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Il ritorno a casa di Ilaria

Mi lasciarono tranquilla qualche giorno. Il giovedì a scuola ci furono riunioni fino a tardi, uscii per ultima, alle otto, era già buio, in giro non c’era nessuno. Sbucarono all’improvviso dal buio: senza dire nulla mi indicarono la macchina, li seguii, mi aprirono la portiera posteriore, salii, Antonio prese posto al mio fianco, Nicola al volante.
Per prima cosa, naturalmente, vollero vedere il mio abbigliamento.
Aprii il cappotto: avevo una giacca, un pullover scollato con sotto un reggiseno a tette scoperte, una gonna corta, delle autoreggenti nere con la cucitura e i tacchi, non portavo mutande. Mentre Nicola metteva in moto Antonio mi disse di togliermi gonna e pullover. Lo feci, lui mi scoprì in modo che Nicola potesse guardarmi nello specchietto retrovisore, poi mi disse:
“Se mi fai un pompino perfetto ti faccio un regalo. ”
Gli risposi con una smorfia ma mi chinai e glielo presi in bocca cominciando a leccarlo senza molta convinzione.
“Ti conviene metterci più impegno se vuoi finire prima di arrivare al metrò, puttana. Hai voglia di passare la serata a ciucciarmelo? ”
No, non ci pensavo proprio: strinsi le guance e me lo affondai fino in gola accelerando il ritmo, venne mentre Nicola si fermava alla fermata del metrò. Mi tirai dritta e Antonio mi porse una videocassetta:
“Così anche tuo marito potrà ammirare le tue prodezze, tesoro! ”
La presi, l’infilai in borsa e feci per rimettermi la gonna ma Antonio mi afferrò il polso e mi fermò:
“Così vai bene, vattene! ”
Misi anche la gonna e il pullover in borsa e scesi allacciandomi il cappotto da cima a fondo. Il metrò era deserto e sospirai di sollievo. Arrivò il treno, salii sull’ultima vettura e mi trovai di fronte quattro dei ragazzetti di colore che già avevo incontrato. Guardai verso la carrozza vicina, era deserta anche quella, le porte si erano chiuse e il treno ripartito. Ero in mano loro e di nuovo ero pressoché nuda.
Il primo a muoversi fu quello che già la volta scorsa per primo mi aveva infilato la mano sotto il cappotto. Mi si avvicinò sorridendo, senza dir nulla prese il primo bottone del cappotto e lo sbottonò, poi il secondo, al terzo si rese conto che ero a seno scoperto, il sorriso gli si trasformò in un ghigno, sbottonò anche gli altri tre bottoni ed aprendomi il cappotto per mostrarmi agli altri:
“Ma tu giri sempre nuda? ”
“No caro, solo quando so di trovare voi sul metrò|”
Non apprezzava l’ironia, il sorriso gli si spense sulle labbra, mi afferrò le tette e tenendomi con forza mi spinse verso il sedile di fondo, mi lasciò:
“Sfilati il cappotto! ”
“Non ci penso proprio! ”
Uno schiaffo, mi fischiarono le orecchie, lo fissai negli occhi con odio, mi sfilai il cappotto.
“A quattro zampe sul divanetto! ”
Mi ci misi. Lui si piazzò dietro di me e tirò fuori il cazzo. Ne ricordavo le dimensioni dalla volta prima, quando mi appoggiò la cappella alla figa temetti per un attimo di non essere abbastanza bagnata ma appena iniziò ad infilarlo lo sentii scivolare e riempirmi completamente. Prese a sbattermi con calma, poi accelerò, cominciai a provare piacere e decisi di non nasconderlo, in fondo, ormai. Lui spingeva e io mugolavo, mi riempiva tutta, lo sentivo moltissimo, godetti in un attimo, appena prima che lui tirasse fuori l’uccello e me lo infilasse in bocca per farmi bere un fiume di sborra.
