Ilaria e i camionisti

Antonio e Nicola si rifecero vivi il venerdì all’intervallo di pranzo.
Mi aspettavano vicino all’ingresso della scuola e mi fecero cenno di seguirli.
Dissi alle colleghe con cui stavo andando a pranzo che avevo dimenticato una commissione urgente e le salutai scappando. Raggiunsi i due, mi fecero salire in macchina e si mossero.
Antonio mi fece cenno di aprire il cappotto.
Come ormai d’abitudine ero vestita col minimo indispensabile: una gonna nera molto corta, una camicetta sotto un pullover sbottonato, niente reggiseno, un collant nero a rete, un perizoma rosso e degli stivali col tacco alto. Naturalmente dissero che di collant e mutande non ne volevano vedere neanche l’ombra, che la figa e il culo dovevano essere sempre immediatamente raggiungibili e utilizzabili, eccetera, eccetera. Mi scusai e dissi che li avrei eliminati definitivamente e loro sembrarono calmarsi.
Proprio quella mattina un collega scherzando mi aveva detto che immaginava che effetto dovessi fare ai miei allievi in quella tenuta giudicando dall’effetto che facevo a lui ed aveva indicato un gonfiore inequivocabile all’altezza del cavallo dei calzoni. Io gli avevo risposto con una smorfia ironica, ma era vero che anche i miei allievi sembravano impazziti per le mise con cui mi presentavo da un po’ di tempo. Anche alcune colleghe avevano cominciato a far battute o osservazioni sul mio nuovo “look” ma la cosa che più mi aveva irritato erano le occhiate che mi lanciava il segretario della scuola: un ometto flaccido e repellente.
Mentre pensavo a queste cose eravamo arrivati avanti ad una pizzeria dove non andava mai nessuno dei miei colleghi e che era frequentata invece dai camionisti che si fermavano nel grande parcheggio lì vicino.
Dentro era strapieno e al mio ingresso tutti si zittirono. Antonio vide un tavolo libero dall’altra parte della sala e vi si diresse. Sfilatomi il cappotto mi fecero sedere in modo che da tutta la sala fossero visibili le mie cosce completamente scoperte.
Arrivò il cameriere che si mise al mio fianco e mentre loro ordinavano tre pizze e tre birre, senza neanche chiedermi se e cosa volessi mangiare, lui non staccava un attimo gli occhi dalle mie cosce.
Appena se ne fu andato Nicola mi disse di spostare la sedia e di accavallare lentamente le gambe verso la sala. Li guardai interdetta, avrei dato spettacolo di fronte ad una sessantina di camionisti che già così non mi perdevano d’occhio un secondo ma loro non fecero una piega.
Mi spostai, accavallai le gambe mentre un formicolio mi cresceva tra le cosce: esibirmi mi spaventava ma cominciava anche a piacermi. Tutti gli occhi seguirono il movimento delle mie gambe cercando di guardare sotto la gonna che era ormai risalita all’inguine. Qualcuno dovette indovinare il colore del perizoma perché da due o tre punti della sala si diffuse un brusio che interruppe il silenzio assoluto che era piombato in sala.
Non contento Nicola mi disse di sbottonare un altro bottone della camicetta e di aprirla bene; ribattei che non avevo molto tempo e che dovevo tornare a scuola ma lui disse di preoccuparmi solo di far vedere le tette.
Sbottonai il bottone e scostai la camicetta scoprendomi quasi completamente il seno. Con la coda dell’occhio percepii parecchie mani correre alla patta dei calzoni.
Per fortuna in quel momento arrivò il cameriere e, mentre posava le pizze sul tavolo, sempre fissandomi, disse:
“La vostra amica deve avere anche lei un forno lì sotto per venire qui a fare queste cose1”
I due risero sguaiatamente della battuta mentre io arrossivo come un peperone, calai la testa nel piatto e impugnai forchetta e coltello ma Antonio mi bloccò dicendo che dovevo mangiare con le mani.
