Una domenica pomeriggio di questa estate mi trovavo a passeggiare, non per caso, con Chiara, lungo il torrente, poco distante dal nostro paese.
Con Chiara avevo già avuto, per sua iniziativa, delle scaramucce ma, se pur lusingata ed eccitata, non le avevo mai permesso di arrivare al dunque.
Decidemmo di guadare il torrente perchè l’altra sponda, più fitta di vegetazione, sembrava offrirci un più sicuro nascondiglio per fare quello che entrambe desideravamo ma che nessuna delle due osava apertamente dire. L’altra riva del torrente era leggermente in salita e ci arrampicammo fra grovigli di sambuco, scivolando e slittando, ridendo e lanciandoci a vicenda foglie e rametti. Alla fine il terreno si fece più asciutto e più piano, e arrivammo in una radura soleggiata dove alcuni enormi lastroni di pietra si crogiolavano al tepore dei raggi. Mi arrampicai su uno di essi e mi sdraiai supina al sole con un braccio sugli occhi per ripararli dalla luce. Chiara si sdraiò ad angolo retto rispetta a me, appoggiandomi la testa sul ventre. Ogni muscolo del mio corpo si tese, percorso da un fremito, ma rimasi immobile. Sentivo la mia carne riscaldarsi e raffreddarsi a turno là dove il suo respiro, filtrando attraverso il mio pagliaccetto di nylon, mi lambiva la pelle.
Rimanemmo sdraiate a lungo senza parlare, poi Chiara voltò la testa verso il mio viso sfiorandomi la pancia con le labbra; distese un braccio lungo la mia gamba, toccandomi appena un polpaccio.
Si mise in ginocchio, sedendosi sui talloni, e mi guardò con un’espressione torturata dal desiderio, dietro la quale si nascondeva una certa allegra lascivia.
Colse nei mie occhi tutta la mia eccitazione e mi sorrise compiaciuta.
Cominciò allora a sbottonarsi la camicetta con estrema rapidità e naturalezza. Portò rapida le mani dietro la schiena e fece sparire il reggiseno
e io studiai i capezzoli eretti color terra e la pesantezza delle sue giovani mammelle che cedevano impercettibilmente nonostante i suoi diciott’anni scarsi. Poi si alzò in piedi e cominciò a slacciarsi i pantaloni. Se li sfilò assieme alle mutandine, disinvolta e spontanea come se fosse stata sola nella sua stanza. Quando si chinò per sfilarsi i calzini non vidi altro che la bianca rotondità delle sue chiappe, la buia fessura del suo culo e la rossa apertura più oltre, dove già si era raccolta un piccola perla umida e cremosa.
Non riuscii più a trattenermi, mi sollevai a sedere e l’attirai a me mentre le baciavo più volte la sua morbida bocca acquiescente.
Le sue mani minute mi scivolarono dietro la schiena, sotto i capelli, abbassarono la chiusura lampo del pagliaccetto e mi aprirono il reggiseno, in modo che, con un sol gesto riuscì a calarmeli entrambi giù dalle spalle.
Sempre coprendomi la bocca con la sua, mi spense ad alzarmi in piedi, mi slacciò i jeans e con il mio impaziente aiuto fece scivolar via tutti i vestiti, aggrovigliati assieme. Me ne liberai senza interrompere il nostro bacio.
Rimanemmo in piedi sul masso, una accanto all’altra. La mia testa era china sulla sua, e i nostri corpi si sfioravano appena; sollevai una mano e cominciai ad accarezzarle delicatamente un seno, mentre l’altra si faceva strada fra le sue cosce. Lei le divaricò un pò e io le passai la mano sulla sella calda, strinsi fra le dita le labbra della fica, poi insinuai due dita fra di esse, le strofinai piano il clitoride sentendo che si ergeva e si induriva leggermente sotto il mio tocco; poi feci scivolare due dita in quella fica calda e umida.
Lei appoggiò un pò del suo peso sulla mia mano in modo da farmi penetrare ancor più profondamente dentro di lei, e io giocherellai con la pliche soave della sua fessura, esplorandola, senza fermarmi, piena di desiderio, mentre allontanavo l’altra mano dal suo seno e le circondavo le spalle, sostenendola e abbracciandola al tempo stesso. Lei mi stringeva con entrambe le braccia; le mani avvinghiate alle mie spalle, la aiutavo a sostenersi.
Poi le mie dita, che continuavano a sondarla, tremanti, dentro la fica, le toccarono il collo dell’utero, e lei mi morse il labbro inferiore con un gemito, mentre la pelvi si agitava selvaggiamente.
All’improvviso, con un sol gemito strozzato, l’anello vaginale si strinse forte sulle mie dita e rilasciò un grosso fiotto umido sulla mia mano, e crollò contro di me. Io barcollai sotto il suo peso, ma riuscii a mantenere l’equilibrio, mentre lei si appoggiava, il volto in fiamme sul mio petto, i seni e il ventre completamente schiacciati contro di me.
Ritirai dolcemente le dita, e Chiara, scivolò in ginocchio davanti a me, e sollevò la sua bocca alla mia fica. Io rimasi in piedi sopra di lei allargando le gambe e piegando leggermente le ginocchia per permetterle un più facile accesso alla mia fica palpitante e dolente. La sua lingua cominciò a guizzare instancabile sul mio clitoride, facendomi quasi impazzire, mentre le sue braccia mi cingevano le cosce e le mani mi stringevano convulse le natiche. La mia eccitazione stava diventando intollerabile, il sole turbinava nel cielo, e sentii che non riuscivo più a tenermi in piedi.
Mi piegai quasi in due, le afferrai i corti capelli neri con entrambe le mani, e lasciando penzolare la testa, cominciai a sussurrare il suo nome.
Finalmente la sua lingua mi penetrò nella fica, entrando e uscendo con colpi rapidi e sicuri. Sentivo i suoi denti premermi contro l’osso pelvico mentre tentava di spingersi più a fondo. Mi tremavano le pareti della vagina, vibrando ad ogni sfumatura delle sue linguate. Alla fine tutto si oscurò, un fuoco familiare mi lambì le carni dal ventre all’inguine e con lunghi e travagliati fremiti, venni nella sua bocca.
FINE