Intanto dietro di me se ne era piazzato un altro che mi che mi fece allungare sul divanetto a pancia sotto, poi si stese su di me, prese a carezzarmi la testa, le spalle, la schiena, sentivo il suo cazzo a contatto con le mie natiche, il calore del suo corpo sul mio mi provocò un brivido di piacere. All’improvviso mi strinse le chiappe con le mani, le divaricò, puntò il cazzo e mi trafisse: urlai, il dolore era terribile, mi sentivo squartare, i suoi amici mi afferrarono per le braccia e per le gambe e mi immobilizzarono, io urlavo ma non serviva a nulla, nessuno poteva sentirmi e a loro la mia sofferenza procurava un piacere evidente. Lo sentii muoversi piano dentro di me, cercai di rilasciare lo sfintere, mi sentivo pienissima, inchiodata al divanetto dalle mani degli altri lo sentivo affondare sempre meglio nel mio culo. Improvvisamente mi resi conto di non sentire più dolore, smisi di urlare, mi abbandonai , gli altri mi lasciarono e lui prese a baciarmi il collo e le orecchie con una lingua dura e rasposa che mi procurava continui brividi di piacere. Mi afferrò le tette stringendole e mi sussurrò all’orecchio:
“Vengo, puttana bianca! ”
Sentii il suo sperma riversarsi nel mio intestino a lunghi fiotti caldi; si accasciò su di me, ma senza far pesare completamente il suo corpo. Dopo poco si sfilò e mi tirò a sedere. Il cazzo gli si era ammosciato ma anche così provai un fremito di paura vedendone le dimensioni, come ci ero riuscita?
In quel momento arrivammo alla stazione in tre si misero a coprirci ma non salì nessuno e il treno ripartì. Era il turno di un altro: mi si sedette a fianco e mi fece salire su di lui, anche lui aveva un cazzo grosso, almeno come quello di mio marito se non di più, gli appoggiai la figa e calai lentamente, appena lo ebbi tutto dentro il quarto da dietro mi aprì le chiappe e controllò che fossi ancora morbida dietro. Appoggiò la cappella e cominciò a spingere senza trovare resistenza, solo all’ultimo sentii un’unica fitta dolorosa e affondai i denti nella spalla di quello sotto di me mordendolo piano. Cominciarono a sbattermi sui loro due cazzi prendendomi per le tette e per i fianchi, fu questione di poco, pochi colpi e venimmo tutti e tre insieme.
Stavamo arrivando in una stazione sempre frequentata, si sfilarono da me. Li guardai rivestirsi mentre anch’io mi ricoprivo e mi ricomponevo alla meglio: mi avevano violentata, eppure era la violenza minore tra quelle che avevo subito negli ultimi tempi.
Mi si sedettero di fronte guardandomi con espressioni soddisfatte. Alla fermata salirono delle persone, tre coppie: ero convinta che qualcuno avrebbe capito, avrebbe detto qualcosa: non fu così, naturalmente, nessuno si curò di me né, tanto meno, di loro. Alla fermata dopo i quattro scesero ammiccandomi in cenno di saluto, il capo passandomi vicino sussurrò:
“Alla prossima, ficona! ”
Arrivai a casa sentendomi tutta rotta ma con un sentimento ambiguo dentro di me rispetto a quello che mi era successo: non era solo il fatto di avere avuto un orgasmo, c’era dell’altro che non riuscivo, o non volevo, mettere a fuoco.
Mio marito arrivò poco dopo di me trovandomi in doccia, gli dissi che in borsa c’era una videocassetta per lui.
Quando lo raggiunsi in soggiorno sul video scorrevano le immagini di me col ragazzino: di Antonio e Nicola non c’era traccia, le immagini erano state montate in modo che sembrassi io la violentatrice. Cercai di protestare ma mio marito mi zittì e con un tono perentorio che gli conoscevo bene mi disse:
“Levati l’accappatoio, tirami fuori il cazzo e masturbami! ”
Non aggiunsi nulla: mi sfilai l’accappatoio, mi sedetti nuda al suo fianco, gli aprii la patta, infilai la mano, tirai fuori l’unico cazzo che desiderassi davvero e cominciai a masturbarlo.
Sullo schermo intanto alle immagini del ragazzino si erano sostituite quelle di me coi vecchietti: naturalmente io sembravo l’assolutamente partecipe e soddisfatta protagonista di un orgia gerontofila. Ogni volta che la mia faccia era in primo piano avevo espressioni che sembravano di pieno piacere per tutti quei cazzi che mi circondavano.
Mio marito mi mise una mano sulla nuca e mi fece piegare a prendergli in bocca l’uccello, lo succhiai avidamente: il cazzo di mio marito, il mio cazzo! FINE

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