Non capivo; tagliai a fette la pizza e mangiai con le mani, finito dovevo andarmele a lavare, mi alzai dalla sedia e vidi il cameriere che guardandomi entrava nel bagno, mi girai verso i due ma Nicola disse:
“Vai pure e fà la brava là dentro! ”
Con la morte nel cuore mi diressi verso il bagno seguita dagli sguardi degli avventori. Entrai in bagno, lui era lì, col cazzo di fuori già in erezione. Non feci storie, mi lavai le mani poi glielo presi sperando che si accontentasse di una sega, ma lui mi diede un preservativo e se lo fece infilare, mi girò facendomi appoggiare alla parete, alzò la gonna, calò a mezza coscia collant e perizoma e mi infilò la figa con un sol colpo.
L’uomo mi sbatteva senza riguardi tenendomi ora per le tette ora per i fianchi: l’idea che da un momento all’altro potesse entrare qualcuno e trovarci così mi spaventò al punto da procurarmi un breve ma intensissimo orgasmo, quasi in contemporanea al suo. Si fece sfilare il preservativo, tirò su i calzoni, mi baciò sulla guancia e uscì.
Era il mio turno di uscire, mi ricomposi alla meno peggio, non essendoci uno specchio non potevo neanche controllare la mia faccia, mi feci forza per superare il panico che era tornato ad impossessarsi di me e aprii la porta. Tutti gli avventori, proprio tutti guardavano verso di me con espressioni beffarde, sapevano, sapevano tutto, tutti. Abbassai gli occhi e tornai al tavolo barcollando leggermente. Con la coda dell’occhio vidi Antonio e Nicola seduti ad altri due tavoli parlare con delle persone. Quando fui seduta al tavolo, sbirciando vidi che prendevano dei soldi. Al momento non ci feci troppo caso pensando che si trattasse di qualcuno dei loro traffici e che la cosa non mi riguardasse.
Dopo poco tornarono, mi fecero infilare il cappotto e mi portarono via.
In macchina fu Antonio a rompere il silenzio:
“Ti sei divertita mi hanno detto! ”
Non risposi.
“Stasera devi trovarti avanti alla pizzeria alle dieci, niente collant, niente mutande e puntuale! ”
Mi lasciarono vicino alla scuola e se ne andarono.
La sera mi presentai puntuale, accompagnata da mio marito. Loro erano lì ad attendermi. Mi fecero mettere davanti ai fari accesi della nostra macchina e, facendomi aprire la giacca, controllarono il mio abbigliamento. Avevo gli stivali neri a mezza coscia, delle calze bianche agganciate alla solita guêpière nera che sosteneva il seno lasciandolo completamente scoperto, un vestito nero, molto corto, scampanato e con una scollatura che lasciava scoperti i seni fino al limite dei capezzoli. Gli andavo bene, salutarono amichevolmente mio marito e mi fecero salire sulla loro macchina.
Entrammo nel grande parcheggio lì a fianco: debolmente illuminato da pochi lampioni sembrava vuoto. Si diressero verso il fondo del parcheggio, a ridosso della scarpata della tangenziale, dove, forse per dei lampioni che non funzionavano, il buio era quasi totale. All’improvviso riuscii a distinguere dei camion parcheggiati ed un ampio passaggio nella scarpata, sormontato da un cavalcavia.
