Un istante di troppo (racconto lesbo)

Due ragazze, in macchina. Un film appena visto con cinque adolescenti che si uccidono, una madre cretina, un pischello da scoparsi con gli occhi.
I saluti sembrano non finire mai. Nella penombra dei lampioni lontani, parlano ancora del film, di libri, di musica. E non riescono a salutarsi.

Non è molto che si conoscono, ma le loro frasi si rincorrono e si abbracciano come se fossero amiche da sempre. Le risate dell’una accendono gli occhi dell’altra, le esperienze dell’una si specchiano e rivivono in quelle dell’altra.

E’ tutto un rincorrersi, ma di sguardi. Un giocare, ma con le parole.

Si sono già salutate due volte, poi un nuovo spunto, un vecchio ricordo, qualsiasi cosa pur di non scendere dalla macchina, e andarsene ognuna per la propria strada. Pur di non doversi dare quei due baci sulla guancia che potrebbero facilmente diventare uno, sulle labbra.

Una è seduta sul sedile con le ginocchia rannicchiate al petto, i piedi scalzi e feriti dalla danza, impunemente poggiati sul sedile. L’altra ha bevuto una mistura micidiale servita da una deliziosa cameriera; avrebbe voglia di fumare, ma non vuole darle una scusa per andarsene, neanche per scherzo.

Il tempo passa, poi, finalmente, una si decide. Si avvicina per il primo bacio sulla guancia, che fila liscio. Il secondo già è meno limpido, e gli angoli delle bocche si sfiorano. Appena.

La bionda, quella che ama mettere i piedi dappertutto, fa per scendere, la mano già sulla maniglia, poi ci ripensa, torna indietro.

Valuta un attimo lo sguardo interrogativo che le sta di fronte e parla di nuovo, tirando fuori il coraggio da chissà dove:

– Senti…

L’altra sembra che stia per parlare, ma l’istinto le dice di tacere, di non spezzare questo istante che sembra diventato improvvisamente incandescente.

– …chiudi gli occhi.

Gli occhi si chiudono, i cuori si fermano in attesa, eccitati. I volti serissimi, i vetri appannati.

La ragazza ha trovato il coraggio di fermarsi, di fermare il tempo, e ora non può tornare indietro, ma quello che ha in mente… non l’ha quasi mai fatto. Solo un paio di volte, ma non era lei a condurre il gioco. Quelle volte in cui aveva baciato altre labbra di donna, era stata colta di sorpresa, piacevolmente stupita da una ragazzina molto più intraprendente di lei.
Stavolta è diverso. Sa di poterlo fare, sa che non riceverà un rifiuto. E ha voglia di farlo. Per prima.

Si inumidisce le labbra con la lingua poi, tremando, le appoggia su quelle dell’amica. Il silenzio è assoluto, sottolinea la tensione, l’emozione.

Si stacca di qualche centimetro e fa sporgere la lingua. La sa usare bene, a quanto dicono. Un arma pericolosa, dicono, che va maneggiata con perizia, per non uccidere.
E lei sa di poterlo fare. Uccidere.

Inclina leggermente la testa e accarezza in un unico movimento, con quell’arma morbida e rotonda, le labbra che la aspettano incredule. Da queste esce un gemito, solo un gemito, trattenuto fin troppo a lungo.

Lo fa di nuovo. La seconda volta però con una leggera pressione si fa strada un poco fra le carni tremanti.
Poi, con quella calma che solo le donne sanno avere, infila la punta, solo la punta della lingua lì dove di solito le bocche delle ragazze si incurvano in timidi sorrisi.
Un angolo troppo spesso dimenticato.
Sono piccole leccate; la lingua che ritorna ogni volta ad inumidirsi nella propria bocca, raccoglie il suo piccolo carico di saliva, e lo poggia con delicatezza in quell’angolo. In un momento di tregua, un sussurro fende l’aria.

– Mio dio…

Lei tiene gli occhi ancora chiusi, come le è stato angelicamente ordinato. Una mano stringe il volante aggrappandosi a quell’unico pezzo di realtà che le rimane, l’altra non sa dov’è, e non le importa.
Non vuole svegliarsi da questo sogno. Se finisse diventerebbe un incubo. Rimane ferma, immobile, ancora in attesa.

E l’attesa viene premiata. Di nuovo due labbra si poggiano sulle sue, ma stavolta non si allontanano, restano lì, come a proteggere da sguardi indiscreti il passaggio di una lingua assurdamente calda che, senza troppi indugi, stavolta, si fa strada dentro di lei, cercando qualcosa.

Finalmente le lingue si toccano. Finalmente lei può muovere la sua, azzardando un lento movimento. In apnea. La realtà è mille chilometri lontana; la strada, le macchine, l’ora tarda, niente è abbastanza vicino da essere visibile. Tutto è meravigliosamente filtrato dalle sensazioni di quegli istanti.

Un paio di secondi, il tempo di rimettersi le scarpe, e la mano è di nuovo sulla maniglia. Un altro sospiro, e la ragazza è già fuori dalla macchina. Appoggiata al finestrino, un sorriso timoroso sulle labbra ora timide, saluta l’altra, ubriaca di eccitazione molto più che del miscuglio sorseggiato:

– A domani… – le dice.

– A domani, assassina.

FINE

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