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Battuta notturna

Capolinea di piazzale Clodio, mezzanotte in punto: inizio l’ultimo giro col mio bus.
Non c’è freddo, ma il cielo nuvoloso minaccia acqua a catinelle.
Spero di non avere complicazioni con quel gruppetto di ragazzotti che salgono già alla prima fermata, quattro o cinque, eccessivamente allegri, certamente con le budella annegate di birra.
Temo che siano quelli che stanno terrorizzando l’intera città con scippi e stupri.
Sull’autobus, però, sembrano calmarsi e persino assopirsi.
A metà giro vedo una figura gesticolante lungo il marciapiede sulla mia sinistra: intuisco che ha bisogno di salire e mi fermo, aprendo la bussola posteriore.
Sento i passi frettolosi che attraversano la strada: è una donna, a giudicare dal rumore di tacchi che rimbomba nella notte.
E infatti vedo salire una ragazza, sì e no venticinquenne.
Ha il fiatone, è imbacuccata per benino, ma sotto il giubbotto di pelle si indovina un fisico di puledra da monta, di cui si possono ammirare solo le estremità: le gambe lunghe, infilate dentro una calzamaglia grigia, di quelle pesanti ma attillatissime, il volto che ispira sesso, incorniciato da lunghi riccioli rossi.
Oblitera nervosamente il biglietto e si siede guardinga.
I quattro bulli – ora li inquadro bene nello specchio retrovisore – le si avvicinano all’improvviso, accerchiandola.
Io chiedo alla signorina, ad alta voce, senza girarmi e guidando ancora, se ci sono dei problemi.
Lei tace.
Al posto suo risponde volgarmente uno dei quattro, intimandomi di pensare ai fatti miei.
Io insisto e sto per fermarmi, ma la ragazza interviene, con voce incerta, a dirmi di non preoccuparmi, perché quelli sono amici suoi.
Intuisco che l’hanno costretta a parlare così, magari sotto la minaccia di un coltello.
Forse lo stesso la cui lama avverto gelida sulla mia guancia: lo stronzo che la impugna mi ordina di guidare senza fermarmi.
Intanto sento gli insulti degli altri all’indirizzo della succulenta preda.
La strattonano per i capelli e la costringono ad alzarsi e a stare in mezzo al bus. In un attimo la intravedo completamente denudata, palpata violentemente in ogni parte del suo bellissimo corpo.
Poi comincia l’orgia: lei, indossando solo le scarpe, si regge con entrambe le mani ad un’asta del bus, inarcando la schiena ed esponendo a mezz’aria i glutei bianchi e torniti; le divaricano le cosce e il loro capo le affonda il cazzo nella fica mentre lei ansima affannosamente; gli altri incitano l’amico a spaccarla tutta, quella troietta nottambula.
Anch’io mi convinco perversamente che la ragazza se l’è cercata.
Lei neppure invoca aiuto, imbavagliata dal cazzo di un altro che, spingendole la nuca, le dondola la testa avanti e dietro per un furioso pompino.
Gli altri due guardano la scena smanettandosi cupidi. Anch’io sento inturgidirmi il pacco: quasi spero che mi invitino a chiavare insieme a loro.
Poi capisco che le stanno imponendo una nuova posizione: uno di quelli che hanno solo guardato si sdraia per terra e la rossa libidinosa si accovaccia su di lui lasciandosi docilmente penetrare nella fregna.
L’amico l’aggira alle spalle e le punta il glande sull’ano: con un solo colpo di reni le sfonda lo sfintere mentre lei non può più trattenersi dal gridare. Implora pietà e li supplica di smettere.
Gli altri due, frattanto, le lucidano la faccia a colpi di cazzo: lei si dimena tra dolore ed eccitazione, uscendo con involontaria lascivia la lingua in cerca di sperma.
La sborra arriva a fiumi, dentro e fuori di lei: i due che la scopano vengono quasi contemporaneamente inondandole le viscere di caldo liquame.
Gli altri due le schizzano sul viso e sulle zinne.
I loro mugolii si confondono in una oscena sinfonia, ma all’improvviso la ragazza, fradicia di sborra, afferra la sua borsetta e vi sussurra dentro una frase sibillina:
“OK, li ho presi in fragrante”.
Non passa mezzo minuto e sono costretto a frenare bruscamente, mentre davanti e sui lati del mio bus vedo sbucare una decina di volanti della polizia.
I quattro predatori caduti in trappola hanno ancora le brache calate e la minchia gocciolante quando li ammanettano.
La ragazza, senza neppure asciugare la sborra che le cola abbondante sul dorso e tra le gambe, subito si riveste, attorniata da poliziotti che si complimentano con lei, chiamandola commissario.
Nessuno mi guarda, nessuno mi parla.
Se ne vanno tutti frettolosamente, nel buio squarciato dai lampi delle sirene.
Diana, la bella commissaria, si ferma per un attimo di fronte a me e mi ringrazia per la preziosa collaborazione.
Scorgo un gocciolina densa e biancastra che dal suo orecchio destro scende giù rigandole il collo: lei la cattura con l’indice e la succhia socchiudendo le palpebre e serrando le labbra.
La fisso con evidente desiderio.
Le ultime parole che mi rivolge suonano beffarde:
“Che c’è, t’è venuta voglia di farti arrestare… “! FINE

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