Ci fermammo lì vicino. Nicola scese e andò a parlare con un gruppetto di tizi vicino ad uno dei camion, poi tornò in macchina e, girandosi verso di me, disse:
“Tesoro stasera ne hai otto, affamati come lupi e che avendoti vista in pizzeria non vedono l’ora di farti la festa. Io lo so che nonostante tutte le storie che fai in fondo ti diverti: ma stasera è lavoro, hanno tutti pagato per te e se ti comporti bene ci escono anche un po’ di soldi. ”
Prostituita! Me l’aspettavo fin dal primo giorno, anzi mi meravigliavo che non fosse ancora successo, ma la botta fu molto forte comunque. Pallida come un cadavere lo guardai negli occhi e dissi soltanto:
“Non sono una puttana! ”
Antonio scoppiò a ridere quasi la mia fosse stata una battuta e disse:
“Sarà ma adesso ti conviene diventarlo in fretta, se fai troppo la difficile si spazientiscono ed è peggio: per loro prenderti con le buone o con le cattive non fa differenza. ”
Nicola rincarò:
“Con tutte quelle che hai già combinato… Tu pensa che si tratta solo di qualche cazzo in più, non pensare ai quattrini, pensa alla salute! ”
Disse le ultime parole con un tono che non lasciava dubbi, io ero lì scioccata, incapace di muovermi e di reagire, mi passarono una fiaschetta di liquore dicendomi di bere un po’. Mi ci attaccai e bevvi tre lunghe sorsate che mi misero il fuoco in corpo, bevvi ancora ma me la sfilarono di mano:
“Un po’ brilla puttana, per darti forza, non sbronza! ”
Scendemmo dalla macchina e Nicola, prendendomi per un braccio mi portò al centro dello spazio sotto il cavalcavia. I camion si mossero da entrambe i lati posizionandosi in modo da chiudere completamente gli accessi ed illuminare a giorno, con i fari, quella sorta di palcoscenico. Poi scesero tutti dai mezzi.
Nicola mi strinse a sé da dietro e mi sussurrò:
“Adesso scaldiamo un po’ l’ambiente, fai tutto quello che ti dico senza esitazioni, come te lo dico e sexi come sai tu! ”
Mi guardai intorno: erano lì come lupi famelici e io ero la loro preda, mi prese il panico e quando Nicola mi disse di sfilarmi la giacca non riuscii a muovere le braccia: mi girò verso di sé, mi guardò negli occhi con cattiveria, infilò la mano sotto la gonna e mi afferrò la passera stringendo fortissimo. Mugolai, aprii la giacca, la sfilai, gliela diedi, lui la lanciò ad Antonio e attese ancora un attimo prima di lasciare la presa per girarmi di nuovo verso gli altri.
Allontanatosi di qualche passo, ad alta voce mi ordinò:
“Fatti vedere bene! ”
Ancora una volta rassegnata mi raddrizzai, tirai fuori tette e culo aprii leggermente le gambe.
“Gira un po’ su te stessa!
Girai cinque o sei volte, lentamente, inarcandomi di volta in volta in modo da mostrare al meglio la parte esposta. Quando mi fecero fermare mi girava la testa, anche l’alcool cominciava a fare effetto.
“Fà vedere le tette! ”
Portai le mani alla scollatura e tirai lievemente in giù: le tette, ben sostenute dalla guêpière schizzarono fuori ed un mormorio ne accolse l’apparizione. I capezzoli gonfi puntavano in avanti, mi resi conto che ancora una volta, nonostante tutto, ero eccitata.
“Toccatele! ”
Appena le sfiorai una scossa mi attraversò il corpo, cominciai a palparle delicatamente, a piene mani, a carezzarle, pizzicai i capezzoli, me le strinsi con più energia, sentivo l’eccitazione degli uomini crescere ed il mio piacere montare.
“Girati! Fà vedere il culo! ”
Mi girai spostai le mani feci risalire lentamente il vestito inarcandomi moltissimo, quando fu completamente scoperto qualcuno commentò:
“La luna, è sorta la luna, che luce! ”
“Palpati le chiappe! ”
Me le presi, le strinsi, cominciai a muoverle circolarmente dischiudendole lentamente, poi mi fermai, aspettai un attimo e le spalancai spingendo in fuori. Scoppiò un applauso, commenti salaci, parolacce, fischi, sembravano molti più degli otto che sapevo essere, ero sull’orlo di un orgasmo, rimasi immobile tenendo la posizione finché non si calmarono, poi mi tirai dritta e sentii di nuovo la voce di Nicola:
“Girati, fai vedere la figa! ”
Mi girai tenendo il vestito sui fianchi in modo da lasciare scoperto il culo, quando fui di faccia allargai le gambe e con un rapido gesto della mano mi scoprii.
