Abdul, l’immigrato giovane

Io sono Abdul, il più giovane dei quattro fratelli africani che vivono in questa città. Passo per essere il grande conquistatore solo perché parecchie ragazze qui in città hanno voluto provare il brivido di prendersi un cazzo nero che a quanto pare va molto di moda. E io le accontento tutte, a volte con rabbia e con disprezzo, anche perché voglio forse vendicarmi del mio primo periodo passato in questa nazione.
Quando sono arrivato, infatti, ero un clandestino e vivevo a stento in una grande città: dopo essermi accorto che con i lavoretti saltuari che facevo non riuscivo a procurarmi nemmeno da mangiare tutti i giorni, ho deciso di seguire il consiglio di un altro clandestino, un giovane romeno, che mi ha portato con lui a battere il marciapiede.
Ci piazzavamo di notte in un parco non lontano dal centro e quasi immediatamente si formava una fila di macchine guidate dai nostri clienti: giovani e anziani, militari e professori, bravi padri di famiglia e disoccupati, gente che voleva provare, magari solo una volta, il piacere di essere fottuto o
di fottere un altro maschio.
Ho fatto quel mestiere per alcuni mesi e non ricordo più a quante persone l’ho messo nel culo e quante l’hanno messo a me. per non parlare dei tanti che si accontentavano di toccarmelo un po’ e magari di provare a tenerlo un po’ in bocca. Tanti davvero.
Durante quel periodo ho conosciuto il professor Camilli: un anziano professore di scuola che era venuto da me una sera tardi e mi aveva caricato sulla sua macchina.
La prima volta eravamo stati insieme dietro a un cespuglio, sempre chiusi in macchina. Lui prima mi aveva voluto toccare fra le cosce, me lo aveva tirato fuori e mi aveva msturbato per qualche minuto. Poi mi ha chiesto di fargli un bocchino e allora io gliel’ho preso in bocca e succhiato fino a farlo venire.
Per quella sera tutto si era concluso lì. Ma poi è tornato altre volte e quasi sempre mi chiedeva di fargli dei pompini, ma vedevo che di volta in volta le sue mani si facevano sempre più intraprendenti nel toccarmi: e mentre lo succhiavo gli piaceva carezzarmi la testa e toccarmi sulla schiena, fino a palparmi il sedere, devo dire sempre con molta delicatezza.
Un giorno mi ha chiesto di andare a casa sua perché avrebbe voluto incularmi, ma in una situazione più comoda che non in macchina.
Io accettai e andai da lui.
Non fece troppi preamboli. Mi fece spogliare e mi portò in camera da letto. Dopo essere stato un po’ vicino a me, dopo avermi toccato e dopo essersi fatto toccare, mi chiese di girarmi e di alzare il culo. Io obbedii e mentre stavo in questa posizione sentii che prese dal cassetto un gel che si spalmò con calma sulle dita. Accostò poi i polpastrelli al mo buco del culo e mi unse con pignoleria fuori e dentro. Finita l’operazione con le dita (operazione che comunque doveva piacergli parecchio da come indugiava con le mano fra le mie chiappe) appoggiò il suo cazzo sul culo e lo forzò.
Sentire un cazzo che ti penetra le chiappe, dopo averlo già fatto altre volte, non è poi così doloroso e devo dire che il modo deciso ma dolce di pompare del professor Camilli era quasi piacevole: ricordo in particolare che il suo cazzo, mentre mi fotteva, aumentava sempre più di dimensioni, gonfiandosi a dismisura e provocandomi un piacere che via via si faceva più intenso. Quando sborrò nel preservativo quasi mi dispiacque di non poter sentire il suo sperma colarmi nello sfintere.
Ma il professor Camilli doveva essersi trovato molto bene con me. Tant’è vero che fu lui a darmi l’indirizzo del professor Marchi, un insegnante di religione che insegna nella scuola professionale di questa piccola cittadina in cui vivo ora.
Mi mise in contatto con lui e grazie al Professor Marchi ebbi un posto fisso come giardiniere nel parco della scuola, smettendo così di fare il clandestino e anche di battere il marciapiede.
Il professor Marchi, evidentemente omosessuale anche lui non mi chiese nulla in cambio se non delle occasionali prestazioni che consistevano tutte nella medesima performance: lui adora farsi leccare il culo.
E così di tanto in tanto, ancora oggi mi invita a bere qualcosa a casa sua, poi si cala i pantaloni e io, spesso seduto sul divano, gli caccio la lingua in culo. Con le mani gli afferro il cazzo e lo masturbo fino a farlo sborrare nel mio palmo.
Tutto qui. Il tutto con molta discrezione perché se la Preside della scuola professionale viene a sapere di queste tendenze di Marchi, il professore rischia il posto.
Devo dire però che grazie a Camilli e Marchi oggi posso vivere una vita dignitosa e mi sono potuto anche permettere di fare venire qui i miei fratelli dall’Africa. FINE

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