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Il Magazzino

In quel periodo della mia vita mi trovavo in Olanda, uno dei paesi più affascinanti che abbia mai visto, e dovevo rimanerci un anno, circa. Mi misi, quindi alla ricerca di un lavoretto per mantenermi meglio dato che con me non avevo che pochi soldi. Dopo una ricerca per la verità per nulla estenuante, trovai un posto di manovalanza in un magazzino tessile e di abiti, almeno così avevo capito tramite il mio non eccelso inglese, lingua con la quale, per altro, in Olanda ci si può far capire, dato che moltissimi lo parlano.
Mi presentai come stabilito alle due del pomeriggio.
Venni ricevuto dalla responsabile del luogo, una signora direi sui 40 ben portati, anche se un po’ in carne. Ella fu subito gentile, ma decisa al tempo stesso. Mi spiegò che cosa c’era da fare e mi mostrò l’ambiente. Era un unico grandissimo locale dove non si trovava quasi nulla, eccezion fatta per interminabili file di porta-abiti di metallo di quelli professionali con le ruote, scaffali e ripiani anch’essi di metallo lungo i muri. In pratica la mia mansione principale era quella di recarmi nella sede della importante ditta di abbigliamento, così avevo inteso, caricare abiti e “accessori” nel furgoncino, portarli al magazzeno e sistemarli per categorie a seconda del “tessuto”, della taglia, del colore e così via. L’enorme locale andava riempito, in pratica, di una quantità infinita di capi. Fin quì niente di strano. Se nonché si trattava esclusivamente di capi e accessori in pelle, in cuoio, in vinile ed in gomma.
Quando me ne resi conto, beh, non stetti più nella pelle.
Da buon feticista come son sempre stato, tutto il giorno a contatto con quegli esaltanti, lucidi, morbidi e fruscianti materiali, per di più stipendiato… Un paradiso, un autentico paradiso.
Di ciò me ne accorsi il primo giorno di lavoro quando, giunto con il furgone all’indirizzo stabilito, sede dell’azienda, mi trovai a dover caricare una notevole quantità di capi tra pantaloni, shorts, hot pants, camicette, magliette, gonne, mini, tute, raggiseni, guepiere, calze, mutandine e addirittura maschere e cappucci, lenzuola e cuscini, tutti rigorosamente di morbida nappa, di lucido pvc, vinile e gomma. Ce ne era di tutte le forme, le fogge, le dimensioni e i colori. Devo ammettere che appena notai di cosa si trattasse rimasi totalmente basito e credo che la ragazza della ditta che mi accolse e mi indicò dove stava la “roba”, se ne accorse decisamente. Visto la mia momentanea paralisi, la ragazza, una biondina con occhi chiari dallo sguardo vivace e dal sorriso simpaticissimo, mi illustrò con una tranquillità disarmante, come se stessimo trattando di maglioni da sci, cosa in realtà la ditta producesse e per quali negozi.
Ero, in realtà, a conoscenza che in paesi del nord europa come l’Olanda ci fossero negozi specializzati in questo tipo di abbigliamento, ma mai avrei pensato di trovarmici dentro nel vero senso della parola.
Insomma cominciai questo lavoro e non nascondo che più la giornata andava avanti più mi eccitavo dovendo per forza stare a contatto con quei capi stupendi.
Ogni volta che ne prendevo uno e lo sistemavo nell’apposito scaffale o sul porta abiti con la sua gruccia, lo osservavo, lo toccavo a fondo, me lo portavo al viso cercando di annusarne il più possibile la “fragranza” eccitante. Infine mi immaginavo come poteva essere travolgente poter indossare uno di quei capi stravaganti.
Penso che questo mio comportamento si iniziasse a notare, anche perché le prime volte stavo ben attento a che nessuno potesse vedermi, ma ben presto non ci badai quasi più.
Fu proprio mentre sistemavo, come di consueto, la merce sui ripiani che fui scoperto con le mani nel sacco. In pratica non avevo proprio resistito e avevo indossato una bizzarra maschera di lucida gomma nera con le fessure per gli occhi, la bocca e due forellini in corrispondenza delle narici. Pensavo tra me e me: “Solo un attimo, la provo poi la rimetto nella sua confezione. Tanto nessuno mi vede… “. Le ultime parole famose. Mentre mi sentivo sempre più eccitato e mille diverse fantasie balenavano velocemente nella mia testa e cercando di respirare il più possibile l’inebriante odore della gomma trattata, sentì una voce femminile alle mie spalle che esclamava qualcosa in una lingua del tutto incomprensibile (in olandese). Non so proprio il colore e l’espressione che il mio volto assunse (penso andasse dal viola acceso al lilla) in quel momento, ciò per fortuna non si notò proprio perché era celato dal sottile strato gommato. Intravidi una delle mie giovani colleghe olandesi del magazzino. Ella, un’altra biondina tipica olandese (non so se avete presente), disse qualcos’altro nella sua lingua e poi fece un sorriso prolungato che sembrava più malizioso che non di scherno nei miei confronti. Io cercai di ribattere balbettando qualcosa in inglese, ma senza sortire alcun effetto. Speravo solo che la biondina non andasse a dirlo a qualcuno, altrimenti addio lavoro, addio paradiso di gomma e cuoio e, cosa tutt’altro che secondaria addio paga.
