomini tendono ad entrarti in bocca con la propria lingua, mentre noi giochiamo con le punte, lungo il confine comune.
Restano sbalorditi ed eccitati a guardarci, ma ormai hanno compreso. In un attimo ci trasformiamo in un’unica massa formata da quattro corpi intrecciati.
Sono io a guidare, la prima volta, il pene di mio fratello nella vagina di Serena, così come lui mi bacia mentre Claudio entra dentro di me.
Sin da quella sera furono giorni di sesso giocoso. Provai nuove emozioni. Claudio sotto di me, infisso nella mia topina, mentre Marco riempiva il mio sfintere. Ripetemmo quel gioco con le posizioni dei due uomini invertite. Poi tocca a Serena, mentre io leccavo i testicoli di Marco che stantuffava nel suo intestino, oppure l’ano di Claudio per eccitarlo maggiormente mentre compiva la stessa operazione.
I due uomini non si accorsero, o non diedero prova di aver notato, che io lasciavo venire nella mia vagina Claudio, ma non lo permettevo a mio fratello. Ogni volta lo distraevo con qualche gioco eccitante gioco prima che lo facesse.
Serena faceva l’identica cosa.
Non occorse molto per raggiungere il nostro scopo.
Tre mesi fa, mentre eravamo a tavola, io dico: “Voglio un figlio. ”
Serena: “Anch’io”
Marco e Claudio si guardano tra loro.
Marco: “Ma come si fa… ”
Serena: “Molto semplice. Un uomo mette il pene dentro la vagina della donna e… ”
Claudio: “Non scherzare! è una cosa seria… ”
Serena: “Tanto sono già incinta! ”
Io: “Anch’io”
Sono stravolti. Allora li rassicuro: “Siete due cari sciocchi. Noi volevamo essere madri. Abbiamo smesso di prendere la pillola e siamo sempre state attente che non giungesse al nostro utero altro che il seme del rispettivo marito. Io porto in pancia il nipote di Serena e Serena mio nipote. Tutto in famiglia. ”
Marco pensa un attimo, poi fa un sorriso enorme: “è vero! Mi hai lasciato venire dovunque, ma mai nella tua topina!
Dovrei sentirmi usato, ma… le donne ne sanno una più del diavolo e sono felice. Un figlio e un nipote d’un colpo. Un po’ confusi i ruoli da tenere, ma ora siamo proprio una famiglia: una grande famiglia. ”
Ora sono qui, la pancia che comincia ad arcuarsi. Sono la donna più felice del mondo… o no? C’è anche Serena. Anche lei è la donna più felice del mondo. Contraddittorio il discorso. Due donne più felici del mondo. Non so come uscire da questo intrigo lessicale.
Non è vero che l’incesto porta con se le tragedie, come affermavano i Greci. Può portare con se tanto amore e felicità. FINE

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