“Togli il vestito! ”
Lo tirai in su, lo sfilai, lo gettai ad Antonio e con le mani e le braccia cercai di coprirmi il seno e la figa. Lo feci apposta e loro ci caddero pensando ad un mio attacco di pudore. Sghignazzando si avvicinarono e mi fecero cerchio dintorno. Ancora Nicola disse:
“Togli quelle braccia, puttana, fatti un bel giro di pista! ”
Mi mossi.
“Muovi meglio il culo! ”
Accentuai l’ancheggiamento.
“Vienici più vicino, tesoro, non avere paura! ”
Mi avvicinai a loro e appena fui a portata di mano mi sentii afferrare, gli altri si strinsero e cominciarono a passarmisi l’un l’altro palpandomi e pizzicandomi dovunque, appoggiandomi addosso i loro cazzi sfoderati e già in tiro, infilandomi dita in bocca, in figa, nel culo, poi qualcuno mi solleticò ai fianchi e io non riuscii a trattenere il riso: in un attimo tutti si misero a farmi solletico dovunque e io cominciai a ridere senza potermi bloccare, mi sembrava di impazzire, mi mancava il fiato, loro si divertivano ai movimenti scomposti che facevo nell’inutile tentativo di sottrarmi e insistevano infilandomi le dita sotto le ascelle, lungo i fianchi, sulla pancia: all’improvviso smisi di ridere e fui assalita da un orgasmo violentissimo, svenni tra le loro braccia.
Quando rinvenni mi ritrovai con la schiena poggiata al muso di uno dei camion, le braccia tirate verso l’alto da due corde legate ai miei polsi; appena cercai di divincolarmi Antonio e Nicola, che erano ai miei fianchi le tesero in modo che con le punte dei piedi arrivavo a malapena a toccare il suolo. Di fronte a me gli otto uomini sembrava stessero decidendo chi di loro dovesse essere il primo.
Antonio mi si avvicinò per bisbigliarmi:
“A quanto pare l’inizio della serata ti è piaciuto, vai avanti così che vedrai ti piacerà anche il seguito! ”
Intanto uno degli uomini si era avvicinato e guardandomi fisso negli occhi mi disse:
“Tira su le gambe, troia! ”
Io non capivo e così Antonio e Nicola prendendomi uno per lato mi fecero tirare le ginocchia in alto e spalancare le cosce: mi ritrovai appesa, appena mi lasciarono cercai di rimettere giù le gambe ma mi arrivò uno sculaccione violentissimo e le ritirai su di colpo. L’uomo si avvicinò tirando fuori una lingua grossa e lunga che agitava oscenamente, si piegò tra le mie cosce e prese a leccarmi la figa inondandomela di saliva. Era davvero bravo, cominciai a rilassarmi e cercai di poggiare le cosce sulle sue spalle: mi morse violentemente, urlai, si staccò e disse:
“Tienile su queste cosce, puttana, non sono mica il tuo scendiletto! ”
Gli altri si misero a sghignazzare e io ritirai su le gambe mentre lui ricominciava a leccarmi: il piacere venne ben presto sostituito dall’indolenzimento dei muscoli, ma appena facevo cenno di abbassare le cosce lui mi mordeva la figa e io le ritiravo subito su. Il dolore divenne ben presto insopportabile e cominciai a pregarli:
“Non ce la faccio più, non resisto, vi scongiuro fatemi poggiare. ”
Finalmente smise, mi fece cenno di tirar giù le gambe e si girò verso gli altri dicendo:
“Calda è calda e ce l’ha così larga che Piccolo non dovrà faticare troppo! ”
Mi slegarono facendomi cadere in terra, mi misi in ginocchio e capii chi era Piccolo. All’altezza del mio naso vidi un cazzo come non ne avevo ancora mai visti: sarà stato lungo più di trenta centimetri, grosso e con una cappella enorme, leggermente ricurvo e perfettamente in tiro. Il proprietario non era da meno: un gigante di due metri e rotti, tutto muscoli, barbuto, col naso storto; indossava soltanto una canottiera di cotone bianca. Mi strofinò il glande sulle labbra finchè non spalancai la bocca per accoglierlo, mi disse che era meglio se glielo insalivavo tutto per bene, avrei sentito meno dolore dopo.