Passarono alcuni giorni e nessuno mi venne a dire nulla, per fortuna, la avevo scampata. L’unica cosa che cambiò fu il modo in cui la minuta, ma piacente biondina olandese mi guardò da quel giorno, quasi bramasse qualcosa e così era.
Un giorno, infatti, successe l’inimmaginabile. Era un tardo pomeriggio, ormai verso sera, ero rimasto in magazzino più a lungo per sistemare ancora alcune cose, ma non ero solo e me ne accorsi. Sentii dei rumori, più che altro delle risatine e delle voci molto soffuse giungere da una delle stanzette adibite ad ufficio contabilità del magazzeno. Piano piano mi avvicinai cercando di non farmi sentire. Giunsi alla porta che era solo socchiusa e vidi una scena sconvolgente. Due creature divine inguainate in attilattissime tutine di gomma lucidata a nuovo con tanto di guanti e maschere, anch’esse di quel materiale. Si trattava di due delle mie colleghe (ne vedevo le forme e ne sentivo la voce), non saprei dire quali, in quanto totalmente nascoste dal lattice, che si rotolavano avvinghiate su un grosso lenzuolo di lucida gomma nera. Lo spettacolo di due splendidi corpi femminili avvolti e stretti in quel materiale dalla lucentezza brillante, dai colori forti e dall’inconfondibile odore che mi sembrava di cogliere nell’aria, mi causò un eccitazione incontenibile e pressoché immediata. Seguii sempre più coinvolto la scena. Le due Dee di lattice si toccavano, si abbracciavano, le loro lingue rosee frullavano con voluttà fuori dalle fessure delle maschere e si cercavano, si baciavano, si leccavano ovunque. Notai che una delle due, quella che indossava una tuta rosso fuoco con maschera nera e lunghi guanti della stessa tinta, tendeva ad essere più aggressiva e stava quasi sempre sopra all’altra, che non pareva affatto dispiaciuta di star sotto e che al contrario indossava una eccitante tutina nera con maschera rossa e guanti dello stesso colore.
Ero troppo eccitato e, senza quasi pensare a ciò che stavo facendo, mi precipitai ad uno scaffale, presi un completino in gomma nera composto da magliettina e pantaloni corti al ginocchio e l’indossai. Completai il tutto con una maschera anch’essa di gomma nera.
Tornai in fretta e furia alla stanza e osservando con compiacimento che le due bambole di gomma erano all’apice dell’eccitazione, spalancai la porta e mi buttai letteralmente in mezzo a loro. Le due olandesine non si dispiacquero affatto del mio arrivo, probabilmente già programmato ed atteso, ed anzi entrammo subito nel vivo. Anch’io mi misi a leccare, baciare, succhiare tutto ciò che mi capitava tra lingue infuocate, seni ingommati, piedi e mani lucenti. Era un misto di sensazioni ineguagliabili che coinvolgevano tutti i sensi. Dapprima la vista, con l’impatto della visione di quelle divine e lucide creature. Poi il tatto, con il tocco indescrivibile di quella specie di seconda epidermide, sia sulla propria pelle che su quella delle ragazze. Quindi l’olfatto, un odore forte e per me eccitantissimo composto da un mix di gomma, saliva, sudore e umori intimi. Infine il gusto, la mia bocca si andava riempendo, con mio evidente soddisfacimento, del sapore di quelle due avide e succose bocche femminili. Il mio eccitamento era ben visibile visto che sotto gli attillati bermuda di gomma che indossavo si era creato un discreto malloppo che cercava quasi di farsi strada, di aprire un varco attraverso la sottile ed elastica membrana che lo costringeva.
Le due ragazze, sempre più eccitate, iniziarono a turno a salirami sopra e a strusciarsi con impeto crescente. Poi una delle due aprì la cerniera inferiore della tuta dell’altra all’altezza della fica e cominciò a leccarla con un impegno ed un trasporto mai visto prima. Io seguii l’esempio e allo stesso modo aprii la cerniera dell’altra mettendomi a leccare e succhiare la sua fradicia e saporitissima fichetta.
Non ce la facevo quasi più, anche perchè nel frattempo una delle due mi stava toccando in mezzo alle gambe con la sua mano di sottile lattice guantata.
L’olandesina aprii ulteriormente la sua cerniera e avvicinò con forza la mia testa al suo odorosissimo buchino di dietro obbligandomi ad un servizietto di lingua che feci senza fiatare. Alla fine, ma non trascorse tanto tempo, venni clamorosamente ed abbondantemente in uno degli orgasmi più forti ed emozionanti a tutt’oggi mai provati.
L’indomani il lavoro ricominciò come sempre e riconobbi finalmente le mie due compagne di giochi (infatti mai avevamo tolto le maschere). Da che cosa le riconobbi? Non saprei dire, forse un sorriso particolare, uno sguardo malizioso e loro fecero lo stesso con me. In fondo non ci volle molto, in quel magazzino quel giorno lavoravamo solo io e loro due. FINE

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