Quando glielo ebbi ben insalivato si sfilò, i suoi amici mi presero e mi sollevarono con la figa all’altezza dell’enorme cappella, in due mi sputarono sulla figa, poi, lentamente cominciarono a spingere per impalarmi. Aveva appena iniziato a penetrare in me, la mia figa aveva iniziato ad accoglierlo, io per un attimo mi ero illusa di riuscire a prenderlo quando il dolore cominciò ad assalirmi. Cercai di dibattermi ma mi tenevano bene e i miei movimenti servirono solo ad agevolare la penetrazione, mi spingevano con lentezza e determinazione, lo sentivo avanzare nel mio corpo come se mi squartasse, il dolore crebbe e cominciai ad urlare, ma la penetrazione continuava centimetro dopo centimetro, ero terrorizzata all’idea che potesse davvero lacerarmi, pensavo che non ne sarei uscita viva, lo sentivo continuare ad entrare e continuare come se non avesse fine. Invece finì: quando lo ebbi tutto dentro smisero di spingere. Allentarono la presa e io mi abbandonai tra le loro braccia rantolando.
Lentamente, molto lentamente, il mio utero cominciò a rilassarsi, a distendersi, il dolore diminuì fino a farsi sopportabile per poi essere sostituito da una sensazione di pienezza totale. Se ne accorsero subito e mi fecero avvinghiare con le braccia al suo collo, lui mi prese le natiche e mi tenne sollevata da terra come se non pesassi, appoggiai la faccia alla sua spalla, sfinita e piena, speravo durasse così, ce l’avevo fatta. Ma lui mi sollevò, di nuovo dolore, mi lamentai diedi un colpo di anche cercando di farlo uscire, lui non ci fece caso, mi ritirò a sé, mi sollevò di nuovo, e poi di nuovo giù: al quarto colpo niente più dolore, la saliva, gli umori che cominciammo a secernere entrambi cominciò a muovermi di più, con colpi lenti e lunghissimi facendolo quasi uscire per poi spingerlo di nuovo fino in fondo. Cominciai a provare piacere: mi sentivo svuotare e poi riempire e l’essere piena mi dava piacere e l’essere vuota il desiderio di essere piena di nuovo. Lo baciai sul collo, lo leccai avidamente, cominciai a carezzarlo mentre lui mi manovrava intorno al suo bastone “come fossi una bambola”.
Ad un certo punto con un dito mi sfiorò il buco del culo, chiamò uno degli altri dicendogli di venirmi a leccare e subito sentii una lingua insinuarsi tra le mie natiche e spingersi dentro di me, calda, rasposa, dura, il piacere arrivò alla mia bocca e cominciai a parlare:
“Porco! Mi hai squartata col tuo grosso arnese, mi stai scavando nella pancia e quel maiale del tuo amico tra un po’ mi arriva nell’intestino, siete dei maiali! Non è possibile fare queste cose ad una ragazza, siete degli animali! ”
“E tu che ne sai di animali? Hai preso cazzi anche da loro, verginella? Tante storie e sembri una fontana lì sotto, dillo che il mio arnese ti piace, dillo che non lo molleresti più! ”
“Si! è vero, mi piace! Sfondami! Dammelo tutto! Fammi godere maschione, scopami per sempre! Hai un cazzo da favola, lo sento dappertutto, fammi godere maiale! ”
Venne in quel momento inondandomi con un fiume di sborra e scatenando anche in me l’orgasmo, mi strinsi a lui con tutte le mie forze, ululando di piacere come una lupa alla luna. Quello dietro di me si sollevò e mi inculò; non lo sentii quasi entrare, lo aveva sottile e venne quasi subito ma quella ulteriore penetrazione prolungò il mio orgasmo per un tempo lunghissimo.
Poi si sfilarono entrambi da me e mi affidarono ad altri due che si erano avvicinati e che mi fecero piegare a novanta gradi per succhiargli i cazzi mentre i quattro rimanenti mi scoparono chi nella figa, dilatatissima e grondante dello sperma del gigante, chi nel culo. Ma io ero ancora stordita dalla scopata e dall’orgasmo precedenti e li lasciavo fare senza partecipare granché mentre con la coda dell’occhio cercavo Piccolo senza trovarlo.
Quando anche l’ultimo ebbe goduto di me non mi reggevo più in piedi. Antonio si avvicinò e sorreggendomi mi portò alla macchina e mi fece poggiare al cofano ancora caldo. Nicola mi porse un pacchetto di fazzoletti di carta: avevano usato tutti il preservativo tranne Piccolo che mi aveva riempito talmente che ci misi un po’ a ripulirmi. Quando chiesi i vestiti, pensando che fosse finita così, Nicola si mise a dire:
“Che sbadati, chissà dove sono finiti; magari ce li hanno i ragazzi, prova ad andare a chiedere! ” ed indicò uno dei camion; del camionista in giro neanche l’ombra ma scorsi nel camion la brace di una sigaretta avvampare.
Addosso non avevo più nulla, senza quasi che me ne accorgessi mi era stato sfilato tutto il resto. Mi prese una gran rabbia, non gli bastava ancora, gli lanciai occhiate da incenerirli ma l’unico effetto che ottenni fu di farli sghignazzare. Aspettai ancora un attimo poi mi decisi e mi mossi seguita da loro.
Arrivata al camion la maniglia era altissima e, per quanto mi allungassi non ci arrivavo. Mi lasciarono fare per un po’ commentando le posizioni che assumevo, poi Nicola la afferrò ed aprì lo sportello. Cominciai ad arrampicarmi e Antonio mi infilò due dita nella figa, gli caddi in braccio, mi rimise in piedi e, sempre tenendomi le dita dentro mi spinse in su.
Quando finalmente riuscii ad entrare nella cabina trovai il camionista disteso su una ampia cuccetta, nudo e col cazzo in tiro. Gli chiesi dei miei vestiti e lui rispose:
“Io ne ho una parte ma ti dico dove solo se mi fai una spagnola a tette ben strette! ”
Il suo cazzo era ad un nulla dalle mie tette, me le presi e gliele strinsi intorno. Disse che dovevo stringere di più. Strinsi, non gli bastava ancora, strinsi finché sul volto mi si dipinse una smorfia di dolore: a quel punto disse:
“Ok! Adesso puoi fare! ”
Feci, lo carezzai con le tette dandogli delle gran leccate quando mi arrivava a tiro per farlo venire più in fretta. Mi venne sul seno e sulla faccia: pretese che mi spalmassi bene la sborra sulle tette e sulla faccia poi mi diede la guêpière dicendo che lui aveva solo quella e che per il resto avrei dovuto chiedere agli altri, mi aiutò ad allacciarla poi mi aprì lo sportello e mi fece scendere.
Nicola mi indicò la cabina del secondo piano, capii che, per recuperare i miei vestiti, me le sarei dovute passare tutte, dopo avermi scopato in gruppo volevano avermi ognuno per sé. Antonio mi aprì lo sportello, Nicola mi ficcò due dita nel culo e mi spinse su.
Anche il secondo autista era steso in cuccetta nudo e in tiro. Mi stesi al suo fianco, mi fece girare di schiena e mi infilò di sponda nella figa: era grosso e scopava con ritmo, cominciai ad ansimare, mi prese le tette, ancora indolenzite per quello che avevano subito nel corso della serata e per la spagnola precedente, prese a strizzarle, ebbi una reazione che mi lasciò di stucco, spinsi indietro il culo stringendogli la figa intorno al cazzo e cacciai le tette perché me le strizzasse di più. Gradì molto, prese a manovrarle con violenza, a pizzicarmi i capezzoli, a torcerli fino a farmi mugolare, ma non perse mai il ritmo: venimmo quasi contemporaneamente. Alla fine mi diede una scarpa e a nulla valsero le mie proteste, l’altra non l’aveva lui.
Scesi dal camion rassegnata ma non mi tornavano i conti, mi mancavano 6 camion ma solo 5 pezzi, l’altra scarpa, due calze, il vestito e la giacca: pensai subito a Piccolo, sperai e temetti che fosse lui ad aver rinunciato, solo pensando al suo cazzo venivo presa dal panico ma mi bagnavo come una fontana, quel suo cazzo mostruoso.
Salii nella terza cabina, l’uomo mi fece stendere con la testa all’altezza del suo inguine, mi prese per la nuca e mi infilò il cazzo fino in gola: non fui io a fargli un pompino, fu lui a fottermi la bocca, mi teneva la testa immobile mentre ad ogni colpo arrivava alle mie tonsille provocandomi un conato di vomito, mi sentivo soffocare, per un attimo credetti di morire e cercai di divincolarmi, si immobilizzò in fondo alla mia gola finché non smisi di agitarmi, si tirò indietro e mi inondò la gola di sperma. Ne ebbi la seconda scarpa.
Nella quarta cabina, in cambio di una delle calze, dovetti masturbare un omone nerboruto che per tutto il tempo mi tenne la lingua in bocca, baciandomi con un trasporto che non mi lasciò indifferente.
Il quinto, per l’altra calza pretese che mi masturbassi avanti a lui : mi fece inginocchiare sulla cuccetta e mi disse di infilarmi due dita nella figa e due nel culo, ogni tanto mi toccava un seno con una delicatezza quasi fastidiosa; dopo un po’ finsi un orgasmo e me ne andai.
Nel sesto camion il tizio si stese sulla cuccetta col cazzo in tiro e pretese che mi inculassi da sola: dovetti accucciarmi sopra di lui nel poco spazio disponibile, mi aprii le natiche con le mani e lui mi passò due dita nella figa per poi bagnarmi dietro, mi calai lentamente, nonostante avesse un cazzo di buone dimensioni non provai troppo dolore; evidentemente tutti quelli che mi erano già entrati nel culo poco prima, mi avevano dilatato bene. Quando lo ebbi tutto dentro cominciai il saliscendi, il tizio mi disse di palparmi le tette, poi pretese che mi tirassi i capezzoli in bocca e me li mordessi, poi mi disse di torcerli e lasciava che mi fermassi solo quando la smorfia di dolore sulla mia faccia gli sembrava convincente. Durò a lungo, nonostante lo sforzo divenne piacevole e, ancora una volta, il dolore accresceva il piacere, non mi facevo domande, fottevo e basta. Quando stava per venire mi fece sfilare e pretese che glielo prendessi in bocca, era sporco di merda ma quando mi ritrassi lui mi afferrò per il naso e mi tirò giù infilandomelo in bocca appena la aprii per poter respirare. Venne, glielo dovetti leccare a lungo finché non fu ben pulito; mi restituì il vestito dicendomi che ero propria una troia.
Quando scesi dal camion Nicola si fece dare il vestito:
“Ancora non ti serve! ” e indicò il settimo camion
Pensavo che fosse l’ultimo, salii, di nuovo senza capire quanto temessi e quanto sperassi che dentro ci fosse Piccolo, ma non era lui. Anche questo voleva incularmi, era più grosso dell’altro ma non grosso come Piccolo, mi fece mettere a quattro zampe e me lo ficcò fino in fondo in un colpo solo. Il dolore fu fortissimo, lanciai un urlo ma quello, senza preoccuparsi affatto, stette fermo un momento e poi cominciò a pomparmi. Il dolore continuò, io smaniavo e cercavo di scappare ma lui mi teneva saldamente per i fianchi, poi cominciai a dilatarmi, ad accoglierlo meglio, mi bagnai, ormai riusciva a scivolare dentro di me senza troppi sforzi, lentamente al semplice dolore si sostituì una sensazione più torbida e inquietante. Se avesse aspettato ancora un attimo a godere avrei goduto di nuovo anch’io. Mi diede la giacca.
Scesi pronta a rivestirmi e andarmene ma Antonio, guardandomi con aria strafottente:
“Sei sicura di avere tutto? ”
Controllai, mi pareva di si.
Nicola mi si avvicinò:
“Proprio sicura? ” e mi carezzò i lobi delle orecchie.
Fu un lampo, gli orecchini, non li avevo più, erano dei gioielli di gran valore, un regalo di mio marito cui tenevo oltre ogni dire:
“Dove sono? Ridatemeli immediatamente! Siete dei fottuti bastardi! ”
Indicarono alle mie spalle, mi girai: Piccolo era lì, i miei orecchini poggiati sul suo cazzo in tiro, lo guardai smarrita e lui disse soltanto:
“Il culo! ”
“Sei pazzo! Mi ucciderai! ”
“Il culo! ”
Mi girai, in preda a un terrore assoluto, mi avrebbe sfondata davvero, non ce l’avrei mai fatta a prenderlo. Lui si accostò, affondò tre dita nel mio culo e mi sussurrò:
“Ce la farai, vedrai! I miei colleghi ti hanno preparata bene, sei già molto aperta e bagnata. Tu cerca solo di stare rilassata e di respirare, al resto penso io. ”
Poggiò la cappella, trattenni il respiro ma lo rilasciai subito, dovevo respirare, mi sentivo le gambe di burro.
Lui cominciò a spingere ed io a urlare, fu un tutt’uno. Mi afferrò per i fianchi, io cercai di colpirlo con i pugni, Nicola e Antonio corsero ai miei fianchi e mi afferrarono le braccia immobilizzandomi. Lui spingeva, io urlavo, il dolore era fortissimo, mi sentivo spaccare davvero. La cappella superò lo sfintere e lui continuò a spingere, lento ma inesorabile. Mentre urlavo mi sussurrò:
“Prendi fiato, puttana! ”
Non ci riuscivo, potevo solo urlare, mi pizzicò forte un fianco, presi aria, urlai di nuovo, poi riuscii a prendere aria di nuovo prima di urlare ancora e cominciai, una boccata d’aria, un urlo, una boccata d’aria, un urlo. Ormai non c’era neanche più bisogno di tenermi, solo l’idea di un qualunque movimento mi riempiva di terrore, ferma, dovevo stare ferma.
“Apriti troia! Apri il culino, puttanona, lasciati andare, apriti, sta entrando, tra poco ti arriverà nell’intestino. ”
Il difficile per lui era stato superare lo sfintere, adesso mi scivolava dentro quasi con facilità, ma per me il dolore continuava ad essere atroce. Stavo quasi per svenire quando mi sussurrò:
“Lo hai dentro tutto, cocca! Ce l’hai tutto nel culo, hai un pilone nel sedere, ti ho sfondata per sempre, d’ora in poi cercherai solo cazzi grossi per questo tuo gran culo, urla tesoro, urla che ti piace, vacca, fai sentire ai miei amici come ti piace essere piena! ”
Lui era fermo dentro di me, mi resi conto che era vero, il dolore, si, ma mi piaceva, ero piena, ero impalata, mi piaceva ogni attimo di più, urlai:
“Mi piace! ”
Cosa ti piace? ”
“Mi piace avere il tuo bestione nel culo, mi piace che tu mi abbia sfondata, mi piace essere una puttana e riuscire a prendere cazzi grossi come il tuo! ”
Piccolo cominciò a muoversi, prima piano, poi più in fretta man mano che mi sentiva più rilassata, piegai lievemente la schiena, riuscii finanche a spingere il culo in fuori per essere prenotata meglio, glielo dissi:
“Spingi, animale, spingi di più, arrivami in gola! ”
E lui spingeva, ad un certo punto mi riprese per i fianchi e mi sollevò da terra spingendomelo più a fondo che poteva: venne tenendomi così, esposta come un trofeo ai suoi amici che erano scesi dai camion e ci facevano cerchio intorno. Mi inondò il culo di sborra come già aveva fatto con la figa, venni anch’io, svenendogli tra le braccia per la seconda volta nella serata.
Quando mi ripresi lui si era sfilato da me e mi reggeva tra le braccia, l’odore del suo sudore mi inebriò, mi posò a terra vicino alla macchina, colavo sperma dal culo, mi diedero un asciugamano e mi ripulii alla meno peggio, Antonio mi aiutò ad infilare il vestito e mi fece sedere al posto davanti.
Mentre ce ne andavamo lancia un’ultima occhiata a Piccolo. FINE

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